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    Per l’Europa è l’ora delle scelte e della responsabilità

    Il ciclone Trump sta condizionando come non mai il futuro non solo dell’Unione europea, ma dell’Europa nel suo complesso.Sembra emergere un nuovo potere imperiale, capace con un solo “ordine esecutivo” di sovvertire politiche e assetti consolidati, mutare con un semplice tweet (una volta si sarebbe detto “con un tratto di penna”) alleanze e priorità che fino a pochissimo tempo fa avevano accomunato le due sponde dell’Atlantico.Ed è molto probabile quindi che l’ego dell’inquilino della Casa Bianca si sia ulteriormente rafforzato alla sfilata quasi ininterrotta dei leader europei che, dalla periferia dell’impero, si sono presentati alla sua Corte, chi portando tributi, come le terre rare ucraine, chi la promessa di armi e munizioni per ottenere la benevolenza e magari i favori del principe.Non a caso, l’unica che si è presentata a mani vuote, l’Alta rappresentante per la politica estera europea Kaja Kallas, è stata brutalmente rispedita in Europa senza aver potuto incontrare il suo omologo Marco Rubio, col quale pure aveva appuntamento.Chi è andato, poi, ha suscitato le gelosie di chi è rimasto a casa, in un crescendo che marcherà le tappe del debriefing di questa folle settimana a partire dall’incontro di Londra di domenica 3 marzo promosso dal premier britannico Keir Starmer, per finire al Consiglio europeo straordinario del 6 marzo a Bruxelles e preceduto dalle riunioni delle principali famiglie politiche europee.La posta in gioco è alta, nel contesto più ampio delle altre partite lanciate da Trump contro l’Europa, come la guerra dei dazi o il tentativo di promuovere, né più né meno, un “regime change” che possa vedere al potere più sovranisti possibile.Si tratta da un lato di tornare in partita per una soluzione giusta e duratura del conflitto ucraino e dall’altro di gettare finalmente le basi di quell’”autonomia strategica” europea, invocata da anni in special modo da Emmanuel Macron, ma mai veramente perseguita. Premesso che nessun Paese vorrebbe davvero rompere i legami militari e strategici con gli Stati Uniti, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere che il messaggio che giunge da oltreoceano è molto chiaro: aumentate, e di molto, le vostre spese militari, prendete a cuore seriamente la vostra sicurezza, la vostra capacità di difesa, noi non siamo più disposti a farlo al posto vostro.L’impressione è che Starmer – incalzato in casa da un Nigel Farage ringalluzzito dalla sintonia con gli alfieri del movimento Make America Great Again – Macron e il nuovo arrivato Friedrich Merz abbiamo capito più di altri che è giunto il momento, per dirla con Mario Draghi, di “do something”. Anche Ursula von der Leyen, a dire la verità, lo ha compreso benissimo anche perché sa che per lei le porte della Casa Bianca sono per il momento bandite, riducendo ulteriormente il suo già stretto margine di azione, il che non le impedirà di metter sul tavolo, giovedì prossimo, una serie di proposte anche riguardanti lo scorporo delle spese militari dal calcolo dei parametri del Patto di Stabilità che la faranno comunque stare in partita.Ma è sulla partecipazione o meno ai negoziati sulla fine del conflitto e sugli assetti futuri, dell’Ucraina come dei rapporti con la Russia, che si parlerà in primo luogo, al netto delle anime belle che preferirebbero non sporcarsene proprio le mani o confidare nella resurrezione dell’ONU, dove peraltro la settimana scorsa si è visto di tutto e di più al momento del voto di risoluzioni proprio sull’aggressione russa.È il momento delle scelte, ma anche dell’assunzione di responsabilità, anche a costo di doverne poi assumere le conseguenze. Da questo punto di vista, mentre corre voce che gli Stati Uniti avrebbero già comunicato in modo riservato a tutti i Paesi europei la loro intenzione di passare al Regno Unito la leadership del gruppo di contatto per l’assistenza militare all’Ucraina, la notizia che il governo starebbe studiando l’ipotesi di far salire al 2,5 per cento del Pil le spese militari italiane, costituirebbe un ottimo “entry point” per Giorgia Meloni in vista del confronto che avrà con gli altri leader europei nei prossimi giorni.

