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    Gelmini, lascio Forza Italia, ha ceduto a Salvini

    “Questa Forza Italia non è il movimento politico in cui ho militato per quasi venticinque anni: non posso restare un minuto di più in questo partito”. Lo afferma in una nota Mariastella Gelmini, ministro per gli Affari regionali e le autonomie, aggiungendo che “Forza Italia ha definitivamente voltato le spalle agli italiani, alle famiglie, alle imprese, ai ceti produttivi e alla sua storia, e ha ceduto lo scettro a Matteo Salvini”. 
    “Ho ascoltato gli interventi in Aula della Lega e di Forza Italia, – ha spiegato Gelmini – apprendendo la volontà di non votare la fiducia al governo (esattamente quello che ha fatto il Movimento 5 Stelle giovedì scorso). In un momento drammatico per la vita del Paese, mentre nel cuore dell’Europa infuria la guerra e nel pieno vortice di una crisi senza precedenti, una forza politica europeista, atlantista, liberale e popolare oggi avrebbe scelto di stare, senza se e senza ma, dalla parte di Mario Draghi”. “Se i danni prodotti al Paese dalle convulsioni del Movimento 5 Stelle erano scontati – ha proseguito il ministro – mai avrei immaginato che il centrodestra di governo sarebbe riuscito nella missione, quasi impossibile, di sfilare a Conte la responsabilità della crisi: non era facile, ma quando a dettare la linea è una Lega a trazione populista, preoccupata unicamente di inseguire Giorgia Meloni, questi sono i risultati”.   

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    Draghi chiede la fiducia, il centrodestra dice no – IL PUNTO DELLE 18.30

    Una giornata difficile e di infiniti contatti scivola verso la crisi alle cinque del pomeriggio, quando il premier Mario Draghi – che al Senato ha reso ‘comunicazioni fiduciarie’ chiedendo alle forze politiche di ricostruire il patto di unità nazionale alla base del suo mandato – pone la fiducia su una risoluzione di Pier Ferdinando Casini dal testo stringato: “Il senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva”.    Il centrodestra – come fanno trapelare Lega e Forza Italia – non la voterà, esprimendo così ostilità e delusione per i toni duri che il premier ha usato al mattino verso la Lega, che di risoluzione ne presenta una contrapposta: il M5s sia messo fuori dal perimetro della maggioranza con un nuovo governo e un nuovo programma. Nel gioco del cerino c’è chi ancora spera che alla fine Salvini e Berlusconi, per non trovarselo alla fine in mano, non sottrarranno il loro sostegno a Draghi, rimangiandosi la richiesta di discontinuità e restituendo a Conte e ai 5s la responsabilità della crisi.    Ma, nonostante il pressing del Pd per tenere uniti i pezzi del governo, senza la maggioranza ampia che ancora stamattina Draghi invocava, il premier non potrà fare altro che salire al Quirinale e dimettersi. Nelle ultime ore si profila l’assenza del centrodestra dal voto di fiducia nell’Aula del Senato, ma la mancanza di due forze così importanti nell’equilibrio dell’unità nazionale non potrebbe essere ignorata dal premier.    In un clima di confusione estrema e disordine (si racconta di uno scontro violento tra le due azzurre Gelmini e Ronzulli) resta la possibilità di una spaccatura dei 5s, che porterebbe i voti di fiducia sulla risoluzione Casini oltre la soglia dei 170, facendo salire Draghi al Colle ancora con una maggioranza, utile a farne un governo dimissionario ma ancora nelle pienezza di poteri a camere sciolte, come ce ne sono stati nel passato. Se i numeri fossero altri, il premier potrebbe invece fermare i giochi dei partiti senza attenderne il voto e dimettersi.

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    Mimmo Di Lorenzo, discorso di Draghi è uno schiaffo politico

