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    Ucraina, Trump sente Putin (di nuovo). Ma all’orizzonte non c’è nessuna tregua

    Bruxelles – La pace in Ucraina è ancora lontana. È quanto emerso dalla nuova conversazione telefonica avvenuta ieri sera (4 giugno) tra Vladimir Putin e Donald Trump, durante la quale il capo del Cremlino ha promesso una dura rappresaglia agli attacchi compiuti da Kiev negli ultimi giorni (che gli Stati Uniti non sembrano interessati a impedire). Il presidente russo avrebbe anche offerto alla Casa Bianca una sponda nei complessi negoziati sul programma nucleare iraniano.La chiamata è stata riassunta dal presidente statunitense con un post sul suo social personale, Truth: “È stata una buona conversazione, ma non una conversazione che porterà ad una pace immediata“, ha scritto il tycoon. “Il presidente Putin ha detto, e molto fermamente, che dovrà rispondere al recente attacco sugli aeroporti“, ha aggiunto Trump, senza specificare se nella conversazione di circa 75 minuti abbia tentato di dissuadere il suo interlocutore dal portare a compimento suddetta rappresaglia. Stamattina, il palazzo dell’amministrazione regionale di Cherson è stato colpito con le famigerate “bombe plananti” dall’aviazione russa.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Lo smacco che lo zar non poteva lasciare impunito è una serie di attacchi compiuti negli scorsi giorni dai servizi ucraini contro diversi obiettivi sul territorio russo. Sono stati colpiti alcuni ponti – nelle oblast’ di Kursk, invasa dalle truppe di Kiev lo scorso agosto e recentemente “bonificata” da Mosca, e di Bryansk, ma soprattutto quello di Kerch che collega la Federazione con la Crimea occupata – e sono stati distrutti una quarantina di bombardieri strategici (usati per sganciare appunto le bombe plananti mantenendosi a distanza di sicurezza dalla contraerea nemica), cioè circa un terzo del totale.Bollando il governo ucraino come una “organizzazione terrorista“, Putin ha sostenuto che non ci sono più le condizioni per trattare col suo omologo Volodymyr Zelensky (nonostante lui stesso avesse aperto a questa possibilità poco più di un mese fa), confermando il sostanziale buco nell’acqua del secondo round di colloqui tra le delegazioni dei due Paesi belligeranti svoltisi a Istanbul all’inizio di questa settimana.Del resto, appare sempre più evidente il fiasco della mediazione statunitense nel complicatissimo processo negoziale tra Mosca e Kiev. Al netto di una serie di false partenze, le trattative per una tregua nel conflitto sono sostanzialmente ferme, date le posizioni inconciliabili di Russia e Ucraina su praticamente qualsiasi punto, a partire dalle condizioni per accettare un cessate il fuoco.Dalla prospettiva europea, peraltro, il disimpegno dello zio Sam dal Vecchio continente sembra ormai incontrovertibile. Per la prima volta in quasi tre anni e mezzo, il capo del Pentagono Pete Hegseth era assente alla riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina (il cosiddetto formato Ramstein) tenutasi ieri a Bruxelles. E, stando alle indiscrezioni circolate nelle scorse ore, l’amministrazione a stelle e strisce ha anche definitivamente rifiutato di fornire copertura aerea ad eventuali operazioni della “forza di rassicurazione” franco-britannica, una richiesta su cui avevano a lungo insistito i membri della coalizione dei volenterosi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Un altro punto importante della chiamata Trump-Putin ha riguardato i difficili negoziati in corso (o meglio in stallo) sul nucleare iraniano. Secondo il tycoon, lo zar sarebbe “d’accordo” sul fatto che Teheran “non può possedere” un’arma atomica. Il presidente russo si sarebbe addirittura offerto di “partecipare nelle discussioni” con la Repubblica islamica, suggerendo di poter portare le discussioni “ad una rapida conclusione” mentre gli ayatollah starebbero rallentando le trattative. “Avremo bisogno di una risposta definitiva in un tempo molto breve!”, ha concluso l’inquilino della Casa Bianca.Dopo aver sentito Trump, Putin ha parlato brevemente anche col papa Leone XIV. L’inquilino del Cremlino avrebbe ringraziato il pontefice per la disponibilità mostrata dalla Santa Sede a ospitare in Vaticano futuri colloqui di pace tra Russia e Ucraina, un cambio di passo non indifferente da parte di Robert Francis Prevost rispetto al suo predecessore José Maria Bergoglio.Ma, appunto, non sembra ancora giunto il momento delle trattative. Per ora, Mosca ha proposto delle tregue temporanee (48 o 72 ore) limitate ad alcune zone del fronte per permettere a entrambi gli eserciti di recuperare i cadaveri dei caduti, ma Kiev ha rispedito l’offerta al mittente. Le diplomazie dei belligeranti sarebbero tuttavia impegnate per portare a termine un nuovo scambio di prigionieri di guerra e per la restituzione reciproca di diverse migliaia di salme. La Russia avrebbe anche accettato di rilasciare diverse centinaia di minori ucraini deportati dalle regioni occupate.

