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    Riforme: Calenda,Meloni avanti anche da sola? Grandissimo errore

    (ANSA) – ROMA, 10 MAG – Avanti con le riforme “escludendo le
    opposizioni? Se il governo lo facesse farebbe un grandissimo
    errore”. Lo afferma il leader di Azione, Carlo Calenda, ad Agorà
    su Rai3, commentando le parole di Giorgia Meloni che ancora ieri
    aveva ricordato come questa maggioranza sia stata eletta con un
    mandato preciso. “Va bene il mandato elettorale”, osserva
    Calenda, “ma avevano anche detto che aumentavano le pensioni
    minime ma non lo hanno fatto… Quello che avevano scritto nel
    programma elettorale – aggiunge – è largamente disatteso”. E
    dunque: “se inizi una consultazione e contemporaneamente dici
    che se non siamo d’accordo fai comunque da solo… non era forse
    il caso di dirlo subito?”.   
    Ma Calenda guarda anche all’interno delle opposizioni
    spiegando che “se ti confronti con la maggioranza, tanto più ti
    devi confrontare con l’opposizione. E sulle riforme – spiega –
    bisogna confrontarsi con tutti. Per questo – conclude – sentirò
    le opposizioni oggi”. (ANSA).   

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    Ok dalle commissioni, il dl Bollette il 17 in aula alla Camera

    (ANSA) – ROMA, 10 MAG – Le commissioni riunite Finanze e
    Affari sociali della Camera hanno completato l’esame del decreto
    bollette e votato il mandato ai relatori (Guerino Testa di Fdi e
    Annarita Patriarca di Fi) a riferire in Aula, dove il
    provvedimento arriverà il 17 maggio per l’avvio della
    discussione generale. (ANSA).   

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    Riforme, Meloni: ‘Stabilità prioritaria’. Schlein: ‘No al premierato’

    “L’elezione diretta del premier assicura stabilità al governo: è questa la più potente riforma economica che possiamo realizzare. E’ una nostra priorità e formuleremo una nostra proposta. Spero in una condivisione ampia, che vada oltre la maggioranza ma non a costo di venir meno all’impegno assunto con i cittadini”. Giorgia Meloni tiene fede alle sue promesse in campagna elettorale e va avanti. Ma il Pd e il M5s non ci stanno a un radicale stravolgimento dell’architettura istituzionale, al passaggio da una Repubblica parlamentare a una presidenziale. E in uno stato di incertezza sull’esito delle trattative con l’opposizione spunta anche l’ipotesi di una commissione ad hoc. Per la leader dem Elly Schlein, quella delle riforme “non è una priorità del Paese”. Bene rafforzare la rappresentanza e la stabilità magari riformando la legge elettorale, senza liste bloccate, con la sfiducia costruttiva, ma non a scapito dei “pesi e dei contrappesi”, del parlamento e soprattutto ai danni del presidente della Repubblica. “Non siamo per ridimensionare il ruolo del presidente della repubblica verso un modello di un uomo o un donna sola al comando”, ha detto la segretaria del Pd. 

    Agenzia ANSA

    Tante proposte e nessun risultato. Spunta il totonomi (ANSA)

    Anche Giuseppe Conte è d’accordo sulla necessità di dover rafforzare i poteri del premier ma “in un quadro equilibrato, che non mortifichi il modello parlamentare”. E soprattutto insiste sul mantenimento della funzione “chiave”. del Presidente della Repubblica “di garante della coesione nazionale”.
     Per Benedetto della Vedova, di +Europa, l’elezione diretta provocherebbe addirittura “un conflitto istituzionale” con il Colle. Secondo Nicola Fratoianni (Si), la Costituzione “va attuata, non cambiata”. Un’ apertura viene da Azione, con l’idea del “Sindaco d’Italia”, ma anche Carlo Calenda avverte: “Nessuno tocchi le funzioni del presidente della Repubblica”. Quindi ritiene “necessario” parlare con le altre opposizioni. Su questo punto è dello stesso avviso Maria Elena Boschi: “Noi di Italia Viva riteniamo che non ci sia la necessità di un coordinamento con le opposizioni, tantomeno con i 5 stelle”. 

