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    A Gaza lo spettro della fame. L’Ue chiede un “accesso umanitario continuo”, ma senza nominare Israele

    Bruxelles – “Profondamente scioccati” dai risultati della valutazione dell’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc) sulla crisi alimentare a Gaza. L’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, e il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, parlano di un “campanello d’allarme per il mondo intero affinché agisca ora per prevenire una catastrofe umana mortale“. Ma non chiamano mai in causa Israele.Secondo il sistema di  classificazione sviluppato nel 2004 dalla Fao, l’Agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, tra l’8 dicembre 2023 e il 7 febbraio 2024, l’intera popolazione della Striscia di Gaza – circa 2,2 milioni di persone – si trova almeno nella Fase 3 dell’Ipc, quella che viene chiamata fase di crisi. “Si tratta della percentuale più alta di persone che affrontano livelli elevati di insicurezza alimentare acuta che l’Ipc abbia mai classificato per una determinata area o paese”, viene sottolineato nella valutazione.La scala del rischio alimentare utilizzata nelle valutazioni dell’IpcMa lo scenario è ancora più drammatico. Perché circa il 50 per cento della popolazione (1,17 milioni di persone) è già nella Fase 4, in una situazione di emergenza e almeno una famiglia su quattro – più di mezzo milione di persone – è al gradino finale della scala: chi è nella fase 5 si trova ad affrontare “condizioni catastrofiche” e  “un’estrema mancanza di cibo”.Non è frutto di un disastro naturale, di un’estrema siccità o di un impressionante alluvione: “Le ostilità, i bombardamenti, le operazioni di terra e l’assedio dell’intera popolazione, la riduzione dell’accesso al cibo, ai servizi di base e all’assistenza salvavita, e l’estrema concentrazione o isolamento delle persone in rifugi inadeguati o in aree prive di servizi di base sono i principali fattori” che contribuiscono a raggiungere questi livelli catastrofici di insicurezza alimentare acuta in tutta la Striscia di Gaza, con un rischio sempre più palpabile di carestia.(Photo by MOHAMMED ABED / AFP)È dunque la strategia militare messa in campo da Israele che ha ridotto gli abitanti di Gaza alla fame, denuncia l’IPC. Eppure, nonostante ciò, l’Unione europea sceglie di non chiamare direttamente in causa Israele.  La dichiarazione congiunta di Borrell e Lenarčič, che nel gabinetto di Ursula von der Leyen sono comunque le voci più critiche sul trattamento che Israele sta riservando alla popolazione palestinese, lo dimostra un’altra volta.“Abbiamo urgentemente bisogno di un accesso umanitario continuo, rapido, sicuro e senza ostacoli per evitare un ulteriore peggioramento di una situazione già catastrofica – avvertono Borrell e Lenarčič –. Ribadiamo l’urgente appello al rispetto del diritto internazionale umanitario. Gli aiuti devono raggiungere coloro che ne hanno bisogno attraverso tutti i mezzi necessari, compresi corridoi e pause umanitarie“. Non una volta la responsabilità è attribuita a Israele.I due passano poi in rassegna i numeri della mobilitazione europea: 100 milioni di euro di aiuti umanitari a Gaza, di cui 46 milioni “specificamente destinati all’assistenza alimentare e alla copertura sanitaria e di altri bisogni primari”. E 125 milioni già stanziati per il 2024. Risorse mobilitate per la sopravvivenza di un popolo che forse avrebbe altrettanto bisogno di parole più dure nei confronti di Israele.

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    L’Ambasciatore dell’Autorità Palestinese a Bruxelles: “L’Ue è complice del massacro di Gaza, sta perdendo la propria credibilità”

    Bruxelles – Non sono l’autorità o gli strumenti che mancano, ma “la volontà politica”. Mentre nella Striscia di Gaza si scende ogni giorno un gradino verso l’inferno, con 20 mila vittime in poco più di due mesi a causa dei bombardamenti a tappeto israeliani e oltre un quarto della popolazione che rischia la fame, l’Unione Europea non si schioda da un supporto all’azione militare di Tel Aviv che nel resto del mondo risulta sempre più ambiguo.“Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”, si chiede Adel Atieh, ambasciatore dell’Autorità Nazionale Palestinese presso l’Ue. In un’intervista a Eunews, il diplomatico palestinese ha spiegato la frustrazione di un popolo che “non ha più un orizzonte politico” e che sta vivendo una delle pagine più drammatiche della sua storia.Eunews: Ambasciatore Atieh, cosa ne pensa della posizione espressa dai Paesi Ue sul conflitto tra Israele e Hamas all’ultimo Consiglio europeo?Adel Atieh: “Sono rimasto sorpreso che non ci fossero conclusioni sul Medio Oriente. La situazione sul campo si è evoluta in modo drammatico e davanti ai bombardamenti massivi sui civili a Gaza mi aspettavo che l’Ue adottasse quanto meno delle conclusioni per chiedere un cessate il fuoco. La situazione è drammatica e la crisi umanitaria necessita di una presa di posizione chiara da parte dell’Unione europea. Se non c’è un appello per il cessate il fuoco, significa che si è d’accordo con quello che fa Israele sul campo”.Eunews: Ma lei vede una qualche evoluzione nelle dichiarazioni dell’Ue sul conflitto dal 7 ottobre a oggi?Il campo profughi di Jabalia, nella Striscia di Gaza, devastato dai bombardamenti israeliani (credits: Yahya Hassouna / Afp)Atieh: “Se misuriamo la posizione attuale dell’Ue in rapporto a quella iniziale, si nota effettivamente un’evoluzione: all’inizio un supporto incondizionato a Israele e al suo diritto di difendersi, poi un sì ma rispettando il diritto internazionale umanitario. Ma non è sufficiente, vista la dimensione del massacro. Oggi siamo vicini a 20 mila morti, l’1 per cento della popolazione di Gaza, e più di 7 mila dispersi sotto le macerie. La posizione dell’Ue non è all’altezza della sua responsabilità politica e morale.