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    Yulia Navalnaya al Parlamento Ue: “Sostenete chi in Russia resiste a Putin, il regime cadrà”

    Bruxelles – Mentre la repressione in Russia si inasprisce, tre esponenti dell’opposizione lancianno un appello all’Ue per non abbandonare chi ancora resiste. Yulia Navalnaya, vedova di Alexei Navalny, Vladimir Kara-Murza e Ilya Yashin, sono intervenuti al Parlamento europeo chiedendo un cambio di approccio nel sostegno alle forze democratiche russe. Non si è trattato di semplici dichiarazioni simboliche: gli attivisti hanno presentato indicazioni concrete su cosa si aspettano dalle istituzioni europee.Durante la sessione congiunta della commissione Affari esteri del Parlamento europeo e della Sottocommissione per i diritti umani di stamattina (5 giugno), Navalnaya ha chiesto all’Ue di superare la fase delle dichiarazioni e avviare un sostegno tangibile alla società civile russa. In particolare, ha sollevato dubbi sull’allocazione di 5,5 milioni di euro stanziati per Radio Free Europe, testata americana, e ha chiesto perché non esista un finanziamento analogo per i media russi in esilio. “Ci sono giornali russi che da anni operano fuori dal Paese, parlano al pubblico in lingua russa, fanno un lavoro fondamentale e sopravvivono a fatica. Perché non vengono sostenuti?”, ha domandato, offrendo la disponibilità a fornire una lista di testate, attivisti e progetti specifici. Secondo Navalnaya sarebbero milioni i cittadini russi contrari alla guerra in Ucraina, ma per avere un ruolo, questi dovrebbero ricevere supporto ora. Tra le proposte: mantenere visibile la questione dei prigionieri politici, offrire aiuti ai difensori dei diritti umani, sostenere tecnologie come Vpn e spazi digitali liberi, e rafforzare le connessioni con chi agisce all’interno del Paese. “Servono piccoli progetti concreti, non solo grandi proclami”, ha sottolineato.(FILES) Russian opposition activist Vladimir Kara-Murza during a hearing in Moscow on October 10, 2022. (Photo by NATALIA KOLESNIKOVA / AFP)Vladimir Kara-Murza, recentemente liberato dopo due anni di detenzione, ha confermato che oggi ci sono oltre 3000 prigionieri politici in Russia, la maggior parte incarcerati per aver espresso dissenso contro la guerra. Ha invitato l’Ue a mettere le persone al centro della strategia: “Quando si parla di futuri negoziati, si citano risorse, confini, sanzioni. Ma i detenuti, le vittime civili e i bambini deportati devono diventare una priorità nei colloqui”. Kara-Murza ha inoltre insistito sulla necessità di un piano chiaro per il periodo successivo all’attuale regime: “L’errore degli anni ’90 fu non affrontare fino in fondo il passato sovietico. Serve una roadmap per il dopo-Putin, un piano per sostenere la costruzione di uno Stato di diritto. La transizione democratica, se arriverà, sarà rapida. Bisogna essere pronti”.Anche Ilya Yashin, incarcerato per le sue posizioni contro la guerra, ha ribadito che l’Europa non potrà costruire una democrazia russa al posto dei russi, ma può rafforzarne la capacità di resistenza. La sua richiesta principale è stata quella di legare in modo diretto il sostegno all’Ucraina con quello all’opposizione interna russa: “Ogni successo militare di Putin indebolisce chi, in Russia, lavora per una transizione pacifica e democratica”. Yashin ha inoltre segnalato un passaggio contenuto in una bozza negoziale dell’ultimo vertice negoziale di Istanbul, dove si menziona, per la prima volta, un possibile scambio di prigionieri politici tra Russia e Ucraina: “È un segnale che Putin riconosce l’esistenza di prigionieri politici. È su questo fronte che l’Unione europea dovrebbe insistere”.Molti eurodeputati hanno espresso commozione, rispetto e sostegno. Alcuni, come Michael Gahler del Ppe, hanno ricordato che “la Russia non è geneticamente autoritaria” e che un’altra Russia è possibile. Altri, come José  Sánchez Amor del gruppo Socialisti e democratici, hanno messo in guardia contro la tentazione postbellica di “lasciare fuori l’agenda russa”. Il filo conduttore è stato chiaro: la democrazia russa non può essere costruita dall’esterno, ma senza il sostegno europeo rischia di spegnersi. Infine, è emersa la proposta di creare un dialogo strutturato tra Unione europea e opposizione democratica russa, anche nel quadro di una futura Commissione parlamentare congiunta. L’obiettivo: consolidare il sostegno politico e pratico, e prepararsi a un cambiamento che, come ricordato dagli attivisti, potrebbe arrivare improvvisamente.