    Agenzia ANSA

    La maggioranza sembra determinata a procedere sulla strada delle riforme cercando un consenso ampio ma anche con la forza di affrontare un eventuale referendum che si terrebbe qualora non venisse ottenuta la maggioranza dei due terzi nella seconda delle vo… (ANSA)

    E’ questo in sintesi l’esito dei colloqui che la premier ha avuto, insieme a una folta delegazione del governo, con tutti i massimi vertici delle forze di opposizione, nel corso di questa lunga e attesissima sessione di consultazioni. Un formato, quello dei faccia a faccia nella biblioteca del presidente a Montecitorio, che ricorda quello usato negli incontri per la formazione di un nuovo governo. Va bene il confronto, tuttavia, per l’ìnquilina di palazzo Chigi, è chiaro che indietro non si torna. 

    Agenzia ANSA

    Nei principali Paesi dell’Occidente sono diversi e variegati i modelli costituzionali. La loro architettura definisce, tra l’altro, la separazione dei poteri e i sistemi con cui vengono eletti i vertici delle cariche istituzionali. (ANSA)

    Ma se l’obiettivo è chiaro, al di là delle soluzioni tecniche, resta ancora da decidere lo strumento più adeguato per raggiungerlo. Le strade tradizionalmente sono essenzialmente due: o seguire la via ordinaria, presentando un testo di legge in parlamento o creare, appunto, una Commissione ad hoc, un’ennesima Bicamerale o un’altro organismo, magari presieduto da un esponente dell’opposizione, dove concentrare gli sforzi di riforma. 

    Agenzia ANSA

    Presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato (ANSA)

    Su questo punto, la premier non si sbilancia, l’importante per lei è fare presto e bene: “Il famoso ‘tutto cambia perché nulla cambi’ – è il suo ragionamento nel corso del confronto con i Cinque Stelle – non è accettabile, ma se ci sono strumenti che ci consentano di fare in tempi ragionevoli ciò che dobbiamo ci possiamo confrontare. Fermo restando che la sede propria esiste già, è la Commissione affari costituzionali, che questo lavoro fa e ha sempre fatto”. Sempre per quanto riguarda la commissione ad hoc per le riforme, osserva che “si può dialogare su tutto purché non ci siano intenti dilatori”. Su questo tema, Conte ha lanciato l’idea della Bicamerale. Fredda Elly Schlein: “lo strumento del confronto saranno loro a stabilirlo. A noi più che lo strumento ci interessa la qualità e il perimetro di questo confronto”.

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    La maledizione delle commissioni bicamerali

       Nel corso della storia della Repubblica italiana in diverse occasioni partiti e governi hanno deciso di istituire commissioni bicamerali – formate per metà da senatori e per metà da deputati rispettando il principio di proporzionalità – per discutere di riforme costituzionali. Una via, questa, che in tutti i casi si è rivelata fallimentare.    Tre sono le commissioni formate in materia di progettazione di riforme istituzionali nelle precedenti legislature. La prima fu la commissione Bozzi nel 1983, che prevedeva la revisione di 44 articoli afferenti vari ambiti della Costituzione. Il progetto fallì per il mancato accordo tra i gruppi politici. Nel 1993 fu la volta della bicamerale De Mita- Iotti, che proponeva la definizione di una forma di governo neoparlamentare. Il testo, però, non fu nemmeno esaminato a causa della conclusione anticipata della legislatura. La terza bicamerale fu invece istituita nel 1997 dopo l’ormai famoso “patto della crostata” suggellato a casa di Gianni Letta tra Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi. La bicamerale aveva l’ambizione di riformare la seconda parte della Costituzione ma i lavori furono abbandonati per le divergenze politiche tra i partiti coinvolti.       E se la bicamerale della Meloni è al momento solo una delle ipotesi, si comincia già a parlare in Transatlantico, alla Camera, di chi potrebbe diventarne il presidente. Tra i nomi circola quello del senatore Marcello Pera (Fdi), ex presidente del Senato, costituzionalista già in passato impegnato nella questione riforme e che ora presiede la Commissione per la biblioteca e per l’archivio storico. Il ruolo potrebbe altresì essere ricoperto – secondo i rumors – anche dal senatore Pier Ferdinando Casini, a lungo componente delle Commissioni Affari esteri e comunitari e Difesa ed ex Presidente della Camera. Emma Bonino, di Più Europa, è uno degli altri nomi di spicco in campo, data la sua esperienza e attenzione nell’ambito delle riforme e della difesa dei diritti.
       Anche Maria Elena Boschi (Iv) potrebbe essere tra le papabili – si commenta – considerando il ruolo da ministro per le riforme costituzionali assunto durante il governo Renzi. Per quanto riguarda il Pd,cominciano a circolare i nomi di Debora Serracchiani, che si occupa di Giustizia nella segreteria di Schlein, e Andrea Orlando, ex ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Draghi. Passando al M5s, si parla – nei conciliaboli tra parlamentari – di Alfonso Colucci, già componente della commissione Affari costituzionali, e di Stefano Patuanelli, ex ministro dello sviluppo economico durante il governo Conte e delle politiche agricole con Mario Draghi. 

