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    Il Montenegro ha completato l’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale. “Ottime notizie” per la strada verso l’Ue

    Bruxelles – Si chiude dopo più di tre anni una crisi istituzionale che ha rischiato di mettere a repentaglio la strada del Montenegro verso l’adesione all’Unione Europea. Con il via libera a larghissima maggioranza delle nuova Assemblea nazionale, anche l’ultimo dei quattro giudici della Corte Costituzionale vacanti è stato nominato, permettendo così all’istituzione di ripristinare la sua piena funzionalità e al Paese balcanico di continuare il percorso verso l’adesione all’Unione Europea.
    L’elezione di Faruk Rasulbegović era attesa da nove mesi, quando l’Assemblea del Montenegro aveva dato l’ok a tre nomine ma non era riuscita a trovare l’accordo sul settimo giudice. L’istituzione di fatto in stallo dal 2020 si è sbloccata a fine febbraio con sei giudici su sette in carica, ma finora non era ancora stata istituita la piena operatività. Dopo il voto degli 81 deputati, il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, ha sottolineato che l’elezione dell’ultimo membro sono state finalmente create le condizioni necessarie per il pieno funzionamento della Corte Costituzionale. L’istituzione sta ancora smaltendo quasi tremila ricorsi sulla protezione dei diritti umani nel Paese accumulatisi nel corso degli ultimi tre anni.
    “Abbiamo ricevuto ottime notizie dal Montenegro“, ha commentato il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi: “Le nomine della Corte Costituzionale, attese da tempo, sono state finalmente completate, con un’impressionante maggioranza qualificata trasversale”. A questo punto da Bruxelles ci si aspetta “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso” per l’avvicinamento all’adesione Ue, a partire dalla nomina del nuovo Consiglio giudiziario e del procuratore-capo. Dopo anni di “profonda polarizzazione politica e instabilità” che hanno determinato “l’arenarsi dei progressi” del Paese più avanzato dei 10 che hanno intrapreso la strada verso l’Ue, ora con il nuovo governo c’è la possibilità concreta di mettere a terra i “parametri provvisori sullo Stato di diritto stabiliti nei capitoli 23 e 24” (‘giudiziario e diritti fondamentali’ e ‘giustizia, libertà e sicurezza’), si legge nel report specifico per il Montenegro del Pacchetto Allargamento Ue 2023 pubblicato lo scorso 8 novembre.

    La crisi istituzionale in Montenegro
    La chiusura dell’iter di nomina dei giudici della Corte Costituzionale è considerato di cruciale importanza a Bruxelles se si considera in particolare la contestatissima legge sugli obblighi del presidente nella nomina dell’esecutivo, che ha infiammato la seconda metà dello scorso anno. Considerato il fatto che la Corte Costituzionale è l’unico organismo istituzionale che può valutare nel merito la legge, senza la sua piena funzionalità non è possibile considerare il voto dell’Assemblea nazionale in linea con la raccomandazione della Commissione di Venezia, l’organo consultivo del Consiglio d’Europa che ha un ruolo-chiave nell’adozione di Costituzioni conformi agli standard europei.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-presidente del Montenegro, Milo Đukanović
    Eppure l’iter di approvazione della legge è proseguito lo stesso a Podgorica. Dopo il primo via libera di inizio novembre 2022 la tensione è aumentata esponenzialmente fino al voto decisivo di un mese più tardi. La legge permetterebbe ai parlamentari di firmare una petizione per la designazione di un primo ministro (con il supporto della maggioranza assoluta, cioè 41), nel caso in cui il presidente si rifiutasse di proporre un candidato: in caso di assenza della maggioranza, lo stesso presidente avrà l’obbligo di organizzare un secondo giro di consultazioni con i partiti e proporre un candidato. Al contrario, secondo la Costituzione del Montenegro il presidente ha solo il dovere di organizzare le consultazioni e proporre un premier designato con il sostegno firmato di almeno 41 parlamentari entro un massimo di 30 giorni. Il 20 settembre dello scorso anno l’ex-numero uno del Paese, Milo Đukanović, aveva proposto di tornare alle urne, dopo essersi rifiutato di confermare come nuovo primo ministro il leader dell’Alleanza Democratica (Demos), Miodrag Lekić, a causa del ritardo nella presentazione delle 41 firme a suo sostegno.