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    Starmer non riesce a convincere Trump a impegnare truppe in Ucraina

    Bruxelles – C’è un grande via vai in questi giorni alla corte di Donald Trump. Dopo Emmanuel Macron, ieri vi si è recato per rendere omaggio Keir Starmer, e oggi pomeriggio sarà il turno di Volodymyr Zelensky. Ma “re Donald” non sembra lasciarsi impressionare granché dalle richieste di quelli che dovrebbero essere i suoi alleati più stretti. Così, nemmeno il pellegrinaggio del premier britannico pare aver prodotto risultati concreti. Almeno sul dossier più scottante tra quelli che si affollano sulla scrivania dello Studio ovale: quello del conflitto in Ucraina.Come si conviene ad un vassallo che visita il suo feudatario, così l’inquilino di Downing Street ha varcato la soglia della Casa Bianca assicurandosi di non presentarsi a mani vuote. Tra le regalie offerte al padrone di casa, il primo ministro britannico ha portato anzitutto un invito personale di Sua Maestà re Carlo III a Trump per una seconda visita di Stato nel Regno Unito (dopo quella della regina Elisabetta II nel 2019), un avvenimento “senza precedenti”.A dimostrazione della buona fede di Londra e dell’impegno del suo governo sulla questione sicurezza, Starmer ha poi messo sul tavolo la recentissima decisione di portare il bilancio per la difesa dall’attuale 2,3 al 2,5 per cento del Pil, anticipando al 2027 il target inizialmente previsto per il 2030. Musica per le orecchie del presidente, che fin dal suo primo mandato non si stanca di ripetere che gli europei devono assumersi la responsabilità della sicurezza nel Vecchio continente.The bond between the UK and the US couldn’t be stronger.Thank you for your hospitality, @POTUS. pic.twitter.com/tcAtp2hzCY— Keir Starmer (@Keir_Starmer) February 27, 2025Del resto, quel monito sta venendo preso sempre più seriamente dalle cancellerie di qua dell’Atlantico, come dimostrano i frenetici summit che si susseguono in queste settimane – dopo la doppietta parigina, un terzo vertice è in calendario per dopodomani (2 marzo) a Londra – dedicati proprio al tema della difesa continentale. Qualcuno, come il cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz, immagina addirittura una potenziale alleanza militare europea che possa assumere vita propria rispetto alla Nato.Probabilmente una chimera, almeno nell’immediato futuro. Ma queste fughe in avanti (soprattutto se arrivano da un atlantista incallito come il leader della Cdu) rendono bene la cifra del panico che sta attanagliando l’Europa mentre la nuova amministrazione statunitense procede spedita verso il disgelo con il Cremlino, come dimostrato dai colloqui di Istanbul di ieri tra i diplomatici delle due superpotenze, apparentemente intenzionate a spartirsi (di nuovo) il mondo.Quindi la charme offensive. Il leader britannico si è profuso in lusinghe nei confronti del suo potente (quanto erratico) interlocutore. Seguendo l’esempio offerto lunedì da Macron, anche Starmer si è esibito in un numero di equilibrismo politico. Mostrandosi il più amichevole possibile ma correggendo il tycoon quando quest’ultimo ha ripetuto le osservazioni (false) per cui i Paesi europei avrebbero finanziato Kiev solo tramite prestiti e non, come gli Stati Uniti, con sovvenzioni a fondo perduto. La carota e, se non proprio il bastone, un fuscello gentile.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) ospita a Washington il suo omologo francese Emmanuel Macron, il 24 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Trump ha “cambiato la conversazione sull’Ucraina”, ha dichiarato davanti alla stampa il primo ministro laburista. Il presidente Usa, dice Starmer, ha aperto “una finestra di enorme opportunità per raggiungere un accordo di pace storico” che ponga fine al conflitto. E ora “vogliamo lavorare con voi” per assicurarci che sia “duraturo”. Ma occorre vedere se tutti intendono la stessa cosa quando parlando di questo fantomatico accordo di pace.Una delle richieste principali del premier britannico – e vero motivo delle regalie – era l’impegno da parte di Washington di fornire una “copertura” (backstop) alle eventuali truppe di peacekeeping europee nell’ex repubblica sovietica. Come Zelensky, Macron e il resto dei leader del Vecchio continente, anche Starmer continua a ripetere che le garanzie di sicurezza di cui Kiev ha bisogno saranno credibili solo se coinvolgeranno anche l’esercito statunitense.Tuttavia, l’impegno delineato da Trump non è esattamente quello che ci si aspetta a Londra, Parigi e Bruxelles. “Avremo molte persone che lavorano” in Ucraina, ha spiegato il tycoon, come conseguenza dell’accordo sulle materie prime critiche che dovrebbe siglare proprio oggi pomeriggio insieme a Zelensky. “È una garanzia di sicurezza“, ha ragionato: “Non credo che qualcuno si prenderà gioco di noi se saremo lì con molti lavoratori”. In fin dei conti, il presidente statunitense si è detto convinto che il suo omologo russo Vladimir Putin “manterrà la sua parola” e rispetterà un cessate il fuoco, quando ne verrà stipulato uno.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: European Council)Ma se ciò non accadesse? Lo zio Sam difenderà i peacekeepers di Sua Maestà, se venissero attaccati? “I britannici sono soldati incredibili”, ha osservato Trump, “e possono prendersi cura di loro stessi“. “Se hanno bisogno di aiuto, io sarò sempre con gli inglesi”, ha poi precisato, ma ribadendo immediatamente che “non hanno bisogno di aiuto“. Non esattamente una rassicurazione per gli alleati europei, che si stanno interrogando sul destino della Nato e sulla deterrenza garantita dall’articolo 5 della Carta atlantica (dove si sancisce il principio della difesa collettiva): “Non credo che avremo motivo” di attivarlo, dice il presidente.Alla fine, dal suo bilaterale, Starmer porta a casa fumose promesse su un futuro accordo commerciale tra Usa e Regno Unito, per rinsaldare la special relationship tra Washington e Londra. Niente di più concreto. Anzi, semmai, l’ennesima conferma che i militari statunitensi non metteranno piede in Ucraina. Ma di questi tempi, in cui gli europei (o meglio i vertici Ue, che Trump ritiene “progettata per ingannare gli Usa“) devono umiliarsi come a Canossa per incontrare qualcuno dell’amministrazione a stelle e strisce, già aver ottenuto udienza alla Casa Bianca è un risultato.

