More stories

  • in

    Dazi mirati e prove di dialogo, l’Ue cerca la risposta a Trump. Alleanze con la Cina sullo sfondo

    Bruxelles – Rispondere, ma senza forzare la mano, e creare nuove alleanze, anche inedite, per mettere sotto pressione gli Stati Uniti e produrre un effetto boomerang tale da costringere il presidente Usa, Donald Trump, a fare retromarcia sui dazi imposti all’Europa e non solo. La strategia dell’Ue c’è e inizia a delinearsi. In un club a dodici stelle preoccupato al punto da dedicare alle relazioni trans-atlantiche la riunione dei ministri responsabili per il commercio, la linea è tracciata e serve solo l’accordo, esattamente quello che si cerca nella riunione in corso a Lussemburgo.E’ la Svezia a svelare le carte in tavola. “I contro-dazi Ue devono essere ben mirati e proporzionati“, evidenzia Benjamin Dous, ministro per il Commercio con l’estero di Stoccolma. E’ questa la precondizione di una risposta che deve mirare a costringere Washington e l’amministrazione Trump a tornare sulle decisioni prese e mettere la Casa Bianca in un angolo. “Quando nei prossimi giorni Ue, Canada e Cina imporranno contro-tariffe la pressione sugli Stati Uniti aumenterà“, continua Dous, che lascia intendere come uno degli effetti prodotti da Trump e le sue stesse scelte è spingere la Repubblica popolare cinese, che l’Europa considera ostile e nemica, tra le braccia dell’Europa. “Certo, restano questioni importanti da risolvere quali le condizioni di reciprocità, ma è fuori dubbio che la Cina resta un partner commerciale importante“, sottolinea e conferma la ministra per il Commercio con l’estero dei Paesi Bassi, Reinette Klever.L’obiettivo finale è e resta una soluzione amichevole e concordata. E’ la linea prevalente attorno al tavolo. “Non possiamo essere noi quelli che portano la guerra commerciale su un livello più elevato“, la linea espressa dal ministro della Lettonia che, a ben vedere, è la stessa della presidenza polacca di turno del Consiglio Ue. “Fin qui l’approccio è stato: ‘prima agiamo e poi discutiamo’, ci piacerebbe invertire il paradigma“, sottolinea Michał Baranowski, sottosegretario per lo Sviluppo economico della Polonia. E’ questo, con ogni probabilità, l’indicazione che i 27 daranno alla Commissione europea.Risposte mirate, per non far vedere che l’Ue resta a guardare, con eventuali contromisure più muscolari solo per un secondo momento. Una linea sposata anche dall’Italia. “Dobbiamo lavorare per evitare assolutamente una guerra commerciale, che sarebbe esiziale per gli Usa e per le nostre imprese”, sottolinea il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Dobbiamo trattare, lo deve fare l’Ue unita”. In questo, continua il leader di Forza Italia, l’Italia “sosterrà tutte le iniziative del commissario [per il Commercio] Sefcovic, nel quale riponiamo estrema fiducia”, aggiunge per quella che è una frecciata agli alleati di maggioranza della Lega, viceversa intenzionati a un negoziato bilaterale e separato italo-statunitense.La questione dei dazi voluti da Trump, comunque vada a finire, mette in mostra un allontanamento generale dalle logiche tradizionali adottato sin qui da un modello che su entrambe le sponde dell’Atlantico appare superato. Trump non accetta che il modello tanto difeso e promosso dagli Stati uniti sia rivolto contro gli interessi a stelle e strisce: il ‘business as usual’ va bene finché la bilancia commerciale sorride all’America, altrimenti il resto del mondo deve pagare. Dall’altra parte c’è quantomeno una parte di Europa che considera il libero scambio in modo analogo, fruttuoso solo a fasi alterne.“Non vogliamo dazi, vogliamo più commercio. Il commercio è sempre positivo“, le considerazioni rese in pubblico dal ministro della Svezia. Esternazioni che stridono con il modo in cui è stato accolto l’accordo tra Ue e Mercosur, avvolto da critiche. Segno che il commercio non è più considerato questa grande conquista. Certo è che malumori in Europa non mancano, e quello tedesco è uno dei principali.Robert Habeck, ministro uscente dell’Economia della Germania, commenta le dichiarazioni di Elon Musk, che ora immagina un’area di libero scambio Ue-nord America a dazi zero: “E’ segno di debolezza e di paura. Forse dovrebbe recarsi da Trump e dirgli che prima di parlare di dazi deve risolvere questo pasticcio che ha creato”.

