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    L’Ue sostiene il piano arabo per Gaza. Costa: “No a modifiche demografiche e territoriali”

    Bruxelles – Da un lato il piano di Donald Trump per Gaza, indigeribile per tutti tranne che per Israele, dall’altro la proposta messa sul piatto dall’Egitto, che ha ricevuto l’endorsement dei vertici delle Nazioni Unite e dell’Unione europea. Dal summit della Lega araba a Il Cairo arriva un segnale forte in direzione di Washington e Tel Aviv: come ha detto il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non c’è spazio per alcun “tentativo di cambiamento demografico o territoriale” a Gaza.Un mese dopo l’idea shock di “trasformare Gaza nella riviera del Medio Oriente”, i Paesi arabi della regione rispondono alla provocazione di Trump. Il presidente egiziano al-Sisi ha presentato un piano per il futuro della Striscia, che prevede l’istituzione di un comitato amministrativo “composto da esperti palestinesi indipendenti e tecnocrati“, responsabile della supervisione degli aiuti e dell’amministrazione a Gaza “in vista del ritorno dell’Autorità Palestinese”.Nella bozza del piano, secondo quanto riporta Reuters, è prevista un’amministrazione provvisoria di sei mesi, descritta come un passo verso la ripresa completa del controllo di Gaza da parte dell’Autorità Palestinese. Egitto e Giordania sarebbero incaricate di formare le forze di sicurezza palestinese. Nel piano sarebbe però menzionata anche la possibilità del dispiegamento di un contingente internazionale di pace a Gaza e in Cisgiordania, da ottenere attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (e quindi con il via libera degli Stati Uniti).I leader al vertice della Lega Araba a Il CairoNiente più Hamas, ma nessuno sfollamento forzato della popolazione gazawi. Al vertice, il presidente palestinese Abu Mazen si è detto pronto a indire nuove elezioni entro l’anno prossimo. Ma per ricostruire un territorio ridotto in macerie, secondo l’Onu serviranno circa 53 miliardi. Nel piano egiziano, la ricostruzione durerebbe cinque anni. Dopo una prima fase incentrata sulla rimozione delle macerie, la bonifica dagli ordigni inesplosi e la fornitura di alloggi temporanei, prevederebbe la creazione di un fondo supervisionato a livello internazionale per finanziare con un budget di 20 miliardi di dollari fino al 2027 per la ricostruzione delle infrastrutture essenziali, tra cui strade, reti di distribuzione e impianti di servizi pubblici. Nell’ultima fase – fino al 2030 e con un costo stimato di 30 miliardi di dollari – a Gaza sorgerebbero progetti infrastrutturali e la creazione di zone industriali, un porto per la pesca, un porto commerciale e un aeroporto.Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha sposato il piano presentato dal presidente al-Sisi e ha assicurato che le Nazioni Unite sono “pronte a collaborare pienamente a questo sforzo”. Così come il presidente del Consiglio europeo, António Costa, che ha ringraziato l’Egitto e i Paesi arabi e messo sul piatto “un sostegno concreto” da parte dei 27 Paesi membri. “Dovremmo attuare questo piano insieme, l’Unione Europea, i suoi partner nel mondo arabo e la comunità internazionale“, ha dichiarato.Il leader Ue ha lanciato un messaggio alla nuova amministrazione americana, oltre che al premier israeliano Netanyahu: “Vorrei essere chiaro. L’Unione Europea respinge fermamente qualsiasi tentativo di cambiamento demografico o territoriale. A Gaza e in altre parti del mondo. Ovunque”. In un momento di stallo del negoziato per la continuazione del cessate il fuoco nell’enclave palestinese, Costa ha ribadito l’importanza del successo dei colloqui per l’inizio della seconda fase, che Israele e gli Stati Uniti hanno proposto di rinviare. Il leader Ue ha anche affermato che l’Unione europea starebbe già “utilizzando tutti gli strumenti possibili” per sostenere il ruolo cruciale dell’Autorità Palestinese nel futuro di Gaza, “compresi gli sforzi diplomatici nei confronti di Israele e Palestina”.

