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    L'ipotesi di Camere sciolte senza dimissioni di Draghi

       In caso di dimissioni irrevocabili di Draghi mercoledì prossimo, il presiedente Mattarella potrebbe sciogliere le Camere ma respingere le dimissioni del premier. E’ una delle ipotesi avanzata dal costituzionalista Marco Olivetti, docente alla Lumsa, a Radio anch’io, su Radio Rai.    “Se il Presidente Draghi – ha detto Olivetti – conferma le dimissioni, dopo una verifica dei rapporti parlamentari, si aprono alcune alternative. La prima possibilità potrebbe essere un altro governo con lo stesso presidente del consiglio: Draghi si sarebbe convinto che sarebbe accettabile per lui una maggioranza con qualche modifica rispetto a quella attuale, per esempio con una parte che esce da M5 e sostiene Draghi.   Ovviamente con un orizzonte limitato al massimo alla prossima primavera”.    “Il secondo scenario alternativo – spiega ancora il costituzionalista – si prenderebbe atto che la legislatura è definitamente conclusa. Il Presidente della Repubblica scioglierebbe le Camere e a quel punto l’ipotesi più fisiologica è che l’attuale governo rimanga in carica o così come è o con la sostituzione limitata di qualche ministro che si dimette”.    “Qui – ha osservato – ci sarebbe una ulteriore variante. Mattarella potrebbe anche respingere nuovamente le dimissioni di Draghi e sciogliere le Camere. In quel caso sarebbe un governo non dimissionario; certo, senza le Camere i suoi poteri sarebbero limitati. Ma noi non abbiamo una contezza precisa di quale saranno questi limiti. Per esempio si discute se possa o meno fare i decreti legge, e io dico di sì se c’è una reale urgenza; si discute se le possa adottare i decreti legislativi di attuazione delle leggi delega del Pnrr, e io direi di sì con la dovuta prudenza. Insomma non è uno scenario apocalittico: si vota in tutti i Paesi d’Europa alla scadenza” “Il terzo scenario – ha quindi concluso Olivetti – è un governo per le elezioni, con Draghi che esce di scena. Questo governo guiderebbe il paese verso le elezioni o che fino a marzo. Secondo mesarebbe il peggiore scenario perché all’esterno, soprattutto in Europa, dà l’immagine dei governi italiani che cambiano ogni settimana; ma è uno scenario che non può essere escluso”. 

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    Oltre mille sindaci a sostegno di Draghi

    Nei giorni che attendono il mercoledì che deciderà definitivamente il futuro del Governo, 1000 sindaci scendono in campo per provare a trattenere Mario Draghi sulla poltrona di Palazzo Chigi, scatenando di contro il risentimento di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e del “partito del voto”.
    L’appello ad andare avanti, nato sabato tramite una lettera aperta al presidente del Consiglio su iniziativa del sindaco di Firenze Dario Nardella, è presto diventato il caso che ha acceso le rimostranze della destra d’opposizione che ha accusato, per voce di Meloni, i primi cittadini promotori di mancanza di regole e di “usare le istituzioni senza pudore come se fossero sezioni di partito”. Il solco è tracciato: da un lato chi considera l’iniziativa l’espressione di una libera scelta dei sindaci, per salvaguardare la stabilità in un momento di forte difficoltà e l’attuazione del Pnrr – come il dem Andrea Marcucci che accusa la leader di Fratelli d’Italia di “analfabetismo istituzionale”, tirandosi addosso valanghe di dichiarazioni da parte dei parlamentari di Fdi -, dall’altro chi ritiene inaccettabile parlare a nome dei cittadini per schierarsi apertamente in favore della continuità del Governo.
    Meno esposto l’asse Forza Italia – Lega, che non esprime una posizione ufficiale sulla questione, ma si limita a far registrare le voci dei singoli amministratori. Come il sindaco di Udine, il leghista Pietro Fontanini, che dice all’Ansa di “non aver firmato, perché si tratta di un’iniziativa dei sindaci di sinistra o di liste civiche e non fa parte del mio campo politico”. A dire il vero non sono pochi nel centrodestra i sindaci che condividono l’appello per la permanenza dell’ex capo della Banca centrale europea alla guida del Consiglio dei ministri, come sottolinea lo stesso Nardella: “Mi dispiace che Meloni non noti che tra i firmatari ci siano moltissimi esponenti di centrodestra”.
    Si parte dagli amministratori di importanti capoluoghi come Marco Bucci, primo cittadino di Genova o a Venezia Luigi Brugnaro, fino a quelli di Lucca, di Asti, di Magenta, tutti espressione di giunte di centro destra. C’è anche Alessandro Ghinelli, sindaco di Arezzo, città dove Fratelli d’Italia siede tra le fila della maggioranza, che si è tirato addosso i rimproveri dei meloniani che hanno preso formalmente le distanze dal loro amministratore cittadino creando un piccolo caso.
    Simile a quello di Andrea Corsaro a Vercelli, che sostenuto in Consiglio comunale da una maggioranza a trazione Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, ha aderito alla mobilitazione pro-Draghi ed è stato contestato dal suo assessore alle Politiche giovanili, in quota Fdi. Che non si tratti di una spaccatura che divida perfettamente il campo del centrodestra da quello del centro sinistra lo testimonia anche l’iniziativa “bipartisan” di 55 sindaci siciliani di vari colori politici, che hanno condiviso l’appello e hanno rilanciato con una propria richiesta a Draghi affinché rimanga a Palazzo Chigi, perché c’è bisogno di “stabilità, certezze e coerenza per continuare la trasformazione delle nostre città – dicono -, perché senza la rinascita di queste non rinascerà neanche l’Italia”.
    E poi c’è il doppio fronte dei governatori. Schierati compatti ci sono i 3 presidenti di Regione in quota Fdi: Marco Marsilio in Abruzzo, Nello Musumeci in Sicilia e Francesco Acquaroli nelle Marche, che oggi non hanno condiviso l’iniziativa né nel merito né nel metodo, derubricandola a una “forzatura che chi ricopre un ruolo istituzionale non può permettersi, né tanto meno promuovere”. Ma è Stefano Bonaccini a rispondere dalla sua Emilia Romagna: “centinaia di sindaci stanno firmando l’appello sono tutti burattini?Semplicemente surreale”.

