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    Governo, Di Maio riunisce gruppi parlamentari di Ipf: “Conte responsabile della crisi”

    “Dalle dimissioni di Draghi ad oggi sono successi due fatti politici clamorosi. Le manifestazioni e gli attestati di supporto al governo Draghi affinché possa restare in carica: oltre 1600 sindaci, la società civile, gli imprenditori, la comunità finanziaria e quella internazionale. Il direttivo della Camera del gruppo M5S, oggi partito di Conte, ha espresso la volontà di votare la fiducia al governo Draghi, al di là della volontà dei vertici”. Così il ministro Luigi Di Maio durante l’assemblea congiunta di Insieme per il Futuro. 
    “Siamo in una situazione surreale, dovevamo occuparci di problemi reali del paese, pensando a famiglie e imprese, ma siamo invece in mezzo a una crisi di governo. La maggioranza dei cittadini sa chi è il responsabile di questa crisi, ha un nome e cognome: è Giuseppe Conte”.

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    Crisi di governo: Si tratta a oltranza, no della Lega ai 5S – IL PUNTO ALLE 13

    Si tratta a oltranza per salvare il governo alla vigilia delle comunicazioni di Draghi al Senato sulla crisi aperta dai Cinque Stelle. Il leader del Pd Letta è stato questa mattina a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, che poi è salito al Quirinale per un colloquio di circa mezz’ora con il presidente della Repubblica Mattarella. Intanto, Salvini ha visto i vertici della Lega e si è saputo che all’ora di pranzo sarà a Villa Grande, la casa di Roma di Berlusconi, per un nuovo incontro con il presidente di Forza Italia.
    La giornata andrà avanti aspettando fatti politici nuovi che consentano al capo del governo di presentare a Palazzo Madama le condizioni per proseguire il lavoro iniziato un anno e mezzo fa fino al termine della legislatura. Un’agenda magari ristretta ma ben chiara di impegni da rispettare a cominciare dalle misure contro la crisi sociale e sull’emergenza energetica, dalle riforme del Pnrr al sostegno all’Ucraina e alla lotta alla pandemia.
    L’agenda potrebbe essere messa a disposizione del Parlamento perchè la sostenga prima del voto, come hanno chiesto gli appelli venuti in questi giorni da imprenditori (250 firme sul Sole 24 Ore questa mattina), rettori, associazioni, dai 1.600 sindaci. E anche dalle cancellerie occidentali e dai mercati.
    L’ultimo segnale da Fitch: ‘Le dimissioni di Draghi annunciano una maggiore incertezza politica anche se venissero evitate le elezioni anticipate. Senza di lui il risanamento di bilancio è più difficile’, si legge in una nota dell’agenzia di rating.
    Il premier ha iniziato la giornata incontrando a Palazzo Chigi Enrico Letta. Il Pd, che non commenta il colloquio di questa mattina, spinge a tutti livelli affinché sia garantita continuità al governo. Poi il colloquio di Draghi con Mattarella. Per sbloccare la situazione servono segnali precisi dai partiti, segnali che al momento mancano, soprattutto dal fronte M5s. Ad esempio, dai Dem ci si augura che la pattuglia governista si faccia avanti per evitare un possibile voto di fiducia al buio.
    Su cosa dirà Draghi domani a Palazzo Madama in ordine alla sua disponibilità ad andare avanti e alle condizioni per farlo, dunque, c’è ancora riserbo, sia a Palazzo Chigi che al Quirinale. Il primo fatto politico della giornata, intanto, è una conferma che viene dall’incontro di Salvini con ministri e sottosegretari della Lega: ‘Il partito è indisponibile a proseguire il lavoro con gli inaffidabili Cinque Stelle e senza chiarezza. L’auspicio è garantire all’Italia soluzioni all’altezza, evitando che provocazioni, liti e figure inadatte blocchino il Paese’. Niente Cinque Stelle, dunque.
    L’attenzione si sposta così verso il Movimento alle prese con il fortissimo travaglio interno che si manifesta nello scontro tra ortodossi e governisti, con un drappello di alcune decine di parlamentari, guidati dal capogruppo alla Camera Crippa e dal ministro D’Incà, che sarebbe pronto a lasciare i pentastellati per passare al Gruppo Misto.    