    “Sono rimasto molto colpito, perché in altri tempi un discorso così non sarebbe piaciuto, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha disegnato un triangolo: da una parte il governo, dall’altra gli italiani e in fondo il Parlamento come tre unità distinte, con lui unico vero interprete del volere del Paese”. A spiegarlo all’ANSA è Mimmo Di Lorenzo, co-fondatore e direttore creativo di The Washing Machine Italia, agenzia di comunicazione tra le più note. “Dice più volte Draghi – continua Di Lorenzo – ‘sono qui perché gli italiani me lo hanno chiesto’, quasi a dire ai partiti con veemenza ‘voi dovete imparare ad interpretare il volere degli italiani’. Il suo discorso sembra essere la testimonianza ultima e definitiva della crisi del sistema, semmai servisse un ulteriore riprova del fatto che siano saltati gli schemi. E’ evidente che il Parlamento non è più interprete del volere del popolo, e un premier non eletto ne diventa il portavoce: è il triangolo delle Bermuda in cui la democrazia si è persa. Da parte di Draghi c’è ben quattro volte il richiamo ‘siete pronti?’, lo dice quattro volte in maniera forte, ed è ovviamente una domanda retorica, è un’accusa per dire implicitamente ‘non siete pronti’ ai partiti”.    Insomma, spiega ancora Di Lorenzo, “il discorso di oggi di Draghi è uno schiaffo al Parlamento, parla interpretando con buon senso il sentimento comune. E’ un discorso assolutamente da politico vero, per niente da tecnico. Una figura del tutto simile, come quella di Carlo Azeglio Ciampi, non avrebbe mai fatto un discorso così: entrambi banchieri, europeisti, ma sempre attento Ciampi a misurare le parole”. Draghi invece per Di Lorenzo è “l’immagine della severità, forse anche eccessiva, ma ci stiamo abituando a questa durezza. Basti pensare però che quelle stesse identiche parole dette da Meloni o Salvini farebbero gridare molto”.    Insomma per il direttore creativo di The Washing Machine, “quella di Draghi è una esplicita sfida al Parlamento, un guanto metaforico, una certificazione della crisi del sistema”, in una situazione del resto di “scollamento tra realtà del paese e Parlamento. Basti pensare ai numeri del Movimento Cinque Stelle a Camera e Senato e in tutti i sondaggi, la vita reale non coincide con Parlamento che è troppo lento”.   

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    Draghi parla mezz'ora, 18 applausi ma non da Lega e M5s

    Un discorso interrotto 18 volte dagli applausi, una volta da un problema tecnico, un’altra da una standing ovation in memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e ogni tanto da qualche grido di contestazione. Abito scuro, cravatta blu e camicia bianca, il presidente del consiglio Mario Draghi ha tenuto le sue comunicazioni al Senato, parlando per 32 minuti e 17 secondi. Seduto alla sua destra c’era il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e alla sua sinistra il responsabile della Difesa, Lorenzo Guerini. Il primo inciampo è stato per i due microfoni della postazione del premier, che restituivano all’aula un rimbombo: qualche attimo di incertezza, poi Draghi li ha allontanati l’uno dall’altro e ha potuto proseguire senza intoppi. Alla serie di applausi che ha scandito le comunicazioni, non hanno mai partecipato i Cinque stelle: i senatori del Movimento sono rimasti impassibili, come quelli di FdI, che è all’opposizione.
    Alla fine, quando l’intervento si è chiuso, anche gli esponenti della Lega sono apparsi piuttosto freddi, con Matteo Salvini che è rimasto immobile. L’applauso più lungo è stato quello rivolto al ricordo dei giudici Falcone e Borsellino, nel trentesimo anniversario della loro scomparsa: l’Aula si è alzata in piedi. Fra le proteste, quella di un senatore del M5s: quando Draghi ha parlato della riforma delle pensioni, gli ha gridato “Un’altra?”. La presidente del Senato, Elisabetta Casellati, ha cercato di frenare le intemperanze: “Per cortesia, avete 5 ore e mezzo per poter discutere”, ha ammonito i senatori quando Draghi stava concludendo il suo intervento. 

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    Fermento nella Lega, spiazzati dagli attacchi: 'Draghi convince poco'