  • in

    Ucraina, la Nato rimane sospettosa di Putin (e tira per la giacca Trump)

    Bruxelles – Nonostante i proclami sul cessate il fuoco in Ucraina, gli alleati europei di Kiev sono scettici circa la disponibilità del Cremlino di interrompere le ostilità e sedersi al tavolo delle trattative. Sotto i riflettori, per l’ennesima volta, le reali intenzioni della Russia nonché la linea dell’amministrazione a stelle e strisce, percepita come eccessivamente indulgente verso Mosca.Ieri e oggi (3 e 4 aprile), i ministri degli Esteri dei Paesi Nato si sono dati appuntamento al quartier generale dell’Alleanza a Bruxelles per coordinarsi sulla guerra ancora in corso nell’ex repubblica sovietica. Andrij Sybiha, titolare degli Esteri di Kiev, ha ripetuto l’impegno del suo Paese per una “pace duratura e globale”, ribadendo che “abbiamo accettato la proposta statunitense di un cessate il fuoco provvisorio di 30 giorni senza alcuna condizione”. Da Mosca si parla invece “di richieste e condizioni“, ha incalzato, aggiungendo che “la Russia deve fare sul serio per la pace“.Il messaggio, nemmeno troppo velato, condiviso da tutti i partecipanti è lo stesso: Washington non dovrebbe allentare la pressione sul Cremlino – che starebbe cercando di prendere tempo per ottenere un successo militare importante e trattare da una posizione di maggiore forza nei confronti dell’Ucraina – ma, semmai, aumentarla. Il Segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha elogiato diplomaticamente “gli sforzi americani per superare lo stallo”, ma ha sottolineato l’importanza di “assicurarci che quando si raggiungerà un cessate il fuoco o un accordo di pace sia duraturo” e non venga infranto da nessuno dei belligeranti. Tradotto, significa che non si può lasciare carta bianca alla Russia.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)In questa fase, la situazione sul campo appare favorevole alle truppe della Federazione, che starebbero ottenendo successi virtualmente lungo l’intera linea del fronte. Gli incentivi di Mosca per sospendere le ostilità appaiono dunque piuttosto scarsi, e lo sanno anche a Washington: “Continuiamo a dubitare che la squadra di Putin si presenti al tavolo con buone intenzioni“, ha ammesso un funzionario statunitense. Del resto, l’annuncio di una nuova mobilitazione per arruolare 160mila soldati non sembra esattamente una mossa distensiva.“È chiaro che Vladimir Putin non sembra avere alcuna volontà di avviare un cessate il fuoco e di iniziare negoziati di pace”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot. Gli ha fatto eco l’omologo britannico, David Lammy: “Ti vediamo, Vladimir Putin. Sappiamo cosa stai facendo”. Anche per la tedesca Annalena Baerbock quelle del Cremlino sono “parole vuote“.Dopo essersi gloriato per aver convinto, a suo dire, tanto Vladimir Putin quanto Volodymyr Zelensky a sospendere i combattimenti per 30 giorni, il tycoon newyorkese ha aperto ad un alleggerimento delle sanzioni nei confronti della Russia, mentre Kiev ha rifiutato per la terza volta una bozza dell’accordo sulle materie prime critiche che dovrebbe stipulare con Washington.Il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Recentemente è trapelata anche la notizia che il capo del Pentagono, Pete Hegseth, non parteciperà alla riunione del cosiddetto formato Ramstein (una cinquantina di Paesi che sostengono la resistenza ucraina) in calendario per il prossimo 11 aprile. Sarà la prima volta che i partner di Kiev si incontreranno senza gli Usa.Ora, dopo diversi giorni in cui sul fronte diplomatico nulla sembra muoversi (almeno non in superficie), il segretario di Stato Marco Rubio è venuto a Bruxelles a chiedere agli alleati europei di aumentare le spese per la difesa al 5 per cento del Pil, proprio mentre l’inquilino della Casa Bianca andava allo scontro con le economie del Vecchio continente imponendo dazi sull’import del 20 per cento.