    La fine dei tre anni di turbolenza politica
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Montenegro, Jakov Milatović, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    Il 2023 chiude così a tutti gli effetti la crisi istituzionale (con la nomina di tutti e quattro i giudici della Corte Costituzionale) ma anche politica. Da febbraio a oggi è stato un anno di trionfi per il nuovo movimento europeista Europe Now, fondato e guidato da quelli che ora sono il primo ministro e il presidente del Montenegro – rispettivamente Milojko Spajić e Jakov Milatović – vincitori dalla doppia tornata elettorale in poco più di due mesi: il ballottaggio delle presidenziali del 2 aprile e le elezioni per il rinnovo del Parlamento dell’11 giugno. Il neo-premier Spajić – eletto nel giorno della visita a Podgorica della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – e il neo-presidente Milatović erano rispettivamente ministro delle Finanze e dell’Economia e dello Sviluppo economico nella grande coalizione anti-Đukanović (padre-padrone del Paese balcanico per 32 anni) guidata dal 4 dicembre 2020 al 28 aprile 2022 da Krivokapić. Durante l’anno e mezzo di governo i due hanno presentato un programma di riforme economiche intitolato proprio ‘Europe Now’, che comprendeva misure come il taglio dei contributi sanitari e l’aumento del salario minimo a 450 euro. I due tecnocrati hanno annunciato la volontà di fondare un nuovo partito di centro-destra liberale, anti-corruzione ed europeista dopo la caduta del governo Krivokapić nel febbraio 2022 – poi effettivamente fondato il 26 giugno – anticipando l’intenzione di collaborare con altre formazioni civiche e di centro in vista delle elezioni del 2023.
    Da sinistra: la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Montenegro, Milojko Spajić, a Podgorica (31 ottobre 2023)
    La nomina di Spajić e Milatović (i più giovani mai eletti alle due cariche istituzionali del Paese, entrambi all’età di 36 anni) ha messo fine a una fase di turbolenza per il Montenegro iniziata con le elezioni del 30 agosto 2020. In quell’occasione sono cambiati gli equilibri politici dopo 30 anni ininterrotti al potere per il Dps di Đukanović (sempre al governo o alla presidenza del Paese dal 1991). A guidare l’esecutivo per poco più di un anno è stata una colazione formata dai filo-serbi di ‘Per il futuro del Montenegro’ (dell’allora premier Zdravko Krivokapić), dai moderati di ‘La pace è la nostra nazione’ (guidata da Montenegro Democratico) e dalla piattaforma civica ‘Nero su bianco’ dominata dal Movimento Civico Azione Riformista Unita (Ura) di Dritan Abazović. Il 4 febbraio 2022 era stata proprio ‘Nero su bianco’ a sfiduciare il governo Krivokapić, appoggiando una mozione dell’opposizione e dando il via all’esecutivo di minoranza di Abazović.
    Lo stesso governo Abazović è però crollato il 19 agosto (il più breve della storia del Paese) con la mozione di sfiducia dei nuovi alleati del Dps di Đukanović, a causa del cosiddetto ‘accordo fondamentale’ con la Chiesa ortodossa serba. L’intesa per regolare i rapporti reciproci – con il riconoscimento della presenza e della continuità della Chiesa ortodossa serba in Montenegro dal 1219 – è stata appoggiata dai partiti filo-serbi, mentre tutti gli altri l’hanno rigettata, perché considerata un’ingerenza di Belgrado nel Paese e un ostacolo per la strada verso l’adesione all’Ue. Nel pieno della crisi istituzionale emersa dalla seconda metà dell’anno e dopo il rifiuto a nominare un nuovo primo ministro, lo scorso 16 marzo l’ex-presidente Đukanović ha sciolto il Parlamento e ha indetto nuove elezioni anticipate per l’11 giugno, non sapendo che di lì a poche settimane avrebbe perso le elezioni presidenziali prima, e le nazionali poi.