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    Moldova, l’adesione è sempre più vicina. Ma la Russia rimane una minaccia esistenziale

    Bruxelles – La Moldova si muove a passi da gigante verso l’adesione al club a dodici stelle. Ma non deve mollare la presa sulle riforme, se vuole aprire nei prossimi mesi i primi capitoli negoziali. E, soprattutto, deve continuare a difendersi dalle interferenze russe. A partire da quelle tramite cui, con ogni probabilità, il Cremlino tenterà di far deragliare le elezioni parlamentari in programma per il prossimo settembre, ripetendo un copione già andato in scena lo scorso autunno.“La Moldova ha fatto buoni progressi nel suo percorso verso l’Ue“, ha certificato oggi pomeriggio (4 giugno) l’Alta rappresentante Kaja Kallas durante una conferenza stampa congiunta al termine della nona riunione del consiglio d’associazione Ue-Moldova. Nello specifico, ha sottolineato, ci sono stati “progressi impressionanti nel contrasto alla corruzione, nell’avanzamento della riforma giudiziaria e nella tutela dei valori democratici“.Certo, ha concesso, “le riforme rimangono essenziali per mantenere il ritmo”, ma nessuno a Bruxelles o a Chisinau nutre seri dubbi sulle capacità del piccolo Paese balcanico di realizzarle. “La Moldova appartiene all’Europa“, ha scandito il capo della diplomazia comunitaria. Il mese prossimo si terrà il primo summit di alto livello Ue-Moldova, durante il quale si discuterà tra le altre cose di energia, digitale ed istruzione.Da sinistra: il primo ministro moldavo Dorin Recean, l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas e la commissaria all’Allargamento Marta Kos (foto: Consiglio europeo)La commissaria all’Allargamento, Marta Kos, parla addirittura di “velocità record“, e non esclude che Chisinau possa arrivare ad aprire tutti e 33 i capitoli negoziali entro la fine dell’anno, come vorrebbe il primo ministro moldavo Dorin Recean. Sulla carta, non è impossibile. Secondo gli esperti, Chisinau si muove ad un ritmo doppio rispetto agli altri Paesi candidati e tutto il lavoro tecnico potrebbe essere completato entro la fine del 2027.Per il premier, “l’adesione all’Ue non è più solo un sogno, ma sta avendo luogo di fatto“. La Commissione, come ricordato da Kos, ha già inoltrato agli Stati membri tre relazioni – una sul primo cluster (fondamentali), una sul secondo (mercato interno) e una sul sesto (relazioni esterne) – e si aspetta ora dal Consiglio una decisione sull’apertura dei primi capitoli negoziali “il prima possibile”.Di fatto, Chisinau gode già degli effetti dell’integrazione graduale. Secondo questo approccio, Bruxelles permette ai cittadini dei Paesi candidati di sperimentare in anticipo i benefici dell’adesione all’Ue, prima ancora che entrino effettivamente nel club, estendendo alcune delle politiche interne (soprattutto quelle relative al mercato unico).Great to meet HRVP @kajakallas ahead of the EU–Moldova Association Council & thank for the great support we receive for Moldova’s reform progress,regional security & the EU integration path.Together, we’re building a future rooted in resilience, democracy & a shared EU destiny. pic.twitter.com/jYH7jz8uYq— Dorin Recean (@DorinRecean) June 4, 2025Nel caso della Moldova, sono all’opera almeno tre strumenti di questa strategia: il Piano di crescita da 1,9 miliardi di euro stipulato il mese scorso per sostenere lo sviluppo infrastrutturale (la cui prima tranche dovrebbe arrivare nel giro di qualche settimana), l’estensione allo Stato balcanico dell’area unica per i bonifici in euro – meglio nota con l’acronimo inglese Sepa – e la possibilità di partecipare al fondo Safe da 150 miliardi per il riarmo del Vecchio continente, attraverso l’acquisto congiunto o la produzione di armamenti per i Paesi partecipanti.Ma il percorso verso l’Ue non è tutto rose e fiori, specialmente per chi ha gravitato nell’orbita dell’Unione sovietica. Il Cremlino ha varie armi a sua disposizione per tentare di impedire a nuovi Stati di avvicinarsi all’Ue. Una di queste è il ricatto energetico. Lo scorso inverno, Bruxelles ha messo in campo una strategia biennale per proteggere la sicurezza energetica della Moldova.Inoltre, Chisinau deve proteggersi dalle interferenze russe nei suoi processi democratici, come quelle registrate lo scorso autunno in occasione delle presidenziali, poi vinte dall’europeista Maia Sandu, e del referendum che ha portato all’inclusione in Costituzione dell’obiettivo di aderire all’Ue.La presidente della Moldova, Maia Sandu (foto: Daniel Mihaliescu/Afp)Il prossimo settembre, gli elettori saranno chiamati a rinnovare il Parlamento nazionale. Secondo Kallas, quell’appuntamento con le urne “sarà uno dei bersagli principali della guerra ibrida di Mosca“,  che ricorrerà probabilmente ad “una ragnatela di soldi, contenuti online e coercizione per cercare di influenzare il voto”. Bruxelles offrirà tutto il sostegno possibile a Chisinau, ha assicurato l’ex premier estone: una missione civile e una squadra di esperti per smantellare le reti di finanziamento illecito, nonché un team di contrasto alle minacce ibride. Basterà?A sentire Recean, il Cremlino starebbe puntando a truccare le elezioni per installare a Chisinau un governo fantoccio filorusso che acconsenta all’invio di “10mila soldati” di Mosca in Transnistria. L’obiettivo della Federazione sarebbe quello di provocare una “crisi umanitaria” nella regione secessionista e “usarla contro l’Ucraina e la Romania“.

