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    Palestina, il lento cammino dell’Ue nel riconoscimento dello Stato

    Bruxelles – Undici su 27. Questo il computo degli Stati membri dell’Unione europea che si sono espressi per un riconoscimento della Palestina come stato. Numeri che danno la dimensione della complessità della questione arabo-israeliana, che a distanza di quasi 80 anni – da quando cioè; nel 1948, la comunità internazionale decise di creare Israele – continua a dividere.Per l’Unione europea il tema del riconoscimento dello stato palestinese è praticamente nuovo. E’ vero che sette degli 11 Paesi membri che oggi riconoscono la Palestina lo hanno già fatto nel 1988, ma quando tutti erano ancora Paesi extra-europei. Il primo Stato membro Ue in quanto tale a rompere un tabù è stata la Svezia, che nel 2013 è diventata l’ottavo Paese a schierarsi apertamente con i palestinesi, e il primo dall’interno del club a dodici stelle.Oggi gli annunci resi da Francia e da Malta di voler aggiungersi alla lista proiettano l’Ue in una dimensione nuova, di divisione, certo, ma con una tendenza di inversione: a settembre 2025, quando Malta e Francia ufficializzeranno la loro decisione, gli Stati Ue a riconoscere la Palestina diventeranno 13 su 27. Un altro passo politico e la Palestina otterrà il sostegno della maggioranza degli Stati membri dell’Ue.7Riconoscimento dello stato palestinese nell’Ue, l’evoluzione– 1988: Bulgaria, Cipro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria (7)– 2013: Svezia (8)– 2024: Spagna, Slovenia, Irlanda  (11)– 2025: Francia e Malta (13)

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    Israele pensa all’annessione di Gaza, l’Ue risponde col silenzio

    Bruxelles – Un annuncio altisonante per una risposta silenziosa pressoché nulla. Israele e Unione europea, divisi sul futuro dello Stato palestinese ma alla fine concordi nel condannare la parte araba della questione israelo-palestinese. Israele e Unione europea, la forza e l’arroganza da una parte, la timidezza e la debolezza dall’altra. Il governo dello Stato ebraico guidato da Benjamin Netanyahu minaccia di annettere la Striscia di Gaza, e l’Ue reagisce non reagendo.Di fronte ad una pressione internazionale crescente che vede per la decisione politica di riconoscere la Palestina come Stato, la risposta di Tel Aviv è risolvere la questione cancellando dalla carta geografica territori che potrebbero tornare utili, in futuro, per uno stato palestinese. L’Ue, che ha sempre sostenuto la necessità di una soluzione a due Stati, tace. La sempre attiva Kaja Kallas, Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue molto attiva in termini di momenti stampa, dichiarazioni ufficiali e anche post social, non ha battuto ciglio. Nessun commento, nessun comunicato, e neppure nessun pensierino affidato a X, dove l’ultima cosa scritta è la condanna di Hamas, a cui intima il rilascio degli ostaggi.The images of Israeli hostages are appalling and expose the barbarity of Hamas. All hostages must be released immediately and unconditionally.Hamas must disarm and end its rule in Gaza.At the same time, large-scale humanitarian aid must be allowed to reach those in need.— Kaja Kallas (@kajakallas) August 3, 2025Deve essere pungolata, l’Alta rappresentante, perché si esprima sulla questione. Serve un’interrogazione parlamentare promossa da membri dei gruppi socialista (S&D), Verdi, sinistra radicale (laSinistra) e non iscritti per avere una risposta chiara in merito. “L’Ue respinge qualsiasi tentativo di cambiamenti demografici o territoriali nella Striscia di Gaza e sostiene l’unificazione della Striscia di Gaza con la Cisgiordania sotto l’Autorità Palestinese“, la linea della Commissione europea e di Kallas, e che nome del collegio tutto si esprime. In silenzio, discretamente, sommessamente, per non dare troppo fastidio al governo di Israele. Una coincidenza che la risposta scritta di Kallas arrivi i il 2 agosto, per un’interrogazione depositata il 27 maggio. Coincidenza fortuita, che almeno permette di sgombrare il campo da dubbi ed equivoci, ma che non cancella una Commissione europea impreparata a condannare quando serve un Paese ‘amico’. Ancora una volta l’Ue non fa una bella figura. Su Israele e la risposta all’eccesso di risposta israeliana agli attacchi di Hamas, l’Europa finisce col condannare il futuro della Palestina e del suo popolo. O ciò che ne resterà. Perché, è bene ricordarlo, Kallas condanna Hamas per il trattamento riservato agli ostaggi ma sorvola sulla strage di civili e il genocidio in corso a Gaza.