È inaccettabile che nel 21esimo secolo l’Unione europea chiuda gli occhi sul genocidio in corso a Gaza. Fino ad oggi l’Ue ha scelto di seguire la posizione americana. Bisogna che l’Ue si smarchi dagli Stati Uniti e provi a parlare con una voce ragionevole. L’Ue ha l’autorità e i mezzi per fare pressione su Israele, ma non ha la volontà politica”.Eunews: Lei parla di mancanza di volontà politica. Non è che l’Unione europea è diventata insignificante in Medio Oriente?Atieh: “Israele ha imparato a disprezzare le posizioni della comunità internazionale e dell’Ue perché sa che sono dichiarazioni senza azioni. Per questo Israele se ne frega, perché sa bene che l’Ue adotterà dichiarazioni ma non misure concrete per imporre qualcosa. Al contrario, l’Ue è complice di quel che fa Israele, perché non solo non chiede un cessate il fuoco, ma fornisce la protezione politica e diplomatica a Israele nelle istituzioni internazionali”.Crediamo che l’Ue ha le possibilità e gli strumenti di impattare sul comportamento dello stato di Israele. l’Ue è il primo partner commerciale per Israele: se minacciasse di sospendere l’accordo di associazione, Israele reagirebbe immediatamente. Se incoraggiasse il lavoro della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra commessi da Israele, Israele si fermerebbe a riflettere”.Eunews: Quindi lei è d’accordo con l’accusa mossa all’Ue di utilizzare doppi standard in Ucraina e a Gaza?Atieh: “C’è una politica di doppi standard politici e morali. L’Ue ha degli strumenti potenti per sanzionare Israele, sul piano economico, politico e diplomatico. Ma non solo non fa niente per fermare la guerra, incoraggia anche Israele a continuare il massacro. Per sostenere l’Ucraina l’Ue si è mobilitata in difesa del diritto internazionale, mentre dall’altra parte si mette dietro una potenza occupante che viola tutte le regole del diritto internazionale. L’Ue sta perdendo la propria credibilità e legittimità come attore politico globale che pretende di difendere la legge, è vittima del disequilibrio delle sue posizioni. Oggi chi crede più all’Europa quando dichiara di difendere il diritto internazionale?”Eunews: Però Gaza è governata da un gruppo estremista che l’Ue riconosce come organizzazione terroristica.Atieh: “È completamente ridicolo dire che non si può chiedere un cessate il fuoco perché bisogna eliminare Hamas. È la quinta guerra di Israele a Hamas e non c’è mai riuscita. E anche se riuscisse a eliminare le sue infrastrutture militari, non significa che Hamas scomparirà. Hamas è un’idea, un’ideologia che trova la sua credibilità nel fallimento del processo di pace. La sola fonte di legittimazione di Hamas oggi è il fallimento della soluzione a due Stati: da trent’anni cerchiamo di negoziare con Israele per mettere fine all’occupazione, ma Israele l’ha solo rinforzata. Nel 1993 c’erano 250 mila coloni, ora sono 750 mila. Dal momento che Israele ha portato al fallimento il processo di pace, le persone cominciano a riflettere su altri modi per mettere fine all’occupazione. Non amiamo questi altri modi, non siamo d’accordo con Hamas, ma quel che fa Israele da 75 anni è mille volte più grave”.Eunews: Ha provato a spiegarsi il perché dell’attacco messo in atto da Hamas il 7 ottobre?Ursula von der Leyen e Roberta Metsola al kibbutz di Kfar Azza, dove Hamas ha massacrato oltre 100 civili israeliani il 7 ottobreAtieh: “Da quattro anni dico agli ambasciatori dei 27 al Comitato politico e di sicurezza di fare attenzione: le provocazioni sistematiche del governo israeliano e dei suoi estremisti, le violazioni dei luoghi santi musulmani a Gerusalemme, i prigionieri palestinesi, i pogrom e le aggressioni dei coloni, la politica di confisca della terra, la repressione quotidiana dell’esercito israeliano nei villaggi palestinesi. Tutto questo porterà ad un’esplosione. Non si può pensare che la popolazione palestinese possa accettare tutto questo. Questo ha provocato la reazione di Hamas. Chiunque sotto questa pressione reagirebbe. Non sono per niente d’accordo con la reazione, ma come esigere da un popolo sotto occupazione da 75 anni di continuare a essere umiliato?Io avevo avvertito che l’assenza di un orizzonte politico avrebbe portato qualcun altro con un’alternativa, qualcuno che dice che lanciando razzi si potrà cacciare gli occupanti. Anche Israele sa che la soluzione a Gaza non è una soluzione militare, e il solo modo di delegittimare l’altra parte e rinforzare la credibilità dell’Anp è creare un orizzonte credibile per la soluzione a due Stati”.Eunews: Se l’Unione europea non sta facendo abbastanza, cosa pensa della posizione dei Paesi arabi della Regione? Atieh: “È una posizione responsabile perché evita l’escalation del conflitto. Ma sul piano politico sono molto attivi, bisogna riconoscerlo. E sul piano popolare c’è una grande mobilitazione e solidarietà nel mondo arabo. Alcuni rimproverano ai