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    Ucraina, la nuova proposta dell’Ue per i rifugiati: protezione fino al 2027 e supporto per un ritorno sicuro

    Bruxelles – La protezione 4,3 milioni di rifugiati ucraini in Europa si trova oggi a un bivio, tra la necessità di offrire continuità e quella di preparare un futuro diverso. Dopo oltre tre anni di guerra in Ucraina, la Commissione europea propone di estendere per un altro anno la protezione temporanea, mantenendo gli stessi diritti, ma avviando nel contempo un piano per una graduale transizione verso forme di sostegno più durature o il ritorno sicuro in Ucraina.Allo scoppio del conflitto l’Unione Europea ha reagito immediatamente, attivando già nel marzo 2022 la misura eccezionale che ha permesso agli ucraini fuggiti dalla guerra di avere accesso immediato a diritti come residenza, lavoro, assistenza sociale e sanitaria in tutti gli Stati membri. L’ha poi prorogata, ogni anno, di fronte al perdurare della guerra. Oggi (4 giugno) la Commissione propone di prolungare questa tutela fino al marzo 2027, assicurando così stabilità a chi è costretto a vivere lontano da casa. “La nostra solidarietà verso l’Ucraina e i suoi cittadini rimane salda”, ha affermato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione: “Continueremo a offrire protezione a chi scappa dalla guerra e, al contempo, prepariamo le condizioni per un futuro in cui il ritorno sicuro e dignitoso sarà possibile”.L’estensione della protezione temporanea è accompagnata da una strategia più ampia che tiene conto delle esigenze di lungo termine. La Commissione invita infatti gli Stati membri a coordinarsi per facilitare una transizione graduale verso altre forme di status legale, come permessi di lavoro o di studio, per chi ha iniziato a integrarsi nei Paesi ospitanti. Questo approccio mira a evitare l’insicurezza e la frammentazione, offrendo ai rifugiati prospettive più solide. Allo stesso tempo, viene promossa l’idea di programmi che favoriscano il ritorno volontario e sicuro in Ucraina, in stretta collaborazione con le autorità locali. Si prevede la possibilità per i rifugiati di effettuare visite esplorative nel Paese per valutare le condizioni reali, mentre saranno creati centri di supporto, chiamati “Unity hubs“, con informazioni e assistenza sia per chi resta in Europa sia per chi sceglie di tornare. Henna Virkkunen, vicepresidente esecutiva per Sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia, ha spiegato che “estendere la protezione temporanea è un segnale di solidarietà e impegno europeo. Tuttavia, è altrettanto importante preparare una gestione coordinata della fase successiva, tra reinserimento e integrazione”.Il commissario per gli Affari interni Magnus Brunner ha ricordato come siano milioni gli ucraini che hanno trovato rifugio e opportunità nell’Ue negli ultimi anni, e come sia importante offrirgli le possibilità per ricostruire il proprio Paese una volta raggiunta una condizione di stabilità duratura. Per evitare squilibri, la Commissione raccomanda una migliore condivisione dei rifugiati e l’eliminazione di permessi di soggiorno doppi. Questo aiuterà a gestire più efficacemente i flussi e a offrire risposte più coordinate. I programmi di ritorno volontario sono stati progettati per garantire che il rientro sia sicuro e dignitoso, con particolare attenzione alle categorie vulnerabili e alle famiglie. Gli “Unity Hubs” saranno punti di riferimento essenziali, a Berlino, Praga e Alicante, dove i rifugiati potranno ricevere supporto sia per la vita in Europa sia per il rientro in Ucraina. L’Unione Europea si impegna inoltre a mantenere aperti i canali di comunicazione e scambio dati tra Stati membri e con l’Ucraina tramite piattaforme dedicate, garantendo un monitoraggio costante della situazione e la possibilità di adeguare la risposta alle evoluzioni sul terreno.Per Kiev il ritorno non è solo una questione simbolica, ma una necessità economica. Il vice primo ministro ucraino, Oleksandr Chernyshev, ha parlato chiaramente della necessità di programmi strutturati per favorire un rientro volontario e sostenibile per garantire supporto pratico e informazioni sui servizi disponibili in patria, dalla scuola al lavoro. “Abbiamo bisogno dei nostri cittadini per ricostruire l’economia”, ha detto Chernyshev, aggiungendo che l’Ucraina avrà bisogno di almeno 4 milioni di persone in più nel mercato del lavoro per raddoppiare il Pil nei dieci anni successivi alla fine della guerra.La palla ora passa al Consiglio, che dovrà formalmente approvare la proposta di proroga e le linee guida per la gestione coordinata della protezione e del futuro dei rifugiati ucraini in Europa.