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    Dazi, arriva lo stop Ue di 6 mesi alle contromisure. “Usa ora attuino altri punti accordo”

    Bruxelles – Arriva un’altra tappa nel percorso di ‘pacificazione’ commerciale tra Unione europea e Stati Uniti d’America dopo l’accordo politico raggiunto lo scorso 27 luglio in Scozia dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente statunitense Donald Trump. Domani (5 agosto), l’esecutivo europeo adotterà le misure per sospendere per 6 mesi i contro-dazi che, a partire dal 7 agosto, avrebbero colpito 93 miliardi di beni provenienti dagli Stati Uniti d’America.L’annuncio è stato fatto oggi dal portavoce dell’esecutivo Ue, Olof Gill, che ha precisato che “l’Unione europea continua a collaborare con gli Stati Uniti per finalizzare una dichiarazione congiunta, come concordato il 27 luglio” scorso. “Con questi obiettivi in mente, la Commissione adotterà le misure necessarie per sospendere di 6 mesi le contromisure dell’Ue contro gli Stati Uniti, che avrebbero dovuto entrare in vigore il 7 agosto.L’adozione da parte della Commissione delle misure necessarie è prevista per domani, 5 agosto, tramite procedura d’urgenza“, precisa Gill. Attraverso il suo portavoce incaricato al Commercio, Palazzo Berlaymont ribadisce che l’accordo politico raggiunto “ripristina stabilità e prevedibilità per cittadini e imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Non solo, per l’Ue l’intesa “garantisce l’accesso continuo alle esportazioni dell’Ue al mercato statunitense, preserva catene del valore transatlantiche profondamente integrate, salvaguarda efficacemente milioni di posti di lavoro e getta le basi per una cooperazione strategica continua tra Ue e Stati Uniti”.Dazi, Šefčovič difende l’accordo di von der Leyen con gli Usa. Ma i Ventisette non sono entusiastiPer la Commissione, l’Ordine Esecutivo emesso lo scorso 31 luglio da Washington “conferma il primo passo nell’attuazione dell’accordo, ovvero l’introduzione, dall’8 agosto, di un dazio unico e onnicomprensivo del 15 per cento sulle merci provenienti dall’Unione europea“. Dazio unico e onnicomprensivo perché, “a differenza di altri partner commerciali statunitensi, include le attuali aliquote della nazione più favorita (Npf, in media del 4,8 per cento con gli Usa), il che significa che non è previsto alcun cumulo oltre il limite del 15 per cento”.Quindi, a scanso di equivoci, Bruxelles vuole fare i conti e osserva che, “con questa iniziativa, l’Ue ottiene un’immediata riduzione dei dazi rispetto a quelli annunciati dagli Stati Uniti il 2 aprile, e si getta una prima importante base per ripristinare la chiarezza per le aziende dell’Ue che esportano negli Stati Uniti”. Ma in questo contesto la Commissione rileva un ‘però’: il fatto che ora sta a Washington attuare gli altri punti dell’intesa. Oltre al dazio unico e onnicomprensivo del 15 per cento, “gli altri elementi dell’accordo del 27 luglio devono ora essere attuati dagli Stati Uniti”, osserva ancora Gill. Tra questi figurano “l’impegno a ridurre i dazi della Sezione 232 sulle automobili e sui componenti di automobili importati dall’Ue a un’aliquota massima del 15 per cento, nonché il trattamento specifico concordato per alcuni prodotti strategici, ad esempio, aeromobili e componenti di aeromobili”, conclude.Un elemento che Bruxelles tiene a puntellare dal momento che l’Ordine Esecutivo statunitense affronta, sì, i dazi reciproci – fissando l’aliquota unica e onnicomprensiva del 15 per cento -, ma è silente rispetto agli altri elementi dell’accordo Ue-Usa: in particolare sull’impegno a ridurre i dazi statunitensi della Sezione 232 su automobili e componenti di automobili a un’aliquota massima del 15 per cento e a prevedere il trattamento specifico concordato per alcuni prodotti strategici, ad esempio, aeromobili e componenti di aeromobili.Dunque, all’opposto di quello che l’esecutivo Ue aveva spiegato nella sua nota stampa la settimana scorsa, dove precisava che in base all’accordo del 27 luglio “il limite del 15 per cento si applica anche alle automobili e ai relativi componenti, attualmente soggetti a un’aliquota tariffaria fino al 25 per cento con un’ulteriore tariffa Npf (Nazione più favorita, ndr) del 2,5 per cento, che garantisce un’immediata riduzione tariffaria” e che dal “primo agosto 2025, i dazi statunitensi su aeromobili e componenti di aeromobili dell’Ue, su alcune sostanze chimiche, su alcuni farmaci generici o sulle risorse naturali torneranno ai livelli precedenti a gennaio”.

