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    I rigidi paletti per decidere la data del voto

       La data di convocazione delle urne, tra i 60 e i 70 giorni dallo scioglimento delle Camere, è determinata da precisi paletti indicati in parte nella Costituzione e in parte in leggi ordinarie.    “Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti” recita l’articolo 61 della Costituzione. In caso di scioglimento anticipato, stabilisce l’articolo 88 primo comma della Carta, il Capo dello Stato deve sentire prima i presidenti dei due rami del Parlamento, cosa che Mattarella farà oggi pomeriggio. E’ dunque dalla data di scioglimento da parte del Quirinale che Palazzo Chigi deve calcolare i 70 giorni come limite massimo per le urne.    Il limite minimo è stato fissato a 60 giorni da una legge di attuazione (Dpr 104 del 2003) della riforma Tremaglia che attribuiva dei seggi in Parlamento agli italiani residenti all’estero. Infatti tutte le procedure per la presentazione delle liste, la stampa delle schede elettorali per le cinque circoscrizioni Estere, è materialmente impossibile sotto questo timing. Per altro anche per i partiti che si presentano in Italia le procedure di presentazione delle liste e la raccolta delle firme (per i partiti privi di gruppi parlamentari nelle due Camere) sono laboriose, tanto che finora non si è mai scesi sotto i 63 giorni dallo scioglimento delle Camere.    Se quindi Mattarella sciogliesse già stasera, le date possibili sarebbero una domenica tra il 19 settembre e il 29 settembre, quindi il 25. Se invece Mattarella farà come Scalfaro, che nel 1994 attese quattro giorni tra le dimissioni del premier Ciampi (13 gennaio) e lo scioglimento (16 gennaio), allora si potrebbe includere il 2 ottobre tra le opzioni.
    “In merito all’opzione emersa dagli organi di stampa di elezioni il 25 settembre alla vigilia di Rosh haShanah, il capodanno ebraico, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane chiarisce che la data non pone ostacoli. La solennità che inizia la sera consente ai fedeli di religione ebraica di esercitare il proprio diritto al voto nelle ore precedenti. La preoccupazione è naturalmente per le sorti del paese, con una profonda crisi politica che si aggiunge alle gravissime questioni economico-finanziarie, sociali e umanitarie sulle quali il governo e le massime istituzioni erano impegnate”. Lo rende noto l’Ucei in una nota.

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    Governo: le dimissioni di Draghi fanno il giro dei siti mondiali

    Ha fatto subito il giro dei principali siti internazionali, in posizioni di particolare evidenza, la notizia delle dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi.    “Il premier italiano Draghi si dimette dopo una settimana di turbolenze”, titola la Bbc, ricordando che la decisione è giunta “un anno e mezzo dopo essere stato nominato capo non eletto di un governo di unità nazionale”.    “Il primo ministro italiano Mario Draghi si dimette per il crollo della coalizione”, è invece il titolo della Cnn, che aggiunge nel testo “facendo precipitare la terza economia più grande dell’Unione europea in nuove turbolenze politiche”.    “Il premier italiano Mario Draghi si dimette dopo il fallimento del tentativo di salvare la coalizione”, riporta il Guardian, pubblicando la notizia di spalla. “È probabile che la sua uscita porti a elezioni anticipate che potrebbero aver luogo già alla fine di settembre”, aggiunge.

    Agenzia ANSA

    Rimbalza in tempo reale anche sui media britannici l’annuncio della formalizzazione delle dimissioni di Mario Draghi, con le breaking news di Bbc e Sky, sebbene attutito nell’attenzione delle varie testate e in quella del mondo politico dalla preminenza da… (ANSA)

    “Sostenuto da un’ondata di sostegno pubblico, l’ex capo della Banca centrale europea aveva tentato di continuare la sua amministrazione a condizione che la sua alleanza ricostruisse ‘un patto di fiducia’ che le avrebbe consentito di lavorare insieme per superare enormi sfide nei prossimi mesi”, tentativo inficiato però – scrive il giornale britannico – dal populista Movimento Cinque Stelle (M5S), la Lega di estrema destra di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi”, che “non hanno partecipato al voto di fiducia al Senato che essenzialmente chiedeva ai partiti di approvare uno spirito di cooperazione”.    Le Monde mette l’accento sul fatto che, sebbene dimissionario, Draghi “continuerà a gestire l’attività quotidiana”, ribadendo che “l’ex presidente della Banca centrale europea ha visto la sua coalizione di governo disgregarsi dopo una settimana di turbolenze”.