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    Ucraina, nuova fumata nera dai colloqui di Istanbul sul cessate il fuoco

    Bruxelles – Ucraina e Russia ci riprovano, ma senza fare progressi sostanziali. Le delegazioni di Kiev e Mosca si sono incontrate di nuovo a Istanbul per continuare i colloqui diretti sulla fine della guerra. C’è l’intesa su uno scambio di prigionieri e sulla restituzione di un gran numero di salme, ma le posizioni su un’eventuale tregua nei combattimenti rimangono inconciliabili. Nel frattempo, di qua e di là del confine continuano a cadere le bombe.Con buona pace delle speculazioni su fantomatici negoziati di pace in Vaticano circolate nelle scorse settimane, è a Istanbul che russi e ucraini continuano a incontrarsi. Lì si è svolto ieri (2 giugno) un nuovo round di colloqui diretti tra le delegazioni dei due belligeranti, sedutesi allo stesso tavolo per la seconda volta dal marzo 2022.Il primo faccia a faccia risale a metà maggio, quando le squadre negoziali avevano concordato uno scambio di 1000 prigionieri per parte, ma senza fare progressi sul nodo centrale delle trattative: le condizioni per un cessate il fuoco sostenibile e, in prospettiva, l’avvio di veri colloqui di pace.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Anche stavolta, nella millenaria città sul Bosforo i negoziatori di Kiev e Mosca hanno dato il disco verde alla liberazione di un numero imprecisato di prigionieri – soprattutto i soldati più giovani, di età compresa tra i 18 e i 25 anni, e i feriti più gravi – e alla restituzione di 6mila caduti per parte.Rimane invece siderale la distanza tra le rispettive posizioni su come giungere ad un’interruzione temporanea delle ostilità, punto di partenza per negoziati sostanziali su una pace duratura. Ucraina e Russia si sono scambiate dei memorandum sulle condizioni ritenute accettabili per una tregua, ma i desiderata messi nero su bianco dalle due parti sono sempre gli stessi. E non sono conciliabili.Per avviare negoziati sostanziali, Kiev continua a chiedere un cessate il fuoco immediato e totale, il rilascio di tutti i prigionieri militari e civili e il ritorno dei minori rapiti durante l’occupazione. Altri due punti cruciali sono la libertà dell’Ucraina di aderire tanto all’Ue quanto alla Nato, previo consenso politico all’interno dei due club, e le famigerate (quanto fumose) garanzie di sicurezza che dovrebbero essere fornite dalla coalizione dei volenterosi.I briefed the President of Ukraine @ZelenskyyUa on today’s meeting with the Russian side in Istanbul.Upon returning to Kyiv, I will also present the Russian proposals — which they shared only today, directly during the negotiations.The Ukrainian side acted clearly and… pic.twitter.com/MYuw15BPQw— Rustem Umerov (@rustem_umerov) June 2, 2025Kiev sostiene inoltre la necessità di un faccia a faccia tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin. “Riteniamo che abbia senso continuare il lavoro tra le delegazioni se è finalizzato a preparare un incontro tra i capi di Stato”, ha osservato il capo-negoziatore Rustem Umerov, titolare della Difesa ucraina. La finestra da lui proposta per organizzare il bilaterale – magari alla presenza di Donald Trump – è “entro la fine di questo mese, dal 20 al 30 giugno“.Eventuali cessioni territoriali, fanno sapere gli ucraini, andranno discusse solo al massimo livello tra i due presidenti. Se tali condizioni verranno soddisfatte, Kiev si dichiara disposta ad accettare il progressivo allentamento delle sanzioni contro Mosca, purché venga messo in piedi un meccanismo atto a reintrodurle rapidamente in caso di necessità. Zelensky ha inoltre invocato nuove misure restrittive se il processo di Istanbul non porterà a breve ad un cessate il fuoco.Si tratta con ogni evidenza di condizioni irricevibili per il Cremlino, che a sua volta mantiene le proprie richieste massimaliste già respinte al mittente da Kiev. La Federazione pretende la fine del supporto occidentale alla resistenza ucraina, la smilitarizzazione e “neutralizzazione” del Paese aggredito nonché la rinuncia a farlo entrare nell’Alleanza nordatlantica, oltre alla ritirata dell’esercito ucraino dalle quattro oblast’ parzialmente occupate – che Mosca vuole vedere riconosciute come territorio russo de jure, insieme alla Crimea – e alla rimozione di tutte le sanzioni internazionali.Il presidente russo Vladimir Putin (foto: Imagoeconomica)Quanto al cessate il fuoco, il capo-negoziatore russo Vladimir Medinsky (lo stesso che aveva guidato la squadra russa nella prima fase dei colloqui di Istanbul tre anni fa) ha messo sul tavolo la proposta di una tregua parziale di due e o tre giorni, da attivarsi solo in determinate aree del fronte durante i negoziati.Questo secondo round di colloqui a Istanbul ha avuto luogo all’indomani del più ampio attacco ucraino sul suolo della Federazione dall’inizio dell’invasione su larga scala, che avrebbe portato alla distruzione di decine di bombardieri. Così, tra le richieste avanzate dal Cremlino figura anche “il rifiuto da parte di Kiev di intraprendere attività sovversive e di sabotaggio contro la Russia”.Richiesta destinata a cadere nel vuoto, dato che proprio oggi i servizi di intelligence di Kiev hanno rivendicato il terzo attacco al ponte di Kerch dal 2022. L’infrastruttura, che collega direttamente la Federazione alla penisola nel Mar Nero, è fondamentale per rifornire le truppe russe nel sud dell’Ucraina. Nel frattempo, l’esercito di Mosca continua la sua lenta avanzata nella regione ucraina di Sumy, dove non si fermano i bombardamenti.