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    Il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, ha accolto con favore il voto dell’Assemblea nazionale che rende pienamente funzionante l’organo costituzionale. Ora da Bruxelles ci si attende da Podgorica “ulteriori decisioni su nomine giudiziarie chiave e altre riforme in sospeso”

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    Il supporto macrofinanziario Ue all’Ucraina sale a 16,5 miliardi nel 2023. Arrivata da Bruxelles la penultima tranche

    Bruxelles – Si va verso la scadenza delle tranche di supporto macro-finanziario erogate dall’Unione Europea all’Ucraina per tutto il 2023. Mentre lo sguardo delle istituzioni comunitarie è già rivolto al futuro dopo la fine dell’anno, è arrivato oggi (22 novembre) il pagamento della decima – e penultima – tranche di aiuti da 1,5 miliardi di euro previsti dal pacchetto complessivo da 18 miliardi erogato dalla Commissione Europea da gennaio. “I finanziamenti europei hanno sostenuto la stabilità economica e i servizi pubblici dell’Ucraina dall’inizio della guerra contro la Russia”, è il commento della presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, rendendo noto il nuovo pagamento al Paese invaso dall’esercito del Cremlino dal 24 febbraio 2022.La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)Con la decima tranche di aiuti destinati a Kiev attraverso lo strumento di assistenza macro-finanziaria Amf+, il supporto economico per il 2023 sale a 16,5 miliardi di euro. Ora al pacchetto approvato alla fine dello scorso anno dai co-legislatori manca solo l’ultimo tassello da 1,5 miliardi atteso nel giro del prossimo mese. “Con questo strumento l’Ue intende aiutare l’Ucraina a coprire il suo fabbisogno finanziario immediato, con un sostegno finanziario stabile, prevedibile e consistente”, sottolinea l’esecutivo comunitario in una nota. Nello specifico il sostegno finanziario aiuterà l’Ucraina a continuare a pagare stipendi e pensioni e a mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali – come ospedali, scuole e alloggi per gli sfollati – oltre a garantire la stabilità macro-economica e a ripristinare le infrastrutture critiche distrutte dalla Russia (infrastrutture energetiche, sistemi idrici, reti di trasporto, strade, ponti).La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a Kiev (4 novembre 2023)Il decimo pagamento è arrivato dopo che il 18 ottobre scorso i servizi della Commissione Europea hanno rilevato “progressi soddisfacenti nell’attuazione delle condizioni politiche concordate” e il rispetto dei “requisiti di rendicontazione volti a garantire un uso trasparente ed efficiente dei fondi”. Nello specifico vengono segnalati gli “importanti progressi” dell’Ucraina per rafforzare sia la stabilità finanziaria “con la graduale eliminazione della tassazione temporanea di emergenza”, sia lo Stato di diritto con il ripristino del funzionamento dell’Alto Consiglio di Giustizia e dell’Alto Consiglio di Qualificazione dei Giudici. Infine è stato registrato un “miglioramento del sistema energetico” con la ristrutturazione del gestore del sistema di trasmissione del gas e verso la promozione di “un migliore clima imprenditoriale”. Dall’inizio della guerra russa in Ucraina Bruxelles stima che il sostegno finanziario, umanitario, di bilancio d’emergenza e militare a Kiev arrivato dall’Unione, dai Paesi membri e dalle istituzioni finanziaria europee “ammonta a 85 miliardi di euro“. Per quanto riguarda l’assistenza macro-finanziaria Ue, il totale è di 23,7 miliardi, di cui 7,2 miliardi stanziati nel 2022 e i 16,5 di quest’anno. La prima tranche dallo strumento assistenza macro-finanziaria Amf+ è arrivata all’Ucraina il 17 gennaio con un supporto iniziale di 3 miliardi, seguita da altri nove tranche mensili da 1,5 miliardi fino a oggi.Ma l’attenzione della Commissione e della sua presidente è già oltre il 2023. “Abbiamo proposto 50 miliardi di euro per l’Ucraina fino al 2027”, ha ricordato von der Leyen, facendo riferimento alla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027. L’obiettivo dell’esecutivo comunitario è quello di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni costituita di sovvenzioni e prestiti. Mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio. Per il via libera dai Ventisette servirà però l’unanimità in Consiglio e questo rischia di essere un problema considerate le posizioni particolarmente dure dell’Ungheria di Viktor Orbán, che potrebbero indurre l’esecutivo comunitario ad alleggerire la mano sui fondi Ue congelati a Budapest pur di mettere a terra il “sostegno coerente, prevedibile e flessibile” a Kiev per gli anni a venire.
    Lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ mobiliterà in totale 18 miliardi per gli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato” invaso dall’esercito russo. Il decimo pagamento arrivato dopo la valutazione positiva dei progressi su condizioni politiche e rendicontazione

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    Il Parlamento approva l’accordo di libero scambio Ue-Nuova Zelanda

    I contingenti tariffari previsti dall’accordo, ad esempio sulla carne bovina e su diversi prodotti lattiero-caseari, proteggeranno i prodotti agricoli sensibili dell’Ue, sottolineano dal Parlamento. Descritto dai deputati come un “gold standard”, questo accordo di libero scambio è il primo dell’Ue a includere impegni esecutivi che rispettano quanto stabilito dall’accordo di Parigi e delle norme fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro. La relazione di accompagnamento, che illustra la posizione del Parlamento, è stata approvata con 457 voti favorevoli, 104 contrari e 74 astensioni.Gli scambi bilaterali di merci tra l’Ue e la Nuova Zelanda hanno raggiunto i 9,1 miliardi di euro nel 2022, e l’Ue risulta essere il terzo partner commerciale del Paese. Gli scambi commerciali dovrebbero nel tempo aumentare del 30 per cento, secondo i dati forniti dalla Commissione europea. Secondo le stesse proiezioni, i flussi di investimenti dell’Ue in Nuova Zelanda potrebbero aumentare di oltre l’80 per cento.“Oggi è un buon giorno per l’Ue e per il commercio mondiale, basato su regole precise. Il nostro voto è un segnale molto chiaro del nostro impegno a negoziare nuovi accordi di libero scambi,  in quanto ne abbiamo visti troppo pochi durante questa legislatura”, ha dichiarato il relatore Daniel Caspary (PPE, DE).Bernd Lange (S&D, DE), presidente della commissione per il commercio internazionale, si è detto “orgoglioso, perché in questo mondo globale in via di frammentazione, siamo riusciti a concordare l’accordo commerciale più progressista e sostenibile mai concluso dall’Unione europea. Si tratta di un grande successo”.Gli Stati membri dovrebbero dare la loro approvazione formale lunedì 27 novembre. Una volta ratificato dalla Nuova Zelanda, l’accordo entrerà in vigore, probabilmente entro la metà del 2024.I negoziati erano stati avviati in Nuova Zelanda nel 2018 e, dopo 12 cicli negoziali, è stato raggiunto un accordo politico il 30 giugno 2022. La Nuova Zelanda è un partner importante per l’Ue nella regione del Pacifico e svolge un ruolo importante anche nei forum multilaterali. 

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    Nella notte l’accordo tra Israele e Hamas per una pausa delle ostilità e la liberazione degli ostaggi. Von der Leyen: “Fare il possibile per azione umanitaria a Gaza”