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    L’Ue teme che la Bielorussia stia per inondare l’Europa di migranti dalla Libia

    Bruxelles – Sembrava relegata nel passato, ma la saga dei migranti usati come armi dalla Bielorussia potrebbe riprendere, stavolta alle frontiere meridionali dell’Ue. Lo sospetta la Commissione europea, che sta indagando su una serie di voli giudicati sospetti tra Minsk e Bengasi, la capitale della Libia orientale nelle mani del generale filorusso Khalifa Haftar.C’è una certa inquietudine, in questi giorni di pausa estiva, tra i corridoi del potere a Bruxelles. Oltre ai dazi della Casa Bianca, a rovinare l’agosto del Berlaymont rischia di essere un nuovo episodio della crisi migratoria artificiale architettata dalla Bielorussia di Alexander Lukashenko, satellite della Russia di Vladimir Putin e da anni protagonista di quella che l’Ue e i suoi Stati membri considerano una guerra ibrida in piena regola.Stavolta, a destare i sospetti dell’esecutivo comunitario sono una serie di voli osservati tra Minsk e Bengasi, dove ha sede l’autoproclamato governo della Libia orientale – in aperta opposizione a quello di Tripoli, riconosciuto dall’Onu e dall’Ue – guidato dall’autoritario generale Khalifa Haftar, alleato di ferro dello zar nella strategica regione nordafricana.La Commissione teme che l’uomo forte della Cirenaica stia allestendo una nuova ondata di migranti irregolari verso le frontiere meridionali dell’Unione, soprattutto quelle italiane e greche. Nel mirino, per l’ennesima volta, la compagnia aerea bielorussa Belavia, già al centro della bufera negli scorsi anni per il trasporto di migranti e rifugiati verso i confini europei in coordinazione col Cremlino. I flussi dalla Libia verso l’Ue sono aumentati sensibilmente nei primi sei mesi del 2025, con 27mila arrivi in Italia e oltre 7mila in Grecia, rispettivamente il doppio e il triplo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.La Bielorussia non è nuova a questo tipo di strumentalizzazione dei flussi migratori. A partire dall’estate 2021, dal Paese esteuropeo sono stati spinti migliaia di disperati verso le frontiere di Polonia, Lituania e Lettonia, innescando una crisi politica molto seria in Ue che ha portato, tra le altre cose, alla reintroduzione di muri e barriere anti-migranti lungo i confini di diversi Stati.Da allora, Lukashenko non ha di fatto mai smesso di usare gli esseri umani come arma nella sua strategia di destabilizzazione dei Ventisette. Nuovi episodi del genere si sono registrati per l’ultima volta in ordine temporale lo scorso autunno, con i Paesi più direttamente interessati (vedi la Polonia di Donald Tusk) intenzionati a “sospendere” il diritto d’asilo, pur garantito da numerose convenzioni internazionali, nel nome della sicurezza.Per rispondere a questa emergenza – cui si è aggiunta negli ultimi tempi anche la pressione diretta dalla Russia verso la Finlandia – la Commissione europea ha deciso lo scorso dicembre di stanziare 170 milioni di euro per la militarizzazione delle frontiere con la Bielorussia e la Federazione, coincidenti in buona parte col fianco orientale della Nato (che si estende fino al Mar Nero).