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    Siria, Ue al lavoro per i rimpatri. Frontex: “Oltre mille ritorni da marzo”

    Bruxelles – Oltre mille rimpatri volontari dal territorio dell’Unione europea a casa, la Siria. Frontex, l’Agenzia di guardia costiera e di frontiera dell’Ue, da marzo ad oggi sta aiutando a ripristinare una situazione di normalità al Paese dopo la caduta del regime di Bashar Al-Assad, permettendo a quanti hanno goduto di protezione di ricominciare nel nuovo corso nazionale. Quattordici gli Stati membri da cui Frontex ha agevolato il trasferimento di cittadini siriani verso il Medio Oriente, spiega la stessa Agenzia.“Questo importante traguardo riflette l’impegno continuo per garantire rimpatri sicuri e dignitosi”, sottolinea Hans Leijtens il direttore esecutivo Frontex. “Tornare a casa è un’aspirazione profondamente umana. Per molti, significa ricongiungersi con la famiglia, riprendere in mano la propria vita e ritrovare la propria dignità”. L’attività dell’Agenzia dell’Ue si aggiunge a quella degli organismi internazionale. In particolare, sottolinea il commissario per gli Affari interni e l’immigrazione, Magnus Brunner, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) stima che “oltre 356.200 siriani siano tornati in Siria attraverso i paesi vicini dall’inizio di dicembre 2024 e che quasi 890mila sfollati interni siano tornati nella loro regione di origine dal novembre 2024″. Questa la fotografia fornita nella sua risposta all’interrogazione parlamentare depositata per fare un punto della situazione. Per quanto riguarda l’aspetto legato ai richiedenti asilo, “l’Ue si impegna a contribuire a creare le condizioni per un ritorno sicuro, volontario e dignitoso dei rifugiati“.L’Ue sta scommettendo (al buio) sulla nuova leadership in SiriaPer questo serve un Paese stabile, politicamente solido e inclusivo. L’Unione europea scommette sulla nuova leadership, e in segno di buona fede le sanzioni decretate in passato e rimaste in vigore per tutti questi anni sono state eliminate. In occasione dell’ultimo Consiglio Ue Affari esteri, i ministri degli Esteri degli Stati membri dell’Ue hanno deciso di rimuovere dalla lista nera europea 24 entità soggette al congelamento di fondi e risorse economiche. Molte di queste entità sono banche, tra cui la Banca Centrale della Siria, o società che operano in settori chiave per la ripresa economica della Siria.La scelta del resto trova la sua logica nella necessità di creare le condizioni per fare del Paese un luogo sicuro e stabile dove tornare a vivere, e il rilancio economico in tal senso rappresenta un elemento chiave per convincere i rifugiati siriani a tornare. Dall’Ue però nessun assegno in bianco: il Consiglio dell’Ue si dice “pronto a introdurre nuove misure restrittive” nei confronti di chi viola i diritti umani e alimenta l’instabilità in Siria. Un concetto ribadito anche dallo stesso Brunner: “Il sostegno dell’Ue e la sospensione delle sanzioni sono commisurati agli sviluppi nel Paese“.

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    I dazi di Trump sono illegali: una Corte federale Usa blocca l’arma commerciale di Washington

    Bruxelles – Una sentenza storica emessa dalla Corte del commercio internazionale degli Stati Uniti ha dichiarato illegittima l’imposizione dei dazi generalizzati annunciata da Donald Trump nel ‘Liberation Day’, lo scorso 2 aprile. Un colpo di scena clamoroso, che mette un freno alla linea aggressiva del presidente in materia di politica commerciale e che rimescola le carte nella complessa partita delle negoziazioni che i partner commerciali di Washington – Unione europea compresa – stanno portando avanti con la nuova amministrazione americana.La decisione, giunta ieri sera (28 maggio) da un collegio di tre giudici presso la sede della corte a New York, arriva a seguito di numerosi ricorsi presentati da imprese e stati americani, che accusano il tycoon di aver abusato dei propri poteri presidenziali. Al centro della contesa, l’uso dell’International emergency economic powers act (Ieepa), una legge nata per gestire minacce “inusuali e straordinarie” in tempi di emergenza nazionale, che secondo la corte non può essere utilizzata per introdurre dazi su scala globale. La corte ha dichiarato che gli ordini tariffari di Trump “superano qualsiasi autorità conferita al presidente in materia di regolamentazione dell’importazione tramite dazi”.Nella sentenza si sottolinea come i giudici non abbiano espresso alcun giudizio sull’opportunità o efficacia delle misure tariffarie in sé, ma piuttosto abbiano rilevato la loro incompatibilità con l’attuale quadro normativo. “L’uso dei dazi è inammissibile non perché è inefficace o poco saggio, ma perché la legge federale non lo consente”, si legge nella motivazione.Il presidente statunitense Donald Trump annuncia l’imposizione di dazi sulle importazioni dai partner globali, il 