    Bruxelles – Dopo 45 giorni di bombardamenti incessanti, nella notte è arrivato il primo accordo tra Israele e Hamas per una tregua nelle ostilità. La pausa durerà quattro o cinque giorni, il tempo necessario per il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas lo scorso 7 ottobre e la contemporanea liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi dalle carceri israeliani. Una finestra cruciale per l’accesso e la distribuzione degli aiuti umanitari per la popolazione della Striscia di Gaza.All’annuncio dell’accordo, mediato da Egitto e Qatar, hanno gioito anche a Bruxelles. La liberazione degli ostaggi e l’istituzione di pause umanitarie sono da oltre un mese gli unici punti fermi della posizione dell’Unione europea sul conflitto. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ringraziato il Cairo e Doha per gli sforzi diplomatici e ha ribadito che “Hamas deve liberare tutti gli ostaggi”, indicando al contempo la necessità di utilizzare questi giorni per “consentire che il massimo degli aiuti umanitari” raggiunga coloro che ne hanno bisogno.“Accolgo con tutto il cuore l’accordo raggiunto”, ha dichiarato in mattinata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Che ha subito indicato l’urgenza di sfruttare al meglio l’opportunità: “La Commissione europea farà tutto il possibile per sfruttare questa pausa per un’azione umanitaria a Gaza. Ho chiesto al Commissario Janez Lenarčič di aumentare ulteriormente le spedizioni a Gaza il più rapidamente possibile per alleviare la crisi umanitaria”.Il commissario sloveno, responsabile per la Gestione delle crisi, ha informato sull’azione Ue dal Parlamento europeo di Strasburgo: finora 15 aerei carichi di cibo, medicine e materiale da campo hanno già raggiunto l’Egitto e “altri sono in allestimento”. L’accordo di questa notte potrà facilitare l’accesso umanitario, che dall’inizio del conflitto è stato “estremamente complicato” e “inadeguato”. Dal varco di Rafah, al confine con l’Egitto, sono entrati nella Striscia meno di 50 camion al giorno, e la scorsa settimana “per diversi giorni neanche uno”.Nell’enclave palestinese mancano non solo cibo e acqua, ma anche medicine, anestetici, e soprattutto carburante. Secondo le stime delle Nazioni Unite, l’assistenza alimentare distribuita finora copre solo il 10 per cento del fabbisogno quotidiano di ciascun individuo, e i 120 mila litri di carburante che Israele si è detta disposta a lasciar entrare a Gaza non bastano: “Coprono solo un terzo del bisogno giornaliero – ha commentato Lenarčič -, il carburante è vitale per far funzionare gli ospedali e per l’acqua potabile”.L’Alto rappresentante Ue Borrell: a Gaza “un disastro causato dall’uomo”All’emiciclo di Strasburgo è intervenuto anche l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, che ha garantito che l’Ue “farà la sua parte” nel garantire “quanto più aiuto necessario ai civili palestinesi” durante queste 96 ore di tregua. Il capo della diplomazia europea ha voluto sottolineare che quel che sta accadendo a Gaza non è un “disastro naturale, ma un disastro causato dall’uomo e da un embargo che non permette l’accesso di aiuti umanitari“.Borrell, che la settimana scorsa si è recato a Tel Aviv e a Ramallah, ha ammesso la difficoltà di rappresentare i 27 Stati membri in questa vicenda, “perché in diverse occasioni non si sono allineati”. La prova lampante è stata la risoluzione dell’Onu del 27 ottobre scorso, che chiedeva una tregua umanitaria nel conflitto, in cui i Paesi Ue si sono spaccati. Per l’Alto rappresentante “dovrebbe essere possibile riconoscere il diritto di autodifesa di Israele e essere indignati per quello che sta accadendo alla popolazione di Gaza e della Cisgiordania, dovrebbe essere possibile difendere i diritti dei palestinesi senza che questo comporti essere definiti antisemiti, dovrebbe essere possibile criticare le politiche del governo israeliano senza che questo porti all’accusa di odio verso gli ebrei”.
    Egitto e Qatar mediano l’accordo che prevede il rilascio di 50 donne e bambini rapiti da Hamas il 7 ottobre, in cambio della liberazione di 150 prigionieri politici palestinesi. L’Ue pronta a sfruttare i quattro giorni di tregua per distribuire gli aiuti a Gaza

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    La revisione dei fondi Ue alla Palestina non ha riscontrato nessuna violazione. Ma 7 progetti non sono più realizzabili