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    Ue-India, c’è la strategia per una nuova collaborazione. Modi: “Accordo commerciale entro fine anno”

    Bruxelles – Commercio, tecnologia, innovazione, investimenti. E l’impegno di un nuovo accordo di libero scambio già nel 2025. Ursula von der Leyen e il suo collegio dei commissari trovano in India quelle risposte che cercavano. Il viaggio a est voluto dalla presidente della Commissione Ue produce gli effetti desiderati. Tutti da definire e sviluppare in concreto, certo, ma comunque c’è una rinnovata partnership. C’è l’accordo, spiega il primo ministro indiano, Narendra Modi, per “un libro blu per mobilità, sicurezza, innovazione, green economy, commercio, investimenti“. C’è una strategia chiara su cui lavorare.L’Europa quello che cercava a oriente non l’aveva nascosto. Serviva la risposta dell’interlocutore, e Modi la offre in pubblico, in conferenza stampa. “Questa visita ha ridato vigore alle nostre relazioni” bilaterali, riconosce ad una sorridente von der Leyen, raggiante nel sentire dal primo ministro indiano che “abbiamo deciso di creare un’agenda ambiziosa e audace per le relazioni Ue-India post-2025“, che passa anche per voglia di chiudere “un accordo commerciale bilaterale per la fine dell’anno”.In linea di principio von der Leyen ottiene praticamente tutto ciò che voleva. “È tempo di portare la nostra partnership strategica UE-India al livello successivo“, il mantra ripetuto dalla tedesca anche in occasione del suo viaggio in Asia meridionale, ed è esattamente quello che ottiene. La presidente della Commissione europea è arrivata in India con un’agenda chiara, costituita da tre aree su cui lavorare per la nuova stagione di relazioni bilaterali: commercio e la tecnologia, sicurezza e difesa, connettività e partnership globale. Da Modi ottiene gli impegni in questo senso.“Ora più che mai gli eventi geopolitici richiedono questi passi”, scandisce von der Leyen nella conferenza congiunta con il premier indiano. Un riferimento alle manovre militari russe in Ucraina, all‘unilateralismo trumpiano in politica estera e in materia commerciale, ad una Cina che guarda silenziosa ma non a braccia conserte cosa accade sullo scacchiere internazionale. “Per l’Europa l’India è un pilastro di affidabilità in un mondo di imprevedibilità“. Ora l’Ue può iniziare a sentirsi meno insicura.