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    Ucraina, indietro tutta: Zelensky ripristina l’indipendenza delle agenzie anti-corruzione

    Bruxelles – Nessuna stretta sugli enti-corruzione in Ucraina. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato i decreti che di fatto annullano le precedenti disposizioni di legge e che tornano a garantire indipendenza all’Ufficio nazionale anti-corruzione (Nabu) e all’Ufficio del procuratore speciale anti-corruzione (Sapo). Non ci sarà più, dunque, il controllo del procuratore generale, nominato direttamente dalla presidenza della Repubblica. La decisione di Zelensky arriva dopo le proteste di piazza e le pressioni internazionali dei partner di Kiev, a cominciare dall’Unione europea.Esultano proprio nella capitale dell’Unione europea. “La firma della legge che ripristina l’indipendenza di Nabu e Sapo è benvenuta”, commentano i presidenti di Consiglio europeo e Commissione Ue, Antonio Costa e Ursula von der Leyen, in una nota congiunta. “Riforme in senso di lotta alla corruzione e tutela dello Stato di diritto restano di fondamentale importanza per la via europea dell’Ucraina”, aggiunge, ricordando gli impegni necessari in ottica di adesione all’Ue.Rientrato il caso, ora l’invito e proseguire lungo il percorso concordato. “L’Unione europea continuerà a sostenere questi sforzi” di riforma necessari per l’avvicinamento di Kiev al club a dodici stelle, sottolineano i leader Ue. Certo Zelensky non fa un bella figura con i partner, e adesso lui e il suo Paese resteranno sorvegliati speciali.

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    L’accordo Ue-Usa sui dazi è “irrealizzabile” sull’energia, avverte l’Ieefa

    Bruxelles – L’accordo commerciale tra Unione europea e Stati Uniti, così com’è, non si può fare. E’ “irrealizzabile”, almeno per quanto riguarda il capitolo energetico. Lo afferma l’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria (IEEFA), organizzazione statunitense con sede in Ohio, nell’analisi dell’intesa politica raggiunta tra Ue e Usa. Perché l’Ue possa tenere fede agli impegni assunti l’unica alternativa è dare un calcio al Green Deal e ad ogni ambizione di sostenibilità, poiché “aumentare drasticamente le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) per soddisfare l’accordo è irrealizzabile“. Ciò perché “la domanda di gas in Europa è in calo e il mercato difficilmente riuscirà ad assorbire i volumi in eccesso”, denuncia l’istituto americano.Anche ammettendo che l’Ue possa sviluppare in così poco tempo una capacità di assorbimento di una risorsa energetica per cui non c’è mercato, il club a dodici stelle dovrebbe comunque investire massicciamente sui combustibili fossili, principali responsabili dei gas a effetto serra alla base del surriscaldamento planetario. Sulla base dei prezzi del 2024 e mantenendo la stessa proporzione di prodotti energetici acquistati dagli Stati Uniti rispetto alle importazioni totali di energia, l’IEEFA stima che l‘Ue “dovrà triplicare le sue importazioni di petrolio, carbone e GNL dagli Stati Uniti nel 2025 per rispettare l’impegno”. Petrolio e carbone, esattamente la ricetta opposta a quella contenuta nel Green Deal europeo.C’è anche una questione geo-strategica che rende l’accordo Ue-Usa insostenibile per gli europei. “Il progetto dell’Ue di acquistare 250 miliardi di dollari di energia americana all’anno rischia di creare un’eccessiva dipendenza da un unico fornitore”, viene messo in risalto. La versione della Commissione europea secondo cui questo accordo aiuta a svincolarsi del tutto dal fornitore russo di energia, tace sul fatto che l’Europa si sta consegnando agli Stati Uniti.  L’Istituto di economia energetica e analisi finanziaria ha fatto il calcoli: per rispettare l’accordo per la parte energetica “costringerebbe l’Ue a dipendere dagli Stati Uniti per il 70 per cento delle sue importazioni energetiche“.