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    Borsellino:Mattarella, svelare oscuri tentativi deviare indagini

    “Paolo Borsellino, come Giovanni Falcone e altri magistrati, fu ucciso dalla mafia perché, con professionalità, rigore e determinazione, le aveva inferto un colpo durissimo, disvelandone la struttura organizzativa e l’attività criminale.
    La mafia li temeva perché avevano dimostrato che non era imbattibile e che la Repubblica era in grado di sconfiggerla con la forza del diritto. Nel trentesimo anniversario del terribile attentato di via D’Amelio, desidero rendere omaggio alla sua memoria e a quella degli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, che con lui persero la vita a causa del loro impegno in difesa della legalità delle istituzioni democratiche”. Lo dice il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel trentesimo anniversario della Strage di via D’Amelio.
    “Paolo Borsellino aveva la ferma convinzione che il contrasto alla mafia si realizzasse efficacemente non solo attraverso la repressione penale, ma soprattutto grazie a un radicale cambiamento culturale, a un impegno di rigenerazione civile, a cominciare dalla scuola e dalla società. Preservarne la memoria vuol dire rinnovare questo impegno nel tenace perseguimento del valore della legge, del diniego nei confronti del compromesso, dell’acquiescenza e dell’indifferenza che aprono la strada alla sopraffazione”, prosegue il Capo dello Stato.
    “Il suo ricordo impone di guardare alla realtà con spirito di verità, dal quale l’intera comunità non può prescindere. Quell’anelito di verità che è indispensabile nelle aule di giustizia affinché i processi ancora in corso disvelino appieno le responsabilità di quel crudele attentato e degli oscuri tentativi di deviare le indagini, consentendo così al Paese di fare luce sul proprio passato e poter progredire nel presente.Con questo spirito e nell’indelebile ricordo di Paolo Borsellino, rinnovo ai suoi figli e ai familiari degli agenti caduti, i sentimenti di gratitudine e di vicinanza dell’intero Paese”, conclude. 

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    Governo: mercoledì la fiducia fiducia prima al Senato. Conte: “Ora la decisione spetta a Draghi”

    Le comunicazioni del presidente del Consiglio ed il successivo dibattitto sulla fiducia con il voto partiranno da Palazzo Madama. E’ questo il frutto dell’accordo tra i presidenti del Senato Elisabetta Casellati e della camera Roberto Fico. 
    “Noi chiediamo stabilità per il paese, stabilità che non si può avere con il M5s al governo. La soluzione è o un governo Draghi senza 5s o si va a votare”, ha detto il coordinatore di FI Antonio Tajani a margine dell’incontro con Silvio Berlusconi.
    Adesso la decisione non spetta al M5s, ma al presidente del consiglio, Mario Draghi. In base a quanto si apprende, è il senso dell’intervento con cui Giuseppe Conte ha parlato all’assemblea congiunta dei gruppi M5s. Conte avrebbe anche sottolineato come la stragrande maggioranza degli interventi abbia colto la forza e la coerenza della posizione del M5s.
    Il capogruppo del M5s alla Camera, Davide Crippa, ha appoggiato la richiesta di Iv e Pd di far tenere al premier Mario Draghi le sue comunicazioni, mercoledì, prima alla Camera e dopo al Senato perché il provvedimento che ha dato il via alla crisi, cioè il Dl Aiuti “non votato dal M5s”, è stato approvato prima alla Camera. In base a quanto si apprende, è quanto ha spiegato Crippa rispondendo in assemblea congiunta dei Parlamentari a chi lo ha criticato per le decisioni prese in riunione dei capigruppo.”Appelli, ripensamenti, suppliche e giravolte: per paura di esser sconfitta, la sinistra è disposta a tutto pur di scongiurare il ritorno al voto. Possono fuggire quanto vogliono, arriverà presto il giorno in cui dovranno fare i conti col giudizio degli italiani”. Così su Facebook la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni.
    “Basta con l’indegno teatrino di 5Stelle e PD che, come spiegato giovedì dal Presidente Mario Draghi, ha fatto venir meno ‘il patto di fiducia’ su cui era nato questo governo. Il Parlamento è ormai completamente delegittimato: basarsi su transfughi e maggioranze ballerine non garantisce stabilità ed è in contrasto con quanto desiderato esplicitamente dal premier che non vuole cambiare in corsa le forze che lo sostengono. A questo punto, diamo agli italiani la possibilità di scegliere un nuovo Parlamento che finalmente, e per cinque anni, si occupi di lavoro, sicurezza e salute degli Italiani, altro che droga libera, Ius Soli o Ddl Zan”. Così il vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana.
    “Siamo alla farsa. Ora Pd e M5s chiedono a Draghi di comunicare prima alla Camera e poi al Senato solamente perché Conte è più debole alla Camera. Giochini vergognosi che vanno contro la prassi che vuole che le comunicazioni del Presidente del Consiglio siano fatte nella camera di prima fiducia o dove si è generata la crisi. In entrambi i casi, quindi, al Senato. Gli italiani meritano rispetto, serietà e certezze”. Così i capigruppo di Camera e Senato della Lega Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo.