  • in

    La rincorsa dell’Ue a nuovi partner: von der Leyen scommette sull’Asia centrale e annuncia investimenti per 12 miliardi

    Bruxelles – Tre anni a cercare in tutti i modi di tagliare i ponti con la Russia, per poi ritrovarsi pugnalata alle spalle dall’alleato storico americano. Stretta tra nuove e vecchie grandi potenze che fanno la voce grossa, l’Ue si dimena e cerca di costruirsi nuove relazioni e commerci. La priorità non è più l’esportazione della democrazia, ma piuttosto la ricerca di partner commerciali e fornitori di energia e materie prime critiche di cui potersi fidare. Così, il primo vertice con i Paesi dell’Asia Centrale a Samarcanda all’indomani dei dazi trumpiani si tinge di significati geopolitici ed economici.“Nuove barriere globali insorgono, le potenze di tutto il mondo stanno ritagliandosi nuove sfere di influenza. Ma qui a Samarcanda, dimostriamo che c’è un altro modo”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso ai leader delle ex repubbliche sovietiche di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Bruxelles e i cinque dell’Asia centrale hanno lanciato un nuovo partenariato strategico, e von der Leyen ha annunciato che la Commissione europea investirà 12 miliardi di euro nella regione.Dal consolidamento del corridoio di trasporto transcaspico al sostegno a nuovi progetti di estrazione mineraria, il pacchetto prevede investimenti per 3 miliardi nel settore dei trasporti, 2,5 miliardi per le materie prime critiche, 6,4 miliardi per l’energia pulita e 100 milioni per la connettività digitale. “I vostri paesi sono dotati di immense risorse – si è sfregata le mani von der Leyen -, il 40 per cento delle riserve mondiale di manganese, oltre a litio, grafite e altro ancora”. Materie su cui mettono gli occhi tutte le grandi potenze, perché “linfa vitale della futura economia globale”.Ursula von der Leyen, Antonio Costa e i leader di Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan al vertice Ue-Asia CentraleNel lungo intervento, von der Leyen ha cercato di smarcare l’Ue da quei Paesi “interessati solo allo sfruttamento e all’estrazione”, mettendo sul piatto “un’offerta diversa“. Fatta di sviluppo delle industrie locali, di creazione di posti di lavoro e valore aggiunto locale. La leader Ue ha fatto l’esempio della miniera di rame di Almalyk, in Uzbekistan, dove aziende europee hanno contribuito all’estrazione e alla lavorazione in loco con investimenti per 1,6 miliardi di euro. “Insieme, potremmo costruire industrie locali lungo tutta la catena del valore delle materie prime. Dall’estrazione alla raffinazione. Dall’apertura di nuovi laboratori di ricerca alla formazione dei lavoratori locali”, ha proseguito von der Leyen. Tutto messo nero su bianco nella dichiarazione d’intenti congiunta sulle materie prime critiche approvata al vertice.C’è poi il capitolo relativo all’approvvigionamento energetico. La visione di von der Leyen è quella di un’Asia centrale “hub per l’energia pulita: eolica in Kazakistan, solare in Uzbekistan e Turkmenistan, idroelettrica in Tagikistan e Kirghizistan”. Metà degli investimenti totali previsti dal pacchetto Ue sono dedicati allo sviluppo di massicci progetti come come la diga di Rogun in Tagikistan, la “più alta del mondo”, e la diga di Kambarata in Kirghizistan.Con quest’approccio, l’Ue cerca di recuperare terreno sull’influenza storica della Russia ma soprattutto sulla Cina, che – come d’altronde già in Africa e in America Latina – ha silenziosamente imposto la sua supremazia commerciale. “La Russia ha da tempo dimostrato di non poter più essere un partner affidabile”, ha dichiarato von der