Paesi arabi di non dichiarare guerra a Israele, ma cosa dovrebbero fare? Mettere un embargo sul petrolio contro il mondo occidentale? Sostenere o inviare munizioni a Hamas? Sicuramente non possiamo chiedere ai Paesi arabi di aprire le frontiere e accogliere i rifugiati palestinesi. No. Sarebbe un altra Nakba”.Eunews: E l’Autorità Nazionale Palestinese, sta facendo abbastanza?Bill Clinton, il leader dell’OLP Yasser Arafat (R) e il primo ministro israeliano Yitzahk Rabin alla Casa Bianca dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993 (Photo by J. DAVID AKE / AFP)Atieh: “La nostra preoccupazione è come preservare e portare ad un applicazione la soluzione a due Stati. È il nostro progetto e la nostra priorità. Si può accusare l’Anp di qualsiasi cosa, ma chi sta uccidendo la soluzione a due Stati è chi sta costruendo insediamenti, facendo apartheid, bombardando la popolazione civile. È Israele. Oggi Netanyahu non smette di ripetere di essere fiero di aver sabotato la soluzione a due Stati. Non è l’azione o il comportamento dell’Anp che stanno rovinando la soluzione a due Stati. Se siamo d’accordo su questo, possiamo andare oltre e parlare di alcune cose, la performance delle nostre istituzioni, la democratizzazione, quello che volete. Ma non è questo che distrugge la soluzione a due Stati.Anche la soluzione a Gaza passa per la Soluzione a due stati. Non c’è separazione tra Gaza e Cisgiordania, l’Anp può controllare tutte e due, ma serve un piano d’azione e delle tempistiche chiare per mettere fine all’occupazione”.Eunews: A proposito della West Bank, la Commissione europea è al lavoro su una proposta di sanzioni contro i coloni israeliani ritenuti violenti. È d’accordo?Atieh: “È una proposta molto buona, ma bisognerebbe sanzionare tutti i coloni che stanno illegalmente nei territori palestinesi. È da quattro anni che ne parlo e che spingo i Paesi membri a prendere azioni concrete. Non hanno mai fatto niente, ma ora hanno visto che gli Usa imporranno sanzioni e le vogliono imporre. È ancora la politica del seguire gli Stati Uniti: l’Ue non ha una politica estera indipendente, almeno in Medio Oriente”.Eunews: Ma le cifre sulle vittime rese pubbliche dal Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, vanno messe in dubbio?Atieh: “Siamo noi, l’Anp, che gestiamo il sistema della sanità a Gaza. E come in tutti i Paesi del mondo contiamo i morti e attestiamo i decessi. L’educazione e la sanità sono ancora in mano a funzionari dell’Anp, che ricevono salari dall’Anp. E comunque penso che le cifre sulle vittime fornite dagli ospedali siano troppo basse, si vedrà una volta che la guerra sarà finita e si conteranno i dispersi”.Eunews: Ambasciatore, un’ultima domanda. Cosa ne pensa della posizione del governo italiano?Giorgia Meloni con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Palazzo Chigi nel marzo 2023 (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)Atieh: “La posizione attuale dell’Italia non aiuta né gli israeliani né i palestinesi. Aiuta solo gli estremisti e allontana ancora di più israeliani e palestinesi. La signora Meloni può continuare a dire che Israele ha il diritto di difendersi, ma dov’è l’assoluto diritto di difendersi del popolo sotto occupazione? Non fa onore all’Italia e al popolo italiano. È molto deludente, perché storicamente l’Italia ha sempre tenuto una posizione equilibrata che ha aiutato entrambe le parti. Ma oggi la posizione del governo è un ostacolo alla fine della guerra”.

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    Al vaglio dell’Ue brogli, pressioni e “vantaggi sistematici” del partito di Vučić alle elezioni in Serbia

    Bruxelles – Alle accuse dell’opposizione organizzata ma sconfitta per l’ennesima volta alle urne seguono ora le valutazioni degli osservatori internazionali, che confermano le stesse analisi della stampa e degli esperti sul campo. Le elezioni anticipate in Serbia di domenica (17 dicembre), tra le più cruciali degli ultimi anni, sono state segnate da frodi e altre azioni illecite che hanno “compromesso il processo elettorale nel suo complesso”. A rilevarlo è stata la missione di osservazione elettorale guidata dall’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), a cui hanno partecipato anche alcuni membri del Parlamento Europeo: “Gli osservatori hanno rilevato l’uso improprio di risorse pubbliche, la mancanza di separazione tra le funzioni ufficiali e le attività di campagna elettorale, nonché intimidazioni e pressioni sugli elettori, compresi casi di acquisto di voti”.Il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić (credits: Elvis Barukcic / Afp)A destare maggiori preoccupazioni è stato in particolare il coinvolgimento del presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, sceso in campo per spingere di nuovo alla vittoria il Partito Progressista Serbi (Sns) alle elezioni anticipate – le terze in quattro anni, e senza alcun motivo politico o istituzionale che avesse determinato la fine del governo di Ana Brnabić se non la stessa volontà presidenziale. Il suo coinvolgimento “decisivo”, secondo il capo della missione di osservazione Osce, Reinhold Lopatka, “ha dominato” il processo elettorale e “l’uso del suo nome da parte di una delle liste di candidati, insieme alla parzialità dei media, ha contribuito a creare un campo di gioco non uniforme”. Come si legge nelle conclusioni preliminari, “il dominio