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    Metsola risponde a Trump: “L’Ue è un progetto di pace”

    Bruxelles – “L’Unione europea è principalmente ed essenzialmente un progetto di pace“, premiato anche con il Nobel. Mette le cose in chiaro, Roberta Metsola. La presidente del Parlamento europeo vuole rispondere al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha accusato l’Ue di esistere sulla base di intenzioni contrarie agli interessi americani. Metsola sceglie di replicare da Washington, in occasione della sua visita negli Usa dove è stata invitata per tenere un discorso alla Johns Hopkins University. E’ qui, con garbo ma con decisione, che ricorda all’opinione pubblica americana che la versione offerta dall’inquilino della Casa Bianca necessita delle precisazioni.“La pace è l’essenza dell’Unione europea“, insiste Metsola. Tradotto: l’Ue non è stata creata per essere un avversario degli Stati Uniti. Semmai, continua, è stata creata per dare seguito a quelle relazioni scolpite nel tempo e non solo: “La storia dei rapporti tra Unione europea e Stati Uniti è scritta nel sacrificio di quanti hanno dato la vita contro la tirannia”. Un riferimento ai conflitti mondiali del XX secolo, ma anche un implicito riferimento ai conflitti di oggi, in particolare quello in corso in Ucraina avviato dalle operazioni militari russe.“La sicurezza dipende dalle relazioni trans-atlantiche, che vanno oltre l’industria, oltre il commercio e oltre le considerazioni politiche immediate”, continua Metsola, con una velata critica alle intenzioni di imporre dazi sui beni europei. “Nelle guerre commerciali non vince nessuno”, chiarisce quindi la presidente dell’europarlamento, che dopo le precisazioni del caso sulla natura dell’Ue, ne aggiunge un’altra: “L’Europa risponderà con fermezza. Non vogliamo, ma siamo pronti“.

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    Ucraina, a Istanbul il secondo round di colloqui Usa-Russia. Putin accusa le “élite occidentali” di non volere la pace