Leyen in una breve conferenza stampa, ribadendo che “in passato, Cina e Russia estraevano qui materie prime che poi lavoravano nel loro Paese, senza alcun valore aggiunto a livello locale”.L’Unione europea è il secondo partner commerciale dei cinque dell’Asia Centrale, dietro solo a Pechino, ma il maggiore investitore (oltre il 40 per cento degli investimenti nella regione proviene dall’Ue). La penetrazione della Cina nei mercati di tutto il mondo non è solo poco mirata alla creazione di valore aggiunto locale, ma è anche svincolata dai posizionamenti strategici dei partner sullo scacchiere internazionale e dal rispetto di principi democratici e dei diritti umani nei loro Paesi.António Costa, il presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev e Ursula von der LeyenIl rischio è che, in particolare quest’ultimo aspetto, venga meno anche nella strategia europea, ora che Bruxelles si sente improvvisamente sola e in pericolo. “I principi stabiliti nella Carta delle Nazioni Unite non sono solo parole sulla carta, ma rappresentano l’impegno condiviso delle nazioni per prevenire i conflitti, promuovere la pace e salvaguardare il benessere dei nostri cittadini”, ha ricordato nel suo discorso il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa. Nella dichiarazione congiunta approvata al termine del vertice, Ue e Asia Centrale hanno sottolineato “l’importanza di raggiungere al più presto una pace globale, giusta e duratura in Ucraina” e hanno concordato di “continuare a cooperare per prevenire l’elusione delle sanzioni” alla Russia.“Al centro delle relazioni” tra l’Ue e le cinque repubbliche ex-sovietiche rimangono anche “il rispetto della libertà di espressione e di associazione, un ambiente favorevole alla società civile e ai media indipendenti, la protezione dei difensori dei diritti umani, nonché il rispetto dei diritti delle donne, dei diritti dei bambini e dei diritti dei lavoratori”, si legge nel documento. Difficile non notare che in realtà in tutti e cinque i Paesi dell’Asia centrale le criticità da questi punti di vista rimangono molte, e pesanti. Criticità portate alla luce negli ultimi anni anche dal Parlamento europeo, in diverse occasioni.Nel gennaio 2022, l’Eurocamera approvò una risoluzione sulle proteste e le violenze in Kazakistan, ribadendo la forte preoccupazione per le violazioni dei diritti umani e “il diffuso ricorso alla tortura“. A più riprese si è espressa sul Kirghizistan, il cui governo ha imposto di recente una legge di stampo russo sui “rappresentati stranieri” ed una sulle “false informazioni”: lo scorso dicembre gli eurodeputati hanno sottolineato che il Paese dovrebbe attenersi agli standard democratici concordati nell’ambito dell’accordo di partenariato e cooperazione rafforzata con l’Ue. Stesso discorso per Turkmenistan e Tagikistan: nei confronti del primo, il Parlamento europeo ha finora bloccato l’accordo di partenariato a causa della situazione precaria dei diritti umani, mentre per il secondo ha adottato nel gennaio 2024 una risoluzione sulla repressione dello Stato contro i media indipendenti.Infine, nonostante decisi progressi sul fronte democratico, anche in Uzbekistan non è tutto rose e fiori: il presidente Shavkat Mirziyoyev, padrone di casa del vertice, ha rafforzato le relazioni con la Russia e ha firmato un accordo con Mosca sull’estensione della collaborazione tecnico-militare con l’impegno di procurarsi congiuntamente beni militari, equipaggiamento militare, ricerca e assistenza. L’Uzbekistan si è astenuto dal condannare l’invasione russa dell’Ucraina in sede Onu, adottando ufficialmente una posizione neutrale.