del presidente nella campagna elettorale” – nonostante non fosse candidato alle elezioni di domenica in nessuna veste – “ha dato al suo partito un vantaggio ingiustificato“.Accuse specifiche che vanno contestualizzate all’interno di un “quadro giuridico adeguato” e del “generale rispetto” della scelta di alternative politiche e delle libertà di espressione e di riunione, ma allo stesso tempo di un ambiente “fortemente polarizzato” e caratterizzato da “intimidazioni e molestie nei confronti di attivisti civili, difensori dei diritti umani e giornalisti“. A proposito della stampa, gli osservatori internazionali hanno rilevato che “la diversità dei punti di vista è stata notevolmente ridotta dall’alto grado di polarizzazione e dalla forte influenza del governo sulla maggior parte di essi” – anche in questo caso con un “dominio” e una “copertura positiva” del presidente Vučić e del suo Partito Progressista Serbo (di cui era leader fino a maggio) – oltre a “numerose segnalazioni di giornalisti critici insultati verbalmente da funzionari statali e attacchi coordinati da parte di media filogovernativi”. Va poi considerato il fatto che la campagna elettorale si è svolta sullo sfondo della guerra russa in Ucraina, un tema particolarmente sensibile per i rapporti tra Bruxelles e Belgrado. “La manipolazione delle informazioni rimane una preoccupazione, anche se non è stato il tema predominante delle elezioni”, ha messo in chiaro il capo-delegazione del Parlamento Ue in Serbia, Klemen Grošelj.(credits: Andrej Isakovic / Afp)A tutto questo si aggiunge non solo il fatto che l’eccessiva frequenza di elezioni anticipate “ha minato la fiducia nelle istituzioni democratiche” della Serbia, ma anche il riscontro sul campo di “carenze procedurali, tra cui frequenti casi di sovraffollamento, violazioni della segretezza del voto e numerosi casi di voto di gruppo“. Erano circa 6,5 milioni gli elettori registrati per partecipare alla tornata elettorale del 17 dicembre, ma sono state diverse le azioni di irregolarità alle urne: “Abbiamo assistito a casi di trasporto organizzato di elettori dalla Republika Srpska [l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina, ndr] e di intimidazione dei votanti“, ha denunciato l’eurodeputata e membro della delegazione parlamentare Viola von Cramon-Taubadel (Verdi/Ale), sottolineando che “ci aspettavamo assolutamente standard democratici più elevati da un Paese candidato all’Ue, che sta negoziando l’adesione”.È proprio questa la preoccupazione maggiore che si respira a Bruxelles e non solo. “La Serbia ha votato, ma l’Osce ha segnalato abuso di fondi pubblici, intimidazione degli elettori e casi di acquisto di voti, è inaccettabile per un Paese con lo status di candidato all’Ue“, è stato il durissimo attacco arrivato dal ministero degli Esteri tedesco. Più cauta la Commissione Europea, che in una nota congiunta dell’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e del commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, chiede che “le denunce di irregolarità siano seguite in modo trasparente dalle autorità nazionali competenti”. Nel punto quotidiano di oggi (19 dicembre) con la stampa europea, il portavoce-capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, ha ricordato che “abbiamo un chiaro quadro negoziale con la Serbia, che riguarda anche la democrazia e i processi elettorali come questione fondamentale”.Il risultato delle elezioni anticipate in SerbiaNonostante le grandi aspettative della vigilia da parte della coalizione ‘La Serbia contro la violenza’, il Partito Progressista Serbo si è imposto nuovamente alle elezioni anticipate con il 46,67 per cento dei voti, staccando di 23 punti percentuali proprio l’opposizione unita che si è piazzata al secondo posto (mentre la coalizione guidata dal socialista Ivica Dačić è crollata al 6,56, al terzo posto). Nel nuovo Parlamento l’Sns dovrebbe controllare 128 seggi su 250, con la possibilità così di governare senza alleati. A fronte delle frodi e delle numerose azioni illecite alle urne, migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro i risultati dopo l’appello dei partiti e movimenti che spaziano dal centro all’ecologismo di sinistra: la coalizione si era formata proprio dopo la traduzione in istanze politiche (europeiste) delle proteste di piazza contro il clima che ha portato alle sparatorie di maggio e oggi non sembra voler mollare contro i brogli del partito al potere. “Hanno rubato il nostro futuro“, si leggeva nei cartelli dei manifestanti davanti all’edificio della commissione elettorale serba a Belgrado ieri sera.Da sinistra: il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, e il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, a Belgrado (16 settembre 2022)Proprio nella capitale la situazione è particolarmente tesa, dal momento in cui il Partito Progressista Serbo ha rivendicato la vittoria nella più contesa tra le elezioni municipali del Paese: il partito guidato a Belgrado dal filo-russo Aleksandar Šapić avrebbe conquistato 49 seggi (su 110), che però non sarebbero abbastanza per controllare l’Assemblea cittadina solo con il supporto del partito nazionalista di estrema destra russofila ‘Noi, voce del popolo’ di Branimir Nestorović (6 seggi). La coalizione ‘La Serbia contro la violenza’ (42 seggi) ha denunciato che oltre 40 mila persone arrivate dalla Republika Srpska hanno votato a Belgrado senza essere formalmente registrate come residenti e ha chiesto l’annullamento del risultato delle urne, parlando esplicitamente di “furto elettorale”. Da Mosca sono arrivate nella giornata di ieri al presidente serbo Vučić e all’Sns le congratulazioni del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha parlato di “ulteriore rafforzamento dell’amicizia” tra Russia e Serbia. A chiudere il ‘triangolo russo’ non è mancato il più stretto alleato di Belgrado (e in modo sempre più palese anche dell’autocrate russo Putin), il premier ungherese Viktor Orbán, che ha definito quella di Vučić e del suo partito “una vittoria elettorale travolgente”.