    Agenzia ANSA

    Le comunicazioni del premier prima al Senato, poi alla Camera (ANSA)

    GLI APPELLI A DRAGHI  – Il mondo dell’associazionismo lancia un “appello al Presidente del Consiglio Mario Draghi e alle forze politiche che l’hanno sostenuto affinché venga scongiurata una crisi di Governo”. Esprimendo “profonda e sincera preoccupazione”, sottolineano che “la drammaticità del momento e le tante domande di dignità della società non abbiano bisogno di una crisi perché ne uscirebbero ancora più compromesse”. Il documento è firmato da Acli, Arci, Azione Cattolica, Confcooperative, Cnca, Fuci, Gruppo Abele, Legambiente, Legacoop Sociali, Libera, Meic, Movimento Politico per l’Unità, ed è aperto ad altre sottoscrizioni.

    Agenzia ANSA

    Dalle grandi città ai piccoli comuni, anche di centrodestra (ANSA)

    E dopo gli appelli di sindaci e imprenditori, arriva anche quello dei rettori affinché il presidente del Consiglio Mario Draghi resti alla guida del governo. ‘Caro presidente Draghi, l’università ha bisogno di lei. Per questo vogliamo farle avere un rinnovato messaggio di stima’, scrive in una lettera al Corriere della Sera il presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane Ferruccio Resta. ‘I giovani studenti del nostro Paese hanno bisogno di esempi da seguire e di riferimenti da ricordare – prosegue Resta – Gli studenti vivono questa ennesima vicenda con rassegnazione. Non scenderanno in piazza non perché non abbiano un’opinione a riguardo, ma perché ipotizzo non abbiano né la voglia né l’interesse ad assecondare i giochi della politica”, aggiunge. La lettera è incentrata sui giovani. ‘Con la pandemia hanno vissuto momenti di grande incertezza. A loro dobbiamo restituire la fiducia nel futuro’. Questo, prosegue il rettore del Politecnico di Milano, ‘è il momento della responsabilità’. ‘Grazie ai fondi del Next Generation EU, è un momento positivo, di grande slancio. Non permettiamo ai venti della politica di cambiarne la rotta. Una barca senza timone va alla deriva’, conclude Resta.Dopo i rettori, anche dal mondo della scuola arriva un appello al premier, Mario Draghi: “Presidente resti, la scuola ha ancora bisogno di Lei”. La lettera aperta diffusa e firmata da Tuttoscuola ha superato in pochissimo tempo migliaia di adesioni da parte del mondo dell’educazione, tra cui esponenti sindacali, dell’associazionismo, esperti del settore istruzione e tantissimi docenti e dirigenti scolastici, ma anche famiglie. Tra i firmatari anche la segretaria generale della Cisl Scuola Ivana Barbacci, esperti di fama come Benedetto Vertecchi, Italo Fiorin, Giuseppe Cosentino. “Non deluda quelle migliaia e migliaia di giovani che grazie a Lei stanno ritrovando fiducia nel futuro – conclude l’appello del mondo della scuola -. Non deluda le aspettative di milioni di famiglie, di docenti e di dirigenti scolastici che dal Pnrr che Lei sta conducendo in porto, insieme ad altre riforme decise in questi mesi, si aspettano nuove condizioni di riscatto sociale e di rilancio dell’azione formativa”.
    L’EUROPA – “Non si vende la pelle dell’orso prima di averlo preso…”, ha detto l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue Josep Borrell sul fatto che a Mosca stiano festeggiando la crisi del Governo Draghi.