    Bruxelles – Nessuna violazione dei criteri per l’esborso dei fondi Ue finora erogati alla Palestina. Si riassume così la revisione dell’assistenza finanziaria voluta dalla Commissione Europea lo scorso 9 ottobre, resasi necessaria per controllare che il budget comunitario previsto a sostegno del popolo palestinese dal 2021 non sia finito nelle mani di Hamas – organizzazione terrorista secondo la lista di Bruxelles – dopo l’attacco armato a Israele. Dopo 43 giorni dall’annuncio da parte dell’esecutivo comunitario, il gabinetto von der Leyen tira un sospiro di sollievo per la tenuta dei controlli e delle salvaguardie esistenti – “che sono state significativamente rafforzate negli ultimi anni” – come emerso da una valutazione che non ha rilevato prove “che il denaro sia stato deviato per scopi non voluti”.(credits: Said Khatib / Afp)Come spiegato da alti funzionari Ue, il budget comunitario era già prima sottoposto a “stretto controllo”, ma in ogni caso è stata condotta una revisione sui fondi stanziati nei primi due anni della Strategia comune europea 2021-2024 di fonte a uno scenario “estremamente polarizzato” e con “serie accuse” sullo stanziamento da parte di Bruxelles. La revisione pubblicata oggi (21 novembre) aveva due obiettivi: il primo legato proprio al fatto che nessun finanziamento sia finito a organizzazione terroristiche o che sia stato violato il principio di abuso dei fondi “in particolare sull’antisemitismo”, e il secondo per assicurarsi che i finanziamenti alla Palestina “non si blocchino”. È così che è stato scandagliato tutto il portafoglio non solo della Direzione generale Vicinato e negoziati di allargamento (Dg Near), ma anche di tutti i fondi “che abbiano partner palestinesi”.Gaza City, Palestina (credits: Yahya Hassouna / Afp)Un totale di 119 contratti per un totale di circa 331 milioni di euro, che non hanno evidenziato alcuna violazione degli impegni presi nel 2021 e nel 2022 in Palestina. L’88 per cento dei fondi scrutinati (292 milioni) risulta completamente in linea, mentre per il restante 12 per cento (38,9 milioni) si attendono “ulteriori informazioni” dalle organizzazioni della società civile e dalle organizzazioni non governative destinatarie. Per queste ultime – precisano le stesse fonti Ue – sono state chieste delucidazioni “senza pregiudizi” sull’applicazione dei controlli: solo in due casi (per un totale di otto milioni di euro) ci sono “accuse specifiche” di incitamento all’odio e alla violenza dopo gli eventi del 7 ottobre, ma in questo caso i servizi della Commissione Ue stanno seguendo le “procedure regolari” per l’investigazione e la valutazione. C’è però da segnalare che tra i 292 milioni di euro totalmente in linea con le disposizioni, 75,6 milioni non sono più attuabili (il 23 per cento del totale), come per esempio i grandi progetti infrastrutturali a Gaza – sistema energetico, impianto di desalinizzazione e accesso ai servizi idrici – che dopo i bombardamenti israeliani dell’ultimo messe non sono più costruibili. Questi fondi “saranno riprogrammati a sostegno dei palestinesi secondo le nuove priorità da individuare sul campo”, specifica il gabinetto von der Leyen.La stessa Commissione Ue rende noto che la revisione ha seguito un approccio in due fasi. All’inizio è stato effettuato “uno screening operativo” per valutare la fattibilità dei progetti alla luce della “nuova situazione sul campo” (è qui che si inserisce la lista dei 7 progetti da 75,6 milioni di euro non più attuabili). Successivamente è stata condotta una valutazione del rischio con la richiesta a tutti i partner esecutivi di informazioni sui meccanismi di controllo in vigore: a partire da questi report il Berlaymont ha individuato misure aggiuntive applicabili, “come l’inserimento di clausole contrattuali anti-incitamento in tutti i nuovi contratti e il monitoraggio della loro rigorosa applicazione in ogni momento”. Tutto questo riguarda i primi due anni della Strategia per la Palestina 2021-2024 – “senza nessun ritardo sui pagamenti“, sottolineano i funzionari – mentre per quanto riguarda il budget 2023 gli impegni arriveranno entro fine anno. “Niente di strano”, come si evince anche osservando le date in cui sono arrivate le decisioni di implementazione per gli anni scorsi (nel mese di dicembre dell’anno corrente). Sul budget 2024 le fonti non si sbilanciano ancora.I fondi Ue alla Palestina tra il 2021 e il 2024Come emerge dalle tabelle della Strategia comune europea per la Palestina, nel periodo 2021-2024 sono previsti 1,17 miliardi di euro direttamente dal bilancio Ue (nel Quadro finanziario pluriennale che terminerà nel 2027, mentre devono ancora essere stabilite le assegnazioni per il secondo periodo 2025-2027) che dovrebbero servire come “ombrello strategico per i piani di programmazione e attuazione bilaterali” dei Paesi partecipanti. Vale a dire Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Malta, Repubblica Ceca, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Svezia e Svizzera, oltre alla stessa Commissione Europea.I fondi servono a finanziare programmi in 13 aree operative, divise in 5 pilastri: democrazia, Stato di diritto e diritti umani, riforma della governance, consolidamento fiscale e politica, fornitura di servizi sostenibili, cambiamento climatico, accesso a servizi idrici ed energetici autosufficienti, e sviluppo economico sostenibile. Più nello specifico sono stati previsti da Bruxelles 25 milioni di euro per il primo pilastro (Stato di diritto), 222,5 per il secondo (governance), 248 per il terzo (servizi), 147 per il quarto (cambiamento climatico) e 133,5 per il quinto (sviluppo sostenibile), oltre a 353 milioni per i rifugiati e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) e 48 milioni a Gerusalemme Est.I fondi del budget non sono aiuti umanitariIn questo quadro va tenuto però presente che fondi Ue per l’assistenza alla Palestina sono diversi dagli aiuti umanitari che l’Unione fornisce al popolo palestinese da decenni di crisi non risolta. È netta la distinzione tra sostegno umanitario e altre forme di supporto dal budget, dal momento in cui il primo non è mai veicolato da governi, ma solo da partner umanitari, agenzie Onu e Ong “sulla base dei principi di imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità”, precisa la Commissione Ue. Ecco perché gli aiuti umanitari – cibo, alloggi, acqua, assistenza medica – continueranno “fino a quando sarà necessario”, in altre parole fino a quando ci saranno partner sul campo che possono veicolarli alla popolazione palestinese.Per quanto riguarda l’importo in questo ambito, a sostegno di oltre 2,1 milioni di palestinesi in necessità nel 2023 erano inizialmente previsti 26,9 milioni di euro, ma dopo la crisi la cifra è salita a 103 milioni, riassume la pagina dedicata agli aiuti umanitari per la Palestina. A partire dal 7 ottobre sono stati immediatamente stanziati 28 milioni di euro in finanziamenti umanitari, seguiti da una nuova tranche da 50 milioni il 13 ottobre e altri 25 milioni il 6 novembre. Oltre l’80 per cento della popolazione della Striscia di Gaza dipende dagli aiuti “a causa delle restrizioni di accesso e delle ostilità, che ne hanno minato l’economia”. Complessivamente dal 2000 l’Ue ha fornito oltre 955 milioni di euro in assistenza umanitaria, di cui circa 26,5 milioni lo scorso anno (2,1 milioni come contributi esterni di Italia, Spagna, Finlandia e Francia).
    I servizi della Commissione Ue hanno ultimato l’analisi dei finanziamenti (già erogati) dalla Strategia comune europea per il periodo 2021-2024. Nessun ritardo sui pagamenti dovuti nei primi due anni, si prevede entro fine anno il via libera agli impegni per il budget 2023