  • in

    Terremoto in Myanmar, l’Ue lancia un ponte aereo e chiede di garantire l’accesso agli aiuti

    Bruxelles – L’Ue ha lanciato un’operazione di ponte aereo umanitario per convogliare 80 tonnellate di materiale d’emergenza a Mandalay, seconda città del Myanmar e epicentro del terremoto di magnitudo 7,7 che il 28 marzo ha devastato il Paese. Il primo volo – carico di tende, kit sanitari e di protezione e servizi igienici – partirà oggi da Copenaghen con destinazione Yangon, dove sarà consegnato all’Unicef. Dopo le notizie degli spari alla Croce rossa cinese da parte dell’esercito birmano, la Commissione europea sottolinea l’importanza di garantire l’accesso sul territorio alle organizzazioni umanitarie e assicurarsi che operino in un ambiente sicuro.Il bilancio del sisma si aggrava di ora in ora. Le vittime accertate sono già oltre 2.700, ma secondo le previsioni dell’agenzia americana Usgs potrebbero arrivare a 10 mila. Le aree colpite dal terremoto ospitano infatti circa la metà dei 3,5 milioni di sfollati interni del Myanmar, un paese lacerato da quattro anni di violenta guerra civile che fra le altre cose ha provocato una grave crisi alimentare e messo in difficoltà enormi l’economia del paese. Secondo il coordinatore Onu per gli Affari Umanitari per il Myanmar, Marcoluigi Corsi, ci sono quasi 20 milioni di persone “bisognose di assistenza umanitaria” nel Paese del sud-est asiatico. E questo, “già prima del terremoto”.È in questo contesto che devono essere distribuiti gli aiuti alla popolazione. Questa mattina, l’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang (Tnla), uno dei gruppi armati che combattono contro la giunta militare al governo dal golpe del 2021, ha denunciato l’attacco da parte dell’esercito governativo a un convoglio di di veicoli che trasportava aiuti umanitari della Croce rossa cinese. L’attacco sarebbe avvenuto ieri sera, nonostante la giunta militare fosse stata informata degli spostamenti del convoglio. La milizia Tnla fa parte dell’Alleanza delle tre fratellanze, insieme all’Esercito di Arakan (Aa) e all’Esercito dell’Alleanza democratica nazionale del Myanmar (Mndaa): le Tre fratellanze hanno proposto un cessate il fuoco dopo il sisma, ma il generale Min Aung Hlaing, capo della giunta, ha dichiarato che le operazioni militari proseguiranno come “misure di protezione necessarie”.Dall’Onu all’Unione europea, si moltiplicano gli appelli per mettere da parte le ostilità. “Esortiamo tutte le parti in conflitto in Myanmar a cessare immediatamente il fuoco“, ha dichiarato la commissaria Ue per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib. Bruxelles, nelle ore immediatamente successive al terremoto, ha attivato il servizio satellitare Copernicus e stanziato 2,5 milioni di aiuti umanitari, a cui – ha annunciato la Commissione europea – aggiungerà altri 500 mila euro per contribuire all’appello di emergenza emanato dalla Federazione internazionale delle società della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa (IFRC).Inoltre, in seguito all’attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue da parte dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), nei prossimi giorni un team di 12 esperti europei provenienti da Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Slovenia, Lussemburgo e Norvegia volerà a Bangkok e Kuala Lumpur per coordinare la risposta all’emergenza con i partner sul campo.

  • in

    Lagarde: “I dazi di Trump avranno un impatto negativo in tutto il mondo”

    Bruxelles – Le tariffe annunciate dal presidente statunitense Donald Trump avranno un impatto negativo in tutto il mondo, con danni che dipenderanno dalla loro portata, dalla loro durata e dall’esito dei negoziati, ha dichiarato mercoledì Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea.“(L’impatto) Sarà negativo per l’economia in tutto il mondo e la densità e la durata dell’impatto varieranno a seconda della loro portata, dei prodotti colpiti, della durata e dell’esistenza o meno di negoziati”, ha affermato Lagarde in un’intervista alla radio irlandese Newstalk.“Non dimentichiamo che spesso l’aumento dei dazi, poiché si dimostrano dannosi, anche per chi li impone, porta a tavoli di negoziazione – ricorda la presidente della Bce – dove le persone si siedono effettivamente e discutono e alla fine rimuovono alcune di queste barriere”.

  • in

    Il Parlamento Ue approva il prestito di 4 miliardi per l’Egitto, i Verdi: “La Commissione butta al vento democrazia e diritti umani”