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    Trump sospende gli aiuti a Kiev (e si prepara per allentare le sanzioni contro Mosca)

    Bruxelles – Il momento che tutti temevano, soprattutto a Kiev, è arrivato. Donald Trump ha sospeso gli aiuti militari per l’Ucraina, in quella che molti interpretano come una mossa per indurre Volodymyr Zelensky ad accettare le condizioni di Washington rispetto all’accordo sulle materie prime critiche e, più in generale, a seguire l’iniziativa della Casa Bianca sui negoziati di pace con la Russia. Russia che, a breve, potrebbe vedersi allentare alcune sanzioni proprio dall’amministrazione a stelle e strisce.Rubinetti chiusi (per ora)Con uno schiocco di dita, una parte importante del flusso degli aiuti militari che sostenevano la resistenza ucraina da tre anni è stata interrotta. Lo stop si applica a tutte le attrezzature militari e le munizioni statunitensi non ancora fisicamente in Ucraina, comprese quelle in transito.Per il momento, la sospensione sarebbe temporanea. Donald Trump rimarrebbe in attesa di sapere se la leadership ucraina, a partire dal suo omologo Volodymyr Zelensky, vuole impegnarsi “in buona fede” per la pace. Cioè per la pace ventilata dal presidente Usa, che dovrebbe includere lo sfruttamento da parte di Washington delle risorse minerarie di Kiev ma nessuna garanzia di sicurezza militare, almeno non dal Pentagono.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto: Sergei Supinsky/Afp)Commentando un’osservazione del presidente ucraino, secondo cui la fine delle ostilità con la Russia è ancora “molto lontana”, il tycoon ha lamentato che “questo tizio non vuole che ci sia la pace finché ha l’appoggio dell’America“. Dall’amministrazione fanno sapere che gli aiuti all’ex repubblica sovietica stanno venendo rimodulati “per garantire che contribuiscano a una soluzione” del conflitto, anziché prolungarlo.Strumento di pressione?Gli ucraini e i loro alleati occidentali (quelli che rimangono) stavano aspettando con terrore questo momento da quando, venerdì scorso, si è consumata la catastrofe diplomatica. Vale a dire da quando l’inquilino della Casa Bianca e il suo numero due, JD Vance, hanno finalmente gettato la maschera tendendo un’imboscata a Zelensky, bullizzandolo e redarguendolo per aver cercato di assicurare la sopravvivenza del suo Paese.Per qualche giorno era parso che si potesse ancora salvare il rapporto tra Washington e Kiev. Sia Trump sia Zelensky avevano ribadito durante il weekend che l’accordo era nell’interesse tanto degli Stati Uniti quanto dell’Ucraina. La chiusura dei rubinetti decisa dall’amministrazione a stelle e strisce potrebbe essere in effetti una mossa per mettere pressione sul governo ucraino, forzandolo a stipulare il patto sui minerali e gli idrocarburi – magari con nuovi termini, ancora più vantaggiosi per Washington – senza avanzare ulteriori pretese.Il presidente statunitense Donald Trump (destra) accoglie nello Studio ovale il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Secondo Trump, Zelensky “dovrebbe essere più riconoscente, perché questo Paese è rimasto con loro nella buona e nella cattiva sorte”. “Non dovrebbe essere un accordo così difficile da fare“, ha ragionato il tycoon, aggiungendo che “se qualcuno non vuole fare un accordo, penso che quella persona non resterà in giro molto a lungo”. Una velata invocazione per un cambio di regime a Kiev?In molti, a partire dal capo della Nato Mark Rutte, stanno esortando il presidente ucraino a scusarsi