    Fermento nella Lega dopo le comunicazioni del premier Mario Draghi al Senato. Secondo quanto si apprende da fonti parlamentari, nell’assemblea convocata subito dopo dal segretario Matteo Salvini – con i ministri, sottosegretari e senatori leghisti riuniti nella sala Kock di Palazzo Madama – sono emerse parecchie perplessità sul discorso del presidente del Consiglio, definito “poco convincente”. In particolare, hanno spiazzato i riferimenti al partito fatti, implicitamente, dal presidente del Consiglio e percepiti da molti come attacchi.
    Tanti gli interventi dei senatori, con Salvini che ha ascoltato senza prendere decisioni se non quella di confrontarsi anche con Silvio Berlusconi e il resto del centrodestra di governo. Da qui il nuovo vertice a Villa Grande, per una posizione congiunta. Alcuni leghisti presenti alla riunione hanno rimarcato il timore che, a questo punto, passi alla Lega la palla e, dunque, la responsabilità di una mancata soluzione della crisi di governo, imputata finora solo alle “irresponsabilità” del M5s ma che adesso sembra mettere sullo stesso piano il partito di Salvini.
    Riguardo ai temi, non è piaciuta la bocciatura dello scostamento di bilancio, la citazione delle proteste dei taxisti e un accenno considerato “troppo tiepido” alla revisione del reddito di cittadinanza. Infine, nessuna apertura sull’immigrazione e sulla pace fiscale, temi che stanno molto a cuore alla Lega.
    I dubbi della Lega si sono concretizzati, poi, nell’intervento del capogruppo Massimiliano Romeo.”Il secondo scenario possibile, se non si verificassero gli scenari forti che ho appena raccontato sarebbe quello che qualche analista ha messo in evidenza ricordando il precedente Ciampi: Mattarella puo’ sciogliere le Camere, respingere le sue dimissioni, lei resterebbe con pieni poteri e completerebbe il Pnrr e la legge di bilancio per mettere in sicurezza Paese e consegnare la parola agli italiani. La scelta è a lei”. Lo dice il capogruppo della Lega a Palazzo Madama Massimiliano Romeo intervenendo in Senato dopo aver evidenziato la necessità di un “nuovo governo e una nuova maggioranza” per superare la crisi di governo.
    Il premier Mario Draghi ha lasciato l’aula del Senato dopo il duro intervento del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo.
    Lo spread Btp-Bund risale sopra i 202 punti base, in calo rispetto ai 204 della chiusura di ieri ma in ripresa rispetto ai minimi di 193,8 punti toccati dopo che il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha aperto alla possibilità di “ricostruire” un patto di governo con le forze politiche. Il differenziale di rendimento tra titoli italiani e tedeschi risente dell’incertezza che circonda il governo, con il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, che ha chiesto una “nuova maggioranza” senza M5S e “se serve, un nuovo governo”. Peggiora anche Piazza Affari, con il Ftse Mib in calo dello 0,9%.
       

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    Centrodestra rompe e chiede nuovo governo senza 5s – IL PUNTO DELLE 15

    Il Centrodestra di governo attacca in Aula al Senato e chiede a Mario Draghi di formare un nuovo governo “profondamente rinnovato”, cioè con nuovi ministri, senza il Movimento Cinque stelle. La mossa anticipata dalla Lega in Aula è stata seguita – almeno secondo quanto si legge in una nota congiunta – anche da Forza Italia. Si tratta di una richiesta dirompente che certamente mette in difficoltà il presidente del Consiglio che sta riflettendo sul da farsi.    Immediata la reazione di LeU-Ecosolidali che con Vasco Errani la definisce “irricevibile”.    Ma non solo, la Lega attraverso le parole del capogruppo al Senato Massimiliano Romeo indica al premier anche la soluzione B, cioè rimanere in carica fino alla formazione di un nuovo governo dopo le elezioni. Ovviamente resta da vedere quali potrebbero essere le scelte del presidente della Repubblica.    Poco prima Mario draghi, in un discorso di circa mezzora, aveva tirato dritto ed illustrato un secco programma di governo chiudendo il suo intervento – quasi non applaudito dai banchi della Lega e del M5s – con questo invito: “siamo qui perché lo hanno chiesto gli italiani. Partiti, siete pronti a ricostruire questo patto?”.    L’intervento della Lega ha però ribaltato il tavolo e soprattutto rende strettissimi i margini di manovra del premier che a questo punto potrebbe anche seguire la via indicata da una vecchia volpe parlamentare come Pier Ferdinando Casini che, attraverso una sua secca mozione, lo invita semplicemente a farsi votare la fiducia. Forse un modo per far uscire allo scoperto chi potrebbe far cadere il governo.    Il premier aveva chiesto il consenso più ampio possibile del Parlamento perchè, aveva sottolineato, serve a maggior ragione per un “presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori”. E l’unica strada per andare avanti, aveva aggiunto stamani, “è ricostruire daccapo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità”. Basta ambiguità, è in sostanza la richiesta del presidente del Consiglio.    

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    Il nuovo patto di Draghi, dal Pnrr all'agenda sociale