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    Mattarella, Tajani e Crosetto nella lista dei “russofobi” stilata dal Cremlino, richiamato l’ambasciatore russo a Roma

    Bruxelles –E’ crisi diplomatica tra Italia e Russia, con il governo di Roma che richiama l’ambasciatore russo dopo che il capo dello Stato Sergio Mattarella è finito in una lista nera del Cremlino dove sono elencati funzionari occidentali “russofobi”. Un’iniziativa cui segue unanime condanna del mondo politico nostrano.La narrativa russa e la propaganda putiniana passano anche per la compilazione di liste di personalità e profili non graditi allo zar come che quella fa infuriare le autorità italiane. L’ultimo elenco delle personalità non gradite al Cremlino colpisce quanti sono accusati di usare un linguaggio “odioso” e “russofobo” nelle loro apparizioni pubbliche, incluso il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, appunto.Lo scorso 24 luglio, il nome dell’inquilino del Quirinale è stato inserito nella lista di proscrizione del Cremlino insieme a quelli del ministro degli Esteri Antonio Tajani e del responsabile della Difesa Guido Crosetto, scatenando le reazioni bipartisan della politica italiana.La premier Giorgia Meloni ha derubricato l’accaduto come “l’ennesima operazione di propaganda” russa, mentre oggi (30 luglio) il titolare della Farnesina ha convocato l’ambasciatore della Federazione a Roma, definendo la mossa “una provocazione contro la Repubblica e il popolo italiano“. Per Nicola Zingaretti, capopattuglia del Partito democratico all’Eurocamera di Strasburgo, si tratta di “un atto grave e inaccettabile” che configura “un attacco ai valori democratici e alle istituzioni che difendiamo con fermezza”.Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani (foto: Sara Minelli via Imagoeconomica)All’origine dell’iscrizione in questo elenco c’è un passaggio del discorso tenuto dal capo dello Stato lo scorso 5 febbraio all’università di Aix-Marseille. Nell’accettare un’onorificenza honoris causa, Mattarella ha ricordato come negli anni Trenta del Novecento si sia assistito ad “un progressivo sfaldarsi dell’ordine internazionale, che mise in discussione i principi cardine della convivenza pacifica, a cominciare dalla sovranità di ciascuna nazione nelle frontiere riconosciute“.Sottolineando come le “guerre di conquista” scaturite dal “criterio della dominazione” furono al centro del “progetto del Terzo Reich in Europa“, il presidente ha dichiarato che “l’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura“. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, alzò la voce nei giorni successivi, bollando le osservazioni di Mattarella come “invenzioni blasfeme” e minacciando non meglio specificate “conseguenze”.Nella lista sono menzionati anche il suo omologo francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, l’Alta rappresentante per la politica estera dell’Ue, Kaja Kallas, e il Segretario generale della Nato Mark Rutte.

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    Anche Regno Unito e Malta verso il riconoscimento della Palestina. Dall’Onu la spinta per la soluzione a due Stati