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Adottato il dodicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia. L’Ue colpisce il commercio di diamanti

    Bruxelles – L’Ue incarta il pacchetto regalo natalizio e lo spedisce al Cremlino. A una settimana dalle festività, i 27 hanno adottato oggi (18 dicembre) il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia dall’inizio della guerra d’aggressione in Ucraina. E finalmente prende di mira il commercio di diamanti, che frutta a Mosca 4,5 miliardi di dollari all’anno.Sconfitte le resistenze del Belgio e del settore dei gioielli di lusso: la nuova tornata di misure restrittive prevede il divieto di importazione, acquisto diretto o indiretto o trasferimento di diamanti dalla Russia. Un divieto che si applica “ai diamanti originari della Russia, ai diamanti esportati dalla Russia, ai diamanti in transito in Russia e ai diamanti russi lavorati in Paesi terzi”. L’iniziativa, coordinata con i partners del G7, farà sì che dall’inizio del nuovo anno sarà vietato il commercio di diamanti naturali e sintetici non industriali e di gioielli con diamanti.(Photo by Alexander NEMENOV / AFP)Solo in un secondo momento saranno introdotti una serie di divieti sui diamanti russi lavorati -cioè tagliati e/o lucidati – in Paesi terzi: per consentire misure di applicazione efficaci, dal primo marzo sarà introdotto gradualmente un sistema di tracciabilità che diventerà obbligatorio a partire dal primo settembre 2024. Con il dodicesimo pacchetto stop anche alle importazioni dalla Russia di prodotti derivati dai metalli: ghisa, fili di rame, fili di alluminio, tubi e tubature, che l’anno scorso sono stati acquistati da imprese europee per un valore totale di 2,2 miliardi di euro.Inoltre, il pacchetto amplia l’elenco di articoli soggetti a restrizioni che potrebbero contribuire al miglioramento tecnologico del settore militare, includendo prodotti chimici, batterie al litio, termostati, motori cc e servomotori per veicoli aerei senza pilota (i droni), macchine utensili e parti di macchinari.L’Ue a caccia delle elusioni alle misure restrittive contro la Russia“Più andiamo avanti e più saltano fuori elusioni” alle misure restrittive, spiegano fonti europee. Per tappare le fuoriuscite, Bruxelles ha deciso di estendere a tutti i beni con potenziale uso bellico esportati dall’Ue verso Paesi terzi il divieto di transito attraverso il territorio russo. I cittadini con nazionalità russa non potranno inoltre possedere, controllare o ricoprire incarichi in organi direttivi di entità che forniscono portafogli di criptovalute, servizi di conto o custodia a persone e residenti russi. Infine, l’Ue ha deciso di imporre obblighi di notifica per il trasferimento di fondi al di fuori dei 27 Paesi membri da parte di qualsiasi entità stabilita nell’Ue posseduta o controllata da un’entità stabilita in Russia.Diventa legge la clausola “no Russia”: chiunque esporti beni e tecnologie sensibili al di fuori del territorio comunitario dovrà vietare contrattualmente la riesportazione verso la Russia. La clausola copre tutti gli articoli utilizzati nei sistemi militari russi rinvenuti sul campo di battaglia in Ucraina.Una petroliera russa (Photo by Rizwan TABASSUM / AFP)Ma il nuovo pacchetto mira anche a chiudere le importanti lacune che hanno permesso a Mosca di continuare a esportare petrolio a prezzi competitivi, con un impatto ridotto sulle sue entrate. Perché l’embargo sulle importazioni e il tetto al prezzo del greggio russo non sono finora bastati, con diversi Stati Ue che hanno continuato a acquistare derivati del petrolio di Mosca da navi che battevano bandiera di Paesi terzi.Per mettere fine all’elusione Bruxelles ha escogitato un meccanismo rafforzato di condivisione delle informazioni che dovrebbe consentire una migliore identificazione delle navi e delle entità che attuano pratiche ingannevoli, come i trasferimenti da nave a nave utilizzati per nascondere l’origine o destinazione del carico. Inoltre, sarà introdotta l’obbligo di notifica per la vendita di navi cisterna, anche di seconda mano, a qualsiasi paese terzo. Infine, è stato introdotto un apposito embargo sul Gpl, il propano liquefatto, per un periodo transitorio di 12 mesi.In questo dodicesimo pacchetto non manca un capitolo dedicato alle sanzioni individuali. Un capitolo corposo, con 147 nuovi ingressi – 61 individui e 86 entità – in un elenco che conta ora 1950 individui e entità soggetti a misure restrittive dall’inizio della guerra in Ucraina. “Il nostro messaggio è chiaro – ha dichiarato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell -, rimaniamo fermi nel nostro impegno nei confronti dell’Ucraina e continueremo a sostenere la sua lotta per la libertà e la sovranità”.