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    Governo: 1.300 sindaci hanno firmato l'appello a Draghi

       Sono arrivati a quota 1.300 i sindaci che hanno sottoscritto l’appello a Mario Draghi ad andare avanti in nome della stabilità. Si tratta di un lungo elenco che va dalle grandi città ai piccoli comuni, con una rappresentanza di diverse forze politiche e liste civiche, anche di centrodestra.
        “Noi Sindaci, chiamati ogni giorno alla difficile gestione e risoluzione dei problemi che affliggono i nostri cittadini, chiediamo a Mario Draghi di andare avanti e spiegare al Parlamento le buoni ragioni che impongono di proseguire l’azione di governo. Allo stesso modo chiediamo con forza a tutte le forze politiche presenti in Parlamento che hanno dato vita alla maggioranza di questo ultimo anno e mezzo di pensare al bene comune e di anteporre l’interesse del Paese ai propri problemi interni”. “Ora più che mai abbiamo bisogno di stabilità”. 

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    Comuni:Verona,si insedia giunta Tommasi 'inizia l'avventura'

    (ANSA) – VERONA, 18 LUG – “E’ l’inizio di una avventura che
    ha visto la mia, le nostre vite, un po’ cambiare: ora l’esito
    delle elezioni ci dà una grande responsabilità”. Lo ha detto
    oggi il neo sindaco di Verona eletto nelle file del
    centrosinistra, Damiano Tommasi, presentando la squadra di
    governo cittadino.   
    “Abbiamo una grande responsabilità, tante aspettative, tanta
    voglia di fare e di mettere a terra i progetti che abbiamo
    condiviso per mesi – ha spiegato, usando spesso termini del
    gergo calcistico -. Una delle qualità che accomuna tutti i
    membri della giunta è l’essere esigenti con loro stessi, ognuno
    vuole qualcosa in più da se stesso e questo credo sia quel quid
    in più che serve quando bisogna dare il 100% di quello che
    abbiamo”.
    Dieci gli assessori (cinque uomini e cinque donne) chiamati
    da Tommasi nell’esecutivo municipale. “Sono convinto che faremo
    tanto per questa città e lo faremo stando bene insieme – ha
    concluso – . Sono contento che sia stata confermata la scelta
    fatta in campagna elettorale di avere la parità di genere nella
    nostra giunta. Picoli passi verso una Verona che vogliamo
    sicuramente diversa da quella che abbiamo visto per anni”.   
    (ANSA).   

