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    Pd, approvato il Manifesto dei valori. Letta: Serve un nuovo partito non un nuovo segretario

    L’Assemblea nazionale del Partito democratico approva il Regolamento congressuale, con 11 contrari e 24 astenuti, e il nuovo Manifesto dei valori, con 18 contrari e 22 astenuti.
    “Abbiamo bisogno di un nuovo partito, non di un nuovo segretario. E per un nuovo partito serve una base politica, e il manifesto la dà, una base che ci mette nelle condizioni di essere molto ambiziosi per il futuro”. Lo ha detto il segretario del Pd, Enrico Letta, all’assemblea del partito in corso all’Auditorium Antonianum a Roma. Votato e approvato il “Manifesto dei valori e dei principi” del nuovo Partito Democratico. L’Assemblea nazionale ha accolto il documento con le modifiche apportate nelle ultime ore da Enrico Letta e Roberto Speranza. Rispetto alla bozza circolata dopo l’ultima riunione del Comitato degli 85 saggi, qualche novità c’è. Ampliato il riferimento al controverso “cambio di paradigma”, che ora coinvolge tutto il campo economico e sociale e non più soltanto quello della transizione ecologica. In politica estera, accanto alla collocazione atlantica, compare l’obiettivo della difesa comune in Ue. Sui diritti, le modifiche sono più approfondite: difendere la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza e “colmare la lacuna normativa nel campo del fine vita, per garantire certezze e dignità a tutte le persone che si trovano in condizioni di sofferenza intollerabile”. Poi, il paragrafa sull’uguaglianza di genere che si apre con una frase che mancava nella bozza: “Siamo e saremo un partito femminista”. Nel capitolo economico, viene aggiunto una sottolineatura sulle imprese, “patrimonio essenziale del Paese”, e sull’agricoltura. Nel capitolo finale, su Costituzione e democrazia, viene esplicitato il secco no al presidenzialismo: “contrastare la tendenza in corso a risolvere tramite formule di accentramento dei poteri la crisi del nostro sistema politico”. Seguito da un ultimo aggiornamento sull’altra riforma in corso: autonomia sì, ma attraverso “un regionalismo cooperativo e solidale, evitando soluzioni che spingono ad ampliare i divari fra territori”. Infine, per guardare al futuro, il richiamo a una parola del passato: la costruzione di “un grande partito di popolo”.
    Pd, Letta: ‘Serve un nuovo partito, non un nuovo segretario’