    Dall’inviato a Strasburgo – Quando il gioco si fa duro i partner vanno tenuti stretti, anche quando non promuovono lo Stato di diritto. Questa sembra la ratio alla base dell’approvazione, da parte del Parlamento europeo riunito in seduta plenaria, delle due proposte di assistenza macro-finanziaria (Mfa) per la Giordania e l’Egitto, avanzate dalla Commissione Europea.Questo pomeriggio (1 aprile) gli eurodeputati si sono espressi sull’appoggio agli aiuti Ue. Con 571 voti a favore, 59 contrari e 46 astensioni, il quarto Mpa per il Regno hashemita di Giordania è stato approvato: il Paese riceverà 500 milioni di euro sotto forma di prestiti agevolati, per coprire i residuali bisogni finanziari, supportare riforme strutturali e mettere in sicurezza i propri sforzi di consolidamento finanziario. Già a gennaio la Commissione aveva annunciato un pacchetto finanziario addizionale per sostenere le sfide della Giordania, ed anche in questo caso i prestiti sono stati legati ad un’importante precondizione, ovvero il rispetto di meccanismi democratici effettivi, il raggiungimento di un sistema parlamentare multipartitico, il sostegno allo Stato di diritto, e la garanzia del rispetto dei diritti umani.Nessuna traccia di condizionalità per il prestito di 4 miliardi di euro approvato a larga maggioranza (452 voti a favore, 182 contrari, 40 astensioni) a favore dell’Egitto, che sarà erogata in tre tranche. Durante la votazione, un’alleanza tra i gruppi Conservatori e riformisti, Partito popolare europeo e Patrioti per l’Europa, ha portato alla bocciatura degli emendamenti dei Verdi volti a vincolare gli aiuti ai progressi compiuti dall’Egitto in materia di diritti umani e standard democratici. Le proteste da parte dei Verdi non si sono fatte attendere: “È evidente che la Commissione sta preparando il terreno per un losco accordo con l’Egitto sulla migrazione, anche in relazione alla drammatica situazione a Gaza”, ha criticato in un comunicato il francese Mounir Satouri, denunciando la soppressione del progetto iniziale e ricordando come “le autorità egiziane attaccano regolarmente i giornalisti, la società civile e i diritti dei cittadini”.L’Ue e le autorità egiziane avevano siglato un accordo di partenariato globale nel marzo 2024, che prevedeva un aiuto economico europeo di 5 miliardi di euro, compreso un prestito a breve termine di 1 miliardo di euro versato a il Cairo alla fine del 2024. Nonostante il memorandum comprendesse diversi obiettivi, come la cooperazione nel settore energetico, il dialogo politico e gli investimenti nel commercio, la componente di contrasto alla migrazione era ben evidenziata, specialmente se si considerano gli accordi analoghi stretti con Tunisia e Mauritania nello stesso periodo.“Aiutare i nostri partner significa favorire gli interessi europei in una zona instabile, questo voto sottolinea il supporto del Parlamento”, ha dichiarato Céline Imart (Ppe, Francia), relatrice del Parlamento europeo. “Il denaro destinato alla Giordania potrà essere erogato senza indugio, mentre andremo con un mandato forte al trilogo sull’Egitto per concludere rapidamente anche lì”, ha aggiunto. Le negoziazioni tra il Parlamento e il Consiglio per il pacchetto Mfa per l’Egitto sono attese “a breve”.

  • in

    Da Macron a Merz, fino a Orbán. La vicinanza dei leader europei a Netanyahu e la sconfitta del diritto internazionale