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    Meloni, oggi squilibri, riforme e autonomia unico pacchetto

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Sono anche disponibile a spiegare
    come l’autonomia e la riforma delle istituzioni centrali si
    tengono insieme non consideriamo che c’è una diversità
    fondamentale di orizzonte e autorevolezza, perché c’è un
    presidente del Consiglio che dialoga” con i governatori che “è
    non eletto, con orizzonte di un anno e mezzo. Anche questo
    produce uno squilibrio nel nostro ordinamento”. Così la
    presidente del Consiglio Giorgia Meloni al termine degli
    incontri con le opposizioni sulle riforme sottolineando che per
    questo “l’abbiamo pensato come unico pacchetto, si tengono
    insieme”. (ANSA).   

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    Meloni, irrinunciabili stabilità e rispetto del voto

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Tra gli obiettivi del programma c’è
    quella di riformare le istituzioni della Repubblica per
    garantire due obiettivi irrinunciabili: la stabilità dei governi
    e delle legislature e il rispetto del voto dei cittadini nelle
    urne”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni al
    termine degli incontri con le opposizioni sulle riforme.   
    “E’ stato un dialogo aperto, franco e collaborativo che ci ha
    aiutato ad avere le idee più chiare. Continueremo con altri come
    la Conferenza Stato-Regioni, con i sindaci e all’esito del
    ragionamento, fermo restando l’impegno assunto con i cittadini
    in campagna elettorale, formuleremo la nostra proposta”, ha
    aggiunto. (ANSA).   

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    Schlein, no ad un uomo o una donna sola al comando

    (ANSA) – ROMA, 09 MAG – “Ciò che non vogliamo e a cui non ci
    prestiamo è l’indebolimento di pesi e dei contrappesi previsti
    dalla Carta, così come non si tocca l’istituzione del Presidente
    della repubblica”. Lo ha detto alla Camera la segretaria del Pd,
    Elly Schlein, dopo l’incontro con la presidente del Consiglio,
    Giorgia Meloni, sulle riforme istituzionali. “Non siamo per
    ridimensionare il ruolo del presidente della Repubblica verso un
    modello di un uomo o un donna sola al comando”.   
    “Sottolineiamo che per noi questa discussione sulle riforme
    non è una priorità del paese, le priorità sono lavoro, sanità,
    Pnrr, clima, giovani, casa. Ci sentiamo vicini agli studenti e
    studentesse che anche in queste ore si stanno mobilitando perché
    non stanno trovando casa per il caro affitti”, ha aggiunto.   
    (ANSA).   