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    L’Unione europea mette da parte il Medio Oriente. Dai 27 nessuna richiesta di cessate il fuoco a Gaza

    Bruxelles – Nessuna richiesta di cessate il fuoco: sul conflitto tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza l’Unione europea è un disco rotto, incapace di intonare una musica nonostante le oltre 18 mila vittime civili tra la popolazione palestinese e un appello forte e chiaro per il cessate il fuoco lanciato dalle Nazioni Unite il 12 dicembre.Il paragrafo dedicato al Medio Oriente delle conclusioni del vertice dei leader Ue è emblematico: “Il Consiglio Europeo ha tenuto un profondo dibattito strategico”, niente di più. La sintesi perfetta la fornisce la premier Giorgia Meloni, a margine dei lavori: “Si è preferito ribadire le conclusioni dell’ultimo Consiglio europeo perché se avessimo in qualche maniera rinnovato quelle conclusioni probabilmente alcune divergenze avrebbero reso il lavoro difficile“.La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni [Bruxelles, 15 dicembre 2023 Foto: European Council]Condanna totale all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, liberazione immediata di tutti gli ostaggi, diritto di Israele a difendersi in linea con la legge internazionale umanitaria e accesso continuo di aiuti nella Striscia garantito dall’istituzione di pause umanitarie. Questo era stato partorito gli scorsi 25-26 ottobre. A distanza di quasi due mesi, le Forze di Difesa Israeliane non hanno in alcun modo cambiato la loro strategia militare, di pause umanitarie se n’è vista solamente una e l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa) ha denunciato senza sosta l’accesso insufficiente di aiuti umanitari nella Striscia.Dopo la risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’Onu, con il voto positivo di 17 Paesi dell’Ue e l’opposizione delle sole Austria e Repubblica Ceca, era filtrato un po’ di ottimismo sulla possibilità che la posizione comune dei 27 potesse evolvere. “È un fatto che molte più persone propendono per la richiesta del cessate il fuoco”, aveva sottolineato ieri l’Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, Josep Borrell, pur constatando che sulla questione “non c’è una posizione comune”. Parole forti sono arrivate dal presidente di Cipro, Nikos Christodoulidīs, che in mattinata aveva definito “un fallimento per l’Unione europea” l’eventualità di non arrivare a conclusioni forti e unitarie sul conflitto.L’esito della votazione all’Assemblea Onu il 12 dicembreCi hanno provato anche Spagna, Irlanda e Belgio, a convincere i dieci Paesi ancora reticenti (all’Onu, oltre al no di Austria e Repubblica Ceca, si sono astenute Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Romania e Slovacchia). Ma hanno dovuto alzare bandiera bianca. “È vero che tra i membri del Consiglio europeo ci sono diverse sensibilità sulla pausa umanitaria o il cessate il fuoco, ma questo tema non deve nascondere l’essenziale, che è la determinazione comune e condivisa di essere mobilitati sul piano umanitario” e “sul processo politico per arrivare alla soluzione dei due Stati”, ha provato a salvare il salvabile il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.“L’obiettivo di oggi non era di discutere su conclusioni scritte”, ha chiarito inoltre il leader europeo. Ma il paragrafo sul Medio Oriente è presente nel testo definitivo dei messaggi politici del vertice, ed era previsto anche nelle sue versioni dei giorni precedenti. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha preferito focalizzarsi sulla “priorità immediata di fornire il massimo possibile di aiuto umanitario” a Gaza, annunciando che a oggi la Commissione europea è riuscita a coordinare 28 ponti aerei per un totale di 1.200 tonnellate di aiuti per gli oltre 1,9 milioni di sfollati interni. E che ulteriori 5 voli sono stati pianificati.Von der Leyen ha poi dichiarato che “entrambe le parti devono fare il massimo per proteggere le vite dei civili”. Se è vero che – come confermato dai bollettini giornalieri dell’Unrwa, proseguono i lanci di razzi indiscriminati da parte di gruppi armati palestinesi verso Israele, è sempre più pesante la sproporzione del triste bilancio delle vittime: Israele piange 1400 cittadini (quasi tutti risalenti al 7 ottobre), mentre tra la popolazione della striscia di Gaza, secondo i dati forniti dal ministero della Salute e rilanciati dall’Unrwa, a ieri sono stati uccisi almeno 18.787 palestinesi. Di cui circa il 70 per cento sarebbero donne e minori. Con 50.589 feriti e solo 11 ospedali su 36 ancora parzialmente funzionanti.Pochissimo anche sulla possibilità, su cui è al lavoro la Commissione europea, di introdurre un regime di sanzioni per i coloni israeliani che si macchiano di violenze contro la popolazione civile nella West Bank. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite Ocha-Opt, dal 7 ottobre ci sono stati almeno 343 attacchi di coloni in Cisgiordania, con 10 vittime e 263 casi di danneggiamenti a proprietà palestinesi. “Condanniamo le recrudescenze degli attacchi dei coloni in Cisgiordania”, ha accennato Michel.