    Agenzia ANSA

    Le parole della segretaria di Stato Laurence Boone (ANSA)

        “Dopo il crollo del suo governo di unità nazionale, il presidente del Consiglio Mario Draghi si è rivolto al presidente per dimettersi nuovamente, aggravando la crisi politica del Paese”, si legge sul sito del New York Times. La decisione, aggiunge la testata statunitense, “il giorno dopo che un ultimo disperato tentativo di persuadere i litigiosi partiti del Paese a restare uniti a beneficio della nazione è fallito in modo spettacolare, con le forze nazionaliste e populiste che si sono riunite per silurare fatalmente il governo di unità nazionale”.

    Agenzia ANSA

    ‘Non capiamo perché si evocano fattori esterni per la crisi’ dice la portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova (ANSA)

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    Media Gb, dimissioni Draghi attutite dalla crisi interna

     Rimbalza in tempo reale anche sui media britannici l’annuncio della formalizzazione delle dimissioni di Mario Draghi, con le breaking news di Bbc e Sky, sebbene attutito nell’attenzione delle varie testate e in quella del mondo politico dalla preminenza data alla crisi interna: giunta ieri al penultimo atto con l’indicazione dell’ex cancelliera dello Scacchiere Rishi Sunak e della ministra degli Esteri Liz Truss come protagonisti del ballottaggio senza esclusione di colpi per l’elezione nelle prossime settimane a nuovo leader Tory e alla successione a Boris Johnson come premier del Regno dal 5 settembre.    Sulla stampa scritta, i giornali principali non mancano peraltro d’inserire fra i titoli della sezione titoli sulle “dimissioni” preannunciate ieri sera sulla base dell’esito del voto al Senato come un epilogo ormai certo dopo che nei giorni scorsi si era parlato di “dimissioni offerte” e respinte inizialmente dal presidente Sergio Mattarella. Dimissioni che suggeriscono una certa inquietudine e sorpresa in particolare sia sul progressista Guardian sia sul Financial Times, voce della City di Londra. Dopo che il primo aveva evocato ieri l’immagine di una “Italia che chiede a Draghi di restare”; e che il secondo non aveva mancato di commentare la crisi con alcuni commenti improntati all’auspicio di una continuità, nella convinzione che l’Italia avesse “ancora bisogno” dell’ex numero uno della Bce alla guida del governo.    

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    Il giorno più lungo: dal Senato fiducia a Draghi con soli 95 sì

    Passa la fiducia al premier Draghi in Senato, ma con soli 95 voti favorevoli: il risultato più basso che il governo ha ottenuto in questa legislatura. Un numero esiguo per proseguire il cammino del governo.Il presidente del Consiglio annuncerà nell’aula della Camera, all’inizio della discussione generale, la propria intenzione di andare a dimettersi al Quirinale. La seduta è convocata per le ore 9:00. 
    GOVERNO AL CAPOLINEAMario Draghi non ha più la maggioranza. Alla fine di una giornata “di follia”, come la riassume il segretario del Pd Enrico Letta, il non voto in Senato da parte non solo del Movimento 5 Stelle ma anche del “centrodestra di governo”, come hanno continuato a definirsi fino all’ultimo Lega e Forza Italia, certifica la fine delle larghissime intese. Non c’è più quella unità nazionale che, nelle parole del premier in Aula, garantiva “legittimità democratica ed efficacia” all’esecutivo. La fiducia, tecnicamente, Draghi la incassa comunque da parte di Pd, Leu Ipf, il centro di Toti. Ma ottiene solo 95 sì. Un dato che lo porterà ad annunciare le dimissioni all’inizio del dibattitto sulla fiducia alla Camera per poi salire in giornata al Quirinale. Non sono bastati, insomma, i 5 giorni di decantazione che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva imposto al premier prima di rendere definitive le dimissioni, annunciate perché era venuto meno quel “patto di fiducia” che Draghi ha riproposto al Parlamento. Ma con toni e modi che hanno fatto infuriare soprattutto la Lega, poi tutto il centrodestra, riunito a Villa Grande. Ma anche i 5 Stelle, per “l’atteggiamento sprezzante”, come lo definisce Giuseppe Conte, silente per tutto il giorno, ma che a sera sbotta: “siamo stati messi alla porta”. “Noi ci siamo” ma “con una nuova maggioranza e un nuovo governo”, con i 5S fuori, tuona nell’emiciclo di Palazzo Madama il capogruppo leghista Massimiliano Romeo. Una posizione dura, su cui Lega e Fi arrivano unite in Aula, anche se gli smottamenti iniziano subito dopo, con l’addio, che fa rumore, di Mariastella Gelmini al suo partito . La condizione posta dal centrodestra, si guardano intanto sconsolati alcuni ministri, è “irricevibile” per Draghi.