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    L'ipotesi di Camere sciolte senza dimissioni di Draghi

       In caso di dimissioni irrevocabili di Draghi mercoledì prossimo, il presiedente Mattarella potrebbe sciogliere le Camere ma respingere le dimissioni del premier. E’ una delle ipotesi avanzata dal costituzionalista Marco Olivetti, docente alla Lumsa, a Radio anch’io, su Radio Rai.    “Se il Presidente Draghi – ha detto Olivetti – conferma le dimissioni, dopo una verifica dei rapporti parlamentari, si aprono alcune alternative. La prima possibilità potrebbe essere un altro governo con lo stesso presidente del consiglio: Draghi si sarebbe convinto che sarebbe accettabile per lui una maggioranza con qualche modifica rispetto a quella attuale, per esempio con una parte che esce da M5 e sostiene Draghi.   Ovviamente con un orizzonte limitato al massimo alla prossima primavera”.    “Il secondo scenario alternativo – spiega ancora il costituzionalista – si prenderebbe atto che la legislatura è definitamente conclusa. Il Presidente della Repubblica scioglierebbe le Camere e a quel punto l’ipotesi più fisiologica è che l’attuale governo rimanga in carica o così come è o con la sostituzione limitata di qualche ministro che si dimette”.    “Qui – ha osservato – ci sarebbe una ulteriore variante. Mattarella potrebbe anche respingere nuovamente le dimissioni di Draghi e sciogliere le Camere. In quel caso sarebbe un governo non dimissionario; certo, senza le Camere i suoi poteri sarebbero limitati. Ma noi non abbiamo una contezza precisa di quale saranno questi limiti. Per esempio si discute se possa o meno fare i decreti legge, e io dico di sì se c’è una reale urgenza; si discute se le possa adottare i decreti legislativi di attuazione delle leggi delega del Pnrr, e io direi di sì con la dovuta prudenza. Insomma non è uno scenario apocalittico: si vota in tutti i Paesi d’Europa alla scadenza” “Il terzo scenario – ha quindi concluso Olivetti – è un governo per le elezioni, con Draghi che esce di scena. Questo governo guiderebbe il paese verso le elezioni o che fino a marzo. Secondo mesarebbe il peggiore scenario perché all’esterno, soprattutto in Europa, dà l’immagine dei governi italiani che cambiano ogni settimana; ma è uno scenario che non può essere escluso”. 

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    Oltre mille sindaci a sostegno di Draghi