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    L’UE arma l’Ucraina: “Avanti con munizioni, missili e sistemi anti-aerei”

    Bruxelles –  Avanti con il sostegno militare all’Ucraina, come già stabilito fin qui e anche con più e rinnovati sforzi. Il che vuol dire più munizione, missili e sistemi anti-aerei. Nel giorno in cui Kiev ottiene l’avvio dei negoziati per l’adesione all’Unione europea tanto richiesto dal presidente Volodymyr Zelensky, i Ventisette confermano e rilanciano l’assistenza in senso anti-russo.  Il messaggio messo nero su bianco nelle conclusioni del vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE è che “l’Unione europea e i suoi Stati membri continueranno a rispondere alle pressanti esigenze militari e di difesa dell’Ucraina“.I leader dei Ventisette sono determinati a garantire, da qui in avanti, “un sostegno militare tempestoso, prevedibile e sostenibile all’Ucraina”. Per raggiungere questo obiettivo si intende ricorrere al Fondo europeo per la pace (European Peace Facility, EPF), missione di assistenza militare dell’UE, e l’assistenza bilaterale diretta degli Stati membri che potrà essere fornita singolarmente.In questo rinnovato slancio, si intende tenere fede quanto prima alla promessa di rifornire le forze armate ucraine di quanto serve. Si avverte, in particolare, “l’urgente necessità di accelerare la consegna di missili e munizioni, in particolare nell’ambito dell’iniziativa di munizioni per artiglieria, e di fornire all’Ucraina maggiori sistemi di difesa aerea”.Il messaggio per il presidente russo, Vladimir Putin, è che l’UE è decisa a tenere il punto e contribuire alla difesa e alla controffensiva dell’armata russa. “L’Unione europea e i suoi Stati membri continuano a impegnarsi a contribuire, a lungo termine e insieme ai partner, agli impegni in materia di sicurezza nei confronti dell’Ucraina“. Un passaggio che sta a significare che la mobilitazione a dodici stelle per Kiev non sarà né un fenomeno isolato né limitato a questo preciso momento storico. L’Ucraina è ormai nell’orbita comunitaria e non più in quella del Cremlino: questo il senso geopolitico di questo passaggio. Questi impegni politici e militari di lungo termine “aiuteranno l’Ucraina a difendersi, a resistere agli sforzi di destabilizzazione e a scoraggiare in futuro atti di aggressione”.

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    Borrell alza le mani sulla mancanza di unità europea su Gaza: “Non c’è una posizione comune”

    Bruxelles – Sui bombardamenti israeliani a Gaza non c’è una posizione comune. Dopo due mesi di sforzi per cercare di ridurre a unità le diverse sensibilità dei Paesi Ue, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell, getta la spugna. “Io dovrei rappresentare una posizione comune, ma non c’è. Ci sono approcci diversi”, ha dovuto ammettere all’ingresso al vertice dei capi di stato e di governo dei 27.Dopo il Consiglio europeo di ottobre, in cui i leader Ue avevano trovato la quadra chiedendo “la liberazione immediata di tutti gli ostaggi” e “pause umanitarie” per consentire l’accesso e la distribuzione degli aiuti internazionali, dal vertice in corso oggi e domani a Bruxelles ci si aspetta un passo oltre. Perché, come dimostrato dal voto del 12 dicembre all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la posizione di diversi Stati Ue si è evoluta di fronte alla quasi 20 mila vittime palestinesi e al protrarsi della strategia militare israeliana, che si sta dimostrando incapace di salvaguardare le vite della popolazione civile.La risoluzione con cui le Nazioni Unite hanno lanciato l’appello per un “cessate il fuoco umanitario immediato” è stata approvata a larghissima maggioranza con 153 voti a favori, 10 contrari e 23 astenuti. Tra i Paesi del blocco Ue, solo Austria e Repubblica Ceca si sono opposte. Bulgaria, Germania, Ungheria, Italia, Lituania, Olanda, Romania e Slovacchia hanno scelto di astenersi, ma i restanti 17 hanno supportato il testo presentato dagli Emirati Arabi. Più del doppio rispetto agli 8 che avevano approvato la richiesta per il cessate il fuoco a fine ottobre.L’esito del voto sulla risoluzione del 12 dicembre all’Assemblea generale dell’Onu“Questo è un fatto – ha sottolineato Borrell -. Molte, molte più persone propendono per la richiesta del cessate il fuoco. Ma i leader dovranno parlarne”. Chi ha promesso che spingerà per un “linguaggio più deciso” su Gaza nelle conclusioni del Consiglio europeo è stato il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, secondo cui “l’Europa ha perso credibilità verso il sud globale, che è la maggior parte del mondo, non mostrandosi forte e unita” e prestando il fianco all’accusa di “doppi standard” sulle violazioni del diritto internazionale umanitario in Ucraina e a Gaza.Per il cessate il fuoco insisterà anche Alexandre De Croo, primo ministro belga, e Pedro Sanchez, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue: “Dopo la votazione all’Onu, dove un’ampia maggioranza di Paesi Ue si sono espressi a favore di un cessate il fuoco umanitario, è importante che l’Ue parli in modo chiaro, forte e unico“, ha avvertito il primo ministro spagnolo all’ingresso al vertice. Della stessa opinione il capannello di funzionari della Commissione europea – qualche centinaio – che hanno organizzato un sit-in davanti alla sede del Consiglio europeo per chiedere il cessate il fuoco. Gli stessi che, già il 20 ottobre scorso, avevano indirizzato una lettera a Ursula von der Leyen criticando fortemente il suo supporto incondizionato a Israele.Sit-in di funzionari della Commissione per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. pic.twitter.com/hZPHhK53DL— David Carretta (@davcarretta) December 14, 2023

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    Potrebbe esserci una via d’uscita all’opposizione di Orbán all’avvio dei negoziati Ue con l’Ucraina