    La risoluzione di Casini

    Basta ambiguità, è la richiesta del premier nei 36 minuti del suo intervento. Si rivolge, senza citarli direttamente, soprattutto a Lega e M5s che non a caso non si uniscono all’applauso che segue la fine del discorso in Aula. La Lega non applaude mai, notano con una certa soddisfazione gli alleati di Fdi. Certo, Draghi apre all’autonomia, alla riforma delle pensioni, ai miglioramenti al reddito di cittadinanza, al mantenimento degli obiettivi di transizione ecologica, alla risoluzione delle criticità sul Superbonus. Ma poi, incalza: non si può chiedere la sicurezza energetica per gli italiani e al tempo stesso “protestare” contro i rigassificatori. Non si possono sostenere le riforme e poi dare la sponda alla piazza, come nel caso dei taxi. Bisogna continuare ad armare l’Ucraina perché resta l’unico modo “per aiutare gli ucraini a difendersi”. Nella replica, invece, è duro ed esplicito. Risponde alle critiche del M5s su superbonus e salario minimo. E respinge l’accusa di diversi senatori di avere di fatto chiesto “i pieni poteri”: “La democrazia – quasi sibila – è parlamentare ed è la democrazia che rispetto e riconosco”. Per tentare fino all’ultimo di salvare il salvabile i partiti della oramai ex maggioranza chiedono ancora un’ora e mezza di tempo. Si cercano fino all’ultimo schemi e strategie per tenere ancora in piedi la legislatura. Parte un giro di telefonate tra i partiti e il Colle (“Berlusconi aveva comunicato la nostra proposta” a Draghi e Mattarella, precisano da Lega e Fi). Letta arriva al Senato e vede prima D’Incà e Franceschini, poi Roberto Speranza e Giuseppe Conte. Ci si appiglia anche alle regole procedurali: se Fi Lega e M5S non partecipano al voto manca il numero legale, l’ultima speranza dei governisti. Ma i 5 Stelle restano in Aula, il numero legale c’è e la fine dell’unità nazionale viene regolarmente certificata. “Abbiamo fatto il possibile” per evitare l’epilogo peggiore di una giornata “drammatica”, dice a caldo il Pd, che più di tutti si è speso per scongiurare il voto anticipato. Una “pagina nera per l’Italia”, la politica “ha fallito”, aggiunge Di Maio. E ora, prevede Enrico Letta, “si andrà a elezioni rapidamente”. Ma a decidere i tempi sarà il Quirinale dove Draghi dovrebbe appunto salire, dopo il passaggio, probabilmente rapido, a Montecitorio per annunciare che si dimetterà.

    Agenzia ANSA

    L’ULTIMO TENTATIVO DI MATTARELLA – Un ultimo tentativo con la consapevolezza che il quadro politico fosse ormai lacerato tra un centrodestra già ebbro di vittoria alle prossime elezioni e un Movimento Cinque Stelle in preda a rigurgiti di populismo e venti di scissione. Sergio Mattarella, come ogni presidente della Repubblica, ha fatto il possibile per evitare la fine traumatica della legislatura ed anche di un governo, quello guidato da Mario Draghi, da lui voluto per guidare il Paese tra Covid e guerra e gestire il difficilissimo percorso della messa a terra del Pnrr. Non a caso aveva rifiutato la settimana scorsa le dimissioni del premier: si vedeva ancora un pertugio da allargare, un viottolo da percorrere. E non è stato facile neanche per il capo dello Stato convincere l’ex Governatore della Bce a riflettere, meditare, provarci ancora. Un lavoro ai fianchi, è stato definito, che ha portato tempo per consegnare al premier la pancia del Paese, cioè quel mondo reale di cittadini e associazioni che lo hanno invitato, a volte pregato, a rimanere a palazzo Chigi. Non è bastato. Mattarella è stato costretto a prendere il telefono per un ultimo chiarimento con i leader delle forze politiche in colloqui che, viene riferito, si sono sviluppati a metà tra un’esplorazione delle residue possibilità in campo e una preparazione del dopo Draghi. Perchè il Quirinale era pronto da tempo all’evento traumatico.

