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    Benedetto XVI, la scelta rivoluzionaria delle dimissioni

    Benedetto XVI, il primo Papa in epoca moderna a rinunciare al pontificato (prima di lui era stato, seicento anni prima, Gregorio XII nel 1415, e prima ancora Celestino V, nel 1294), non si è mai pentito “neppure per un solo minuto” di quella decisione arrivata per molti come “un fulmine a ciel sereno”, per usare le parole dell’allora cardinale decano Angelo Sodano, l’11 febbraio del 2013. Al suo amico giornalista Peter Seewald, Ratzinger successivamente confidò: “Vedo ogni giorno che era la cosa giusta da fare”, “era una cosa su cui avevo riflettuto a lungo e di cui avevo anche a lungo parlato con il Signore”. Per questo, al momento dell’annuncio, “ho sottolineato che agivo liberamente; non si può andare via se si tratta di una fuga. Non bisogna cedere alle pressioni. Si può andare via solo se nessuno lo pretende, e nessuno nel mio caso lo ha preteso. Nessuno. Fu una assoluta sorpresa per tutti”.

    Un fulmine colpisce la cupola di San Pietro nel giorno in cui Benedetto XVI annuncia le dimissioni. La foto simbolo di Alessandro Di Meo / ANSA ha fatto il giro del mondo

    L fu anche per la stampa mondiale. Quel giorno a dare la notizia in anteprima mondiale fu la collega dell’ANSA Giovanna Chirri che seguiva, dalla sala stampa vaticana, il concistoro per alcune canonizzazioni. Un appuntamento che poteva essere una routine per i vaticanisti e che invece ha cambiato il corso della storia. Chirri carpì al volo il senso della dichiarazione pronunciata in latino e diede la notizia per prima a tutto il mondo.
    Per Papa Bergoglio, che più volte ha chiarito che non intende dimettersi, comunque, dopo la rinuncia di Benedetto, “la porta è aperta”, nel senso che le dimissioni di un Pontefice non saranno mai più una cosa eccezionale. E per mesi nelle stanze vaticane si è ipotizzata una specifica disciplina per il Papa emerito, per evitare di improvvisare regole e cerimoniale. Una regolamentazione che poteva prendere la forma di ‘motu proprio’ ma che di fatto non è mai arrivata.
    Tante le speculazioni su questa decisione di Papa Benedetto che egli aveva invece motivato fin dall’inizio con la difficoltà a portare avanti i suoi compiti, considerato l’avanzare dell’età, per l’ “ingravescentem aetatem”, come disse lui stesso al momento dell’annuncio. Qualcuno ancora ritiene invece che fu una fuga davanti a una situazione ingovernabile, innescata soprattutto dallo scandalo Vatileaks. Altri che non resse il peso dello scandalo della pedofilia, questione sulla quale avviò un processo di trasparenza senza ritorno. Altri ancora parlarono subito di gravissimi problemi di salute, smentiti dal fatto che Ratzinger è vissuto da emerito poi per tutti questi anni.
    Ma Papa Francesco ha invece sempre definito queste dimissione come “un atto di governo, l’ultimo atto di governo” di Papa Benedetto.
    Sulla stessa scia lo storico portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, secondo il quale la rinuncia al pontificato da parte di Benedetto XVI è stata “una scelta che ha segnato e continuerà a segnare le prossime epoche della Chiesa”. “E’ un’apertura di una strada, diciamo di una possibilità, che, come diceva bene Benedetto, proprio nella sua motivazione alla rinuncia, è connessa anche ai tempi che noi stiamo vivendo”. Per il gesuita tutto questo è stato visto da Ratzinger “con grande lucidità e con grande umiltà, proprio per dare la possibilità di una guida, che lui ha definito di rinnovato vigore, alla Chiesa.Cosa che effettivamente è avvenuta”.   

