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    Riforme: i tre modelli sul tavolo del governo

    Il dibattito sulle riforme tra maggioranza e opposizione verte essenzialmente sulla forma di governo e i tre modelli sui quali la presidente del Consiglio Giorgia Meloni insiste sono quelli del presidenzialismo, del semipresidenzialismo e del premierato con l’elezione diretta del capo del governo.
    PRESIDENZIALISMO – E’ da sempre il pallino di Giorgia Meloni che ha detto più volte di guardare con favore al modello americano, ma quella forma di governo, come sottolinea anche il costituzionalista Stefano Ceccanti, si basa sulla rigida separazione tra un potere legislativo bicamerale ed un Esecutivo fondato sulla figura del Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. Il Governo presidenziale è abbastanza stabile, ma la rigida separazione tra le istituzioni fa sì che, soprattutto in caso di maggioranze politiche opposte, la capacità decisionale, alla fine, sia ridotta. E proprio questo è il motivo per cui nessuna grande democrazia europea ha sinora pensato di importarlo.
    SEMIPRESIDENZIALISMO – Quando si parla di governo semipresidenziale si fa riferimento soprattutto all’esperienza francese dove c’è un rapporto di fiducia tra Camera e Governo come nelle altre democrazie parlamentari, ma se ne allontana perché i leader di partito anziché competere per la carica di Primo Ministro si contendono quella di Presidente della Repubblica, che è quindi il vero capo dell’Esecutivo, mentre l’altro vertice del governo, il Primo Ministro, ne diventa sostanzialmente un esecutore. Il Presidente dura in carica 5 anni, ma spesso procede a cambi di Governo, anche del Primo Ministro. In molti in Italia si sono ispirati a questo modello, anche per questioni di flessibilità, ma farebbe perdere al presidente della Repubblica il ruolo di garanzia che è previsto invece nella nostra Costituzione.
    PREMIERATO – Per premierato si intende una forma di governo che mira ad ottenere con regole formalmente diverse, che tengano conto della debolezza del sistema dei partiti italiani, risultati analoghi a quelli delle grandi democrazie parlamentari, ossia governi di legislatura basati di norma su coalizioni che riconoscano come leader chi sia stato indicato, prima del voto, dal partito più votato. Il Governo nascerebbe quindi formalmente in Parlamento, ma sostanzialmente dal voto degli elettori. Poi c’è anche una variante estrema che punta a importare le regole vigenti per comuni e regioni, quella che il Terzo Polo chiama ‘Il sindaco d’Italia’: è l’elezione diretta del vertice dell’Esecutivo con tanto di scioglimento automatico delle Camere in caso di sfiducia o dimissioni. Ma di premierato ci sono forme diverse, come quella proposta dalla Tesi 1 dell’Ulivo del 1996 che prevede un’indicazione del premier sulla scheda elettorale in luogo di un’elezione diretta.   

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    Dagli Usa alla Germania, le Costituzioni a confronto

