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    Stefano: “Lascio il Pd, ha fatto troppi errori”

    “Ho deciso di non candidarmi con questo Partito Democratico alle prossime elezioni parlamentari e di consegnare al segretario Letta la tessera”. Lo dichiara il senatore Pd Dario Stefano, presidente della Commissione Politiche Ue.
    “La mia è una decisione sofferta, determinata da una serie di errori di valutazione che il Pd sta continuando a inanellare”, aggiunge Stefano. “Questi errori, ormai sedimentati, stanno generando un distacco fatale da quell’anima riformista, progressista e plurale di cui il Pd e l’Italia, tutta, hanno impellente necessità”. “Peraltro, è lo stesso partito che nel giro di poche ore ha sacrificato l’agenda Draghi per un indistinto programma generalista”.

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    Elezioni: oltre 75 i simboli presentati al Viminale

    Fdi ancora con la fiamma, il ‘rosso cuore’ per il M5s e il Pd che sulla bacheca finisce, ironia della sorte, accanto agli ex alleati pentastellati. Nel secondo giorno di presentazione al Viminale sono oltre 75 i simboli. I tempi per la presentazione scadono il 14 agosto alle ore 16:00.
    Conte: “Simbolo rosso cuore, abbiamo coraggio”. Depositato al Viminale il simbolo del Movimento 5 Stelle. Il simbolo è quello noto, la scritta ‘Movimento’ con le cinque stelle disegnate. A presentarlo è stato il leader del partito Giuseppe Conte. “Avete visto che bel rosso cuore – ha detto Conte affiggendo lui stesso il simbolo in bacheca – Invece il coraggio ce lo mettiamo noi”. Alla domanda sul dove l’ex premier si candiderà, se alla Camera o al Senato, Conte ha risposto: “Vi faremo sapere a breve”. Il simbolo ricopre la postazione 74 in bacheca.
    Meloni: “Fieri del nostro simbolo”. “Eccolo qui, il nostro bel simbolo depositato per le prossime elezioni. Un simbolo del quale andiamo fieri. Il 25 settembre scegli Fratelli d’Italia”. Così scrive la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni postando su Facebook il logo del suo partito che è stato depositato al Viminale e che mantiene la tradizionale fiamma tricolore e, in alto, il nome della presidente..

    Depositato il simbolo della coalizione di centrodestra per le circoscrizioni estere. Il contrassegno unitario, presentato oggi al Viminale da un dirigente FdI, in vista della tornata elettorale del 25 settembre, è lo stesso del 2018 con in fila i nomi dei tre leader – Salvini sulla striscia verde, Berlusconi in blu su sfondo bianco, Meloni su quella rossa – e in basso i simboli dei partiti.
    La corsa al deposito dei simboli, che porterà alle urne l’Italia il 25 settembre è cominciata ieri. I contrassegni depositati nel primo dei tre giorni dedicati al deposito al Viminale sono oltre 50: a vincere il rush è stato il Partito liberale Italiano, ma si scoprirà poi che non è l’originale perchè è stata un ex iscritto a presentarlo, seguito dal Maie (Movimento associativo italiani all’estero) e il Sacro Romano Impero cattolico. A decidere però il posto ‘in prima fila’ sulla scheda elettorale sarà, dopo la dichiarazione di ammissibilità, un sorteggio.

    Deposito dei simboli di partito

    Al Viminale per l’atto di inizio della kermesse elettorale anche esponenti di partito. Per la Lega il senatore Roberto Calderoli che si auspica questo sia “il primo passo per andare a vincere”. Poi Clemente Mastella, col contrassegno ‘Noi di Centro’, che rivendica di essere Dc doc, “l’ultimo erede, ancora presente nelle istituzioni democratiche, dei valori della Democrazia Cristiana” non come “Calenda o Renzi, che sono addirittura Macroniani”. Ma nella giornata si contano almeno altri due simboli della vecchia Dc, a dimostrazione che il centro è un campo con quotazioni in ascesa. Evocato da Mastella arriva poi anche il simbolo del terzo polo, con Azione e Italia Viva, stato presentato dal vicesegretario del partito di Carlo Calenda. Affisso nella prima giornata in bacheca il simbolo della lista di Forza Italia-Berlusconi presidente, depositato dal questore della Camera di FI, Gregorio Fontana che ha poi confermato che la coalizione di centrodestra sarà composta da 4 forze: FI, FdI, Lega e lo schieramento di centro arrivato poi a presentare il simbolo di ‘Noi Moderati’ con lo scudo crociato della Dc, anche qui, e la scritta Libertas. Il capo politico della formazione che fonde in se’ ‘Noi con l’Italia di Maurizio Lupi’, Italia al centro di Toti e Coraggio Italia di Brugnaro, sarà Maurizio Lupi.