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    Per Ratzinger esequie nella semplicità ma “da Papa”

    Per sua stessa volontà, i funerali del Papa emerito Benedetto XVI dovranno svolgersi “nel segno della semplicità”, quindi saranno “solenni ma sobri”.
    Tutto il protocollo sarà in qualche modo semplificato, rispetto alle esequie di un “Papa regnante”. Ma anche se non era più un capo di Stato, e se la procedura della “sede vacante” si è già svolta all’epoca della rinuncia nel febbraio 2013, Joseph Ratzinger, benché “dimissionario” è pur sempre stato Pontefice, e sicuramente papa Francesco intende rendergli gli onori dovuti.

    Agenzia ANSA

    Dal 2 mattina al 4 sera, durante l’esposizione del feretro del Papa Emerito, a San Pietro, sono previste dalle 30 alle 35 mila persone al giorno. Per i funerali, che si terranno il 5, ci aspettiamo un minimo di 50 / 60 mila persone. (ANSA)

    Questi funerali restano comunque un ‘unicum’ anche dal punto di vista procedurale, non essendosi mai svolte le esequie per un Papa emerito, per di più rimasto a vivere in Vaticano: non certo per gli altrettanto dimissionari Celestino V nel 1294 (morto poi nel 1296) e, l’ultimo prima di Benedetto, Gregorio XII, quasi seicento anni fa, nel 1415 (morto nel 1417).
    “Nell’eventualità della morte del Vescovo emerito di Roma, Joseph Ratzinger, ogni particolare lo deciderà il Santo Padre”, è la risposta data al sito para-vaticano Il Sismografo da importanti ufficiali della Curia ma anche da esperti laici, accademici e studiosi, non appena si è diffusa la notizia, annunciata da Papa Francesco alla fine dell’Udienza generale di mercoledì scorso, hanno cominciato a circolare i riferimenti ai cosiddetti “precedenti”: documenti storici che consentono di sapere e capire in modo documentato come si è comportata la gerarchia vaticana in situazioni simili.
    E se non è mai accaduto di dover organizzare funerali per un Pontefice emerito, è intuibile che – a parte qualche ritocco e semplificazione – Bergoglio vorrà che le esequie del suo predecessore siano analoghe a quelle di un Pontefice regnante ancora dal Soglio di Pietro. Analoghi, quindi, anche per quanto riguarda l’afflusso dei fedeli e l’arrivo di delegazioni internazionali – quelle dall’Italia e dalla natia Germania, prima di tutte – a quelle dei funerali dei precedenti cinque Pontefici: Pio XII (ottobre 1958), Giovanni XXIII (giugno 1963), Paolo VI (agosto 1978), Giovani Paolo I (settembre 1978) e Giovanni Paolo II (aprile 2005).

    Ratzinger, funerali il 5 gennaio in piazza San Pietro

    Oggi la Sala stampa vaticana non ha ancora dato dettagli sullo svolgimento delle esequie. Si sa solo che la salma sarà esposta dalla mattina di lunedì 2 gennaio nella Basilica di San Pietro per il saluto dei fedeli. Finora non è previsto quella che era l’esposizione al saluto per la ‘famiglia pontificia’ nella Sala Clementina. Quindi la salma potrebbe restare nel monastero Mater Ecclesiae fino alla mattina di lunedì. Poi, dopo tre giorni di esposizione in Basilica (che resterà chiusa la notte), le esequie saranno celebrate giovedì 5 gennaio, alle 9.30, in Piazza San Pietro, presiedute da papa Francesco.
    Mentre già si sta predisponendo, da parte anche delle autorità italiane, il dispositivo di sicurezza attorno a San Pietro, i lavori in Vaticano cominceranno a tutti gli effetti domani pomeriggio, dopo le cerimonie papali di questo pomeriggio (Te Deum) e di domani mattina (messa in Basilica e Angelus).
    Infine Joseph Ratzinger per espresso suo volere, comunicato all’allora arciprete della Basilica di San Pietro, cardinale Angelo Comastri, sarà sepolto nelle cripte vaticane, nella nicchia dove per 38 anni (dal giugno 1963 al gennaio 2001) è rimasto sepolto san Giovanni XXIII, e poi san Giovanni Paolo II dal 2005 al 2011. Le salme di questi due Papi, come è noto, sono state trasferite all’interno della Basilica nelle cappelle delle navate laterali.