    Nei principali Paesi dell’Occidente sono diversi e variegati i modelli costituzionali. La loro architettura definisce, tra l’altro, la separazione dei poteri e i sistemi con cui vengono eletti i vertici delle cariche istituzionali.
    FRANCIA: in base alla Costituzione entrata in vigore nel 1958, nel paese vige il semipresidenzialismo contraddistinto dal rafforzamento dell’esecutivo e dalla centralità del presidente della Repubblica. L’esecutivo ha quindi una doppia struttura che ha comunque a capo il presidente votato dai cittadini e un primo ministro. Il presidente della Repubblica presiede il Consiglio dei ministri, vigila sul rispetto della Costituzione, garantisce l’integrità del territorio e l’indipendenza dell’autorità giudiziaria. Il premier guida l’azione di governo. Il primo è eletto a suffragio universale diretto e il suo mandato dura 5 anni. Il secondo viene nominato dal presidente della Repubblica (è sua prerogativa esclusiva).
    GERMANIA: è una repubblica federale e il perno dell’esecutivo è il cancelliere, eletto dal Bundestag (il Parlamento) su proposta del presidente federale che lo nomina. Il cancelliere propone la nomina e la revoca dei ministri, ne guida l’attività e può proporre lo scioglimento del Bundestag se una mozione di fiducia non è approvata dalla maggioranza dei membri del Parlamento.Peculiarità del sistema tedesco è la sfiducia costruttiva: il Bundestag può sfiduciare il cancelliere solo avendo la certezza di poter eleggere un successore a maggioranza dei suoi membri.
    GRAN BRETAGNA: Non ha una Carta costituzionale codificata ma un insieme di norme e statuti che fanno riferimento ad una organizzazione consolidata dello Stato. E’ una monarchia costituzionale parlamentare che si fonda su tre organi: la Corona, l’esecutivo e il Parlamento. La Corona nomina il primo ministro sulla base dei risultati delle elezioni della Camera dei Comuni. Il premier nomina e revoca i ministri, determina la politica del governo e può chiedere al re lo scioglimento anticipato delle Camere. Sul fronte parlamentare, il modello è un bicameralismo non simmetrico con la Camera dei Lords, più simbolica e di 800 membri, e la Camera dei Comuni che è l’assemblea legislativa vera e propria con ampi poteri e 650 membri.
    SPAGNA: è una monarchia costituzionale con a capo il re e fondata sulla divisione dei poteri. Il legislativo viene esercitato dalle due Camere, con il Congresso dei deputati che dà la fiducia al capo del governo, ne controlla l’azione e può esercitare la sfiducia costruttiva. Il potere esecutivo spetta al premier – proposto dal re, soggetto alla fiducia del Parlamento e poi nominato dal sovrano – con l’aiuto del suo Consiglio dei ministri.
    USA: E’ una repubblica federale formata da 50 Stati e un distretto federale, fondata sul presidenzialismo. In particolare, il potere politico è condiviso tra il presidente degli Stati Uniti, il Congresso (il Parlamento) e le corti giudiziarie federali. L’inquilino della Casa Bianca è nello stesso tempo capo dello Stato e guida dell’esecutivo.Complesso il sistema della sua elezione che passa attraverso il voto dei singoli stati poi conteggiato,con il sistema dei grandi elettori, su base nazionale. In carica per 4 anni e per non più di due mandati. Ma non può essere rimosso dal Congresso, tranne nel caso di impeachment.   

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    Al via la commissione Segre, la senatrice confermata presidente

    Si è costituita oggi al Senato la commissione Segre, dal nome della senatrice a vita che l’ha proposta nella precedente legislatura come commissione straordinaria per la lotta a intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio.
    Votata in Aula all’unanimità nel gennaio scorso, oggi si è riunita per la prima volta.
    Confermata Liliana Segre alla presidenza. Vicepresidenti sono Ester Mieli di Fratelli d’Italia, ex portavoce della comunità ebraica di Roma e nipote di un superstite all’Olocausto, e Francesco Verducci del Pd confermato nello stesso ruolo. I segretari sono la leghista Daisy Pirovano e Sabrina Licheri del M5s.
    Segre: tantissimo da fare, l’odio inizia dagli asili”C’è tantissimo lavoro da fare sempre, perché l’istigazione all’odio è una cosa che vediamo a livelli così bassi, addirittura negli asili”. Sono le parole rilasciate dalla senatrice a vita Liliana Segre a Senato tv subito dopo la sua elezione all’unanimità come presidente della commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. “Sono sicura – ha aggiunto – che le persone elette come me e tutte e audizioni che verranno saranno non certo di soluzione i problemi ma di grande aiuto alle difficoltà che tutti noi affrontiamo tutti i giorni”. Segre parla poi del risultato dell’unanimità per la sua presidenza “mi ha commosso, perché non sempre c’è stata unanimità nel passato di questa commissione. E’ una commissione a cui tengo tantissimo soprattutto per quello che riguarda l’intolleranza e l’istigazione all’odio. Cominciare questi lavori e cominciare le audizioni di specilaisti in questi temi mi fa molto piacere, mi sembra una cosa importante che io ho promosso e progettato”. Infine la senatrice Segre interviene sul fenomeno dei social “Mi ha colto di sorpresa, perché io non sono collegata a niente di tutto questo, ma poi mi arrivano via social grandi manifestazioni di amore e anche di odio”.   