pubblicamente per aver osato rispondere alle accuse false rivoltegli in mondovisione, per riallacciare al più presto i rapporti con l’amministrazione statunitense. Dietro le quinte, sono febbrilmente all’opera i pontieri europei, Giorgia Meloni e Keir Starmer in testa, per ricucire lo strappo e ripristinare le relazioni transatlantiche sconvolte dal primo mese del Trump bis.Allentare le sanzioniMa non finisce qui. Contemporaneamente, Trump starebbe puntando a sospendere alcune delle sanzioni che i suoi predecessori Joe Biden e Barack Obama avevano imposto contro la Russia (le azioni illegali russe in Ucraina sono iniziate nel 2014, durante il secondo mandato di Obama, con l’annessione unilaterale della Crimea e il supporto ai separatisti del Donbass).La Casa Bianca ha incaricato il dipartimento di Stato e quello del Tesoro di redigere una lista delle misure restrittive che potrebbero essere alleggerite, come segno tangibile di buona volontà da parte di Washington nei confronti di Mosca nel quadro della distensione dei rapporti tra le due superpotenze globali seguita all’insediamento del tycoon. Non è ancora chiaro quali ambiti potrebbero essere interessati dalla revisione del regime sanzionatorio Usa, ma potrebbero essere coinvolti tanto degli oligarchi vicini al Cremlino quanto la produzione petrolifera della Federazione.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Sergei Ilnitsky/Afp)Dopo aver minacciato il suo omologo russo Vladimir Putin di inasprire le sanzioni se non avesse accettato di sedersi al tavolo delle trattative per fermare il conflitto nell’ex repubblica sovietica, il presidente statunitense ha cambiato approccio e sembra ora preferire la carota al bastone. In effetti, il bastone lo usa ancora: ma con Kiev, anziché con Mosca.Dal canto suo, Mosca ha già aperto alla cooperazione economica con gli Stati Uniti del dopo-Biden. Negli scorsi giorni ha addirittura offerto a Washington una collaborazione sull’estrazione delle terre rare dai propri giacimenti, dopo il naufragio dell’accordo con l’Ucraina. Come sottolineato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, la nuova politica estera a stelle e strisce “è in gran parte allineata con la nostra visione” del mondo. Più di così.Testa sotto la sabbiaNonostante la rapidità e la profondità di questi cambiamenti, di qua dell’Atlantico non sembrano vedersi all’orizzonte grandi novità. Il maxi-pacchetto da 20 miliardi di euro in aiuti militari caldeggiato nei giorni scorsi dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas è sparito dal radar e non verrà discusso al Consiglio europeo straordinario in calendario per dopodomani (6 marzo), dove pure i leader dei Ventisette discuteranno di difesa e Ucraina.We are living in dangerous times.Europe‘s security is threatened in a very real way.Today I present ReArm Europe.A plan for a safer and more resilient Europe ↓ https://t.co/CYTytB5ZMk— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) March 4, 2025La presidente dell’esecutivo comunitario Ursula von der Leyen ha svelato giusto stamattina un piano da 800 miliardi per riarmare il Vecchio continente, ma si tratta di soldi che gli Stati membri useranno per le proprie forze armate. Per quelle di Kiev, almeno per ora, non c’è nulla sul tavolo. L’ennesima vittoria per il primo ministro ungherese Viktor Orbán che, col suo collega slovacco Robert Fico, ha sempre messo i bastoni tra le ruote di Bruxelles ogni volta che cercava di sostenere la resistenza ucraina all’aggressione russa.