    Avanti spediti sulle riforme utili per il Pnrr, per raggiungere entro fine anno i 55 obiettivi e ricevere una nuova rata da 19 miliardi di euro. È il primo punto del nuovo patto di governo che Mario Draghi, nelle sue comunicazioni al Senato, chiede ai partiti di sottoscrivere votando la fiducia. ‘Completare il programma è una questione di serietà nei confronti dei nostri cittadini e verso i partner europei’, ha scandito in Aula il presidente del Consiglio, senza fare sconti alle richieste dei partiti della maggioranza.
    RIFORME PER IL PNRR – I decreti delegati della riforma del codice degli appalti devono essere licenziati entro marzo del 2023 (‘Dobbiamo tenere le mafie lontane dal Pnrr’); il ddl concorrenza, con all’interno le liberalizzazioni per taxi e concessioni balneari, deve passare prima della pausa estiva; la procedura prevista per i decreti di attuazione della legge delega sulla riforma della giustizia civile, penale e tributaria va ultimata entro fine anno. Intanto, devono andare avanti gli investimenti in infrastrutture per le ferrovie, la banda larga, gli asili e quelli immateriali contro la ‘burocrazia inutile’ a vantaggio degli enti locali.
    RIFORMA FISCALE – Sul fisco, l’intenzione è di ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi, superare l’Irap e razionalizzare l’Iva: ‘Dobbiamo approvare al più presto la legge, con il completamento della riforma della riscossione, e varare subito dopo i decreti attuativi’, dice Draghi.
    AGENDA SOCIALE – Il governo intende definire con le parti sociali gli interventi da realizzare nella prossima Manovra. Ma niente scostamenti di bilancio, perchè ‘l’andamento della finanza pubblica è migliore delle attese’.
    DECRETO AGOSTO – Tra i primi impegni del nuovo patto, l’adozione ‘entro i primi giorni di agosto di un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione’. Si tratta del decreto da 10 miliardi che attende ancora la soluzione della crisi di governo.
    TAGLIO DEL CUNEO E CONTRATTI – Dell’agenda sociale del governo fanno parte gli interventi indicati sul lavoro e le pensioni. Il primo è il taglio del cuneo per ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi. Un ‘obiettivo di medio termine’ che sarà ulteriormente avvicinato con un altro intervento ‘in tempi brevi, nei limiti consentiti dalle nostre disponibilità finanziarie’. C’è poi il rinnovo dei contratti collettivi ‘molti dei quali, tra cui quelli di commercio e servizi, scaduti da troppi anni’.
    SALARIO MINIMO E REDDITO – Il riferimento del salario minimo è la nuova direttiva europea per assicurare ‘livelli salariali dignitosi alle fasce di lavoratori più in sofferenza’. Il reddito di cittadinanza va ‘migliorato per favorire chi ha più bisogno e ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro’.
    PENSIONI – Inoltre, c’è bisogno di una riforma delle pensioni che garantisca meccanismi di flessibilità in uscita in un impianto sostenibile, ancorato al sistema contributivo.
    SUPERBONUS – Modifiche necessarie anche per il Superbonus. Si punta ad ‘affrontare le criticità nella cessione dei crediti fiscali, riducendo al contempo la generosità dei contributi’.
    MEDICI DI BASE E AUTONOMIA DIFFERENZIATA – Tra gli altri impegni che l’esecutivo vuole assumere c’è la riforma del sistema dei medici di base e la discussione per il riconoscimento di forme di autonomia differenziata. Un passaggio anche sugli interventi per migliorare la gestione delle risorse idriche e su un vero e proprio ‘piano acqua’ definito ‘urgente’.
    ARMI ALL’UCRAINA – In politica estera Draghi ha rivendicato il posizionamento dell’Italia in Europa e nella Nato, ribadendo l’impegno per la pace ma anche la volontà di sostenere “in ogni modo” Kiev. Perché, “come mi ha ripetuto ieri al telefono il presidente Zelensky, armare l’Ucraina – ha spiegato – è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi”.
    GAS RUSSO E RIGASSIFICATORI – Obiettivo imprescindibile è andare avanti con le politiche volte a ridurre le importazioni di gas russo per ‘azzerarle entro un anno e mezzo’. Quindi: diversificazione delle fonti, sprint sulle rinnovabili e infrastrutture. A tal proposito, nel programma spicca l’istallazione dei due rigassificatori a Ravenna e Piombino, quest’ultimo da terminare entro la prossima primavera: ‘È una questione di sicurezza nazionale’, taglia corto Draghi. A livello europeo la linea è di continuare a battersi per ‘un tetto al prezzo del gas russo e per la riforma del mercato elettrico’. 

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    Governo: Di Battista, qualcuno ha fegato di votare fiducia?

    “C’è davvero qualcuno con il fegato di votare la fiducia a Draghi?”. Si conclude con questa domanda un post scritto da Alessandro Di Battista su Facebook. “Ricapitoliamo le dichiarazioni del messia – scrive l’ex M5s con sarcasmo -. Il reddito di cittadinanza verrà modificato come dico io e soltanto io. Sempre più armi in Ucraina perché la NATO conta più della Costituzione. Salario minimo ok ma seguendo gli ordini europei e lavorando a braccetto con i sindacati che non vogliono minimamente perdere parte del potere che ancora gli resta. Sì ai rigassificatori perché dobbiamo comprare sempre più gas USA (costa di più ed ed è più inquinante ma tanto mica lo paga lui). Superbonus? Come direbbe Mimmo in Bianco Rosso e Verdone “Nonna, nonna m’hanno fatto un buono. Che vor dì, vor dì che…?” (Lascio a voi la risposta) E dopo tutto questo c’è davvero qualcuno con il fegato di votargli la fiducia?”.