    Bruxelles – Mercoledì 2 aprile il premier israeliano Benjamin Netanyahu metterà piede per la prima volta sul territorio europeo da quando è oggetto di un mandato d’arresto della Corte penale internazionale (Icc). Sarà ospite di Viktor Orbán, che come altre volte rompe tabù che a ben vedere stanno stretti anche ai suoi omologhi europei. Dal futuro cancelliere tedesco Friedrich Merz al presidente francese Emmanuel Macron e al ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, sono già diversi i Paesi Ue che hanno messo in dubbio – se non proprio respinto – la possibilità di perseguire Netanyahu per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.Nel weekend, ci ha pensato il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis a varcare la prima linea rossa, incontrando Netanyahu a Gerusalemme, proprio mentre – nel primo giorno dell’Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan – i raid israeliani su Gaza avrebbero ucciso almeno 64 palestinesi. I due hanno “ribadito la relazione strategica tra Grecia e Israele” e discusso “l’ulteriore approfondimento della cooperazione bilaterale, in particolare nel campo della difesa”.Kyriakos Mitsotakis e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, 30/3/25 [Credits: Account X Kyriakos Mitsotakis]Dal 21 novembre scorso, quando il Tribunale de L’Aia ha emesso il mandato di cattura per Netanyahu e l’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, nessun leader europeo aveva ancora incontrato di persona il capo del governo israeliano. Ma in realtà, nessuno dei 27 ha veramente tagliato i ponti con l’uomo accusato di crimini di guerra, come invece è stato fatto con il presidente russo Vladimir Putin, su cui pende lo stesso mandato d’arresto internazionale. Ieri sera, Macron ha diffuso un resoconto di una telefonata con Netanyahu, in cui ha ribadito che “la liberazione di tutti gli ostaggi e la sicurezza di Israele sono una priorità per la Francia” e ha chiesto “al primo ministro israeliano di porre fine agli attacchi su Gaza e di tornare al cessate il fuoco, che Hamas deve accettare”.Parigi era stata tra le prime capitali Ue a mettere in discussione la legittimità del mandato d’arresto, chiamando in causa un articolo dello Statuto di Roma – fondativo della Corte – che garantirebbe un’immunità agli Stati che non fanno parte dell’Icc. Il ministero degli Esteri francese è stato seguito a ruota da quello italiano, con Tajani che ha sostenuto che il mandato d’arresto non può essere applicato almeno fino alla fine dell’incarico di Netanyahu e ribadito poi in differenti occasioni che l’Italia non arresterebbe il premier israeliano. Roma la sua picconata al diritto internazionale l’ha già data, scegliendo di riaccompagnare in Libia con un volo di Stato il torturatore e capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Najim Osama Al Masri, ricercato dal Tribunale de l’Aia per crimini di guerra, omicidio, tortura e trattamenti crudeli.Berlino aveva invece  sottolineato che la posizione tedesca non poteva che essere frutto “della storia tedesca” e della “grande responsabilità” che la Germania sente nei confronti di Israele dopo lo sterminio degli ebrei perpetrato dal regime nazista. Il cancelliere eletto Friedrich Merz ha poi sfidato apertamente la Corte, definendo “completamente assurda” l’idea che un primo ministro israeliano non possa visitare la Germania e invitando espressamente Netanyahu nella Repubblica Federale.Viktor Orban e Benjamin Netanyahu a Gerusalemme nel febbraio 2019 (Photo by Ariel Schalit / POOL / AFP)Berlino, Roma e Parigi, così come tutti i 27 Paesi Ue, fanno parte della Corte Penale Internazionale e sono quindi tenuti ad applicare le sue decisioni. Alla fine, ad ospitare per primo Netanyahu in questa inquietante gara a violare il diritto internazionale sarà Orbán, che dall’inizio aveva definito il mandato d’arresto “vergognoso” e annunciato che non l’avrebbe eseguito. Anzi, dopo la decisione americana di imporre sanzioni contro l’Icc, Orbán ha annunciato l’intenzione di “rivedere l’impegno” dell’Ungheria nei confronti di un tribunale “degradato a strumento politico di parte”.I due dovrebbero discutere del piano per il futuro di Gaza. Netanyahu – nonostante il supporto della comunità internazionale per il piano elaborato dai Paesi arabi – è convinto di poter allargare il consenso sulla controversa e fumosa proposta di Trump, che prevede la “migrazione volontaria” della popolazione locale e la trasformazione della Striscia di Gaza in una lussuosa riviera aperta al turismo internazionale.Il sostegno di Orbán al piano di Trump e Netanyahu va contro la posizione presa dall’Unione europea, che appoggia invece l’iniziativa araba e si oppone fermamente a qualsiasi tentativo di emigrazione forzata della popolazione gazawi. A ben vedere, il viaggio di Netanyahu in Ungheria va letto anche come un’ennesima provocazione del premier magiaro nei confronti di Bruxelles, che a parole continua a sostenere la Corte Penale. “Come affermato nelle Conclusioni del Consiglio del 2023, il Consiglio invita tutti gli Stati a garantire la piena cooperazione con la Corte, anche mediante la rapida esecuzione dei mandati di arresto pendenti, e a stipulare accordi volontari”, ha dichiarato ancora a proposito della vicenda un portavoce della Commissione europea.