2 aprile 2025 (foto: Brendan Smialowski/Afp)La sentenza mette in discussione uno degli strumenti chiave del trumpismo economico: l’utilizzo di dazi punitivi per esercitare pressione su partner commerciali, rilocalizzare la produzione e ridurre il deficit commerciale statunitense, che ammonta a oltre 1.200 miliardi di dollari. Secondo la corte, il presidente non può aggirare il Congresso giustificando tali misure con la semplice esistenza di un disavanzo commerciale, che non costituisce di per sé un’emergenza nazionale. Il pronunciamento giudiziario invalida immediatamente tutti gli ordini tariffari emessi tramite l’Ieepa. Trump, dunque, sarà costretto a revocare i provvedimenti e, eventualmente, emettere nuovi ordini che riflettano l’ingiunzione permanente, entro dieci giorni. Va precisato che la decisione non si applica ai dazi settoriali del 25 per cento su auto, componenti, acciaio e alluminio, imposti da Trump all’Ue precedentemente e già in vigore.I mercati finanziari hanno accolto con entusiasmo la notizia. Il dollaro ha registrato un’impennata, guadagnando terreno su euro, yen e franco svizzero. In Europa, le principali borse hanno chiuso in rialzo: il Dax di Francoforte è salito dello 0,9 per cento, il Cac 40 di Parigi dell’ 1 per cento, il Ftse 100 di Londra ha guadagnato lo 0,1 per cento mentre il Ftse Mib di Milano si attesta a +0,3 per cento. I mercati asiatici hanno condiviso la scia positiva, mentre i futures a Wall Street indicano un’apertura in forte rialzo.Nonostante ciò, la Casa Bianca ha reagito duramente alla decisione. Kush Desai, portavoce dell’amministrazione, ha contestato con forza l’autorità dei giudici: “Non spetta a giudici non eletti decidere come affrontare un’emergenza nazionale”. Stephen Miller, vice-capo di gabinetto, ha parlato di “un colpo giudiziario fuori controllo”, mentre Donald Trump non ha ancora reagito ufficialmente alla questione. La decisione sarà impugnata in appello presso la Corte federale di Washington e, potenzialmente, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Il verdetto mette in seria difficoltà la strategia di Trump, costruita su dazi estesi che miravano a rinegoziare gli equilibri commerciali globali. Senza il ricorso all’Ieepa, l’amministrazione dovrebbe ora seguire iter più lenti e complessi, basati su indagini commerciali formali e l’applicazione di altre leggi specifiche in materia doganale.US President Donald Trump speaks with European Commission President Ursula von der Leyen prior to their meeting at the World Economic Forum in Davos, on January 21, 2020. (Photo by JIM WATSON / AFP)La corte si è pronunciata su due cause principali. La prima è stata intentata da un gruppo di piccole imprese americane, che hanno lamentato danni economici ingenti, mentre la seconda è stata avviata da una dozzina di stati, guidati dall’Oregon. Il procuratore generale dello stato, Dan Rayfield, ha commentato: “Questa sentenza ribadisce che le nostre leggi contano e che le decisioni commerciali non possono dipendere dai capricci del presidente”. Gli avvocati dei ricorrenti hanno sostenuto che il deficit commerciale non costituisce un’emergenza ai sensi dell’Ieepa, ricordando che gli Stati Uniti registrano un disavanzo commerciale da 49 anni consecutivi. La tesi centrale era che l’utilizzo della legge d’emergenza per introdurre dazi fosse un abuso di potere, e la corte ha dato loro ragione.Il caso resta aperto a ulteriori sviluppi giudiziari ma intanto, con questa sentenza, i giudici mettono un argine alle derive unilaterali della politica commerciale statunitense, riaffermando la centralità del diritto, e del Congresso, nelle decisioni economiche di portata globale, e ricordando a Trump che spesso avere carte in mano non significa poterle giocare a proprio piacimento.The judicial coup is out of control. https://t.co/PRRZ1zU6lI— Stephen Miller (@StephenM) May 28, 2025

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    L’Ue si dà una strategia per il Mar Nero, dopo tre anni di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Dopo più di tre anni dall’inizio della guerra neo-imperialista della Russia in Ucraina, l’Ue prova a darsi una prospettiva strategica nella regione del Mar Nero, per controbilanciare l’influenza di Mosca e consolidare la propria. Parole d’ordine: sicurezza, connettività e investimenti. Nelle speranze di Bruxelles, si potrà fare tutto questo senza impiegare nuove risorse di bilancio, ma semplicemente “razionalizzando” quelle già esistenti.La Commissione europea ha presentato oggi (28 maggio) la sua nuova strategia per la regione del Mar Nero, con la quale cercherà di proiettarsi nella zona che fa da cerniera naturale tra Europa orientale, Caucaso meridionale e Asia centrale. Nell’idea dell’esecutivo comunitario, servirà per “rafforzare il ruolo geopolitico dell’Ue” attraverso l’approfondimento della cooperazione con tutti i Paesi della regione: Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia, Azerbaigian e Turchia.Secondo il Berlaymont, l’iniziativa dovrà imperniarsi su tre pilastri principali. Il primo, neanche a dirlo, riguarda la sicurezza regionale: la cui responsabilità, ha sottolineato l’Alta rappresentante Kaja Kallas, “non può ricadere solamente sulle spalle degli Stati membri”. A tal scopo, Bruxelles prevede di istituire un “hub per la sicurezza marittima” aperto alla partecipazione di tutti i Paesi dell’area.