    “Questo manifesto non si ponga il problema dell’abrogazione del lavoro che fu fatto alla nascita del Pd, nel 2007, da giganti, rispetto ai quali non mi sento di paragonarmi, che rimane parte dell’atto di nascita del nuovo Pd. Sarebbe stato sbagliato metterci a fare le pulci a quel manifesto frutto del contributo, tra gli altri, di giganti del pensiero democratico come Scoppola o Reichlin”, ha aggiunto Letta ribadendo che “dobbiamo vivere un senso di unità che viene prima di tutto. La forza del nostro partito è indispensabile”. “L’alternativa alla destra, in Lombardia e Lazio, l’abbiamo messa in campo noi. Questo nostro ruolo è insostituibile”, ha ribadito. “Esco più determinato di quanto ho cominciato, esco più innamorato del Pd di quando ho cominciato, vi assicuro che non costruirò un partito alternativo al Pd. Nonmi sono pentito di essere tornato da Parigi”, ha concluso il segretario uscente assicurando che “amarezze e ingenerosità le tengo per me: siamo una comunità viva”.
    “Un percorso congressuale troppo lungo, mesi e mesi di congresso ci fanno sembrare marziani”. Lo ha detto il presidente dell’Emilia Romagna e candidato alla guida del Pd, Stefano Bonaccini, all’assemblea del Pd, a Roma. “Non facciamoci più trovare intrappolati in discussioni incomprensibili, come quelle sul nome e sul simbolo dl Pd. Me lo chiedono solo i giornalisti, nessun elettore ci pone il tema di cambiare nome, ci chiedono di cambiare politiche e tornare a parlare con la base. Non ho tabù sul nome e sul simbolo ma trovo surreale discutere del nome e non dei contenuti”. Lo ha detto il presidente dell’Emilia Romagna e candidato alla guida del Pd, Stefano Bonaccini, all’assemblea del Pd, a Roma. “A me il nome e il simbolo, come il manifesto del 2007, piacciono”. “Ho fatto un passo avanti, ma per rimettere in moto serve il contributo di tutti. In giro per l’Italia stiamo trovando una risposta che non mi aspettavo. Dipende da noi”. Lo ha detto il presidente dell’Emilia Romagna e candidato alla guida del Pd, Stefano Bonaccini, all’assemblea del Pd, a Roma.”Se vincerò chiederò ad Elly, Gianni e Paola di darmi una mano, se perdo mi metterò a disposizione di chi ha vinto, senza chiedere nulla per me”. Lo ha detto il presidente dell’Emilia Romagna e candidato alla guida del Pd, Stefano Bonaccini, all’assemblea del Pd, a Roma.
    “Non abbiamo perso solo noi, ma questo è l’unico partito che ha deciso di mettersi in discussione, aprendosi anche al mondo fuori, a chi ha smesso di crede in noi, nel Pd, nel centrosinistra, nella politica. Credo che questo processo fosse necessario”. Lo ha detto la deputata e candidata alla guida del Pd, Elly Schlein, all’assemblea dei Pd, in corso a Roma. “Dalle grandi rimozioni di questo governo, il più a destra della storia repubblicana, dobbiamo ripartire”. Lo ha detto la candidata alla guida del Pd, Elly Schlein. “Abbiamo il compito di dare una speranza di un futuro migliore per le persone e per il pianeta. Da qua possiamo ripartire. Il governo ha mostrato il volto becero di una destra nazionalista”. (ANSA).
    La deputata e candidata alla segreteria, Paola De Micheli, ha ammonito: “Penso che il manifesto sia un buon punto di arrivo, in questa fase. Penso a un approfondimento più serio sulle regole della democrazia interna e sugli strumenti contro la povertà, ma il ruolo dei candidati è anche quello di completare questo processo, anche dopo l’insediamento della nuova segreteria”. “Diciamoci le cose in faccia, proviamo a non essere fintamente unanimi, con l’obiettivo di una sintesi comune, ma con comportamenti che siano leali”, ha aggiunto chiedendo “al nuovo gruppo dirigente che i comportamenti siano più coerenti e leali”.
    Per il deputato Dem Andrea Orlando, “chi propone di cambiare il nome, propone di chiamarlo ‘Partito del lavoro’ o di richiamare la dimensione del lavoro, non è un fatto di forma, è un fatto di sostanza. Significa che definisci un campo di riferimento molto chiaro. È una discussione da fare insieme, ma tutt’altro che banale”. 
    Il segretario di Art.31 Roberto Speranza ha evidenziato che “per me costituente, che è la parola giusta, significa costruire un grande partito nazionale popolare, capace di difendere gli interessi del paese costruire una Italia più giusta. Significa porre le basi per costruire un’alternativa alla destra, che oggi governa l’Italia. Di fronte a questa destra l’unità non è un’opzione ma una scelta politicamente e moralmente obbligatoria.Abbiamo fatto un primo pezzo importante di strada, ma non è terminata, sono d’accordo che la costituente debba continuare. Abbiamo bisogno di continuare, la sfida non è compiuta, l’assedio a questo campo non è tramontato come ambizione”.

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    Hammamet celebra Craxi. Il ricordo del Cav, pagò uso politico della giustizia