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    A Gaza salta la tregua e Israele ricomincia a affamare la popolazione. L’Ue condanna Hamas

    Bruxelles – La fragile tregua siglata a metà gennaio tra Israele e Hamas è durata 42 giorni. Scaduta la prima delle tre fasi previste, l’accordo è saltato nella notte tra sabato e domenica e ieri (2 marzo) il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato nuovamente il blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Mentre le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie sul campo lanciano “l’allarme” per le conseguenze della decisione di Tel Aviv su quasi due milioni di civili, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, attribuisce interamente le responsabilità al gruppo armato palestinese.L’Ue “condanna il rifiuto di Hamas di accettare la proroga della prima fase dell’accordo di cessate il fuoco a Gaza. La successiva decisione di Israele di bloccare l’ingresso di tutti gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe potenzialmente avere conseguenze umanitarie”, dichiara il portavoce di Kallas, Anouar el Anouni. In questa prima fase di sei settimane, insieme al rilascio di una parte degli ostaggi israeliani da parte di Hamas in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane, Tel Aviv ha garantito l’ingresso nell’enclave di un maggiore flusso di aiuti umanitari, necessari per assistere una popolazione a cui per diversi tratti del conflitto sono stati negati anche i bisogni primari.L’accordo dello scorso 15 gennaio prevedeva poi il passaggio ad una seconda fase in cui Hamas avrebbe dovuto concludere la liberazione di tutti gli ostaggi ancora in vita e le truppe israeliane il completo ritiro dalla Striscia di Gaza. Ma i dettagli di questa delicata fase, si era detto a Doha, avrebbero potuto essere soggetti a ulteriori negoziati durante la prima fase. Nelle ultime settimane, di fronte alle provocazioni della nuova amministrazione americana, all’intensificarsi delle operazioni militari israeliane in Cisgiordania e ad alcuni episodi di potenziali attentati nelle città israeliane, le trattative sono naufragate.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (foto: Ohad Zwigenberg/Afp)In sostanza, Tel Aviv ha appoggiato un piano presentato dall’inviato speciale degli Stati Uniti nominato da Trump, Steve Witkoff, per estendere la prima fase del cessate il fuoco fino alla fine del Ramadan e della Pasqua, e continuare così a rilasciare gli ostaggi israeliani senza però procedere al ritiro del proprio esercito da Gaza. Una bozza di nuovo accordo che Hamas ha invece declinato. Tel Aviv nega di aver violato i termini dell’accordo di gennaio, che prevedeva appunto ulteriori negoziazioni e addirittura che Israele potesse tornare a combattere dopo il 42esimo giorno “se ha l’impressione che i negoziati siano stati inefficaci”.Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, ong con sede a Ginevra, durante le sei settimane di tregua l’esercito israeliano avrebbe ucciso almeno 115 civili a Gaza. Netanyahu però ha accusato Hamas di aver violato “ripetutamente” i termini del cessate il fuoco, in particolare su tempistiche e modalità del rilascio degli ostaggi del 7 ottobre. Alla riunione del consiglio dei ministri convocata per discutere i nuovi sviluppi, Netanyahu ha dichiarato: “Non ci saranno più pranzi gratis. Se Hamas pensa che sarà possibile continuare il cessate il fuoco o beneficiare dei termini della prima fase, senza che noi riceviamo ostaggi, si sbaglia di grosso”.Una famiglia palestinese prepara la colazione prima del digiuno imposto dal Ramadan al campo profughi di Bureij nella Striscia di Gaza, 1/3/25 (Photo by Eyad BABA / AFP)In una nota, il gabinetto del premier ha precisato che Israele “cesserà ogni ingresso di merci e rifornimenti nella Striscia di Gaza“. Nella giornata di ieri, il portavoce di Netanyahu, Omer Dostri, ha confermato: “Nessun camion è entrato a Gaza questa mattina, né lo farà in questa fase”. Si tratta di uno dei capi d’accusa con cui la Corte Penale Internazionale ha già emesso un mandato d’arresto contro il premier israeliano e l’ex ministro della Difesa, Noav Gallant: i due sono già ritenuti responsabili di aver affamato la popolazione civile palestinese come metodo di guerra, di aver causato intenzionalmente “grandi sofferenze, gravi lesioni al corpo o alla salute o trattamenti crudeli”, di “dirigere intenzionalmente attacchi contro una popolazione civile“.L’Egitto e il Qatar, che insieme agli Stati Uniti sono i principali mediatori tra il governo di Netanyahu e Hamas, hanno accusato Israele di violare l’accordo raggiunto faticosamente a gennaio. Il ministero degli Esteri del Cairo ha affermato che Israele usa la fame “come arma contro il popolo palestinese”, mentre Doha ha aggiunto:  “Il Qatar condanna fermamente la decisione del governo di occupazione israeliano di interrompere l’invio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e la considera una palese violazione dell’accordo di cessate il fuoco (e) del diritto internazionale umanitario“.Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto che “gli aiuti umanitari tornino immediatamente a Gaza”, mentre il sottosegretario dell’Ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari, Tom Fletcher, ha descritto la mossa come “allarmante”. Di fronte alla palese violazione del diritto umanitario da parte di Netanyahu – tralasciando il rispetto dei termini del cessate il fuoco da entrambe le parti – la nota del capo della diplomazia europea appare quanto meno debole, se non accondiscendente nei confronti di Tel Aviv. Oltre alla condanna ad Hamas per non aver accettato la proroga della prima fase, l’Ue “ribadisce la richiesta di un accesso completo, rapido, sicuro e senza ostacoli agli aiuti umanitari su larga scala per i palestinesi bisognosi”. Ma non c’è alcun accenno alla gravità estrema della decisione presa come rappresaglia su tutta una popolazione civile da parte di un governo democratico alleato.

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    Ucraina, i pontieri europei all’opera per tenere Washington dalla parte di Kiev