    MELONI ESULTA “Mi ricordo quando tutti mi guardavano dall’alto in basso perchè non capivo niente di politica, che stavamo tornando in una fogna. Dopo un anno si è visto chi capisce le dinamiche della nostra democrazia”. Giorgia Meloni risponde con un leggero sogghigno e l’espressione soddisfatta a chi le chiede se la travolgente giornata che si è consumata al Senato sia anche una vittoria di Fratelli d’Italia. Sono le 20:00 ed è appena arrivata alla festa organizzata dalla federazione romana del partito, a piazza Vittorio Emanuele II. Prima di lei sono già intervenuti sul palco il capogruppo a Montecitorio, Francesco Lollobrigida (“sì oggi sono contento”) e il vice presidente della Camera Fabio Rampelli (“nel centro destra siamo noi adesso il partito da abbattere!”). Meloni non si sbilancia con i cronisti, il suo breve intervento dal palco è in linea con le uscite degli ultimi giorni, non canta vittoria, ma è lei a raccogliere i frutti migliori oggi. La sua battaglia contro la sopravvivenza del Governo la combatte fuori dall’aula di Palazzo Madama, picconando dal mattino il partito della continuità e l’unica persona in grado di condurlo avanti, il premier Mario Draghi: “Arriva in Parlamento e di fatto pretende pieni poteri, sostenendo che glielo hanno chiesto gli italiani”, scrive su Facebook commentando il discorso dai banchi del presidente del Consiglio E’ Draghi in persona nel suo secondo intervento a risponderle: “Voi decidete. Niente richieste di pieni poteri”. Poi, mentre a Villa Grande Berlusconi, Salvini, Giorgetti, Lupi e l’alta rappresentanza del centro destra di governo decidono di staccare la spina all’ex banchiere europeo, sparisce per qualche ora e lascia ai suoi in Senato il compito di portare avanti il confronto parlamentare. Con gli alleati di centro destra parla a distanza e rimane aggiornata. Al termine del voto arriva la telefonata col Cavaliere. Quando sale sul palco della festa di Fdi la prima cosa che le viene da dire è che è stata “una giornata complessa”, ma poi parte subito con il suo mantra: “Nelle democrazie occidentali la volontà dei cittadini si manifesta con un voto libero e segreto, le parate le fanno nei regimi”, lanciando un’altra stoccata a Draghi. L’intervento è breve, Meloni dice di dover scappare dato il momento particolare. Oggi per lei si apre una nuova fase, che potrebbe riportarla al Governo: “Io ho le mie idee su come vada governata questa nazione”. Ma una cosa è certa si sente la vera vincitrice di questa partita e non lo nasconde quando dice scappando dai giornalisti: “la storia ci ha dato ragione”.

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    Gelmini lascia gli azzurri. Ma coalizione si ricompatta in vista del voto (ANSA)

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    Giorgia Meloni sulla crisi di governo: 'Se tutto va bene si vota tra due mesi'

    “Giornata complessa”. Apre così Giorgia Meloni il suo intervento alla manifestazione di Fratelli d’Italia a Piazza Vittorio a Roma. “Enrico Letta aveva detto che gli italiani sono migliori di questo Parlamento. Vi do una notizia, dopo quello che é successo oggi sono d’accordo con Letta: gli italiani sono migliori di questo Parlamento”. “Se tutto va bene si potrà votare anche tra due mesi, noi siamo pronti”. ha detto Meloni.
    “Mi ha stupito Mario Draghi, che viene in Aula e dice: ‘Io mi volevo dimettere, poi la gente mi ha chiesto di restare e allora io decido di restare perché me lo hanno chiesto gli italiani’ . Quando nacque il Conte II noi mettemmo in piazza 20.000 persone e fummo chiamati sovversivi. Loro hanno messo in piazza 100 persone a Torino e c’é stata una mobilitazione popolare. Nelle democrazie occidentali la volontà dei cittadini si manifesta con un voto libero e segreto, le parate le fanno nei regimi”, ha aggiunto Meloni.