    Agenzia ANSA

    Prima di lui Gregorio XII nel 1415.Bergoglio, ‘ha aperto la strada’ (ANSA)

       

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    Ratzinger, il teologo divenuto il Papa della rinuncia

    Un eminente teologo, che da giovane professore partecipò anche come “consulente” al Concilio Vaticano II. Poi pastore della sua Arcidiocesi di Monaco e Frisinga e successivamente, per 24 anni, custode dell’ortodossia cattolica come prefetto della Dottrina della Fede e strettissimo collaboratore di San Giovanni Paolo II.    Infine Sommo Pontefice della Chiesa cattolica, 264/o successore dell’Apostolo Pietro. Ma per tutti resterà, e per sempre, “il Papa della rinuncia”.    Con quel suo atto, comunicato al mondo e tra la sorpresa generale nel Concistoro dell’11 febbraio 2013, e motivato con la “certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”, Benedetto XVI ha impresso il marchio del suo Pontificato.    Un “atto di governo della Chiesa”, lo definì subito l’allora portavoce vaticano padre Federico Lombardi, futuro presidente della Fondazione Ratzinger, col quale il Pontefice tedesco, in quel momento quasi 86/enne, apriva una nuova strada per la comunità e le gerarchie ecclesiali: quella dei Papi emeriti, figura ancora inesistente, ma giustificata in un’epoca in cui la durata della vita si allunga e sono ipotizzabili anche condizioni di vecchiaia e malattia che possano pregiudicare le capacità di governo.    Una scelta ben diversa da quella del predecessore Karol Wojtyla, che malgrado le gravi condizioni di salute portò la sua croce fino alla fine. E una figura, quella appunto del “Papa emerito” o “Romano Pontefice emerito” – così ha voluto essere denominato lo stesso Joseph Ratzinger dopo la rinuncia al ministero petrino -, che neppure il successore papa Francesco ha voluto codificare. “No. Non l’ho toccato affatto, né mi è venuta l’idea di farlo. Ho la sensazione che lo Spirito Santo non ha interesse a che mi occupi di queste cose”, ha risposto Bergoglio al quotidiano spagnolo Abc sulla necessità di definire lo status giuridico del Papa emerito.    Necessità, comunque, che nel quadro dell’organigramma cattolico resta e sarà demandata a decisioni future. In ogni caso, lo stesso papa Francesco ha rivelato nella medesima intervista di aver già firmato nei primi mesi del pontificato la sua rinuncia in caso di “impedimento medico”.    Nei suoi quasi otto anni sul soglio di Pietro, dall’elezione del 19 aprile 2005 alla storica e scenografica partenza in elicottero per Castel Gandolfo la sera del 28 febbraio del 2013, rispetto ai quali non è un segreto avrebbe preferito ritirarsi nella natìa Baviera e dedicarsi agli amati studi e al diletto pianoforte, Benedetto XVI ha sempre inteso il suo Pontificato come “di transizione” dopo quello di somma grandezza del predecessore Wojtyla. Pochi i documenti, per sua stessa volontà, da lasciare al magistero della Chiesa, tra cui le tre encicliche ‘Deus caritas est’, ‘Spe salvi’ e ‘Caritas in veritate’, tutte dedicate ai principi-cardine del cristianesimo.    Centrale nella sua missione e nel suo magistero, Ratzinger ha sempre visto il connubio tra fede e ragione, da rinsaldare in un’epoca di Chiesa sempre più sulla difensiva dinanzi alla “dittatura del relativismo” e di avanzare della secolarizzazione.    “Distorsioni della religione”, come il settarismo e il fondamentalismo, “emergono quando viene data una non sufficiente attenzione al ruolo purificatore e strutturante della ragione all’interno della religione”, disse durante il viaggio apostolico nel Regno Unito del settembre 2010; d’altra parte “senza il correttivo fornito dalla religione, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”.    Ma anche altre, e molto caratterizzanti, sono le questioni affrontate da Benedetto XVI, come l’Occidente visto come “terra di missione”, tanto da dedicargli un apposito Pontificio Consiglio della Nuova evangelizzazione. Nella critica al relativismo, rientra poi la difesa del “valori non negoziabili”, in particolare in materia di tutela della famiglia e della vita.    Propria di Ratzinger è stata anche la ripresa di aspetti della tradizione, come la liberalizzazione della messa in latino tramite il motu proprio del luglio 2007 Summorum Pontificum.    Tentativo anche di “riconciliazione” con gli ultra-tradizionalisti scismatici Lefebvriani, non andato però a buon fine. Resta, nella teologia di Benedetto XVI, la visione del Concilio Vaticano II attraverso una “ermeneutica della continuità” e non “della rottura”.    Ma è soprattutto nella lotta alla pedofilia nel clero che Joseph Ratzinger ha dato un impulso tutto personale, dopo i decenni delle coperture e dell’omertà: primo Pontefice a chiedere esplicitamente scusa alle vittime e ad incontrarle più volte, allontanando dalla Chiesa religiosi responsabili di abusi su minori e stabilendo norme e linee guida più stringenti. Anche qui, l’apertura di una strada, non senza forti difficoltà che non hanno mancato di incidere anche sulla sua decisione di rinunciare, che segna una vera svolta, percorsa poi con forza dal suo successore e che sempre più si sta radicando nella Chiesa. (ANSA).   