    Bruxelles – Per uscire dall’impasse di un vertice che da settimane si preannunciato caldissimo sulla questione dell’Ucraina, bisogna guardare ai dettagli. Su cui alla fine si giocano tutti i compromessi tra i leader dell’Unione. Se ancora non si vede una via d’uscita allo sblocco delle trattative sul supporto finanziario Ue a medio/lungo termine a Kiev, lo scoglio dei negoziati di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea potrebbe vedere una luce politica in fondo a un tunnel che – verosimilmente – occuperà buona parte della prima giornata di Consiglio Europeo.Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, accoglie il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (14 dicembre 2023)“L’allargamento non è una questione teorica, è un processo basato sul merito e dettagliato a livello giuridico con pre-condizioni”, ha messo in chiaro questa mattina (14 dicembre) al suo arrivo al Consiglio Europeo un agguerrito Viktor Orbán, il vero responsabile dello stallo al tavolo dei capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. Il premier ungherese ha voluto sottolineare che “abbiamo fissato 7 pre-condizioni” per l’avvio dei negoziati di adesione dell’Ucraina e “anche dalla valutazione della Commissione Europea 3 pre-condizioni non sono state soddisfatte”. È così che – almeno nel merito della questione, senza considerare il ricatto sul piano dello sblocco dei fondi Ue all’Ungheria – si spiega l’ostruzionismo del leader ungherese: “Nelle mie stime sono anche di più [le pre-condizioni non soddisfatte, ndr], ma 3 sono abbastanza per dire che non c’è la possibilità di iniziare ora a negoziare l’appartenenza dell’Ucraina all’Unione”. Alle domande della stampa su un possibile compromesso durante le discussioni di oggi, Orbán ha voluto ricordare che “le pre-condizioni non sono state fissate dall’Ungheria ma dalla Commissione Europea, sono pubbliche”.Ciò a cui il premier ungherese si riferisce sono le priorità fissate dall’esecutivo comunitario e accettate dai Ventisette nel momento della concessione all’Ucraina dello status di candidato all’adesione al Consiglio Europeo del 23 giugno 2022. Già a giugno di quest’anno – come rilevato dal report orale della Commissione – erano state completate 2 pre-condizioni su 7 (riforma di due organi giudiziari e area dei media), con altre 2 portate a compimento nei quattro mesi successivi: riforme della Corte Costituzionale e norme anti-riciclaggio, come si legge nel Pacchetto Allargamento 2023. Le priorità ancora non pienamente soddisfatte sono quelle che riguardano lotta alla corruzione, riduzione dell’influenza degli oligarchi e protezione delle minoranze nazionali. Secondo quanto ha reso noto la stessa presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, lo scorso 8 novembre in occasione della pubblicazione del Pacchetto, “presenteremo un nuovo rapporto a marzo 2024“, in cui saranno valutati i progressi dell’Ucraina (ma anche della Moldova e della Georgia) sulle pre-condizioni ancora pendenti. La fiducia al Berlaymont – e in 26 capitali su 27 – risiede nel fatto che a Kiev “la decisione di concedere lo status di candidato all’Ue ha creato una potente dinamica di riforma, nonostante la guerra in corso, con un forte sostegno da parte del popolo ucraino”, si legge nel report specifico.È qui che si inserisce la delicata questione dell’avvio dei negoziati di adesione. La raccomandazione della Commissione al Consiglio Europeo è sì quella di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina, ma anche quella di adottare i quadri negoziali “una volta che saranno implementante alcune misure chiave”. La differenza è sottile, ma sostanziale. Il Consiglio Europeo – l’organismo che definisce le priorità e gli indirizzi politici generali dell’Unione – ha il compito di prendere una decisione politica sull’inizio del processo di adesione di un Paese terzo e sul momento più decisivo (l’avvio dei negoziati, appunto). Ma il compito di mettere a terra la decisione in modo formale è del Consiglio dell’Unione Europea – l’organo decisionale che rappresenta i governi dei 27 Paesi membri e detiene il potere legislativo insieme al Parlamento Europeo – che secondo i Trattati ha l’ultima parola a riguardo: “I negoziati di adesione non possono iniziare finché tutti i governi dell’Ue non concordano, sotto forma di decisione unanime del Consiglio dell’Ue, su un quadro o un mandato per i negoziati con il Paese candidato”.In altre parole, al vertice dei 27 leader di oggi e domani si può decidere per una soluzione politica (avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina) ma senza che questo implichi il fatto che Kiev possa bypassare il completamento delle 3 pre-condizioni mancanti. La nuova valutazione sarà rimandata – come precisato dal gabinetto von der Leyen – al report di marzo 2024, con la decisione formale e finale da parte dei 27 governi dell’Ue in Consiglio. Senza che comunque venga meno il diritto di veto su cui si sta facendo forte il premier Orbán in questi giorni. Se si concretizzerà questo scenario, è presumibile che venga posto l’accento nelle conclusioni del vertice dei 27 leader sul ruolo del Consiglio dell’Ue per l’adozione del quadro negoziale. Al momento la bozza visionata da Eunews riporta che il Consiglio Europeo “decide di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Repubblica di Moldova” e “invita il Consiglio [dell’Unione Europea, ndr] ad adottare i rispettivi quadri negoziali una volta adottate le misure” indicate nelle conclusioni sull’allargamento del Consiglio Affari Generali di martedì (12 dicembre)L’Ucraina e non solo. Come si aderisce all’UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.Solo per i Balcani Occidentali è previsto un processo parallelo – e separato – ai negoziati di adesione all’Unione, che ha comunque un impatto sull’allargamento Ue. Il processo di stabilizzazione e associazione è finalizzato ad aiutare i partner balcanici per un’eventuale adesione, attraverso obiettivi politici ed economici che stabilizzino la regione e creino un’area di libero scambio. Dopo la definizione di un quadro generale delle relazioni bilaterali tra l’Unione Europea e il Paese partner, la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione offre la prospettiva futura di adesione.