    Bruxelles – Qualcosa, forse, si muove davvero sotto il cielo della diplomazia. Mentre volgeva al termine la conferenza Onu sulla Palestina, ieri sera anche il Regno Unito e Malta hanno annunciato che riconosceranno a breve lo Stato palestinese. La mossa del premier britannico sembra più una “minaccia” verso Israele che non una solida convinzione politica, ma potrebbe comunque produrre dei risultati.Erano in pochi ad aspettarsi l’annuncio fatto ieri sera (29 luglio) dal primo ministro di Sua Maestà, sir Keir Starmer, al termine di una riunione straordinaria del suo gabinetto sulla catastrofe umanitaria in corso nella Striscia di Gaza. L’inquilino di Downing Street ha dichiarato che “l’unico modo per porre fine a questa crisi umanitaria è attraverso un accordo a lungo termine“, sostenendo che “il nostro obiettivo rimane un Israele sicuro e protetto accanto a uno Stato palestinese sovrano e vitale, ma in questo momento tale obiettivo è sotto pressione come mai prima d’ora”.“Ora è il momento di agire“, ragiona Starmer, sulla scia della crescente pressione internazionale sullo Stato ebraico affinché fermi la strage di palestinesi che porta avanti da oltre 21 mesi (definita come genocidio dalle stesse ong israeliane) e faccia entrare nell’enclave costiera gli aiuti umanitari. “Vediamo bambini affamati, bambini troppo deboli per stare in piedi, immagini che rimarranno con noi per tutta la vita”, ha aggiunto.My statement on the humanitarian crisis in Gaza and our plan for peace including the recognition of a Palestinian State. pic.twitter.com/aMUCNwJb9z— Keir Starmer (@Keir_Starmer) July 29, 2025In realtà, il premier britannico ha posto la questione come una sorta di ultimatum al governo israeliano: Londra riconoscerà formalmente lo Stato palestinese “a meno che” Tel Aviv non adotti “misure concrete” per cessare immediatamente le ostilità a Gaza. L’autodeterminazione di un popolo e la sovranità di una nazione usati come minacce, insomma, anziché venire trattati con la dignità che, almeno teoricamente, prescrive il costume diplomatico.Sia come sia, la mossa di Starmer – che ha ceduto al fuoco di fila del suo esecutivo e di centinaia di deputati perché seguisse l’esempio di Emmanuel Macron – segnala comunque un importante cambio di passo del Regno Unito, che potrebbe diventare il secondo Paese G7 a muoversi in questa direzione.Dopo Parigi e Londra, anche La Valletta è salita sul carro. Intervenendo sui social, il primo ministro Robert Abela ha anticipato che anche Malta riconoscerà lo Stato palestinese alla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in calendario dal 9 al 23 settembre.Immediata risposta del governo israeliano, col primo ministro Benjamin Netanyahu che grida all’appeasement e parla dell’ennesima “ricompensa per Hamas“. Un disco rotto che gracchia ogni qualvolta qualcuno prenda posizione a favore della causa palestinese, dei diritti umani e del diritto internazionale e contro i crimini ingiustificabili perpetrati da Israele (valsi al premier un mandato di cattura della Corte penale internazionale).Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Menahem Kahana/Afp)Ma nelle ultime settimane lo Stato ebraico sembra sempre più isolato, criticato aspramente anche dai suoi storici alleati. Mentre in Ue le cancellerie dei Ventisette discutono sulla sospensione parziale dei fondi Horizon+ proposta dalla Commissione, i Paesi Bassi hanno bandito dal loro territorio Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, due ministri estremisti del sesto gabinetto Netanyahu.Giusto ieri, Smotrich ha ventilato la possibilità di costruire nuovi insediamenti a Gaza a guerra terminata, dando per scontato che Tel Aviv riprenderà il controllo della Striscia abbandonata nel 2005. La Knesset (il Parlamento monocamerale israeliano) ha recentemente approvato una mozione non vincolante sull’annessione della Cisgiordania. Su entrambi questi territori dovrebbe sorgere il futuro Stato palestinese, attualmente riconosciuto da 147 Paesi sui 193 membri dell’Onu (inclusi 11 Paesi dell’Ue) ma nessun membro del G7.E proprio al Palazzo di vetro dell’Onu si conclude oggi la conferenza internazionale sulla Palestina, sponsorizzata da Francia e Arabia Saudita. Nella “dichiarazione di New York” sottoposta alle delegazioni dei governi mondiali si propongono “misure concrete, vincolate da scadenze temporali e irreversibili” per l’attuazione della soluzione a due Stati, a partire dal cessate il fuoco. L’Autorità nazionale palestinese (Anp) dovrà poi gestire la transizione verso uno Stato di Palestina sovrano e indipendente, che viva in pace affianco a Israele, anche grazie ad una missione internazionale di peacekeeping.