    Bruxelles – È iniziato questa mattina (27 febbraio) a Istanbul, in Turchia, il secondo round di colloqui tra funzionari russi e statunitensi per preparare il ‘tavolo’ del negoziato per la pace in Ucraina. Mentre Volodymyr Zelensky si appresta a partire alla volta di Washington, dove è atteso da Donald Trump per siglare il discusso accordo sui minerali di Kiev, Russia e Stati Uniti confermano la riapertura dei canali diplomatici cominciata lo scorso 18 febbraio a Riad con l’incontro tra i ministri degli Esteri Marco Rubio e Sergej Lavrov.L’incontro si svolge presso la sede del consolato generale degli Stati Uniti a Istanbul. Nel frattempo, sono in corso anche i preparativi per un incontro tra i due presidenti, Donald Trump e Vladimir Putin. La Turchia ha ribadito la sua disponibilità ad ospitare il bilaterale tra i leader delle due superpotenze. L’Ue, pugnalata ieri sera dall’annuncio dei dazi da parte di Trump, resta a guardare con apprensione l’alleato di sempre strizzare l’occhio al nemico pubblico numero uno. Il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha telefonato a Recep Tayyip Erdogan. “In questi tempi difficili, apprezziamo il ruolo della Turchia come attore importante a livello globale e regionale e cerchiamo di collaborare strettamente per garantire una pace duratura in Ucraina e sostenere una transizione inclusiva e democratica in Siria”, ha scritto su X il leader Ue, a margine del colloquio telefonico.Good phone call with president @RTErdogan. Türkiye is a strategic partner, an EU candidate country, and a @NATO ally. We look forward to continuing to strengthen our relationship.In these challenging times, we appreciate Türkiye’s role as a significant global and regional…— António Costa (@eucopresident) February 27, 2025A Istanbul, l’avvio di un negoziato per la pace in Ucraina non è esplicitamente in agenda. Anche se è difficile immaginare che i diplomatici di Washington e Mosca non ne parleranno. Ma sul menù c’è il rapporto tra le due superpotenze: dopo anni di muro contro muro, la sintonia tra Trump e Putin promette una futura normalizzazione dei rapporti. Già dopo l’incontro in terra saudita, Rubio e Lavrov hanno dichiarato di voler ripristinare il normale funzionamento delle ambasciate e dei consolati e la loro cooperazione economica ed energetica, in particolare nell’Artico, e spaziale. Lo stesso Lavrov, durante una visita in Qatar, ha spiegato che a incontrarsi saranno “funzionari diplomatici di alto livello”, che discuteranno “dei problemi sistemici che si sono accumulati in seguito alle attività illecite della precedente amministrazione degli Stati Uniti per creare ostacoli artificiali al lavoro dell’ambasciata russa”. In questo momento – e dallo scorso ottobre -, Mosca non ha nemmeno un ambasciatore a Washington.Nel frattempo, l’autoritario presidente russo è intervenuto ad un incontro del Servizio Federale per la Sicurezza (Fsb): come riportato da Reuters, Putin ha accusato le “élite occidentali” di voler minare la ripresa del dialogo tra Russia e Stati Uniti. “Sono determinate a mantenere l’instabilità nel mondo” e “cercheranno di interrompere o compromettere il dialogo che è iniziato”, ha avvertito il leader del Cremlino. Secondo Putin, “i primi contatti con la nuova amministrazione degli Stati Uniti suscitano alcune speranze”, perché con Trump “vi è una reciproca attenzione a lavorare per ristabilire le relazioni interstatali e risolvere gradualmente l’enorme mole di problemi sistemici e strategici accumulati nell’architettura globale”.

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    Ucraina, l’Ue insiste: “La Cina sostiene la Russia, stop a questa collaborazione”

    Bruxelles – La Commissione europea prova ad alzare la voce contro la Repubblica popolare cinese e il suo ruolo nel conflitto in Ucraina. Dopo l’Alta rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Kaja Kallas, è la volta del suo portavoce, Anour El Anouni, andare all’attacco contro il sostegno militare di Pechino a Mosca. “Condanniamo le relazioni tra Cina e Russia. Intimiamo lo stop di questa collaborazione“, scandisce in occasione del tradizionale incontro con la stampa.A Bruxelles non viene digerito l’attivismo commerciale utile a portare avanti le operazioni militari dell’armata russa. “La Cina è il principale fornitore di tecnologie a duplice uso” civile e militare, come droni e componenti, “che sostengono la base industriale militare russa”, accusa ancora il portavoce di Kallas. “Queste tecnologie sono poi usate sul campo di battaglia” per combattere le forze regolare ucraine e procedere con l’offensiva, sottolinea El Anouni. “Sono beni con applicazioni militari”, insiste.All’interno dell’esecutivo comunitario non c’è alcuno dubbio sul fatto che “senza sostegno della Cina la Russia non potrebbe continuare la sua aggressione con la stessa potenza” di fuoco, riconosce il portavoce dell’Alta rappresentante. Non ci si gira troppo attorno: “Siamo profondamente preoccupati” per questa alleanza sino-russa, va avanti il portavoce.La preoccupazione non riguarda solo il conflitto russo-ucraino in sé e il ritorno in termini di rapporti di forza nei confronti con Kiev, soprattutto con scenari di negoziali di pace sullo sfondo, ma preoccupazione riguarda anche le alleanze regionali su uno scacchiere internazionale improvvisamente assai meno prevedibile. Inoltre si teme che l’azione, pur decisa, dell’Ue nei confronti degli alleati della Russia, possa essere meno incisiva del previsto. Con il tredicesimo pacchetto di sanzioni aziende cinesi sono state oggetto di misure restrittive, ma evidentemente non è bastato a fermare i rifornimenti all’esercito russo.