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    Il timing del voto, cosa prevede la Costituzione

    I tempi di indizione delle elezioni, di insediamento delle nuove Camere e quindi della nascita di un nuovo governo sono piuttosto lunghi ed anche rigidi, perché scanditi dalla Costituzione. Questo è il motivo per il quale, in attesa delle decisioni di Draghi e quindi di fine anticipata della legislatura, il nuovo esecutivo si insedierebbe in autunno inoltrato, tra fine ottobre e primi novembre nella migliore delle ipotesi, cioè in piena sessione di bilancio. Circostanza che pone il problema della presentare la Legge di Bilancio alle Camere entro il 15 ottobre. L’articolo 61 della nostra Carta stabilisce che “le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti”. In passato tra il decreto di scioglimento delle Camere da parte del Quirinale e le successive urne sono trascorsi sempre tra i 60 e i 70 giorni. I tempi potrebbero sembrare eccessivamente lunghi, ma gli adempimenti per i partiti sono molteplici, non solo per la campagna elettorale ma anche per la presentazione delle liste che devono essere accompagnate da un notevole numero di firme (tra 1.500 e 2.000 firme in ogni circoscrizione proporzionale per i partiti che non hanno gruppi parlamentari). Se dunque, per ipotesi, le Camere venissero sciolte entro i prossimi giorni, i cittadini potrebbero recarsi ai seggi domenica 25 settembre. E’ anche possibile che per evitare una campagna elettorale totalmente sotto gli ombrelloni, lo scioglimento delle Camere possa avvenire oltre questa settimana, per votare magari domenica 2 ottobre. Sempre l’articolo 61 della Costituzione stabilisce che “la prima riunione delle Camere ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni, quindi si arriverebbe a una data tra il 15 e il 22 ottobre. Una volta eletti i Presidenti di Camera e Senato e formati i gruppi parlamentari, Mattarella aprirebbe le consultazioni, il cui esito dipende dalla chiarezza del risultato elettorale. Nel 2018 si votò il 4 marzo e il governo Conte I giurò l’1 giugno, cioè 90 giorni dopo; nel 2013 dopo le urne del 24 febbraio il governo Letta giurò il 28 aprile, vale a dire 63 giorni dopo; nel 2008, dopo il chiaro successo del centrodestra il 13 aprile, il giuramento del Berlusconi IV arrivò l’8 maggio, quindi dopo 25 giorni dal voto.    

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    Il discorso di Draghi al Senato 'Partiti, pronti al nuovo patto?

    “Siamo qui perché lo hanno chiesto gli italiani. Partiti siete pronti a ricostruire questo patto?”. Mario Draghi arriva con qualche minuto di ritardo nell’Aula del Senato. Parla per mezz’ora, alza anche la voce nei passaggi cruciali di un discorso che rivendica, da un lato, i risultati ottenuti proprio grazie alle forze politiche. Quando hanno lavorato “nell’interesse del Paese”. Ma dall’altro pone paletti chiari perché si possa proseguire con il governo di “unità nazionale” che fin qui ha garantito “la legittimità democratica” dell’esecutivo e la sua “efficacia”.

    Il consenso più ampio possibile del Parlamento, osserva il premier, serve a maggior ragione per un “presidente del Consiglio che non si è mai presentato davanti agli elettori”. E l’unica strada per andare avanti, sottolinea con forza, “è ricostruire daccapo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità”. Le dimissioni, insomma, restano ancora sul tavolo se alla fine della giornata non arriveranno quelle risposte dai partiti attese invano nei 5 giorni della crisi congelata da Sergio Mattarella con l’invito ad andare alle Camere che “oggi mi permettono di spiegare a voi e a tutti gli italiani le ragioni di una scelta tanto sofferta, quanto dovuta”.Basta ambiguità, è la richiesta del premier. Che si rivolge, senza citarli esplicitamente, soprattutto a Lega e Movimento Cinque Stelle che non a caso non si uniscono all’applauso che segue la fine del discorso in Aula.

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    No allo scostamento, riforme anche per i taxi. E le armi a Kiev (ANSA)

    Certo, apre all’autonomia, alla riforma delle pensioni, ai miglioramenti al reddito di cittadinanza, al mantenere fermi gli obiettivi di transizione energetica, alla risoluzione delle criticità sul Superbonus. Che però, insieme agli altri sconti edilizi, va reso “meno generoso”. E poi, incalza, non si può chiedere la sicurezza energetica per gli italiani e al tempo stesso “protestare” contro i rigassificatori. Non si possono sostenere le riforme e poi dare la sponda alla piazza, come nel caso dei taxi. Bisogna continuare ad armare l’Ucraina perché resta l’unico modo “per aiutare gli ucraini a difendersi”.