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    Ratzinger nel suo testamento, 'rimanete saldi nella fede'

    (ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 31 DIC – “Rimanete saldi nella
    fede! Non lasciatevi confondere!… Gesù Cristo è veramente la
    via, la verità e la vita – e la Chiesa, con tutte le sue
    insufficienze, è veramente il Suo corpo.” Questo è uno dei
    lasciti spirituali che il Papa emerito Benedetto XVI affida ai
    fedeli nel suo testamento, che viene pubblicato nel libro
    ‘Nient’altro che la verità’ scritto dall’Arcivescovo Georg
    Gänswein, suo segretario particolare, con Saverio Gaeta, per le
    edizioni Piemme e in uscita agli inizi di gennaio. E’ quanto
    apprende in anteprima l’ANSA. (ANSA).   

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    E' morto Ratzinger, primo Papa emerito

    (ANSA) – CITTÀ DEL VATICANO, 31 DIC – “Con dolore informo che
    il Papa Emerito, Benedetto XVI, è deceduto oggi alle ore 9:34,
    nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano”. Lo ha annunciato il
    direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.   
    Dalla mattina di lunedì 2 gennaio 2023, il corpo del Papa
    Emerito sarà nella Basilica di San Pietro in Vaticano per il
    saluto dei fedeli. (ANSA).   

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    Gli incidenti di percorso, da Ratisbona a Vatileaks