    Bruxelles – Mettere insieme i cocci. Dopo il terremoto (l’ennesimo) sprigionatosi venerdì con epicentro alla Casa Bianca, l’Europa fa quadrato attorno al presidente ucraino umiliato dagli alti papaveri dell’amministrazione Trump. Ma prova anche a guardare avanti.Mentre tra le cancellerie dei Ventisette e a Bruxelles si inizia a parlare con insistenza di riarmo, c’è contemporaneamente chi si muove per tentare di ricucire lo strappo, spegnere le fiamme divampate tra Kiev e Washington e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico che sembrano allontanarsi sempre più. La premier italiana lavora con l’omologo britannico ad un summit Ue-Usa, mentre il capo della Nato esorta Zelensky a fare un passo indietro e riallacciare i rapporti con Trump.Rutte striglia ZelenskyDopo l’incendio, i pompieri. Che per l’occasione indossano anche i panni dei pontieri. L’incendio da spegnere è quello appiccato dal presidente statunitense Donald Trump e dal suo vice JD Vance quando, lo scorso venerdì (28 febbraio), hanno teso un agguato al leader ucraino Volodymyr Zelensky mettendolo al muro per poi cacciarlo malamente dallo Studio ovale, rendendo esplicite in diretta mondiale le fratture nella coalizione occidentale che dovrebbe supportare l’ex repubblica sovietica nella resistenza all’invasione russa.E ci sono ponti che sembrano essere stati tagliati e vanno ora ricostruiti. Quello tra Washington e Kiev, e quello tra Washington e Bruxelles. Del primo si occupa il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. “Penso che tu debba trovare un modo, caro Volodymyr, per ripristinare le tue relazioni con Donald Trump e l’amministrazione americana. Questo è importante per il futuro“, ha detto l’ex premier olandese al presidente ucraino, esortandolo a mettere urgentemente una pezza per rimediare al disastro diplomatico appena consumatosi alla Casa Bianca. Come dire alla vittima di un bullo che deve chiedergli scusa se non ha voluto cedergli la merenda.Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte (destra), accoglie il segretario della Difesa statunitense Pete Hegseth al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles, il 13 febbraio 2025 (foto: Nato via Imagoeconomica)“Dobbiamo davvero rispettare ciò che il presidente Trump ha fatto finora per l’Ucraina“, ha osservato Rutte, riferendosi ad esempio alla fornitura (risalente al 2019) dei razzi anticarro Javelin, con cui l’esercito di Kiev ha potuto fermare l’avanzata delle colonne corazzate di Mosca a inizio 2022. “Dobbiamo dare credito a Trump per quello che lui ha fatto allora, per quello che l’America ha fatto da allora e anche per quello che l’America sta ancora facendo” per sostenere il Paese aggredito, ha aggiunto il capo dell’Alleanza.L’iniziativa di Meloni e StarmerSul ponte transoceanico stanno invece lavorando Giorgia Meloni e Keir Starmer. Quest’ultimo ha organizzato ieri un summit tra leader europei, vertici comunitari e membri Nato, per coordinare gli sforzi del Vecchio continente nel difendere l’Ucraina aggredita e garantire la tenuta di un eventuale cessate il fuoco, qualora dovesse venir stipulato.La sera prima dell’incontro a Lancaster House, la premier italiana ha sentito al telefono il presidente statunitense: “Penso che sia molto, molto importante evitare il rischio che l’Occidente si divida“, ha ragionato ieri dalla capitale britannica, evitando di schierarsi tra quelle che ha chiamato “tifoserie” pro-Trump o pro-Zelensky. Meloni è stata l’unica tra i principali leader europei a non esprimere pubblicamente solidarietà al presidente ucraino dopo l’imboscata di venerdì.La premier italiana Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Keir Starmer (foto via Imagoeconomica)Poi la carta diplomatica: “Ho proposto una riunione tra gli Stati Uniti e i leader europei perché se ci dividiamo saremo tutti più deboli”. Un vertice inter-alleato sotto l’egida di Roma e Londra, che sembrano aver trovato un’inedita sinergia e puntano ora a giocare “un ruolo importante nella costruzione di ponti” (Meloni dixit). In materia di difesa, i due governi collaborano già allo sviluppo di un caccia di sesta generazione insieme a Tokyo. Basterà un summit per convincere l’inquilino della Casa Bianca a non abbandonare l’Alleanza nordatlantica? Giusto in queste ore, il suo braccio destro (oramai di fatto una sorta di vicepresidente ombra) Elon Musk ha caldeggiato l’uscita di Washington da Nato e Onu.La sponda di VarsaviaItalia e Regno Unito hanno trovato la sponda importante della Polonia. Varsavia è tra le più ferventi sostenitrici della resistenza ucraina (come Londra ma non come Roma, almeno in termini di risorse finanziarie e asset militari mobilitati), ma insiste sulla necessità di una partnership transatlantica forte. “Noi polacchi siamo sostenitori dell’alleanza più stretta possibile tra la Polonia, l’Europa e l’intero Occidente con gli Stati Uniti“, ha ribadito il primo ministro Donald Tusk ieri, ostentando soddisfazione per l’iniziativa proposta da Meloni a Trump, “visti i loro ottimi rapporti”.Il primo ministro polacco Donald Tusk (foto: European Council)Sulla questione cruciale della sicurezza continentale, la via indicata dal leader polacco è quella della “indipendenza militare e di difesa dell’Europa” rispetto a Washington, purché si tratti di “indipendenza, non isolamento“. Il fantomatico pilastro europeo della Nato, insomma, tanto dibattuto e mai realizzato. Il suo Paese è quello col bilancio per la difesa più ampio tra i 32 membri dell’Alleanza, in termini relativi: le previsioni per il 2025 parlano del 4,7 per cento del Pil.“L’Europa è una potenza“, dice, e “non sarà un’alternativa all’America, ma il suo alleato più desiderabile“. Come chiesto da Trump, “dobbiamo contare su noi stessi”: per farlo, occorre colmare il “deficit di immaginazione e di coraggio” che affligge il Vecchio continente, e attrezzarlo per metterlo nelle condizioni di “difendere i suoi confini” anche autonomamente, senza dover sempre aspettare che lo zio Sam apra l’ombrello. Del resto, è lo Zeitgeist: da Parigi a Berlino, passando per Bruxelles, la parola d’ordine in Europa è “riarmo”. Ma quando persino a Varsavia si parla così, non ci si può più illudere: il mondo che conoscevamo è finito.