    Elezioni, Fiore presenta simbolo Forza Nuova: ‘Orgoglioso di esser stato in carcere’

    Presente anche l’ex M5s Dino Giarrusso con il suo simbolo ‘Sud chiama nord’ simile a quello di ‘De Luca sindaco d’Italia – Sud chiama nord’, la formazione dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, candidato alla presidenza della Regione Siciliana. Mario Adinolfi e Simone Di Stefano, ex leader di CasaPound, sono arrivati a metà pomeriggio con La lista che si chiamerà ‘Alternativa per l’Italia – No Green Pass’. Una lista anche per Forza Nuova, col simbolo di Alliance fo peace e Freedom, è stata presentata da Roberto Fiore. A solcare le porte del Viminale, quasi allo scadere della giornata, Bruno Tabacci assieme al ministro degli Esteri Luigi Di Maio con il simbolo di Impegno Civico. Come sempre non sono mancate le stravaganze: dal Partito della Follia, nuova creatura di Dr Seduction, già presente in alcune tornate elettorali amministrative con il Partito delle Buone Maniere, a Free, un gruppo di comitati civici, che si fa raffigurare da un uomo che dà un calcio a Pinocchio. Il programma? “Difendere la Costituzione dalle bugie”. Immancabili il generale Antonio Pappalardo, leader dei Gilet Arancioni, in veste pacifista, e il Movimento dei Forconi. C’è la ‘ghigliottina’ del simbolo di Rivoluzione Sanitaria di Panzironi, quello della dieta curativa, il gatto stilizzato della lista ‘Naturalismo’ e la donna-albero nel contrassegno di Vita della deputata Sara Cunial, la pasionaria no vax. Alla fine si contano oltre 50 simboli. Ed è solo la prima giornata.

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    L'Afghanistan 20 anni dopo è di nuovo il resort del terrorismo

    L’Isis e al Qaida sembravano destinate all’oblio, poi, il 15 agosto del 2021, sono tornati i talebani a Kabul e l’Afghanistan, 20 anni dopo, è ridiventato il resort del terrorismo.
    Gli eredi dell’Isis di Abu Bakr al Baghdadi ne hanno approfittato subito, con un colpo clamoroso e tragico alle forze statunitensi: a pochi giorni dalla caduta di Kabul, il 26 agosto del 2021, un kamikaze si fa esplodere all’aeroporto della capitale mentre in migliaia premono per trovare un posto a bordo di un’aereo e fuggire via. Il bilancio è di 13 morti tra i soldati americani, il più sanguinoso in un ventennio, e 170 civili afghani uccisi.
    Finisce sotto i riflettori l’Isis-K Khorasan, il ramo regionale del gruppo terroristico, l’ex Stato islamico abbondantemente sconfitto in Iraq e Siria, dove è ridotto al lumicino. Il quartier generale afghano sarebbe situato nella provincia di Nangarhar, quel territorio impervio sinistramente celebre nella narrazione jihadista per essere stato il teatro di battaglia di Osama bin Laden, nelle cave di Tora Bora. Ma nell’ultimo anno, l’Isis-K ha esteso la sua presenza in almeno altre sei province, consolidando ulteriormente la sua rete di cellule dormienti nella stessa Kabul, grazie alla quale continua a insanguinare le moschee sciite. Un rapporto del Consiglio di sicurezza Onu avverte che se i jihadisti – sostenuti anche da combattenti dell’Asia centrale – dovessero riconquistare territori a est potrebbe essere difficile per i talebani ripristinare l’ordine.
    Peggio, il gruppo guidato dall’iracheno Shahab al-Muhajir potrebbe arrivare a consolidarsi fino al punto di rappresentare una minaccia globale. Al momento, la priorità dell’Isis-K sembra ancora essere quella di minare la credibilità talebana, la capacità di Kabul di controllare il territorio, per attirare nuove reclute e magari talebani oltranzisti che guardano con disprezzo agli accordi di Doha con gli Usa.
    Anche al Qaida si è precipitata velocemente alla corte dei conquistatori di Kabul, antichi alleati nel conflitto del 2001: il suo defunto leader, l’erede di Osama bin Laden, Ayman al Zawahri è stato ucciso lo scorso 31 luglio nella capitale afghana in un raid di precisione a colpi di missili ‘ninja’. Era arrivato qualche mese dopo la riconquista di Kabul e si era nascosto nella casa di un consigliere di Sirajuddin Haqqani, il potente ministro dell’Interno talebano. Per gli 007, dal suo arrivo in Afghanistan, Zawahri avrebbe avuto addirittura un ruolo di consulenza con i talebani.
    L’armata qaidista è presente in mezzo Paese e gira indisturbata. Dall’Afghanistan operano i miliziani dell’Aqis, 400 combattenti del Bangladesh, Pakistan, Birmania e India. In questa fase non lancia attacchi nei Paesi confinanti per non mettere in difficoltà i talebani. E si gode il resort.   