  • in

    Ucraina, Macron annuncia una “forza di rassicurazione” europea

    Bruxelles – Dopo settimane di incontri frenetici tra Londra e Parigi (e online), sembra che la coalizione dei volenterosi sia finalmente riuscita ad elaborare un piano concreto su come intende garantire il rispetto di un eventuale cessate il fuoco e, in prospettiva, il mantenimento della sicurezza nel dopoguerra in Ucraina. Per ora non sono disponibili troppi dettagli, ma al cuore delle discussioni c’è stato il dispiegamento di una “forza di rassicurazione“, aperta alla partecipazione volontaria dei Paesi europei.La riunione di alto livello convocata oggi (27 marzo) a Parigi da Emmanuel Macron e co-presieduta dal primo ministro britannico Keir Starmer si è conclusa nel primo pomeriggio con un’idea più chiara di quello che l’ex repubblica sovietica potrà aspettarsi – e cosa no – dai suoi alleati occidentali una volta terminata la guerra che sta combattendo contro l’aggressione russa.Attorno al tavolo c’erano i leader di 29 Paesi (esclusi gli Stati Uniti ma inclusa la Turchia) più i vertici delle istituzioni Ue e il Segretario generale della Nato, Mark Rutte. Fonti comunitarie riferiscono che i partecipanti rimangono “scettici” riguardo all’effettiva disponibilità della Russia di mettere in pratica il cessate il fuoco parziale che, almeno teoricamente, ha concordato in Arabia Saudita con gli emissari statunitensi.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Nella capitale transalpina, i “volenterosi” hanno discusso di come rendere “operativa e concreta” la proposta franco-britannica di dispiegare in Ucraina una “forza di rassicurazione“, fermo restando che la priorità dev’essere il rafforzamento dell’esercito di Kiev, il quale rimarrà con ogni evidenza il primo e più importante elemento che garantirà la sicurezza dell’ex repubblica sovietica nel lungo termine.Il padrone di casa ha annunciato un piano per schierare le truppe – fornite su base volontaria da “diversi Paesi europei” – in non meglio precisate “località strategiche” quando (e se) verrà stipulato un trattato di pace. Tali truppe dovrebbero fungere da deterrente contro eventuali aggressioni russe, ha spiegato monsieur le Président al termine del vertice. Non si tratterà di peacekeepers, ha precisato l’inquilino dell’Eliseo, in quanto non sostituiranno le forze armate ucraine e, soprattutto, non si posizioneranno in prima linea bensì nelle retrovie, tenendosi pronte a intervenire nel caso di una rottura della tregua.Del resto, era chiaro fin dalla vigilia del summit, durato circa tre ore, che non si sarebbe mai raggiunto un accordo unanime sull’invio di truppe, che rimane un tema particolarmente controverso per molti governi. Ma “non abbiamo bisogno dell’unanimità”, ha sottolineato Macron, riconoscendo i gradi diversi di volontà all’interno della coalizione.Ad esempio, come ampiamente anticipato, la premier italiana Giorgia Meloni non ci sta a mandare soldati in Ucraina a meno che non venga coordinata sotto un più ampio mandato delle Nazioni Unite. Un’idea, quella di Roma, che secondo fonti di palazzo Chigi “si sta facendo spazio” anche tra le altre cancellerie europee. Meloni ha anche ribadito l’importanza di lavorare al fianco della Casa Bianca, auspicando la partecipazione di Washington al prossimo incontro dei volenterosi.La premier italiana Giorgia Meloni (foto: European Council)Si vedrà. Come al solito, intanto, gli Stati Ue si muovono in ordine sparso. Il premier spagnolo Pedro Sánchez caldeggia la creazione di un esercito europeo con truppe provenienti dai Ventisette, mentre la Polonia continua ad aumentare le spese per la difesa e punta ad addestrare l’intera popolazione maschile adulta. Germania ed Estonia starebbero aprendo all’invio di soldati in Ucraina, pur sottolineando che vanno ancora discusse molte questioni. Per quel che riguarda Parigi, Macron ha annunciato ieri sera un nuovo pacchetto di aiuti per Kiev da 2 miliardi di euro.Gli impegni presi dall’Ue riguardano invece le forniture militari e gli aiuti finanziari. Si è parlato dell’invio di 2 milioni di proiettili d’artiglieria di grosso calibro per un valore di 5 miliardi di euro, cioè quello che resta del cosiddetto “piano Kallas” (anche se il nodo dei finanziamenti non è ancora stato sciolto), della partecipazione dell’Ucraina agli appalti congiunti europei promossi dallo strumento Safe – i 150 miliardi messi sul tavolo dalla Commissione nell’ambito del ReArm Europe – e del rafforzamento della missione militare di addestramento Eumam. Nelle casse di Kiev dovrebbero poi arrivare 18 miliardi da Bruxelles, come quota Ue del maxi-prestito G7 da 50 miliardi, nonché altri 17 miliardi da parte dei singoli Paesi membri.The best way to support Ukraine is to stay consistent in our objective to reach a just and lasting peace. This means keeping up the pressure on Russia through sanctions.I will convey this message at today’s Leaders’ meeting on peace and security for #Ukraine organised by… pic.twitter.com/csBYcIbkr1— António Costa (@eucopresident) March 27, 2025Un ulteriore tema che ha tenuto banco nell’incontro odierno è infine quello delle sanzioni contro la Federazione. Parlando accanto all’omologo ucraino durante una conferenza stampa congiunta, il presidente francese aveva sottolineato la necessità di non allentare la pressione su Mosca, come sembra invece intenzionata a fare la Casa Bianca.“La pace attraverso la forza non significa rimuovere le sanzioni“, ha ammonito, osservando che “la loro abolizione dipende unicamente dalla scelta della Russia di rispettare il diritto internazionale”. Semmai, ha aggiunto, quelle in vigore vanno rafforzate. Sulla stessa linea anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo i quali sarebbe un errore cedere alla tentazione di ammorbidire le misure restrittive in questa fase.