     Il capanno non è più lì, sulla spiaggia di Salloum, a pochi chilometri da Hammamet. Tappa fissa che apriva le prime celebrazioni organizzate per ricordare il leader socialista scomparso nel 2000. Una mareggiata l’ha spazzato via quasi 10 anni fa. Era un luogo “sacro” per il leader socialista, costruito da lui stesso con l’aiuto di Nicola Mansi, autista ma soprattutto sua ombra e amico. Lì Bettino Craxi si ritirava per giornate intere a leggere e a scrivere. E lì rilasciò la sua ultima intervista televisiva – nel 1999 – a Sandy Marton, cantante “re” dei tormentoni estivi anni ’80 prestato quell’anno al programma “Meteore”. Ma le celebrazioni di Bettino Craxi, che quest’anno segnano il 22mo appuntamento a 23 anni dalla scomparsa, continuano ad essere un evento cui vecchi socialisti ma anche tanti politici non rinunciano.    E anche oggi in un centinaio si sono ritrovati ad Hammamet, in Tunisia, dove l’ex premier è sepolto. Tra loro molti parlamentari di centrodestra, tra questi i capigruppo di Fi Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, ma anche Maria Tripodi, Alessandro Battilocchio, Nino Germanà e Anastasio Carrà della Lega.    Una liturgia che quest’anno la Fondazione Craxi ha articolato su tre giorni e che oggi ha previsto un raccoglimento presso il cimitero cristiano di Hammamet, una cerimonia commemorativa all’interno della Medina, con l’inaugurazione della mostra Pagine di storia della libertà ed, infine, la proiezione , presso una sala dell’Hotel Bel Azur, Quel giorno a New York, un cortometraggio “che ripercorre le fasi salienti di un grande impegno che, da Rappresentante personale del Segretario generale dell’ONU, Bettino Craxi profuse nella lotta contro la fame nel mondo e nella riduzione delle diseguaglianze fra Paesi ricchi e Paesi poveri”.    Ma il ricordo di Craxi porta con sè, ogni volta, anche il ricordo degli anni bui della politica italiana, del lancio delle monetine davanti all’Hotel Raphael, la difficile stagione di Tangentopoli fino al suo esilio tunisino. A tornarci su è oggi il leader di Fi, Silvio Berlusconi, che ha affidato ad una lettera il ricordo dell’amico Bettino: “A 23 anni dalla scomparsa, la figura di Bettino Craxi non perde di attualità e al tempo stesso si delinea con sempre maggiore chiarezza il suo profilo di grande protagonista della storia del nostro Paese”, scrive. “Il dramma degli ultimi anni della sua vita, gli anni dell’esilio, va ricordato come monito sugli effetti perversi dell’uso politico della giustizia. Ma la statura di Bettino Craxi non è solo quella di una vittima. È anche e prima di tutto quella di uno statista che ha cambiato la storia del nostro Paese”.
    Parole apprezzate dalla figlia Stefania che ha sottolineato come il leader di Fi sia stato “un uomo che c’è sempre stato, nella buona e nella cattiva sorte. C’è stato per me, per la mia famiglia, per la comunità dei socialisti, ai quali ha garantito spazi di iniziativa e di protagonismo politico”.    

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    Ratzinger, contro me una furia e un vociare assassino

    E’ uscito un libro postumo di Benedetto XVI, che raccoglie testi editi e inediti del periodo in cui è stato Papa emerito. Lui stesso ha chiesto ai curatori, Elio Guerriero e mons. Georg Gaenswein, con una lettera del primo maggio 2022: “Questo volume, che raccoglie gli scritti da me composti nel monastero Mater Ecclesiae, deve essere pubblicato dopo la mia morte”.
    In una lettera a Guerriero Ratzinger aveva così motivato la sua scelta: “Da parte mia, in vita, non voglio più pubblicare nulla. La furia dei circoli a me contrari in Germania è talmente forte che l’apparizione di ogni mia parola subito provoca da parte loro un vociare assassino. Voglio risparmiare questo a me stesso e alla cristianità”, si legge in “Che cos’è il cristianesimo” (Mondadori).
    “Vi furono singoli vescovi, e non solo negli Stati Uniti, che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna cattolicità. Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano celati come letteratura dannosa e venivano per così dire letti solo di nascosto”.  Benedetto XVI parla dell’omosessualità e del fatto che ci siano “club” di gay nei seminari.
    Parlando dell’incontro che Papa Francesco aveva convocato con i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo sul tema degli abusi, Ratzinger evidenzia: “Nell’ambito dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo con papa Francesco, sta a cuore soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente di questa preparazione”. Quindi Benedetto XVI sottolinea: “In diversi seminari si formarono ‘club’ omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figli e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale”. Poi riferisce che “un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva permesso di mostrare ai seminaristi dei film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede”. Benedetto XVI parla delle sue dimissioni del 2013 e dice che in quel momento era “esausto”.
    “Quando l’11 febbraio 2013 annunciai le mie dimissioni dal ministero del successore di Pietro, non avevo piano alcuno per ciò che avrei fatto nella nuova situazione. Ero troppo esausto – sono le sue parole – per poter pianificare altri lavori. Inoltre, la pubblicazione dell’Infanzia di Gesù sembrava una conclusione logica dei miei scritti teologici”. “Dopo l’elezione di papa Francesco ho ripreso lentamente il mio lavoro teologico. Così, nel corso degli anni, hanno preso forma una serie di piccoli e medi contributi, che sono presentati in questo volume”, spiega Benedetto XVI nel libro che per suo volere viene pubblicato dopo la sua morte.