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    Il 15 agosto 2021 la bandiera talebana sventola a Kabul

    Sono bastati tre mesi e mezzo ai talebani per riconquistare l’Afghanistan e tornare a far sventolare a Kabul la bandiera dell’Emirato islamico, il 15 agosto dello scorso anno. 
    Dopo vent’anni di guerra, gli Stati Uniti di Donald Trump e i talebani avevano firmato nel febbraio del 2020 a Doha un accordo di pace che prevedeva il ritiro di tutte le forze Nato entro il primo maggio del 2021. Un anno dopo l’intesa, i militari americani in Afghanistan si riducono a 2.500. Ma a poche settimane dalla scadenza del termine ultimo per il ritiro, il nuovo inquilino della Casa Bianca, Joe Biden, che affronta la prima crisi internazionale dall’insediamento, decide lo slittamento a settembre, citando preoccupazioni per la sicurezza e lamentando ritardi logistici. Accanto al ritiro delle forze e degli asset militari infatti, ci sono da evacuare migliaia e migliaia di afghane e afghani che hanno collaborato a vario titolo con le “forze di occupazione”, come le bollano i talebani.
    Biden indica come nuovo termine ultimo la data dell’11 settembre, drammaticamente centrale per la storia americana e quella del conflitto in Afghanistan, iniziato in conseguenza degli attacchi in America targati Osama bin Laden, all’epoca nascosto proprio tra le montagne del Paese asiatico.
    I talebani reagiscono in armi all’annuncio di Biden e allo scadere del primo maggio lanciano una massiccia offensiva nella provincia più ostile alle forze straniere, quell’Helmand dove si concentra il più alto numero di vittime tra i soldati americani e britannici in 20 anni di guerra. I soldati afghani oppongono resistenza, in campo scendono anche i potenti signori della guerra e le milizie armate di civili.
    Ma non c’è più il sostegno aereo alleato, micidiale risorsa nel corso del conflitto. In poche settimane le linee difensive dei governativi arretrano in tutto il Paese fino a concentrarsi solo nelle grandi città. I talebani sferrano l’attacco ai capoluoghi il 6 agosto: solo quattro giorni dopo fonti europee stimano che abbiano preso il controllo del 65% del territorio. Il 12 agosto cade Kandahar, la comunità internazionale accoglie la notizia con scetticismo, ci vorranno ore per crederci. Due giorni dopo i talebani sono alle porte di Kabul, il 15 il presidente Ashraf Ghani fugge all’estero, mentre la bandiera talebana sventola già sul suo ex palazzo.
    Nelle settimane successive emerge che l’avanzata talebana, per quanto poderosa e programmata, non aveva incontrato alcuna resistenza di rilievo. I comandanti avevano patteggiato la consegna delle città in cambio della vita. L’esercito di Kabul, nonostante i fiumi di miliardi di dollari per la formazione e l’addestramento, si rivela essere quello che molti temevano fosse: un vaso di coccio. Il ritiro delle forze Nato diventa precipitoso e alla fine si conclude nel caos il 30 agosto con l’ultimo aereo militare americano che lascia Kabul. Le immagini della chiusura dell’ambasciata e le evacuazioni in elicottero vengono bollate come una nuova Saigon per l’amministrazione Usa.

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    Berlusconi: “Indignato dalla mistificazione del Pd, Mattarella garante”

    “Sono amareggiato, e per una volta permettetemi di dire anche profondamente indignato, per la mistificazione in atto da parte della sinistra delle mie parole sul presidente Mattarella. Evidentemente al Pd e al suo leader non rimangono altri mezzi che quello di falsificare la realtà”. Lo scrive Silvio Berlusconi su Facebook dopo le polemiche sul presidenzialismo. “È palesemente assurdo imputarmi un atteggiamento ostile verso il presidente Mattarella – prosegue – al quale ho sempre manifestato, in pubblico e in privato, rispetto istituzionale e stima personale”. E aggiunge che “sarà il garante autorevole di un’ordinata transizione”.