    Dalla lezione di Ratisbona al caso Vatileaks, dalla ‘riabilitazione’ di un vescovo negazionista all’intervento ‘negato’ all’Università La Sapienza, i quasi otto anni di pontificato di Benedetto XVI, fino alla sua storica rinuncia, hanno coinciso con un periodo di forti turbolenze per la Chiesa, di crisi nei rapporti esterni, dovute in parte ad alcuni incidenti di percorso che hanno segnato la permanenza del Papa tedesco sul soglio di Pietro.    La stessa strenua lotta contro la piaga della pedofilia, la “tolleranza zero” ordinata con merito proprio da papa Ratzinger, da un punto di vista mediatico fu paradossalmente quasi un’arma a doppio taglio, con lo scandalo degli abusi propagatosi a tali livelli quasi da travolgere l’immagine della Chiesa nel mondo.    IL DISCORSO DI RATISBONA – Come una pericolosa ‘gaffe’ (anche se da molti rivalutata negli anni successivi) fu vista la lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera.    La citazione di una frase dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa – “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava” – provocò nel mondo islamico violente reazioni perché ritenuta offensiva, con massicce proteste di piazza. Successivamente il Papa, durante un Angelus trasmesso anche da Al Jazeera, disse di essere “vivamente rammaricato per le reazioni”, specificando di non condividere il pensiero espresso nel testo citato a Ratisbona e invitando l’Islam al dialogo. La crisi però durò a lungo. Altre frasi di Ratzinger sulla necessità di una protezione internazionale dei copti in Egitto determinarono la rottura del dialogo con l’Università di Al-Azhar del Cairo, massimo istituto dell’Islam sunnita, dialogo riallacciato poi solo sotto il pontificato del successore, papa Francesco.    LA LEZIONE ‘NEGATA’ ALLA SAPIENZA – Il 15 gennaio 2008, su richiesta del rettore dell’Università di Roma “La Sapienza”, il Papa fu invitato ad intervenire all’inaugurazione dell’anno accademico. Tale scelta fu criticata da 67 docenti dell’ateneo, il che portò la Santa Sede a declinare l’invito e suscitò forti polemiche nel mondo politico, giornalistico e universitario.    LA ‘RIABILITAZIONE’ DEL VESCOVO NEGAZIONISTA – Un ‘incidente’ col mondo ebraico fu causato da un passo compiuto da Benedetto XVI nel cammino di riavvicinamento con gli ultra-tradizionalisti scismatici seguaci del vescovo Marcel Lefebvre. Il 21 gennaio 2009 il Papa concesse la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e nello stesso giorno la tv svedese Svt rese pubblica un’intervista in cui uno dei quattro, il britannico mons. Richard Williamson, professava una posizione negazionista della Shoah. Il Gran Rabbinato di Israele rimandò subito alcuni incontri col Vaticano. Sollecitato da più parti, il Pontefice nell’udienza generale del 28 gennaio pronunciò parole chiare per contestare ogni forma di negazionismo, esprimere solidarietà agli ebrei e ribadire la volontà di continuare nel dialogo.    Critiche sulla vicenda giunsero al Papa anche da Angela Merkel.    Il 4 febbraio, una nota della Segreteria di Stato vaticana definì “assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre” le posizioni di mons. Williamson, “non conosciute” dal Pontefice “nel momento della remissione della scomunica”.    IL CASO VATILEAKS, IL MAGGIORDOMO ‘INFEDELE’ – Un’eco mondiale senza precedenti ebbe nel 2012 lo scandalo della fuga di documenti riservati del Pontefice, molti dei quali rivelavano trame e casi di corruzione in Vaticano, trafugati direttamente dalla segreteria del Papa dal maggiordomo ‘infedele’ Paolo Gabriele, il laico più vicino al Pontefice, e finiti nel libro “Sua Santità” di Gianluigi Nuzzi. Il 24 maggio, pochi giorni dopo l’uscita del libro, ‘Paoletto’ – così veniva chiamato nella famiglia pontificia – fu arrestato dalla Gendarmeria e rinchiuso in cella in Vaticano. “Gli eventi degli ultimi giorni riguardo alla Curia e ai miei collaboratori hanno portato tristezza nel mio cuore”, disse Ratzinger nell’udienza generale del 30 maggio.    Dopo un processo durato quattro udienze, Gabriele fu condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Condannato a due mesi (sospesi) in un separato processo anche il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti. Il 22 dicembre Benedetto andò a trovare in cella l’ex aiutante di camera e gli diede la grazia. Mancavano meno di due mesi a quell’11 febbraio 2013 in cui, davanti ai cardinali attoniti, rinunciò al Papato.    LA LETTERA ‘SBIANCHETTATA’ DA VIGANO’ – Tra gli incidenti di percorso, ma successivi alle dimissioni, può annoverarsi la lettera riservata che il Papa emerito inviò nel gennaio 2018 all’allora prefetto della Segreteria per la comunicazione, mons.    Mario Edoardo Viganò, con cui rifiutava di scrivere una “breve e densa pagina teologica” come introduzione alla collana in 11 volumetti “La teologia di papa Francesco” in uscita per la Lev, curata dal futuro arcivescovo di Torino Roberto Repole. Nella lettera, tra l’altro, Ratzinger esprimeva giudizi su un teologo tedesco a lui avverso e inserito tra gli autori della collana, dicendosi anche sorpreso per questo. All’uscita della pubblicazione, nel marzo successivo, Viganò rese però pubblica solo una parte della missiva – il resto era sfocato nella foto o nascosto -, quella dove Ratzinger descriveva papa Bergoglio come “uomo di profonda formazione filosofica e teologica” e sottolineava “la continuità interiore tra i due pontificati”.    Che il testo non fosse completo venne tuttavia alla luce in brevissimo tempo e, tra aspre polemiche, la lettera fu pubblicata integralmente, ma Viganò dovette dimettersi. (ANSA).   