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    Nel 2024 la democrazia si è deteriorata a livello globale

    Bruxelles – La democrazia non se la passa bene a livello globale. Nel super anno elettorale appena trascorso, la salute del sistema democratico in giro per il mondo si è deteriorata fino a registrare i peggiori risultati in quasi un ventennio. Tiene l’Europa occidentale, ma altre regioni mondiali sono regredite sensibilmente.“La democrazia è il peggior sistema di governo, ad eccezione di tutte le altre”. La celebre frase pronunciata da Winston Churchill in un discorso alla Camera dei Comuni nel novembre 1947 (peraltro citando un autore sconosciuto) continua a rimanere valida ancora oggi. Quello democratico è un sistema politico-istituzionale pieno di problemi e contraddizioni, che poggia su un precario equilibrio costantemente sul punto di spezzarsi. Eppure è l’unico, almeno tra quelli provati nella storia delle società umane di massa, capace di garantire un livello soddisfacente di libertà ed uguaglianza per tutti.Come funziona l’indagineTuttavia, stando all’ultima rilevazione pubblicata oggi (27 febbraio) dall’Unità di intelligence dell’Economist (Eiu), la democrazia non gode di buona salute a livello mondiale. Salute peggiorata nel corso del 2024, nonostante sia stato un anno record nella storia per numero e portata delle elezioni che sono state organizzate. Anzi, da quando ha iniziato a raccogliere i suoi dati, nel 2006, l’Eiu non ha mai dipinto un quadro a tinte così fosche.Western Europe has the largest number of “full democracies”, with Nordic countries dominating four of the top seven positions in EIU’s Democracy Index 2024. Find out why in our free report: https://t.co/DjI3ShbhQZ#DemocracyIndex #Markets #Economy pic.twitter.com/aFzQPCVMG3— Economist Intelligence: EIU (@TheEIU) February 27, 2025Gli analisti dell’Economist assegnano un punteggio su una scala da zero a dieci a 167 Paesi e territori, sulla base di cinque criteri: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili. Le categorie in cui vengono raggruppati i Paesi e i territori sono quattro: democrazie complete, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autoritari.Alcuni trend globaliLa media del punteggio globale è scesa a 5,17 toccando un nuovo minimo storico: il valore più alto è stato raggiunto nel 2015 (con 5,55), mentre nel 2023 il dato aggregato si è attestato a 5,23. In uno sviluppo forse controintuitivo, nonostante il 2024 sia stato un super anno elettorale (circa 1,65 miliardi di voti in oltre 75 Paesi, secondo i calcoli dell’Eiu), l’indice relativo al processo elettorale è sceso di 0,08 punti rispetto al 2023, a causa di elezioni non sempre libere ed eque, così come di limitazioni anche sostanziali alla libertà di parola e di associazione.Un calo ancora maggiore (-0,13) l’ha registrato l’indice del funzionamento del governo, che si è fermato a 4,53 punti a livello globale. “Questa scarsa performance è il risultato delle debolezze fondamentali che affliggono i sistemi democratici, sia sviluppati che in via di sviluppo”, certificano gli analisti. “L’immobilismo, le disfunzioni, la corruzione, l’insufficiente trasparenza e la mancanza di accountability hanno minato la fiducia dell’opinione pubblica nei governi, nei partiti politici e nei politici”, continuano, e per questo “la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche è in declino