       

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    Salvini a Villa Certosa da Berlusconi

    “Con Matteo Salvini abbiamo parlato del programma del centrodestra e di come rilanciare l’Italia: taglio delle tasse, pensioni più dignitose, grandi opere pubbliche, sicurezza e tanto altro ancora. Il 25 settembre è importante andare a votare e votare Forza Italia”. Lo scrive su Instagram il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi postando una foto insieme al leader leghista, in Sardegna. I due si stringono la mano sorridenti.Anche Matteo Salvini posta la stessa foto insieme a Silvio Berlusconi, cha ha incontrato in Sardegna a margine di un’iniziativa elettorale della Lega. “Pomeriggio di lavoro con l’amico Silvio – scrive il segretario su Facebook ricalcando, nel contenuto, il post del presidente di FI pubblicato sui social – Abbiamo parlato di come rilanciare l’Italia: taglio delle tasse, pensioni più dignitose, grandi opere pubbliche, sicurezza e tanto altro ancora. Il 25 settembre, finalmente, la parola tornerà agli italiani”.

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    Elezioni, polemiche su Berlusconi. Letta: 'Da destra preavvisi di sfratto al Colle'. Il Cav: 'Mai attaccato Mattarella'

    Il sogno di un presidente della Repubblica eletto direttamente dagli italiani, e non dal Parlamento, solletica di nuovo Silvio Berlusconi che lo rimette in gioco alle 8 di mattina: “Spero che la riforma costituzionale sul presidenzialismo si farà”, ammette a Radio Capital. Ed evoca le dimissioni di Sergio Mattarella, come passo necessario se la riforma passasse. Senza escludere che Mattarella potrebbe risalire al Colle, se fosse il più votato dai cittadini. Ma a un mese dalle politiche, per il leader di Forza Italia, è come toccare fuoco. La miccia esplode all’istante e divide aspramente gli schieramenti. E se il centrosinistra lancia l’allarme rosso per la Costituzione in pericolo, gli alleati del Cavaliere restano in imbarazzo probabilmente per i toni irrituali rispetto al capo dello Stato e per i tempi, condizionati dalla competizione elettorale. Il presidenzialismo, in realtà, non è una novità nel centrodestra. Non lo è per FI, che scommette sulla riforma dal ’95, come ricorda Berlusconi stesso. E tanto meno per Giorgia Meloni, fiera sponsor del ‘presidente degli italiani’ e che alla fine la spunta sul programma di coalizione, riuscendo a metterlo per iscritto al terzo punto (ma semplicemente come impegno all'”elezione diretta del presidente della Repubblica”). Eppure, oggi a difendere l’uscita del Cavaliere si espone solo il suo partito e l’ex azzurro, Maurizio Lupi di Noi con l’Italia. Fra i big di Lega e Fratelli d’Italia, invece, cala il silenzio. A parte Meloni, che conferma l’utilità della riforma definita “seria ed economica”, perché “grazie alla stabilità si riesce a dare fiducia agli investitori”. Nulla di più. E ancor più prudente è il senatore di FdI, Ignazio La Russa: “Non voglio polemizzare con Berlusconi, ma credo che sia prematuro discutere oggi del tema di Mattarella”. Ma le reazioni non si fermano. E sfiorano l’irritazione nel commento della terza carica dello Stato. “Il nostro presidente della Repubblica ha un mandato di sette anni – rammenta il presidente della Camera, Roberto Fico – Qualcuno se ne dovrebbe fare una ragione e non trascinare le istituzioni nella campagna elettorale”. Fino al crescendo dell’Anpi: “L’accoppiata presidenzialismo-autonomia differenziata, frutto dell’accordo Meloni-Salvini-Berlusconi, scardina la Costituzione”, denuncia il numero uno dei partigiani Gianfranco Pagliarulo profetizzando la “rottura dell’unità nazionale”.

    #Berlusconi non è più in sé. E agli elettori di Forza Italia dico: non seguitelo sulla strada della distruzione delle Istituzioni per appagare le sue voglie. pic.twitter.com/RfnRIykjei
    — Carlo Calenda (@CarloCalenda) August 12, 2022