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    Addio a Massimo Milone, ex direttore di Rai Vaticano

       Aveva iniziato giovanissimo a fare il cronista a Telenapoli, una delle prime tv private italiane che con 380 chilometri di cavo collegava i televisori nelle case dei napoletani. Massimo Milone, 67 anni, giornalista della Rai, morto questa mattina nella sua abitazione per un malore improvviso, poi di strada ne ha fatta tanta ma ha sempre avuto l’entusiasmo, la curiosità e l’umiltà di quando mise piede per la prima volta nella redazione del telegiornale della pioneristica tv.    Laureato in giurisprudenza, entrato poi in Rai nella sede di Napoli, ha seguito come inviato alcuni dei più importanti avvenimenti di cronaca e attualità politica degli ultimi 40 anni. È stato caporedattore della sede partenopea (per dieci anni) e quindi il trasferimento a Roma come direttore di Rai Vaticano proprio il giorno delle dimissioni di Ratzinger. Dal 2002 al 2008 è stato presidente dell’Unione cattolica stampa italiana.    Lo scorso anno era andato in pensione ma era sempre pronto a dare il suo contributo anche se ad averlo segnato era stata la morte prematura (nel marzo dell’anno scorso) di suo fratello Marcello, pure lui giornalista, per decenni in servizio all’ufficio stampa della Regione Campania.    Per anni è stato anche collaboratore del quotidiano “Avvenire”, per cui ha raccontato con scrupolo le opere e i protagonisti della Chiesa di Napoli, incrociando sul suo percorso professionale gli utimi quattro arcivescovi che si sono succeduti sulla cattedra di Sant’Aspreno: da Ursi a Giordano, da Sepe a Battaglia.    Con l’inizio del Giubileo straordinario della Misericordia ha ideato lo speciale Il Giubileo di Francesco, in onda su Rai1, e ha seguito i viaggi del pontefice a Cuba, negli Stati Uniti e in Messico. È stato autore di numerosi libri e saggi.    I funerali si svolgeranno domani, (ore 11), nella chiesa dell’arciconfraternita dei Pellegrini – alla Pignasecca – dove solo qualche settimana fa, in una sala affollata, ha presentato il suo ultimo libro. La cerimonia religiosa sarà presieduta dall’arcivescovo emerito di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe.    Numerosi i messaggi di cordoglio espressi alla famiglia. “Un grande professionista al servizio della Rai e, particolarmente della Campania”, ha scritto il presidente del Consiglio regionale, Gennaro Oliviero. Un giornalista “aperto al dialogo e al confronto con mondi e culture differenti”, ha aggiunto il presidente della giunta regionale della Campania, Vincenzo De Luca. Per il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, Massimo Milone era “uno straordinario professionista di grande sensibilità. A lui va la gratitudine e il ricordo della città”.

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    Le riforme costituzionali e il nodo referendum, ecco i numeri