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    Charles Michel è in Ucraina per i 10 anni da Euromaidan. In 3 settimane la decisione sui negoziati di adesione Ue

    Bruxelles – Sono passati 10 anni da quella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013, da quella che è passata alla storia come Euromaidan, la prima vera scelta di campo del popolo ucraino ed espressione delle ambizioni europee del Paese ex-sovietico. Ma non si tratta solo di un anniversario. Perché oggi, 10 anni più tardi, le aspirazioni di Euromaidan si stanno concretizzando nel processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, con una tappa decisiva attesa fra poco più di tre settimane. È per questo che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha deciso oggi (21 novembre) di recarsi nuovamente in visita a Kiev per ribadire il supporto di Bruxelles al cammino del Paese verso l’integrazione nell’Unione.A destra: il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, a Kiev (21 novembre 2023)“È bello essere di nuovo a Kiev, tra amici”, ha reso noto così il suo arrivo nella capitale ucraina. Parlando con la stampa al seguito, Michel ha messo in chiaro che lo scopo del suo viaggio è quello di riaffermare il “grande sostegno” dell’Ue all’Ucraina “in un giorno importante, 10 anni fa gli ucraini hanno scelto l’Europa e alcuni sono morti“. L’argomento centrale dei confronto a Kiev con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, è proprio quello del percorso di avvicinamento all’Unione: “Incontrarsi di persona è molto importante per capire cosa è realistico e per far capire qual è la situazione da parte dell’Ue”. In altre parole, sostegno sì, ma bisogna anche gestire le aspettative sul Consiglio Europeo del 14-15 dicembre, quando i 27 capi di Stato e di governo dovranno decidere se seguire la raccomandazione della Commissione Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina. “Il prossimo Consiglio Europeo sarà difficile, il rapporto della Commissione sull’allargamento non è bianco o nero, ha delle sfumature, e io stesso sono rimasto sorpreso per il rapporto ulteriore di marzo”, ha confessato Michel, parlando del seguito che l’esecutivo Ue ha promesso di fornire fra quattro mesi: “Lavoro per un Consiglio di successo, ma a volte il fallimento è parte del processo dell’Ue, non è un mistero che alcuni Paesi sono cauti sull’allargamento”La verità è che, dopo i relativamente pochi successi della controffensiva ucraina dall’inizio di quest’anno, la guerra ha raggiunto una situazione di stallo e i partner europei e statunitensi di Kiev sono preoccupati che l’esercito non sia in grado di portare a termine la riconquista di porzioni significative di territorio a sud e sud-est. Nel frattempo si è innestata anche la questione della guerra tra Israele e Hamas, che rischia di far deviare l’attenzione occidentale dall’invasione russa dell’Ucraina. “Sono molto attivo nel mantenere i rapporti con il Sud globale e questo è un lavoro molto utile anche per l’Ucraina”, ha assicurato Michel l’impegno di Bruxelles per non disperdere le forze con tutti i partner internazionali: “Dobbiamo confrontarci sulle sfide e le difficoltà del momento, per essere in sintonia“. Ecco perché nelle discussioni di oggi con Zelensky rientrano anche i temi “delle sanzioni, della situazione militare sul campo, del sostegno allo sforzo bellico e del possibile uso degli asset russi per la ricostruzione dell’Ucraina”, ha precisato il numero uno del Consiglio Ue.Dieci anni da EuromaidanLe proteste in piazza Maidan nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2023, Kiev (credits: Genya Savilov / Afp)Prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, uno dei fattori che ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev dieci anni fa è stata proprio la prospettiva europea dell’Ucraina. Nella notte tra il 21 e il 22 novembre 2013 si verificarono nella capitale ucraina una serie di dure proteste a causa della decisione del governo di sospendere il processo di ratifica dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea. Quelle proteste – conosciute appunto come Euromaidan – portarono alla sollevazione popolare della stessa piazza l’anno seguente, con la messa in stato di accusa e la destituzione dell’allora presidente, Viktor Janukovyč (finito nell’agosto dello scorso anno nella lista Ue dei sanzionati per aver sostenuto i separatisti filo-russi nel minare la sovranità del Paese). A seguito di quegli eventi scoppiò la crisi in Crimea, con il primo intervento armato di Mosca su territorio ucraino a sostegno dei separatisti filo-russi. Era il febbraio 2014 e di lì a pochi mesi sarebbe scoppiata anche la guerra civile in Donbass che continua interrotta da allora. Ora è tutta l’Ucraina sotto l’attacco della potenza vicina, mentre la strada dell’adesione all’Ue sta continuando senza sosta.“Dieci anni di dignità, di orgoglio, di lotta per la libertà”, ricorda su X la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: “Le fredde notti invernali di Euromaidan hanno cambiato l’Europa per sempre” e oggi è “più chiaro che mai” che “il futuro dell’Ucraina è nell’Unione Europea, il futuro per cui Maidan ha lottato è finalmente iniziato“. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, assicura che “la rivoluzione di Maidan ha cambiato per sempre il futuro dell’Ucraina”. Dieci anni più tardi “in questo giorno di dignità e libertà, siamo orgogliosamente al fianco dell’Ucraina prossima ai negoziati di adesione all’Ue” e “per ogni missile lanciato dalla Russia, il nostro sostegno si rafforza”.Lo stravolgimento nel percorso dell’Ucraina verso l’Ue – pur sempre in salita – è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa. Nel pieno della guerra, il 28 febbraio 2022 il presidente Zelensky ha firmato la richiesta di adesione “immediata” all’Unione. Il 7 marzo gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere sulla domanda di adesione, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue. Prima di dare il via libera formale, l’8 aprile a Kiev la numero uno della Commissione ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere dell’esecutivo comunitario. Il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde alla concessione dello status di Paese candidato all’adesione Ue, prima della decisione ufficiale arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione.Un anno e mezzo più tardi, secondo quanto emerge dal report specifico sull’Ucraina all’interno del Pacchetto Allargamento Ue 2023, Kiev merita di vedere avviati i negoziati di adesione e adottati i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. Più nello specifico si tratta di 3 delle 7 priorità indicate dall’esecutivo comunitario non ancora pienamente soddisfatte: lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali (ma l’uso della lingua russa “non sarà qualcosa che valuteremo”, precisano fonti Ue). Dopo i progressi dell’ultimo anno – e le 2 priorità completate da fine giugno – la Commissione pubblicherà un nuovo rapporto in merito “a marzo 2024”, ha reso noto von der Leyen. “In Ucraina la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report. Ora tutto dipende dall’esito delle discussioni tra i 27 capi di Stato e di governo Ue, con la decisione ufficiale che arriverà fra poco più di tre settimane.
    Il ritorno del presidente del Consiglio Ue a Kiev coincide con l’anniversario della scelta di campo del popolo ucraino nel 2013. Che al prossimo vertice dei Ventisette di dicembre potrebbe arrivare a compimento con l’avvio delle discussioni formali per diventare Paese membro dell’Unione