    Tra i politici, il primo ad agitarsi apertamente è Enrico Letta: “Dimostra che la destra è pericolosa per il paese”, denuncia il segretario dem che parla quasi in contemporanea a Berlusconi, su Radio uno. Nel pomeriggio aggiunge un tassello alla ricostruzione: “Questa è una destra che vuole sfasciare il sistema perché, dopo aver fatto cadere il governo Draghi, è un preavviso di sfratto”, spiega alla Stampa. Fino a interpretare le parole del Cavaliere come “un’evidente autocandidatura” al Quirinale. Berlusconi nega assolutamente e in radio svicola così: “Parliamo delle cose di adesso”. Tuttavia, il ‘Caimano’ – come torna a chiamarlo Nicola Fratoianni di Sinistra italiana – non convince i rivali. Non lo fa nemmeno con la precisazione diffusa qualche ora dopo: “Non ho mai attaccato il presidente Mattarella, né mai ne ho chiesto le dimissioni”, mette agli atti. Poi la difesa: “Ho solo detto una cosa ovvia e scontata, e cioè che, una volta approvata la riforma costituzionale sul presidenzialismo, prima di procedere all’elezione diretta del nuovo capo dello Stato, sarebbero necessarie le dimissioni di Mattarella”. Inutile per Letta, convinto che al contrario sia “una conferma di quello che ha detto e che voleva dire” e che comunque per l’Italia il presidenzialismo “è un errore profondo”.

    Elezioni, la Lega deposita il simbolo. Calderoli: ‘Dichiarazione Berlusconi? Non si verifichera”

    Non va per il sottile nemmeno Luigi Di Maio: “Adesso capiamo che vuole fare il presidenzialismo per buttare giù Mattarella – attacca direttamente il Cav – Non c’è niente di moderato in questo. Sta venendo fuori la maschera del centrodestra, a loro non sta bene nemmeno avere il garante della Costituzione”. Usa la stessa metafora della “maschera” il leader del Movimento 5 stelle: per Giuseppe Conte, la riforma proposta dal centrodestra “prefigura un semplice un accordo spartitorio: Giorgia Meloni premier, Matteo Salvini vicepremier e ministro dell’interno”. E conclude: “Non permetteremo che le istituzioni siano piegate alle fameliche logiche spartitorie delle forze di destra”. Il più tranchant, al limite del garbo, è il tweet di Carlo Calenda: “Non credo che Berlusconi sia più in se”. E gli consiglia: “Non è Mattarella a doversi dimettere, ma tu a non dover essere eletto”.

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    Fatwa e taglia, la maledizione dei 'Versi Satanici'

    ‘I Versi Satanici’ è di certo il libro più noto di Salman Rushdie, ma anche quello che gli ha rovinato la vita. Dopo la sua pubblicazione, e la fatwa dell’ayatollah Khomeini, che per le sue allusioni lo giudicò blasfemo verso l’Islam, Rushdie è stato costretto dal 1989 a vivere nell’ombra, e nella paura.    In realtà nella sua lunga carriera letteraria Rushdie ha prodotto molti libri, tra cui dei veri capolavori, come “I figli della mezzanotte”, ovvero della mezzanotte del 15 agosto 1947, giorno della dichiarazione dell’indipendenza dell’India.    Un racconto che si ricollega alle sue origini. Rushdie è infatti nato a Bombay, il 19 giugno 1947, anche se poi è cresciuto a Londra, dove si è trasferito all’età di 14 anni, per poi studiare all’Università di Cambridge.    Ma ‘I Versi Satanici’ oltre a condizionare la vita al suo autore ha anche causato la morte di molte persone in tutto il mondo: cinquantanove, secondo Bbc News, tra traduttori assassinati e persone rimaste uccise durante le manifestazioni di protesta e le contromanifestazioni di sostegno, nonché quelle di condanna per la censura imposta al volume in alcuni Paesi. In Italia nel 1991 venne pugnalato nella sua abitazione milanese Ettore Capriolo, traduttore del libro, fortunatamente non a morte. Da allora Rushdie, che si dichiara ateo, si è abituato a vivere sotto scorta, nascosto al resto del mondo per circa un decennio. Poi, a poco a poco ha iniziato a riemergere. Nel 2004 si è nuovamente sposato, per la quarta volta, con la modella ed attrice indiana Padma Lakshmi, dalla quale però si è separato nel 2007. Nel 2015 ha aperto la Fiera del libro di Francoforte, evento che ha provocato il boicottaggio da parte dell’Iran.    Il governo iraniano, in maniera ambigua nel 1998 aveva affermato che non avrebbe più sostenuto la fatwa, ma molte organizzazioni iraniane hanno invece continuato a raccogliere fondi per una ‘taglia’ sulla sua testa, da aggiungere ai circa 3 milioni di dollari originariamente offerti da Khomeini nel 1989 per la sua esecuzione.    E le cose non sono poi cambiate dopo la morte di Khomeini.    L’ayatollah Ali Khamenei, guida suprema iraniana, ha infatti rinnovato la fatwa nel 2017, e nel 2019, in occasione del ‘trentennale’, via Twitter ha scritto: “Il verdetto dell’Imam Khomeini riguardo a Salman Rushdie si basa su versi divini e, proprio come i versi divini, è solido e irrevocabile”.