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    Moldova: Costa a Chișinău parla di allargamento, la presidente Sandu: “Solo nell’Ue saremo protetti”

    Bruxelles – In vista del Consiglio europeo straordinario del 6 marzo per la sicurezza dell’Ucraina, l’Ue torna a riaffermare il suo sostegno alla Repubblica di Moldova. Fortemente minacciata dal taglio delle forniture di gas russo e dalla presenza di truppe russe nell’autoproclamata repubblica di Transnistria, la Moldova è stata la meta della visita ufficiale di questa mattina (3 marzo) del presidente del Consiglio europeo Antonio Costa alla presidente della Repubblica di Moldavia Maia Sandu, a tre anni esatti dalla firma, da parte della seconda, della domanda di adesione all’Ue.Ingresso del Paese nell’Ue, indipendenza energetica dalla Russia, sostegno allo sviluppo economico, pace e sicurezza sono stati i temi principali del vertice. In conferenza stampa Sandu ha ricordato come nonostante le minacce di Mosca, la Moldova abbia scelto di rimanere sul percorso verso l’adesione e di come abbia riaffermato questa volontà attraverso il referendum del 20 ottobre 2024: “Abbiamo scelto libertà e democrazia” ha sottolineato la presidente. Maia Sandu ha espresso gratitudine per i 250 milioni di euro stanziati dall’Unione per sostenere l’economia moldava nel 2025 e riguardo al tema della sicurezza del Paese, ha dichiarato solennemente che: “Solo nell’Ue saremo protetti, solo nell’Ue avremo la pace“.Antonio Costa ha lodato i progressi fatti dalla Moldova in direzione dell’adesione negli ultimi tre anni e, riferendosi agli attacchi ibridi, alle fake news e ai ricatti energetici di Mosca, ha sottolineato che l’Ue è un partner affidabile e che “continueremo a lavorare fianco a fianco per modellare il nostro futuro comune secondo i nostri termini, senza interferenze e nessuno che possa decidere per noi“. Costa è tornato sul tema della sicurezza europea sottolineando l’importanza delle decisioni concrete che verranno prese dai leaders europei il 6 marzo e la necessità di una pace giusta per l’Ucraina, necessaria anche per la sicurezza della Moldova, secondo maggior beneficiario della European peace facility con 37 milioni di euro già erogati per l’aumento delle sue capacità di difesa ed altri 60 milioni in arrivo per il 2025. “Stiamo investendo nella difesa per la pace, non per la guerra” ha tenuto a precisare il presidente.Il Consiglio e il Parlamento Ue, lo scorso 20 febbraio, hanno raggiunto un accordo politico sul pilastro fiscale del Piano di crescita della Moldova che, una volta adottato, fornirà al Paese 1,9 miliardi di euro per dare spinta all’economia, attrarre investimenti e promuovere la crescita. I fondi saranno essenziali per una rapida transizione energetica per la Moldova, che per raggiungere l’autonomia necessita di accrescere le sue capacità di stoccaggio e generazione di elettricità pulita. Di questi 1,9 miliardi di euro, 300 milioni saranno resi disponibili già entro la fine di aprile. In merito alla Transnistria, Antonio Costa ha ricordato come l’offerta di 60 milioni di euro, fatta alla regione in cambio di misure concrete in materia di libertà fondamentali e diritti umani, è ancora sul tavolo.Come la commissaria Ue per l’Allargamento Marta Kos prima di lui (4 febbraio 2025), Costa a Chisinau ha enfatizzato la sua fiducia in una rapida conclusione del processo di adesione della Moldova nell’Ue.

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    Pace e sostegno a Zelensky, a Londra la svolta europea per l’Ucraina. Von der Leyen: “Riarmare l’Ue”