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    I politici, lo Ior e il fardello di essere Papa

    Dai politici allo Ior, dalla sua elezione a Papa alla rinuncia, passando per i giorni dell’infanzia e arrivando anche a Papa Bergoglio. Può considerarsi un vero e proprio testamento spirituale il libro-intervista di Benedetto XVI con Peter Seewald “Ultime conversazioni” del 2016, al quale seguirono altre ‘confessioni’ con l’amico giornalista contenute nella corposa biografia pubblicata nel 2020.    Tra gli argomenti affrontati, il Papa emerito, con molta umanità, aveva parlato anche della sua morte. Paura? gli aveva chiesto il giornalista tedesco. “Per certi versi sì”, aveva confidato Ratzinger informando di avere comunque già steso il suo testamento “definitivo”. E aveva aggiunto che avrebbe voluto che sulla lapide fosse scritto il solo nome.    Ma Benedetto XVI rivelò anche le sfaccettature più nascoste dei suoi giorni da Papa: per esempio la sua insofferenza per le visite dei politici, o la questione Ior che era “un punto di domanda”. Disse anche che non si aspettava l’elezione di Bergoglio.    In quelle pagine si ritrova anche il suo lungo, e non sempre facile, rapporto con Papa Wojtyla, ma anche dettagli più intimi come il fatto che amasse dormire, o che fosse da anni cieco da un occhio.    Ratzinger dunque si è aperto al suo biografo con grande sincerità e naturalezza, ridendo durante la conversazione, diverse volte. Come quando raccontò della zia che fece ‘marameo’ ai nazisti che passavano su un treno. Ma anche piangendo, quando ricordò le campane che lo salutarono nel momento in cui, dopo la rinuncia, lasciò in elicottero il Vaticano per ritirarsi a Castel Gandolfo.    Nel trarre un bilancio del suo pontificato aveva detto: “Il governo pratico non è il mio forte e questa è certo una debolezza. Ma non riesco a vedermi come un fallito”. Però confermò quanto già tutti sapevano, ovvero la fatica, lui, che pensava che sarebbe stato per tutta la vita solo un professore, di essere a capo della Chiesa cattolica. Ci sono state “belle esperienze”, aveva avuto anche la consapevolezza di “essere sostenuto”. “Ma è stato naturalmente sempre anche un fardello”, ammise Ratzinger.    Una grande libertà espresse infine in quelle parole su Papa Francesco. “Nessuno – disse il Papa emerito – si aspettava lui.    Io lo conoscevo, naturalmente, ma non ho pensato a lui”. Sempre su Papa Francesco disse di apprezzare il suo modo di stare con la gente ma “mi chiedo quanto potrà andare avanti” a “stringere ogni mercoledì duecento mani o più”, diceva il Papa emerito così riservato, così diverso nel rapporto con le folle rispetto al Papa argentino. (ANSA).   

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    La lotta agli abusi, lo scandalo che rischiò travolgere Chiesa