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Come spiegato dal capo della diplomazia a dodici stelle, si tratterà di “un sistema europeo di allerta precoce per aumentare la consapevolezza situazionale e proteggere le infrastrutture critiche” di Stati membri e Paesi terzi dalle minacce ibride – ivi comprese campagne di disinformazione e interferenze elettorali varie (vedi alle voci Moldova e Romania) – poste da attori stranieri malevoli, in primis la Russia.Tale hub, di cui andranno concordati in un secondo momento l’ubicazione e il “modello operativo” e che collaborerà con le strutture della Nato e della coalizione dei volenterosi, dovrà inoltre contribuire a “monitorare qualunque accordo di pace stipulato tra Russia e Ucraina” e ad assicurare la sicurezza di navigazione nel Mar Nero, prendendo parte tanto al contrasto della flotta ombra di Mosca quanto alle operazioni di sminamento del fondale una volta terminato il conflitto.Infine, fungerà anche da centro di coordinamento per la mobilità militare regionale, partecipando con modalità non meglio definite agli interventi di ammodernamento di porti, ferrovie, strade e quant’altro possa servire a “muovere truppe ed equipaggiamenti”.Il secondo pilastro è quello della connettività. Il Mar Nero, nelle parole della commissaria all’Allargamento Marta Kos, è “un ponte verso il Caucaso meridionale e l’Asia centrale, un’arteria vitale per il commercio, i flussi energetici e le esportazioni alimentari” e dunque l’Ue avverte “la necessità di diversificare i legami” coi partner dell’area per ridurre ulteriormente le proprie dipendenze da Mosca.When dependencies are weaponised, we must diversify.The Black Sea is the bridge to the South Caucasus & Central Asia – vital for trade, energy flows, & food exports.Our new strategy offers partnerships & better connectivity stepping up our collective security & prosperity. pic.twitter.com/HJNzkKHl6b— Marta Kos (@MartaKosEU) May 28, 2025Andranno quindi sviluppati nuovi corridoi energetici, reti di trasporto e infrastrutture digitali che connettano la regione coi bacini del Baltico e del Mediterraneo da un lato e del Caspio dall’altro. Secondo le previsioni di Kos, Kiev e Chisinau potrebbero essere “completamente disaccoppiate dalle fonti energetiche russe entro la fine del 2027“. Parallelamente, Bruxelles punta a “migliorare la cooperazione nel settore energetico con l’Armenia e l’Azerbaigian“.L’ultimo cardine della strategia riguarda la preparazione e la resilienza, soprattutto per quanto riguarda il cambiamento climatico e gli impatti ambientali della guerra d’Ucraina. Un occhio di riguardo sarà riservato alle comunità costiere, puntando in particolare all’economia blu e alle opportunità di crescita sostenibile.Ma non si diventa una potenza geopolitica coi proclami trionfalistici. Da dove si prenderanno i soldi? “Non faremo ricorso a nuovi strumenti finanziari“, hanno chiarito Kallas e Kos. Le risorse arriveranno da fondi già esistenti, come la Ukraine facility o i piani di crescita stipulati da Bruxelles, ad esempio, con Armenia e Moldova. Un altro contributo dovrebbe arrivare dalla revisione del funzionamento della Garanzia per l’azione esterna, la spina dorsale di quel Global gateway con cui Bruxelles ha provato a rispondere alla Nuova via della seta di Pechino.La commissaria all’Allargamento, Marta Kos (foto: Lukasz Kobus/Commissione europea)Come illustrato dal commissario per i Partenariati internazionali, Jozef Síkela, si tratta di stimolare la crescita sostenibile dei partner ma anche di migliorare l’efficacia degli aiuti allo sviluppo. “Il successo della strategia dipenderà dal potere di fuoco finanziario che saremo in grado di mettere in campo”, ha dichiarato. La verità, tuttavia, è che la coperta è corta, e la partita entrerà nel vivo in autunno quando inizieranno i negoziati tra Consiglio e Parlamento sul nuovo Quadro finanziario pluriennale (Qfp).L’obiettivo, dice Síkela, è fare “un uso più dinamico delle risorse dell’Ue senza bisogno di nuove risorse di bilancio“. Nei suoi calcoli, si potrebbe arrivare a mobilitare fino a 10 miliardi di investimenti aggiuntivi senza mettere un centesimo in più nel budget comunitario. Per riuscirci, andranno riviste le norme sugli investimenti nei Paesi terzi, verrà ridotta la copertura del rischio da parte della Banca europea degli investimenti (Bei) e si procederà all’ennesima sburocratizzazione del settore. Basterà?