da molti anni“.Foto: John Thuys/AfpSolo il 6,6 per cento della popolazione globale vive in una democrazia completa, poco più della metà del 12,5 per cento di dieci anni fa. Contando anche chi vive in una democrazia imperfetta, si arriva poco oltre il 45 per cento. Quasi due persone su cinque (il 39,2 per cento del totale) vivono in un regime autoritario (categoria che comprende 60 Stati nel mondo, soprattutto tra il continente africano e quello asiatico), mentre il restante 15 per cento circa in regimi ibridi che combinano democrazia elettorale e tendenze autoritarie.La classifica generaleNel 2024, il Paese più democratico del mondo è stato la Norvegia per il 16esimo anno di fila (con 9,81 punti sul massimo di 10). Gli altri gradini del podio sono occupati da Nuova Zelanda e Svezia (9,61 e 9,39 rispettivamente), mentre in fondo alla classifica ci sono Afganistan (0,25), Myanmar (0,96) e Corea del Nord (1,08). Gli Stati Uniti sono 28esimi con 7,85 punti (democrazia imperfetta), l’India è 41esima con 7,29 (democrazia imperfetta) l’Ucraina è 92esima con 4,9 punti (regime ibrido), la Cina 145esima a quota 2,11 (regime autoritario) e la Russia 150esima a 2,03 (regime autoritario).Ad eccezione della Nuova Zelanda, i primi dieci classificati sono tutti Paesi europei: dopo Norvegia e Svezia ci sono Islanda, Svizzera, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi e Lussemburgo. Il Regno Unito è salito dal 18esimo al 17esimo posto con 8,34 punti. Di conseguenza, la regione dell’Europa occidentale è l’unica a migliorare il proprio punteggio aggregato (seppur di un impercettibile 0,01), attestatosi nel 2024 a una media di 8,38 punti.Al contrario, le aree in cui si sono registrati i deterioramenti più consistenti sono state quella del Medio Oriente e Nordafrica (-0,11 punti) e quella dell’Asia e Australasia (-0,10). Dei 167 Paesi e territori analizzati dall’Eiu, solo 37 hanno registrato qualche miglioramento rispetto all’anno precedente.Come va l’Ue?Quanto agli Stati membri dell’Ue, 13 su 27 sono democrazie complete (in ordine di punteggio: Germania, Austria, Estonia e Spagna a pari merito, Cechia e Portogallo a pari merito e Grecia), mentre le restanti sono democrazie imperfette. Tra queste ultime, la Francia è 26esima (con 7,99 punti), l’Italia 37esima (7,58) e la Polonia 39esima (7,4). Maglia nera alla Romania, che col 72esimo posto su 167 si ferma appena sotto alla sufficienza (5,99 punti) e scende dunque nel gruppo dei regimi ibridi.La Francia è scesa di categoria tra il 2023 e il 2024, abbandonando la famiglia delle democrazie complete (per classificarsi così sono necessari almeno 8 punti su 10) per il deterioramento dell’indice di fiducia nel governo dovuto alla profonda crisi politica in cui è precipitata nell’ultimo anno.Sostenitori di Călin Georgescu protestano contro il suo arresto, il 26 febbraio 2025 (foto: Daniel Mihailescu/Afp)Per quel che riguarda la Romania, il declassamento a regime ibrido – l’unico Stato membro in questa categoria – è seguito al caos politico-istituzionale seguito all’annullamento delle presidenziali risalente allo scorso dicembre a seguito delle interferenze russe (giusto ieri è stato brevemente fermato il candidato filorusso e principale indiziato, Călin Georgescu).Evoluzioni positive si sono invece registrate in Cechia, Estonia e Portogallo, che hanno fatto il loro ingresso nella famiglia delle democrazie complete.