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    Gli archeologi italiani ambasciatori nel mondo

       C’è chi racconta il fascino di una vita passata a studiare gli affreschi rupestri dell’Africa, chi ricorda gli scavi pieni di sorprese in Iraq, chi racconta delle scoperte che hanno fatto la storia come quella dell’antica Ebla in Siria. Dalla protostoria all’età classica, da Cipro alla Siria, dalla Grecia fino all’Iraq, passando per il Pakistan e persino il Giappone, il gotha dell’archeologia italiana si ritrova per un giorno riunito nelle sale ricche di storia del Campidoglio, chiamato a raccolta dalla Farnesina per confrontarsi, discutere, identificare, se c’è, una modello italiano davvero riconoscibile nel mondo. Un occasione unica anche per capire i problemi, per illuminare le criticità, entrare nelle vite dei tantissimi studiosi che spendono le loro vite in terre spesso lontane, a contatto con popolazioni locali, talvolta in situazioni di pericolo per guerre, terremoti, terrorismo. Quello che ne viene fuori è un caleidoscopio di storie diversissime, da chi scava templi e palazzi dell’età classica a chi per mestiere segue la vita delle popolazioni nomadi della Mongolia. L’archeologia italiana “è una realtà composita”, sottolinea non a caso Alessandro De Pedys, vicedirettore generale per la diplomazia pubblica e culturale della Farnesina, aprendo la tavola rotonda che porta nel vivo la Giornata dell’archeologia italiana all’estero.    Eppure un filo conduttore sembra proprio esserci, sottolineato da molti, e lo si ritrova prima di tutto nell’approccio, nelle relazioni attente con le popolazioni con le istituzioni locali, nel rispetto e nell’ascolto. Un po’ una conferma della funzione sempre più importante, anche di mediatori che gli studiosi italiani rivestono all’estero, come ricorda Franco D’Agostino, che nell’Iraq meridionale dirige la missione di Abu Tbeirah, a 45 chilometri da Nassiria: “Nel 2010 siamo stati i primi a tornare, gli iracheni ci aspettavano, avevano voglia di pace e di ricostruzione, l’archeologia è la più pacifica delle attività”. Anche se i primi ad occuparsi del patrimonio iracheno devastato e saccheggiato dalla guerra, ricorda, “sono stati i nostri carabinieri dei beni culturali” e fondamentale è stata la cooperazione con i nostri diplomatici.    Gli altri accanto a lui annuiscono: l’archeologia sul campo, sintetizza Lorenzo Nigro, raccontando della sua missione a Betlemme , “è una esperienza di vita, si sta sul terreno con i colleghi stranieri, oggi quasi tutte le missioni sono congiunte.    E’ una sfida affascinante, l’archeologia insegna che bisogna rispettare l’altro”. Un rispetto che viene dalla condivisione di un patrimonio, dice, ma anche dalla credibilità scientifica degli studiosi italiani. Jacopo Bonetto, parla della Grecia, dove nel 1909 è nata la scuola di Atene, “In quelle aule si sono formati sei soprintendenti di Pompei, da Amedeo Maiuri a Massimo Osanna”. Daniele Petrella racconta del Giappone, dove ad oggi operano 3 missioni, anche qui con un primato: “Siamo stati i primi a cui i giapponesi hanno consentito di scavare”. Di un rapporto di grande empatia con la popolazione parla Francesca Lugli, etno archeologa da tanti anni operativa in Mongolia e in Russia. Un concetto ripetuto anche da Marcella Frangipane, per decenni alla guida della missione italiana in Anatolia orientale, secondo cui però la vera particolarità italiana è nell’attenzione alla conservazione e al restauro.    L’archeologia, sintetizza Paolo Matthiae, una vita dedicata alla grande scoperta italiana di Ebla in Siria, ha un ruolo fondamentale per la formazione dei funzionari, per la condivisione del metodo scientifico oltre naturalmente per le conoscenze storiche acquisite con gli scavi. Un mondo che si è formato nei decenni dalle esperienze dei primi del Novecento fino alle 246 missioni finanziate nel 2022. Condivisione, rispetto, scambio di saperi, sostegno alle popolazioni. La via italiana all’archeologia nel mondo oggi si presenta così.