    Nei giorni che attendono il mercoledì che deciderà definitivamente il futuro del Governo, 1000 sindaci scendono in campo per provare a trattenere Mario Draghi sulla poltrona di Palazzo Chigi, scatenando di contro il risentimento di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e del “partito del voto”.
    L’appello ad andare avanti, nato sabato tramite una lettera aperta al presidente del Consiglio su iniziativa del sindaco di Firenze Dario Nardella, è presto diventato il caso che ha acceso le rimostranze della destra d’opposizione che ha accusato, per voce di Meloni, i primi cittadini promotori di mancanza di regole e di “usare le istituzioni senza pudore come se fossero sezioni di partito”. Il solco è tracciato: da un lato chi considera l’iniziativa l’espressione di una libera scelta dei sindaci, per salvaguardare la stabilità in un momento di forte difficoltà e l’attuazione del Pnrr – come il dem Andrea Marcucci che accusa la leader di Fratelli d’Italia di “analfabetismo istituzionale”, tirandosi addosso valanghe di dichiarazioni da parte dei parlamentari di Fdi -, dall’altro chi ritiene inaccettabile parlare a nome dei cittadini per schierarsi apertamente in favore della continuità del Governo.
    Meno esposto l’asse Forza Italia – Lega, che non esprime una posizione ufficiale sulla questione, ma si limita a far registrare le voci dei singoli amministratori. Come il sindaco di Udine, il leghista Pietro Fontanini, che dice all’Ansa di “non aver firmato, perché si tratta di un’iniziativa dei sindaci di sinistra o di liste civiche e non fa parte del mio campo politico”. A dire il vero non sono pochi nel centrodestra i sindaci che condividono l’appello per la permanenza dell’ex capo della Banca centrale europea alla guida del Consiglio dei ministri, come sottolinea lo stesso Nardella: “Mi dispiace che Meloni non noti che tra i firmatari ci siano moltissimi esponenti di centrodestra”.
    Si parte dagli amministratori di importanti capoluoghi come Marco Bucci, primo cittadino di Genova o a Venezia Luigi Brugnaro, fino a quelli di Lucca, di Asti, di Magenta, tutti espressione di giunte di centro destra. C’è anche Alessandro Ghinelli, sindaco di Arezzo, città dove Fratelli d’Italia siede tra le fila della maggioranza, che si è tirato addosso i rimproveri dei meloniani che hanno preso formalmente le distanze dal loro amministratore cittadino creando un piccolo caso.
    Simile a quello di Andrea Corsaro a Vercelli, che sostenuto in Consiglio comunale da una maggioranza a trazione Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, ha aderito alla mobilitazione pro-Draghi ed è stato contestato dal suo assessore alle Politiche giovanili, in quota Fdi. Che non si tratti di una spaccatura che divida perfettamente il campo del centrodestra da quello del centro sinistra lo testimonia anche l’iniziativa “bipartisan” di 55 sindaci siciliani di vari colori politici, che hanno condiviso l’appello e hanno rilanciato con una propria richiesta a Draghi affinché rimanga a Palazzo Chigi, perché c’è bisogno di “stabilità, certezze e coerenza per continuare la trasformazione delle nostre città – dicono -, perché senza la rinascita di queste non rinascerà neanche l’Italia”.
    E poi c’è il doppio fronte dei governatori. Schierati compatti ci sono i 3 presidenti di Regione in quota Fdi: Marco Marsilio in Abruzzo, Nello Musumeci in Sicilia e Francesco Acquaroli nelle Marche, che oggi non hanno condiviso l’iniziativa né nel merito né nel metodo, derubricandola a una “forzatura che chi ricopre un ruolo istituzionale non può permettersi, né tanto meno promuovere”. Ma è Stefano Bonaccini a rispondere dalla sua Emilia Romagna: “centinaia di sindaci stanno firmando l’appello sono tutti burattini?Semplicemente surreale”.

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    Governo: 1.300 sindaci hanno firmato l'appello a Draghi

       Sono arrivati a quota 1.300 i sindaci che hanno sottoscritto l’appello a Mario Draghi ad andare avanti in nome della stabilità. Si tratta di un lungo elenco che va dalle grandi città ai piccoli comuni, con una rappresentanza di diverse forze politiche e liste civiche, anche di centrodestra.
        “Noi Sindaci, chiamati ogni giorno alla difficile gestione e risoluzione dei problemi che affliggono i nostri cittadini, chiediamo a Mario Draghi di andare avanti e spiegare al Parlamento le buoni ragioni che impongono di proseguire l’azione di governo. Allo stesso modo chiediamo con forza a tutte le forze politiche presenti in Parlamento che hanno dato vita alla maggioranza di questo ultimo anno e mezzo di pensare al bene comune e di anteporre l’interesse del Paese ai propri problemi interni”. “Ora più che mai abbiamo bisogno di stabilità”.