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    Londra perde il suo appeal, 1400 ricchi in fuga nel 2022

    La Gran Bretagna con la sua capitale Londra non è più al centro dei desideri e degli interessi di tanti ricchi che preferiscono spostarsi altrove. La capacità infatti di attrarre nababbi da tutto il mondo pronti a investire in aziende, immobili di lusso e sfruttare i servizi bancari della City si è affievolita negli ultimi anni.
    Secondo i dati di Henley & Partners, una società di consulenza sulla cittadinanza, nel 2022 circa 1.400 milionari hanno lasciato il Regno Unito. Prosegue, in base alla ricerca, una fuga iniziata poco dopo il voto nel referendum sulla Brexit nel 2016, che aveva sancito l’addio britannico all’Unione europea. Da allora si stima che circa 12 mila milionari siano partiti dal Regno per andare altrove temendo fra l’altro una perdita di centralità della metropoli a livello globale.
    Molti banchieri, ad esempio, sono stati di fatto costretti dai datori di lavoro a trasferirsi in un Paese europeo dopo che la loro società aveva spostato la sede in un hub finanziario del continente, come Amsterdam, Parigi o Francoforte.
    Sicuramente oltre alla Brexit ha giocato un ruolo molto importante il clima politico internazionale degli ultimi anni, che ha allontanato gli uomini d’affari dei Paesi emergenti. Fra le ragioni c’è sia la stretta relativa ai regolamenti sulla provenienza dei capitali esteri (incluse le norme antiriciclaggio) sia le sanzioni britanniche nei confronti di Stati entrati in cattivi rapporti con l’Occidente. Cinesi e arabi hanno investito in passato ingenti capitali nel Regno.
    Mentre Londra è stata a lungo un polo di attrazione per gli oligarchi russi, che insieme ad altri super-ricchi hanno acquistato proprietà di lusso contribuendo a gonfiare la bolla del settore immobiliare, fino a quando i rapporti con Mosca sono entrati in crisi, in particolare dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la raffica di sanzioni contro gli imprenditori di spicco.
    Le presenze di milionari restano comunque ancora alte, se ne contano infatti ben 737 mila nel Regno, ma emergono nuove destinazioni preferite da molti ricchi in Medio Oriente, a partire dagli Emirati Arabi Uniti, e in Asia. Proprio gli Emirati,soprattutto Dubai, hanno attirato il maggior afflusso di milionari l’anno scorso secondo Henley & Partners. Fra i fattori interni che penalizzano la Gran Bretagna c’è l’instabilità politica emersa l’anno scorso con la compagine di governo segnata da ben tre cambi di leadership in pochi mesi e anche un’economia non certo in fase espansiva ma che anzi stenta a riprendersi in diversi settori ed è meno capace di attirare investitori e uomini d’affari.   

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    Mattarella: 'Unire e non dividere, unità rafforza l'Italia'

    Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Teatro Grande di Brescia per la cerimonia di apertura di Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura. L’evento si è tenuto in contemporanea nelle due città, a Brescia al Teatro Grande e a Bergamo al Donizetti. Ad accogliere Mattarella al suo arrivo, tra gli altri, il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, e il governatore lombardo Attilio Fontana. Il presidente della Repubblica aveva visitato la provincia di Brescia durante i mesi più duri della pandemia da Covid. Il primo novembre del 2020 aveva deposto una corona di fiori al cimitero di Castegnato, per commemorare le vittime delle pandemia che sono state numerose in questo territorio. Nel 2021 Mattarella è invece stato in vista a Brescia, il 18 maggio, giorno in cui aveva visitato anche il centro vaccinale della città.
    Si sono alzati tutti in piedi all’arrivo del presidente della Repubblica i 205 sindaci bresciani presenti al Teatro Grande. Al Capo dello Stato il pubblico presente in teatro, circa mille persone, ha tributato un lungo applauso di circa 3 minuti. La cerimonia è stata aperta dall’inno di Mameli cantato da un coro di bambini accompagnati dal pianoforte e dall’Inno alla Gioia, inno dell’Unione Europea.
    “Brescia e Bergamo sono un esempio con le loro virtù civiche di ieri e d’oggi – ha detto il presidente Sergio Mattarella -. Città duramente colpite dalla prima ondata della pandemia, quando un virus aggressivo e sconosciuto ha mietuto, nel nostro Paese, migliaia di vittime. E hanno saputo reagire, dando vita, e alimentando con i loro valori, quel modello di solidarietà che ha consentito di affrontare la crisi”.
    “Stiamo rivivendo in Europa la tragedia della guerra – ha aggiunto il capo dello Stato -, che speravamo fosse riposta per sempre negli archivi della storia dopo gli orrori che abbiamo allora conosciuto. Ed è proprio il mettere la dignità integrale della persona al centro di ogni azione che ci porta a stare dalla parte di chi è aggredito e lotta per la propria indipendenza e libertà”. 
    “Nell’anno appena concluso un forte segnale di unità e innovazione è stato lanciato da una piccola isola, incantevole, Procida. La cultura non isola, hanno proclamato. La cultura, infatti, unisce e moltiplica. È una forza dei campanili quella di saper unire e non dividere le energie. Voi raccogliete, nel nord del nostro Paese, lo stesso testimone di Procida; a conferma dell’unità che rafforza l’Italia”. 
    “Quando, all’Assemblea costituente, si discusse se inserire la promozione della cultura tra i principi fondamentali della nostra Carta, non mancarono dubbi e qualche resistenza. Ma la Repubblica si assunse solennemente quel compito. E apparve l’art.9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”. “Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Vi si è, recentemente, aggiunta la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi – ha aggiunto Mattarella -. Il procedere della nostra storia ha dimostrato quanto il peso e il valore della cultura siano diventati determinanti per il progresso del nostro popolo. Fu una scelta lungimirante, di grande visione. Lo ricordiamo con riconoscenza, a 75 anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione”. 
    “La cultura è strettamente connessa con la libertà: di studio, di ricerca, di espressione del proprio pensiero. Ce lo ricorda – ancora una volta – la nostra Costituzione. L’arte e la scienza sono libere, recita l’art.33; mentre l’art.21 dispone il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero. L’esercizio che Brescia e Bergamo, Capitale della cultura, si apprestano a intraprendere è, quindi, un grande esercizio di libertà, cui guarderà l’intero Paese”. 
    Una standing ovation di tutto il pubblico del teatro Grande di Brescia e del teatro Donizetti di Bergamo per il presidente della Repubblica Mattarella alla fine del suo discorso con cui si è conclusa la cerimonia di inaugurazione di Bergamo-Brescia Capitale Italiana della Cultura. Mentre lasciava la sala di Brescia il presidente si è fermato molte volte a stringere le mani dei sindaci che hanno gremito la platea per l’occasione, 205 da tutta la provincia di Brescia. Ad accompagnare l’uscita di Mattarella un lungo applauso.
    Il rilancio “trae origine dalla cultura che da sempre è il forte antidoto alla sofferenza. Occorre raccogliere le energie dal territorio per garantire crescita e sviluppo”: così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in occasione della cerimonia di inaugurazione ufficiale di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 durante la quale plaude alle iniziative che vedono la “prospettiva di rinascita attraverso la scelta nobile della cultura”.
    Gori: ‘Forte valore simbolico’L’anno che vede Bergamo e Brescia Capitale della Cultura italiana è “un grande privilegio, che viviamo con orgoglio e gratitudine nei confronti di chi ha voluto accogliere l’istanza” inviata nel maggio del 2020 al ministro della Cultura, “anzitutto per dare alle nostre città, gravemente ferite dal virus, un segnale di reazione e di speranza. Il titolo, assegnato direttamente dal Parlamento, ha assunto per le nostre comunità un fortissimo valore simbolico, un vero orizzonte di rinascita. E ci ha motivati a costruire un progetto ambizioso, che speriamo all’altezza della generosità di quanti ci sono stati vicini”. È quanto ha detto Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, in diretta dal Teatro Donizetti e collegato con Brescia. “Bergamo e Brescia si racconteranno all’Italia e all’Europa lungo un anno che vuole essere l’innesco di un percorso di sviluppo, sociale ed economico, fondato sulla cultura – ha aggiunto Gori -. Alla base del progetto complessivo c’è infatti l’idea della cultura come grande forza generatrice, strumento di emancipazione per gli individui e per le comunità. Abbiamo lavorato per innescare queste energie, con l’obiettivo di tessere solide relazioni tra due territori che, benché confinanti, molto simili e accomunati da morfologia, storia, tradizioni e profilo economico, non avevano una consuetudine di collaborazione”.
    Del Bono: ‘Anno di rinascita e riscatto'”Abbiamo trovato nella grande comunità dei sindaci e degli amministratori sostegni sinceri e decisivi ed un Parlamento attento, di fronte alla richiesta avanzata da me e da Giorgio Gori, di potere godere di un anno di riscatto e di rinascita, cioè questo”: così il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, dal palco della cerimonia di inaugurazione di Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura del 2023. “Due città, una sola capitale. Due città che hanno progettato insieme, perché essere comunità conviene e fa stare bene, perché solo così si è più umili e lungimiranti – ha concluso -. Godiamoci questo anno e facciamolo anche per chi non c’è più, ma che ci guarda. È la sfida di due città e due terre che una volta tanto non competeranno una contro l’altra ma saranno una con l’altra”.