    La maggioranza sembra determinata a procedere sulla strada delle riforme cercando un consenso ampio ma anche con la forza di affrontare un eventuale referendum che si terrebbe qualora non venisse ottenuta la maggioranza dei due terzi nella seconda delle votazioni in ciascuna Camera.
    Una maggioranza, che, del resto, a conti fatti, è piuttosto complicata da raggiungere e si attesta a 267 deputati e 137 senatori (nel computo vanno inseriti anche i senatori a vita).
    Attualmente a Palazzo Madama, per arrivare a quella soglia alla maggioranza mancano ben 21 voti. Il centrodestra può contare, infatti, su 116 senatori: 63 di FdI, 29 della Lega, 18 di FI e 6 di Noi Moderati. Non è da escludere che si possano aggiungere i 5 senatori delle Autonomie (che si astennero sulla fiducia al governo Meloni e che hanno fatto qualche apertura sul modello del premierato). Se il gruppo di Azione-Italia Viva, composto da 10 senatori, nel suo complesso decidesse di sostenere le riforme si arriverebbe, così, a quota 131 e, dunque, a 6 voti da quota 137. Da capire quali scelte faranno i 6 senatori a vita.++
    Ancora più complessa la partita dei numeri alla Camera. Per quanto riguarda Montecitorio, infatti, la maggioranza conta su 118 deputati di FdI, 66 della Lega, 44 di Forza Italia e 10 di Noi Moderati: in totale si tratta di 238 voti certi. A questi si potrebbero aggiungere i 4 delle Minoranze linguistiche e si arriva, così, a 242. Anche in questo caso l’eventuale apporto del gruppo di Azione-Italia Viva alla Camera, che è di 21 componenti, non sarebbe comunque sufficiente ad arrivare ai due terzi dei deputati: ci si fermerebbe infatti a 263.
    La storia delle riforme e dei tentativi di modifica costituzionale, così come di riforma della legge elettorali, è fatta anche di alleanze inattese ma, di certo, almeno guardando al bilancino, il referendum sembra allo stato, complicato da evitare anche considerando l’eventuale apporto del gruppo più dialogante dell’opposizione.   

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    Valditara: ‘1 giovane su 5 è fragile negli apprendimenti’

    La lettura congiunta dei dati sulla dispersione scolastica classicamente intesa (12,7%) e su quella implicita (9,5%) mostra che, a livello nazionale, la popolazione studentesca che si trova in condizione di fragilità degli apprendimenti si attesta a oltre il 20 per cento, un giovane su 5.
    Lo ha detto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara durante una audizione in corso in commissione Cultura in Senato.    “L’obiettivo che impone il Pnrr è ridurre la percentuale di 2,5 punti, evitando quindi che nei prossimi anni circa 470 mila giovani abbandonino la scuola prima del diploma”, ha aggiunto il ministro. 
    L’Italia negli ultimi 20-30 anni ha ottenuto grandi risultati nella lotta alla dispersione scolastica
    Basti pensare che nel 1992 era il 37,5 per cento, per attestarsi al 12,7 per cento nel 2021, come risulta dall’ultima rilevazione Eurostat. Nonostante ciò, i livelli di dispersione scolastica rimangono ancora troppo alti e il traguardo posto dal Pnrr per il 2026 è la riduzione al 10,2 per cento, fermo restando l’obiettivo di riduzione della dispersione al 9 per cento al 2030, nell’ambito della costruzione dello Spazio Europeo dell’istruzione. Nel 2021 l’Italia aveva un tasso di abbandono precoce dell’istruzione e della formazione al 12,7 per cento, migliore solo di quello della Spagna (13,3) e della Romania (15,3) tra i paesi dell’Ue, mentre 16 Stati membri hanno già raggiunto l’obiettivo di scendere sotto la soglia del 9 per cento, in largo anticipo rispetto al 2030.
    Analizzando i dati italiani si nota una forte disparità tra regioni e uno svantaggio molto accentuato e intollerabile nel Meridione.
    In Sicilia l’abbandono scolastico si attesta al 21,1 per cento, in Puglia al 17,6 per cento, in Campania al 16,4 per cento e in Calabria al 14 cento. I numeri li ha forniti il ministro dell’Istruzione Valditara 
    Tra le azioni volte a contrastare la dispersione scolastica, ci sono anche gli interventi di edilizia per le mense scolastiche per i quali sono stati previsti 600 milioni di euro con i fondi del Pnrr. La letteratura rilevante infatti ha messo in luce come il tempo pieno sia uno strumento fondamentale per combattere la dispersione scolastica e può portare benefici agli alunni, soprattutto a quelli in maggiore difficoltà, continua il ministro. Merita un particolare richiamo anche il potenziamento dei sistemi di vigilanza delle assenze e di segnalazione dell’evasione scolastica, per attivare tempestivamente azioni mirate al reinserimento, in tempo utile, dell’alunno e al recupero della regolare frequenza”, ha proseguito Valditara, che ha aggiunto: “Non chiudiamo nessun plesso scolastico mentre evidenzio che non ci sono più docenti disponibili ad andare nelle aree disagiate.
    Dopidiché il ministro sottolinea l’importanza dell’educazione tecnico professionale “che è di serie A. Mi impegno a presentare entro maggio una proposta in via sperimentale che vada ad affiancare il percorso tradizionale”, conclude.
    Il ministero dell’Istruzione ha individuato le scuole i cui allievi necessitano di un potenziamento delle competenze minime in italiano, matematica e inglese, sulla base delle rilevazioni annuali predisposte dall’Invalsi e che sono quindi a rischio di interruzione della carriera scolastica e di dispersione.
    Le misure da adottare da parte delle scuole beneficiarie prevedono esperienze di apprendimento attive, personalizzate e flessibili per adattarsi ai bisogni formativi di ciascuno, con attività di supporto. Il ministero ha quindi definito i criteri e le modalità per il riparto di uno stanziamento pari a 500 milioni di euro, previsto dal Pnrr, per le scuole beneficiarie del progetto. Si tratta di azioni che consistono nella realizzazione di percorsi di orientamento, di potenziamento delle competenze di base, di motivazione e accompagnamento, di orientamento per le famiglie, percorsi formativi e laboratoriali co-curricolari e organizzazione di team per la prevenzione della dispersione scolastica.
    Al 28 febbraio 2023 tutte le istituzioni scolastiche individuate dal decreto hanno presentato i propri progetti, che oggi sono in corso di attuazione. L’investimento prevede, inoltre, la realizzazione di una piattaforma per le attività di formazione, con la finalità di creare un canale di interazione semplice, veicolando contenuti didattici e di orientamento, favorendo la comunicazione e il monitoraggio continuo dei processi di apprendimento e offrendo risposte e rinforzi motivazionali costanti allo studente durante tutto lo svolgimento delle attività.
    Tra le recenti iniziative il ministro Valditara ha poi ricordato la sperimentazione di nuove modalità per contrastare la dispersione scolastica che prevede interventi in 150 scuole del Mezzogiorno e che farà parte di una apposita “Agenda Sud”. Il programma di questo intervento dedica particolare attenzione alla funzione di tutorato formativo, orientativo e di potenziamento. Quest’ultimo è rivolto proprio agli studenti a rischio di abbandono e di insuccesso scolastico che mostrano bassi livelli motivazionali e specifiche fragilità in alcune discipline. La sperimentazione mira, infine, al coinvolgimento dei genitori e ad una piena e reale condivisione di responsabilità con le famiglie. 