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    “Un orrore non giustifica un altro orrore”. La visita in Israele e Palestina di Borrell per portare solidarietà e spingere la pace

    Bruxelles – Un viaggio in Israele e Palestina nel pieno della guerra tra Gerusalemme e Hamas nella Striscia di Gaza, per mettere in chiaro “le stesse cose” in entrambi i posti: “Un orrore non giustifica un altro orrore, l’attacco terroristico di Hamas ha cambiato il paradigma di una situazione fragile, ma ogni perdita di vita civile è deplorevole”. Si è presentato così l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, nella sua doppia visita tra ieri e oggi (16-17 novembre) a Gerusalemme e Ramallah per spingere il messaggio dell’Ue di ricerca della pace quanto prima e di ricostruire la regione su basi nuove.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, a Ramallah il 17 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Stiamo assistendo a una tragedia, mi riferisco a ciò che sta succedendo a Gaza e in Israele”, ha messo in chiaro Borrell, aprendo oggi la conferenza stampa congiunta con il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh. Con oltre 11 mila vittime nella Striscia di Gaza per i bombardamenti israeliani e gli ospedali “al collasso”, secondo il capo della diplomazia Ue “Hamas ha attaccato anche la causa palestinese” il 7 ottobre. Se l’organizzazione definita terroristica dall’Unione “deve liberare immediatamente gli ostaggi” israeliani, allo stesso tempo “abbiamo anche sottolineato che il modo in cui Israele si difende è importante, perché deve rispettare le leggi umanitarie e il principio di proporzionalità“. Come spiegato ieri senza troppi giri di parole a Gerusalemme nel punto stampa con il presidente israeliano, Isaac Herzog, “gli amici di Israele sono quelli che vi chiedono di non commettere una tragedia”.Portando nella regione il messaggio condiviso dai Ventisette al Consiglio Affari Esteri di lunedì (13 novembre) di mettere in campo “pause umanitarie immediate, perché l’assistenza raggiunga i civili” della Striscia di Gaza, l’alto rappresentante Borrell a Gerusalemme si è detto “sconvolto dalla sofferenza umana del popolo israeliano, ma anche preoccupato per la sofferenza della popolazione di Gaza”. Nel “non farsi accecare dall’odio” per quanto accaduto il 7 ottobre nei kibbutz, la richiesta è quella di “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili”. Ma senza nascondere il mea culpa che coinvolge tutta la comunità internazionale: “È stato un fallimento politico e morale, e includo anche l’Unione Europea, perché non abbiamo preso abbastanza in considerazione la pace tra Palestina e Israele”. Ma come ricordato a Ramallah, “ora questi tragici eventi hanno portato la questione palestinese fuori dal limbo” ed è necessario uno sforzo da tutte le parti per raggiungere la pace e la stabilità futura.Da sinistra: l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il presidente di Israele, Isaac Herzog, a Gerusalemme il 16 novembre 2023 (credits: Nasser Nasser / Pool / Afp)“Solo una soluzione politica può mettere fine a questo interminabile ciclo di violenza” che, nonostante stia passando sotto silenzio di fronte alla tragedia di Gaza, riguarda anche la Cisgiordania sotto il controllo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp). L’alto rappresentante Borrell non ha taciuto “l’aumento del terrorismo dei coloni” israeliani post-attacco di Hamas: “Da inizio anno 421 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, ma dal 7 ottobre sono stati 202, cioè in un mese lo stesso numero dei dieci mesi precedenti”. Di fronte a una situazione di “occupazione illegale” del territorio palestinese, il capo della diplomazia Ue ha chiesto “a livello più alto possibile a Israele di affrontare la questione, per evitare il rischio di scoppio delle ostilità anche in Cisgiordania”.Il piano Ue per la Palestina post-guerraLo scopo della visita in Israele e Palestina – che continuerà nei prossimi giorni in Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania – è stata però anche l’occasione per iniziare a far sentire la presenza diplomatica europea, dopo un mese di polemiche e divisioni sul messaggio veicolato dai leader delle rispettive istituzioni (e anche all’interno delle stesse istituzioni). “La questione palestinese non può rimanere irrisolta“, ha messo in chiaro oggi Borrell