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    Pd: Bonaccini, cambio nome? Parliamo di sostanza

    “Cambiare il nome? Parliamo di sostanza. E poi a me il nome Pd piace”: così il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, candidato alla segreteria del Pd, ha risposto all’ANSA che, poco fa, a Potenza, gli ha chiesto un giudizio sulla proposta del vicesegretario del partito, Giuseppe Provenzano, di ripensare il nome del Partito democratico. “Temo che se le prossime settimane le spendiamo a discutere sul cambio del nome o del simbolo discuteremmo di forma quando invece, mai come oggi – ha aggiunto Bonaccini – serve parlare di sostanza”.La proposta del cambio di nome del Pd dopo il congresso lanciata oggi da Provenzano “penso che nasca anche da Bologna, dal sindaco Lepore, ed è sicuramente un tema che può essere sottoposto agli iscritti anche se in questo momento questo congresso ci deve servire innanzitutto a mettere al centro idee, contenuti e una visione chiara, coraggiosa”. Lo ha detto la candidata alla segretaria del Pd Elly Schlein a margine dell’incontro pubblico di Napoli.”In questi giorni vedo una voglia di partecipare non solo alla ricerca di un o una leader, ma per metterci un po’ della propria competenza, di tempo ed energia per costruire un Pd nuovo e per costruire un partito che abbia più ascolto della base. A noi non serve né un partito degli eletti né un partito delle correnti, ci serve un partito che sia davvero della sua comunità e che sappia ascoltarla su alcune scelte fondamentali, senza paura di consultarla”. Lo ha detto la candidata alla segreteria del Pd Elly Schlein a Napoli “Da questo punto di vista – ha detto – il ponte che stiamo vedendo è tra un pezzo di militanti della base del partito che hanno voglia di riscatto e tornare a essere orgogliosi del simbolo che hanno nella bandiera, una parte di persone che si erano allontanate in questi anni perché delusi da alcune scelte, e una parte che si affaccia per la prima volta, molti giovani, mondi associativi, culturali, sindacali. So che un pezzo del gruppo dirigente ha preferito fare altre scelte, va bene così, è un congresso ed è fatto apposta. A me piace quando ci confrontiamo sulle idee e sulla linea politica, di certo io non sono una che sta offrendo posti, al massimo sto offrendo un posto nuovo da ricostruire insieme per farci sentire tutti di nuovo a casa”.