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    Se Washington diventa la Canossa di Kaja Kallas (e dell’Ue)

    Bruxelles – A voler dare ascolto ai maligni, si direbbe che l’approccio della nuova amministrazione statunitense nei confronti degli alleati europei (o presunti tali) sia quello del divide et impera. Donald Trump incontra gli uomini che detengono il potere nei singoli Paesi del Vecchio continente, ma snobba – e fa snobbare ai suoi sottoposti – i vertici delle istituzioni comunitarie. O almeno, appunto, questa è l’impressione che si ha vedendo l’improvviso annullamento del bilaterale tra i capi delle diplomazie Ue e Usa, Kaja Kallas e Marco Rubio.Originariamente in programma per oggi pomeriggio (26 febbraio), l’incontro tra l’Alta rappresentante e il Segretario di Stato – che si erano visti per la prima e unica volta alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco – avrebbe dovuto incentrarsi sulla guerra della Russia contro l’Ucraina e, specificamente, su come coordinare gli sforzi tra le due sponde dell’Atlantico per giungere ad una soluzione negoziata del conflitto. Peraltro, dopo le rivelazioni di ieri sul via libera al famigerato accordo sulle terre rare ucraine, il piatto sul tavolo dei due sarebbe stato ancora più ghiotto.E tuttavia, all’ultimo minuto l’incontro con Marco Rubio (che ieri ha visto l’omologo saudita Khalid bin Salman) è stato annullato “a causa di problemi di programmazione“, come annunciato nel primo pomeriggio di oggi da Anouar El Anouni, il portavoce di Kaja Kallas.I met with Saudi Minister of Defense Prince @kbsalsaud to discuss the importance of the U.S.-Saudi partnership. Strengthening this key relationship is a top priority for the Trump Administration, especially when it comes to working towards our shared interests across the Middle… pic.twitter.com/HKcEOfw11J— Secretary Marco Rubio (@SecRubio) February 26, 2025Non sono al momento disponibili ulteriori informazioni sul genere di problemi che sarebbero occorsi, né sull’eventualità che l’ex premier estone (in visita a Washington fino a domani) possa avere colloqui con altri rappresentanti dell’amministrazione Usa. Tutto quello che si sa è che Kallas vedrà alcuni membri del Congresso per discutere della guerra, nonché lo staff della delegazione Ue, e che parteciperà ad un evento pubblico allo Hudson Institute. Dai portavoce della Commissione, del Consiglio e del Servizio di azione esterna (Seae, la Farnesina dell’Ue) non trapela nient’altro.Il sospetto che ci sia poco di casuale e molto di intenzionale nell’umiliare il capo della diplomazia Ue come in una moderna Canossa è forte. La differenza con la leggendaria vicenda del 1077, quando l’imperatore Enrico IV dovette stare inginocchiato per tre giorni e tre notti sotto la neve fuori dal castello della contessa Matilde per farsi revocare la scomunica da papa Gregorio VII, è che i rappresentanti dei due poteri dell’epoca (temporale e spirituale) erano nemici per definizione, laddove Europa e Stati Uniti dovrebbero essere legati da una solida alleanza. Un’alleanza che però Donald Trump sta dimostrando di non tenere più in considerazione, mentre sembra intenzionato ad allestire una nuova Jalta a lume di candela con Vladimir Putin.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) ospita a Washington il suo omologo francese Emmanuel Macron, il 24 febbraio 2025 (foto via Imagoeconomica)Del resto, il tempo per incontrare il suo omologo francese Emmanuel Macron, l’uomo più potente del mondo – libero e non – l’aveva trovato a inizio settimana, e ne troverà dell’altro domani per accogliere il primo ministro britannico Keir Starmer. Due uomini, questi ultimi, che parlano soprattutto in rappresentanza dei rispettivi interessi nazionali (o, al massimo, a nome di un potenziale fronte euro-britannico che però non si è ancora delineato compiutamente all’orizzonte).Ma evidentemente non c’è tempo per incontrare i vertici delle istituzioni comunitarie, forse proprio perché impersonificano quello che Trump non sopporta, cioè una (fragile) unità politica del Vecchio continente. Tanto più se sono critici verso l’approccio muscolare e transazionale del tycoon alle relazioni internazionali. E, forse, il fatto che tre su quattro siano donne aiuta ancora meno.Di recente, Kallas ha espresso più volte la sua netta contrarietà rispetto alle scelte dell’amministrazione Usa sul dossier ucraino. Riguardo alla porta in faccia sull’ingresso di Kiev nell’Alleanza nordatlantica, ad esempio, aveva osservato che “l’adesione alla Nato è la garanzia di sicurezza più forte che ci sia“, lamentando inoltre che “dare (ai russi, ndr) tutto quello che vogliono prima ancora che i negoziati comincino” è niente più e niente meno che “appeasement“. Il riferimento (che riprende uno analogo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky) è alla strategia adottata dai leader europei nel 1938, quando a Monaco diedero in pasto ad Adolf Hitler l’allora Cecoslovacchia sperando di saziarne l’appetito espansionista. Quella volta non andò a finire bene.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)L’Alta rappresentante aveva avuto da ridire anche sulle prove tecniche di disgelo tra Washington e Mosca tenutesi a metà febbraio in Arabia Saudita. Dopo quell’incontro (organizzato scavalcando tanto Kiev quanto Bruxelles) tra Rubio e l’omologo russo Sergei Lavrov, peraltro sottoposto a sanzioni dall’Ue, aveva richiamato all’unità gli alleati occidentali dell’Ucraina. Esortandoli a non cadere nelle “trappole” del Cremlino che, ha ammonito, “cercherà di dividerci“. Parole profetiche, suo malgrado.