    Benedetto XVI è stato il primo Papa ad avviare una campagna di “tolleranza zero” per sradicare il fenomeno della pedofilia nel clero e per punire i colpevoli, compresi i vescovi ‘omertosi’. Fu lui – a cui, all’epoca ancora cardinale, si deve la clamorosa denuncia della “sporcizia nella Chiesa” nella Via Crucis del 2005 – a portare a sentenza l’annoso processo sul ‘caso Maciel’, il fondatore dei Legionari di Cristo. E fu lui a volere massima trasparenza su ogni caso, contro la prassi degli insabbiamenti delle denunce di abusi e dei semplici spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra.    L’emergere di sempre nuove vicende risalenti ai decenni passati (una lambì la stessa figura del Pontefice, per il cambio d’incarico a un prete pedofilo quand’era arcivescovo a Monaco) fece però divampare ancora di più lo scandalo a livello globale.    Il Papa indirizzò anche una lettera “ai cattolici d’Irlanda”, Paese tra i più colpiti. Ma nell’estate del 2011 l’uscita delle relazioni governative sugli abusi nelle diocesi d’Irlanda innescò perfino una crisi diplomatica con Dublino.    La forte spinta anti-pedofili da parte di Benedetto XVI, insomma, sembrò diventare un’arma a doppio taglio, che s’infiammò ancora di più negli anni successivi con le uscite delle varie indagini indipendenti o governative in diversi Paesi europei, in singole diocesi, come pure negli Stati Uniti.    Lo scandalo, all’inizio del 2010, investì anche la Chiesa tedesca e in marzo arrivò a sfiorare lo stesso Benedetto XVI, già arcivescovo di Monaco di Baviera dal 1977 al 1982: proprio in quel ruolo, l’allora cardinale Joseph Ratzinger accettò nel 1980 di accogliere nella sua diocesi, da quella di Essen, al solo scopo di farlo curare, un sacerdote sospettato di molestie sessuali su minori. Secondo la ricostruzione fatta dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale della capitale bavarese, mons. Gerhard Gruber, decise però di affidare al religioso, definito retrospettivamente come “padre H.”, un ruolo pastorale in una parrocchia. Ciò senza avvertire il suo superiore, ovvero lo stesso Ratzinger. Il sacerdote si rese poi responsabile di nuovi crimini di pedofilia tanto che nel 1986 il tribunale dell’Alta Baviera lo condannò a 18 mesi di carcere e a una multa di 4 mila marchi tedeschi.    Immediatamente, sia il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, sia l’arcivescovado di Monaco sostennero l’assoluta estraneità di Benedetto XVI a quanto accaduto. Lo stesso ex vicario generale, mons. Gruber, si assunse ogni colpa, con una dichiarazione pubblicata sul sito diocesano.    Ma il caso tornò a galla nel gennaio 2022, quasi nove anni le dimissioni di Benedetto XVI – intanto nel 2019 suscitò non poche polemiche un suo testo sulla pedofilia nella Chiesa, da lui collegata al “collasso morale” della rivoluzione sessuale del ’68 – con l’uscita del rapporto indipendente sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese, che ha accusato Ratzinger di “comportamenti erronei” nella gestione di singoli casi.    Tra l’altro, in quei giorni l’autodifesa del Papa emerito conobbe uno spiacevole inciampo quando dovette correggere una sua dichiarazione essenziale rilasciata in relazione al dossier.    Contrariamente al suo precedente resoconto, infatti, Ratzinger partecipò alla riunione dell’Ordinariato il 15 gennaio 1980, durante la quale si parlò del prete giunto da Essen che aveva abusato di alcuni ragazzi ed era venuto a Monaco per una terapia. Tuttavia, dichiarò il segretario particolare mons.    Georg Gaenswein, nell’incontro in questione “non fu presa alcuna decisione circa un incarico pastorale del sacerdote interessato”.    Piuttosto, la richiesta fu approvata solo per “consentire una sistemazione per l’uomo durante il trattamento terapeutico a Monaco di Baviera”. La questione che restava in piedi, però, era che Benedetto sapeva del prete accusato di pedofilia, anziché il contrario. In seguito, al prete fu affidata la cura delle anime e continuò nei suoi comportamenti. E l’accusa che veniva rivolta all’allora arcivescovo Ratzinger era di non aver preso alcun provvedimenti affinché ciò non accadesse.    Un’accusa che è costata all’ormai 95/enne Ratzinger anche una denuncia sporta in sede civile al Tribunale provinciale di Traunstein, nella Baviera tedesca, da un uomo che ha riferito di aver subito gli abusi proprio dal recidivo H. nella località di Garching an der Alz. Il Papa emerito, agli inizi di novembre 2022, ha anche accettato di difendersi nella causa insieme agli altri tre denunciati: oltre al prete già condannato penalmente, anche il cardinale Friedrich Wetter, successore di Ratzinger sulla cattedra di Monaco, e l’arcidiocesi stessa. Se non si fosse dichiarato disposto alla difesa, il Pontefice emerito, nella quiete dell’ex monastero Mater Ecclesiae, avrebbe rischiato una condanna in contumacia. (ANSA).