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    Mercoledì Draghi in Parlamento, il timing

    Mercoledì si consumerà la parlamentarizzazione della crisi. Il premier Mario Draghi prenderà la parola prima al Senato, dove è nato il governo, e poi solo se lo reputerà necessario alla Camera. Più facile infatti che a Montecitorio consegni un testo scritto. I tempi esatti saranno individuati dalle conferenze dei capigruppo fra lunedì e martedì ma sarà il presidente del Consiglio a scegliere se attendere il dibattito ed anche il voto sulle comunicazioni oppure abbandonare subito dopo aver parlato l’Aula di Palazzo Madama e salire al Colle per rassegnare le dimissioni. Il premier lo ha messo a verbale parlando ai suoi ministri poco prima di annunciare le dimissioni (poi congelate dal capo dello Stato): il patto di fiducia è venuto meno, un’altra maggioranza non è possibile.
    Qualora però reputasse che le condizioni politiche siano nuovamente mutate e che dunque sia possibile proseguire nell’azione di governo per sancire il nuovo avvio, avrebbe a disposizione il voto sulle comunicazioni rese in Parlamento. Secondo infatti quanto viene spiegato, la risoluzione di maggioranza potrebbe contenere un riferimento esplicito alla fiducia all’esecutivo e dunque, una volta incassato il voto favorevole, sarebbe sufficiente a riannodare il filo spezzato un questi giorni.
    Nel caso di dimissioni del premier, invece, la parola passerebbe al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E qualora il capo dello Stato reputasse opportuno sciogliere le Camere e andare a elezioni, le date più probabili sono quelle del 25 settembre o del 2 ottobre. I tempi potrebbero sembrare eccessivamente lunghi, ma gli adempimenti per i partiti sono molteplici, non solo per la campagna elettorale ma anche per la presentazione delle liste che devono essere accompagnate da un alto numero di firme.

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    La proposta di Gualtieri, mezzi gratis senza aumentare le tasse

    Il trasporto pubblico gratuito è “un provvedimento preso in Germania e in Spagna, molto importante e apprezzato. Lo Stato investe, abbiamo risorse che si possono utilizzare per il buon andamento delle entrate fiscali, non è necessario fare uno scostamento né aumentare le tasse. Così aiutiamo in modo concreto le fasce di lavoratori e di pensionati a basso reddito, si aiuta a rilanciare la cultura del trasporto pubblico e si investe sul trasporto pubblico. Penso ci siano le risorse per fare quanto fatto in Germania e Spagna”. Lo ha detto il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, su Rtl. 

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    Papa tuona contro le fake news: “A volte i siti web sono tossici”

    Il Papa torna contro le fake news e sottolinea che “l’uso dei media digitali, in particolare dei social media, sollevato un certo numero di gravi questioni etiche”. “A volte e in alcuni luoghi, i siti dei media – dice in un messaggio al congresso mondiale di comunicatori cattolici di Seul – sono diventati luoghi di tossicità, incitamento all’odio e notizie false”. E’ necessario dunque “contrastare la menzogna e la disinformazione”, aggiunge sottolineando “la necessità di aiutare le persone, soprattutto i giovani, a sviluppare un senso critico, imparando a distinguere il vero dal falso, il giusto dall’errato, il bene dal male”.

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    Governo: Renzi, Draghi detti le priorità e si vada al bis

    “O Draghi bis o voto”, sostiene il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che predilige di gran lunga la prima opzione. Intervistato dal ‘Corriere’, l’ex premier afferma che “quello che è importante è che Draghi stia a Palazzo Chigi. E che venga in Aula senza fare trattative stile Prima Repubblica o vertici di pentapartito: deve fare un elenco prendere o lasciare”. A quel punto “voglio vedere chi si assume la responsabilità di sfasciare tutto”.    Nel frattempo la petizione di Italia Viva per il Draghi bis ha superato le 80 mila firme. “La petizione ha fatto il botto”, afferma Renzi, per il quale si tratta di “un risultato che sembrava impossibile anche a noi”.    Ma “il bis si fa se Draghi vuole farlo, alle condizioni che dice Draghi”, precisa Renzi. Nel caso in cui ribadisse il suo No, sarebbe difficile per il leader di Italia Viva formare un altro esecutivo. “Mi domando chi può votare un governo del genere”, dice. “Io sono per il Draghi bis con un sussulto di decisionismo e responsabilità da parte del premier – aggiunge -. Se lui non se la sente, e mi dispiacerebbe molto, si vada subito al voto”.    Un’altra certezza per Renzi è l’antagonismo con il Movimento 5 stelle. “A me basta che alle prossime elezioni noi e i grillini staremo sue due fronti opposti”, dichiara. “Ho perso ogni interesse verso le dinamiche interne dei Cinque Stelle – dice commentando la possibile nuova scissione nel Movimento -. Spero che sia chiaro a tutti come la loro presenza abbia inquinato il dibattito civile della politica italiana. Hanno mentito, hanno insultato, hanno aggredito gli avversari. E adesso, preoccupati di tornare a casa, si scindono una volta alla settimana”.    Il Partito democratico vorrebbe però restare al governo con i cinquestelle. “Il Pd ancora subalterno di Conte e Grillo? Ma anche basta, dai – commenta Renzi -. Ancora a rincorrere il fortissimo punto di riferimento progressista? Non ci credo, non ci posso credere”.