    Bruxelles – Una pace con garanzie solide per il futuro, un sostegno nuovo e ancor più incondizionato l’Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky, un riarmo in grande stile del vecchio continente. L’Europa chiamata a dare una risposta agli Stati Uniti di Donald Trump e il modo tutto nuovo di gestire gli affari di politica estera a Washington produce una scossa. I leader riuniti a Londra dal premier britannico Keir Starmer fanno quadrato attorno a Zelensky dopo l’umiliazione patita oltre oceano, e già questo è un dato politico di non poco conto. Ma c’è soprattutto l’impegno per una fine delle ostilità per rimettere in gioco gli Stati Uniti.Del resto, riconosce il premier britannico nella conferenza stampa di fine vertice, gli Stati Uniti restano “un partner indispensabile per la sicurezza” globale e regionale, e non si può immaginare di poter fare tutto senza il contributo americano. Il summit di Londra è servito a prendere coscienza del fatto che e“l‘Europa deve farsi carico del grosso del lavoro” per continuare a sostenere Kiev militarmente sia adesso sia ancor più dopo, in caso un futuro accordo di pace, continua Starmer. Da questo punto di vista l’impegno c’è.La foto di famiglia del summit di Londra [foto: Antonio Costa, account X]Gli impegni finanziariSul piano finanziario, il Regno Unito contribuisce con due pacchetti diversi. Il primo, da 2,26 miliardi di sterline (circa 2,7 miliardi di euro), attraverso i proventi dei fondi russi congelati. Obiettivo: aiutare Kiev con soldi utili alla risposta bellica e al funzionamento dello Stato. Il secondo pacchetto di aiuti, da 1,6 miliardi di sterline (circa 1,9 miliardi di euro) per l’acquisto di 5mila missioni di difesa anti-aerea prodotti a Belfast. Si attende il contributo Ue, che i 27 intendono annunciare in occasione del vertice straordinario di questo giovedi (6 marzo).Il percorso di pace e il nodo dell’invio di soldatiA Londra si inizia a discutere di pace. I dettagli non vengono svelati. L’iniziativa franco-britannica, con il coinvolgimento dell’Ucraina, si vuole sottoporre all’attenzione degli Stati Uniti. Washington comunque continuerà a giocare un ruolo nel negoziato che si vuole intavolare. Certo l’iniziativa aiuta anche l’Ue, dove Slovacchia e ancor più Ungheria minacciano veti ad ogni conclusione del vertice del Consiglio europeo senza un impegno chiaro di cessate il fuoco. “I leader forti fanno la pace, i leader deboli la guerra”, il messaggio del primo ministro ungherese alla vigilia del vertice di Londra che da questo punto di vista mette d’accordo tutti, o quasi.Il nodo vero sta nel post-conflitto. La colazione dei volenterosi allo stato attuale formata da Regno Unito e Francia vorebbe lo schieramento su suolo ucraino di soldati europei nella veste di peacekeepers. Un’ipotesi respinta dall’Italia e dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al pari di altri leader attorno al tavolo. Starmer però insiste: “L’obiettivo è mantenere la pace, e se vogliamo mantenere la pace dobbiamo difenderla”. Senza entrare nel merito il presidente del Consiglio europeo, insiste sulla necessità di condizioni che impediscano nuove aggressioni future. “Non dobbiamo ripetere gli errori degli accordi di Minsk“, dice Antonio Costa riferendosi all’intesa concepita nel 2015 per porre fine agli scontri in Donbass, mai rispettati. Serviranno in sostanza delle garanzie solide, vere, e in tale ottica contingenti non ucraini in sostegno dell’Ucraina appare la soluzione, tutt’altro che gradita a Mosca però.L’Ue si riarmaIn una gestione del conflitto russo-ucraino che passa per un maggiore impegno dell’Ue in materia di difesa, si registra il cambio di passo a dodici stelle. “Dobbiamo riarmare l’Europa con urgenza“, scandisce la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, lasciando Lancaster House. Quindi annuncia: “Presenterò il piano il 6 marzo“, in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo. Nessun indizio, ma due elementi se li lascia scappare. Il primo riguarda lo spazio di spesa pubblica, e quindi l’allentamento del patto di stabilità per la difesa. Il secondo riguarda “scudi aerei” europei.

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    Lite in pubblico tra Zelensky e Trump, salta l’accordo sulle terre rare