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    Calenda, sulle riforme una collaborazione possibile c’è

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Siamo disponibili a collaborare per
    l’ovvia ragione che anche noi condividiamo l’esigenza di avere
    maggiore stabilità dei governi e l’esigenza di avere una
    maggiore efficienza dell’apparato complessivo. Una
    collaborazione possibile per noi c’è”. Lo ha detto alla Camera
    il leader di Azione, Carlo Calenda, dopo l’incontro del Terzo
    polo con la presidente del consiglio, Giorgia Meloni, sulle
    riforme istituzionali.   
    “Abbiamo definito il perimetro d’intervento: per noi c’è una
    linea rossa assoluta – aggiunge – che è la figura di garanzia di
    unità nazionale del presidente della Repubblica, l’unica
    istituzione che garantisce l’unità, toccarla sarebbe un errore
    grave. Siamo favorevoli all’indicazione del presidente del
    Consiglio sul modello del sindaco d’Italia”. (ANSA).   

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    Meloni, pronti a valutare commissione ad hoc per le riforme

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Valuteremo anche la proposta che
    avete fatto sulla legge ad hoc relativa alla procedura delle
    riforme. Credo si possa dialogare su tutto purché non ci siano
    intenti dilatori”. Così la premier Giorgia Meloni, a quanto si
    apprende, parlando dell’istituzione di una commissione
    parlamentare ad hoc nel corso dell’incontro con la delegazione
    M5s. (ANSA).