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    Card.Mueller, a S.Marta cerchio magico decide anche nomine

     Il Papa è attorniato da un “cerchio magico”. Lo dice il card. Gerhard Mueller nel libro “In buona fede” con Franca Giansoldati (Solferino) in uscita a giorni. “Vi è una sorta di cerchio magico che gravita attorno a Santa Marta formato da persone che, a mio parere, non sono preparate dal punto di vista teologico”, dice l’ex Prefetto della Dottrina della Fede aggiungendo che “in Vaticano sembra che ormai le informazioni circolino in modo parallelo, da una parte sono attivi i canali istituzionali purtroppo sempre meno consultati dal pontefice, e dall’altra quelli personali utilizzati persino per le nomine dei vescovi o dei cardinali”.
    Non si può punire qualcuno senza avere in mano le prove della sua colpa. Questo modo di agire è capitato di frequente in Vaticano e non riguarda solo il singolare caso Becciu, ma è accaduto persino dentro la Congregazione per la Dottrina della Fede quando furono mandati via alcuni sacerdoti senza ragioni, dall’oggi al domani”. Lo dice il card. Gerhard Mueller nel libro “In buona fede”, con Franca Giansoldati, per le edizioni Solferino. “Per il cardinale Becciu la questione è macroscopica anche perché amplificata dai mass media: è stato umiliato e punito di fronte al mondo senza che gli sia stata data alcuna possibilità di difesa. Ora si aspetta la fine del processo in corso al tribunale vaticano. Eppure dovrebbe valere per chiunque la presunzione di innocenza, un diritto sacrosanto dai tempi degli antichi romani”. Mueller afferma che “Francesco ha deciso di punirlo severamente dopo che qualcuno era andato da lui, a Santa Marta, per mostrargli un articolo de L’Espresso, un settimanale italiano che riportava un’inchiesta sul cardinale. Ma come si fa ad agire in base a un articolo di stampa?”, si chiede l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
    Sulla questione degli abusi non tutti nella Chiesa vengono trattati allo stesso modo. Lo dice il card. Gerhard Mueller, ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, parlando in particolare del caso di mons. Gustavo Zanchetta. “Zanchetta fa discutere poiché ha potuto godere di uno status privilegiato in quanto amico del Papa. Di norma le amicizie non possono influenzare il procedere della giustizia, tutti devono essere trattati in modo uguale”. Muller – nel libro “In buona fede” con Franca Giansoldati – parla anche del caso di “don Mauro Inzoli, un sacerdote vicino a Comunione e Liberazione. Il tribunale vaticano avviò un processo su di lui alla fine del quale si decise di ridurlo allo stato laicale perché fu riconosciuto colpevole di crimini. Purtroppo però vi fu un cardinale di curia che andò a bussare a Santa Marta, chiedendo clemenza. Davanti a questo interventismo il Papa si convinse e scelse di modificare la sentenza aggiustando la pena a Inzoli, stabilendo che rimanesse sacerdote ma con il divieto di indossare in pubblico l’abito sacerdotale o il clergyman e senza presentarsi alle comunità come consacrato. Rimaneva consacrato ma non poteva mostrarsi agli estranei come tale. Questo è solo un esempio”.       

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    Mattarella, in Carta diritto a manifestare proprio pensiero

    (ANSA) – ROMA, 20 GEN – “La cultura è strettamente connessa
    con la libertà: di studio, di ricerca, di espressione del
    proprio pensiero. Ce lo ricorda – ancora una volta – la nostra
    Costituzione. L’arte e la scienza sono libere, recita l’art.33;
    mentre l’art.21 dispone il diritto di manifestare liberamente il
    proprio pensiero. L’esercizio che Brescia e Bergamo, Capitale
    della cultura, si apprestano a intraprendere è, quindi, un
    grande esercizio di libertà, cui guarderà l’intero Paese”. Lo ha
    detto il presidente Sergio Mattarella parlando a Brescia alla
    cerimonia di inaugurazione di Capitale italiana della Cultura
    2023, insieme alla città di Bergamo. (ANSA).