    Bruxelles – Volodymyr Zelensky non si fida delle previsioni di Donald Trump, secondo le quali cedendo agli Usa le terre rare ucraine si fermerebbe la guerra che la Russia conduce nel suo Paese. Il presidente statunitense (e il suo staff) si offendono, volano parole forti e l’accordo salta. Il tutto in diretta Tv dallo studio ovale della Casa Bianca, in un crescendo di toni che forse non si era ma visto (almeno in diretta televisiva).La situazione era tesa sin dall’inizio, con Trump che sfotte Zelensky già al suo arrivo per come è vestito (il presidente ucraino come al solito non ha un abito, che, ha spiegato mille volte, metterà quando l’invasione sarà finita) “oggi sei elegante”, gli ha detto. Poi la scena si sposta nello studio ovale, dove i toni si alzano rapidamente, in buona parte anche a causa dell’intervento del vice presidente JD Vance, che accusa Zelensky di non aver “mai detto grazie” agli Usa. Il confronto è anche sull’aiuto europeo, che Trump bolla come molto più basso di quello statunitense, mentre il presidente ucraino tentava di correggerlo sostenendo che quel che diceva Trump non era vero.In sostanza Trump ha sostenuto che una volta firmato l’accordo sulle terre rare, con gli operai inviati dagli Usa che “scavano, scavano, scavano” la Russia fermerebbe la guerra. Zelensky non ci crede, dice che dal 2024 “Vladimir Putin ha violato il suoi impegni ben 26 volte”, e che l’unico modo per fermarlo è rafforzare la difesa ucraina, in particolare l’aviazione, “ne abbiamo tanto bisogno”. Perché, ha insistito, “Putin è un killer ed un terrorista”.Poi di fronte ad un Trump che si erge ad arbitro “imparziale” tra Mosca e Kiev per raggiungere la pace il presidente ucraino ha ribadito che al tavolo delle trattative ci devono essere “l’Ucraina, la Russia e l’Unione europea, e anche gli Stati Uniti”, senza però avere alcuna conferma di questo.Trump attacca ancora, sostenendo che Zelensky è “irrispettoso” verso di lui e verso gli Usa, è che  “stai giocando con la vita di milioni di persone, stai rischiando la Terza guerra mondiale“, e che dunque sta “giocando male le sue carte”. “Non sono qui per giocare a carte”, ha replicato l’ucraino.Lo sconto è continuato per una ventina di minuti, al termine dei quali Zelensky ha lasciato la Casa Bianca senza che la riunione per la firma dell’accordo si tenesse, e senza una conferenza stampa finale. Secondo la rete televisiva Fox (molto vicina a Trump) lo stesso presidente Usa avrebbe invitato l’ucraino ad andar via.Subito dopo Trump ha diffuso un post su X nel quale afferma che: “Oggi abbiamo avuto un incontro molto significativo alla Casa Bianca. Sono state apprese molte cose che non si sarebbero mai potute capire senza una conversazione sotto un tale fuoco e una tale pressione. È sorprendente ciò che emerge attraverso le emozioni, e ho stabilito che il Presidente Zelenskyy non è pronto per la pace se l’America è coinvolta, perché ritiene che il nostro coinvolgimento gli dia un grande vantaggio nei negoziati. Non voglio vantaggi, voglio la PACE. Ha mancato di rispetto agli Stati Uniti d’America nel loro amato Studio Ovale. Potrà tornare quando sarà pronto per la pace”.A ruota la prima reazione europea dal premier polacco Donald Tusk, presidente di turno del Consiglio europeo: “Caro Volodymyr, caro amico ucraino, non sei solo”.Il capo delegazione del Pd al Parlamento europeo, Nicola Zingaretti, anche lui con un tweet afferma che: “Il Presidente degli Usa ha dimenticato di essere il presidente di una grande democrazia e si comporta da padrone offendendo chi è stato aggredito. Ora l’Europa si unisca ancora di più a difesa della libertà, della pace e della giustizia”.

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    La solidarietà dei corrispondenti stranieri di Bruxelles ai giornalisti che seguono la Casa Bianca

    Bruxelles – L’Associazione di corrispondenti esteri di Bruxelles (API-IPA) è pienamente solidale con l’Associazione dei corrispondenti della Casa Bianca (WHCA) “di fronte alle azioni che minacciano l’indipendenza di una stampa libera negli Stati Uniti. Escludere la WHCA dalle decisioni riguardanti l’accesso al pool di giornalisti della Casa Bianca è preoccupante e costituisce un pericoloso precedente”.In quanto organizzazione che rappresenta gli interessi professionali dei giornalisti accreditati presso le istituzioni dell’Ue e della Nato, l’API-IPA, spiega una nota, rimane convinta che una stampa libera e indipendente sia la pietra angolare della democrazia. “La capacità dei corrispondenti di riferire senza interferenze governative su chi è al potere è fondamentale. Nessun leader dovrebbe poter scegliere chi è autorizzato a riferire”, ha dichiarato il presidente dell’Associazione Dafydd ab Iago.“Notiamo che la WHCA ha lavorato instancabilmente per oltre un secolo per sostenere gli standard professionali, per ampliare l’accesso alla stampa e garantire che i giornalisti (reporter, fotografi, produttori e tecnici) abbiano la libertà di svolgere il loro lavoro vitale senza influenze indebite”, aggiunge ab lago.L’associazione dunque sostiene “con forza l’impegno costante della WHCA per un accesso completo, una piena trasparenza e il diritto del pubblico statunitense e mondiale a ricevere un’informazione indipendente e senza timori. Ci uniamo ai colleghi corrispondenti a Washington nella difesa di questi principi, essenziali per far sì che il potere renda conto del proprio operato”.