di fronte al premier Shtayyeh, parlando della soluzione a due Stati “che è rimasta dimenticata per troppo tempo, è arrivato il momento per definire i passi concreti per implementarla”.La proposta di piano dell’Unione Europea – ancora in fase di definizione – portata nella regione è quella concordata a inizio settimana dai 27 ministri Ue degli Esteri. Si tratta di quello “schema mentale” presentato dall’alto rappresentante Borrell che passa da sei condizioni, “tre sì e tre no”. Per quanto riguarda i tre ‘no’, si parte dal fatto che “non ci potrà essere un’espulsione forzata dei palestinesi“, che “il territorio di Gaza non si può ridurre, non può esserci rioccupazione da parte di Israele a livello permanente” e che la questione dei bombardamenti in atto a Gaza “non può essere dissociata dalla questione palestinese“. E le stesse condizioni sono state ribadite anche a Gerusalemme.I tre ‘sì’ fanno invece parte dell’impostazione per una pace strutturale e stabile. “A Gaza deve tornare un’autorità palestinese, la cui legittimità deve essere definita e riconosciuta”, ma questa volta a Ramallah – a differenza di lunedì – Borrell ha fatto esplicitamente riferimento all’Autorità Nazionale Palestinese: “Avete la capacità di continuare questo lavoro, vi supporteremo”. La soluzione deve essere “appoggiata con un forte coinvolgimento degli Stati arabi” a livello finanziario e politico. E infine servirà “più coinvolgimento dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese“. Dopo la definizione delle sei condizioni del piano per il post-guerra, l’alto rappresentante Borrell ha incassato un primo successo, il “pieno sostegno” del governo palestinese. Tutto tace invece sul fronte israeliano.
    L’alto rappresentante Ue ha esortato Gerusalemme a “fare il possibile per diminuire il livello di sofferenza dei civili” a Gaza e a garantire “pause umanitarie immediate”. Presentato a Ramallah il piano dell’Unione per il post-guerra con “pieno supporto” dall’Autorità Nazionale Palestinese

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    Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia è nelle mani dei Ventisette

    Bruxelles – Lista ‘nera’ aggiornata, inasprimento del tetto al prezzo del petrolio russo e nuovi divieti di import ed export. Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina è nelle mani da ieri delle Capitali Ue, che nelle prossime ore cercheranno di raggiungere un accordo a Ventisette (come richiedono le questioni di politica estera e in particolare le misure restrittive).A confermarlo in una nota è l’alto Rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, spiegando di aver presentato ieri sera “insieme alla Commissione europea una proposta per il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina”. Pochi i dettagli sul contenuto del pacchetto, ma la nota del Seae (Servizio europeo per l’azione esterna) spiega che Borrell e Palazzo Berlaymont hanno proposto di sanzionare oltre 120 ulteriori persone ed entità per il loro ruolo nel indebolire la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina.Nel pacchetto viene proposto di adottare nuovi divieti di importazione ed esportazione (tra cui dovrebbero esserci anche i diamanti russi, dopo la concessione del Belgio), nonché azioni per inasprire il tetto del prezzo del petrolio e contrastare l’elusione delle sanzioni dell’Ue. Le proposte di inserimento nell’elenco includono attori del settore militare, della difesa e dell’IT russo, nonché altri importanti operatori economici. Le proposte mirano a rafforzare il quadro sanzionatorio nel suo complesso. Per il via libera al nuovo regime di sanzioni è necessaria l’unanimità in seno al Consiglio. Borrell aveva annunciato l’intenzione di presentare il pacchetto lo scorso lunedì, al termine del Consiglio Ue Affari Esteri.A inizio novembre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen aveva annunciato che la proposta sarebbe stata avanzata già venerdì scorso agli ambasciatori dei 27 Stati membri dell’Ue. 
    Lista ‘nera’ aggiornata, inasprimento del tetto al prezzo del petrolio russo e nuovi divieti di import ed export. Il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina è nelle mani da ieri delle Capitali Ue, che nelle prossime ore cercheranno di raggiungere un accordo a Ventisette (come richiedono le questioni di politica estera e in particolare le misure restrittive)