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    Al vertice in Arabia Saudita 42 Paesi sostengono l’integrità territoriale dell’Ucraina. E c’è anche la Cina

    Bruxelles – Tra tutti i Paesi partecipanti al vertice per la pace in Ucraina ospitato dall’Arabia Saudita, i riflettori erano puntati sulla Cina, che aveva disertato il primo round di colloqui a Copenaghen, lo scorso giugno. E il rappresentante speciale di Pechino per gli Affari euroasiatici, Li Hui, riferiscono fonti europee, “ha partecipato attivamente ed è stato favorevole all’idea di un terzo incontro a questo livello”.
    Al summit tenutosi sabato e domenica 5-6 agosto a Jeddah, sul mar Rosso, erano presenti 40 delegazioni nazionali, più rappresentanti dell’Unione europea e delle Nazioni Unite. L’obiettivo era trovare un fronte comune a sostegno della pace in Ucraina soprattutto con i Brics, o meglio i Bics (Brasile, India, Cina e Sud Africa), vista l’assenza di Mosca. E nonostante dal vertice non sia uscita alcuna dichiarazione congiunta, da Bruxelles raccontano di un “accordo secondo cui qualsiasi processo di pace debba avere al centro il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina e il ripristino del primato della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.
    I partecipanti al summit di Jeddah [Ph Account Twitter Andriy Yermak]Lettura confermata dal Andriy Yermak, capo dell’Ufficio di Zelensky, che in una nota ha evidenziato le “consultazioni molto produttive sui principi chiave su cui dovrebbe essere costruita una pace giusta e duratura”. Secondo Kiev, pur con “punti di vista diversi, tutti i partecipanti hanno dimostrato l’impegno dei loro Paesi nei confronti della Formula di pace” in dieci punti proposta a settembre 2022 all’Assemblea generale dell’Onu dal presidente Zelensky. I consiglieri per la sicurezza nazionale presenti a Jeddah si sarebbero accordati per la “formazione di gruppi di lavoro sui temi chiave” del piano di pace di Kiev, come “la sicurezza alimentare globale, la sicurezza nucleare, la sicurezza ambientale, il rilascio di aiuti umanitari, dei prigionieri di guerra e dei bambini ucraini” deportati in Russia.
    Secondo fonti Ue, è “plausibile” un vertice a livello dei capi di stato e di governo “prima della fine dell’anno”. Un summit di tale tenore rappresenterebbe un importante segnale politico e una vittoria dello sforzo diplomatico saudita. Duramente criticata per l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi nel 2018 e per le atrocità commesse in Yemen, Riyad sta cercando di cogliere l’opportunità di ripulire la propria immagine a livello diplomatico presentandosi come importante mediatrice nel conflitto in Ucraina.
    Nella due giorni di Jeddah, la delegazione ucraina ha poi condotto una serie di incontri bilaterali: con Simon Mordue, consigliere capo per la politica estera del presidente del Consiglio europeo, Yermak si sarebbe soffermato in particolare sul processo di adesione di Kiev al blocco dei 27.

    A Jeddah il secondo round dei colloqui di pace dopo il meeting di Copenaghen di inizio giugno. Assente la Russia, importante la partecipazione di Pechino. Per l’Ucraina un “passo importante” verso l’attuazione del piano di pace in dieci punti proposto da Zelensky

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    Altri 19 anni di carcere per l’oppositore russo Navalny. Bruxelles condanna il Cremlino

    Bruxelles – Altri 19 anni di carcere per il principale oppositore del regime di Putin. Il tribunale della sezione penale dove è già incarcerato a Melekhovo, a pochi chilometri da Mosca, ha condannato oggi (4 agosto) Alexei Navalny a scontare altri 19 anni di carcere, come conseguenza a sei diverse accuse, tra cui incitamento e finanziamento di attività estremiste e creazione di un’organizzazione estremista.
    Navalny, diventato celebre in occidente per il tentativo (vano) del Cremlino di avvelenarlo ad agosto 2020, dopo aver fatto ritorno in Russia sta già scontando condanne per oltre 11 anni. Da Bruxelles è arrivata la ferma condanna alla sentenza, denunciando anche il fatto che le udienze si siano svolte in un ambiente chiuso, inaccessibile alla sua famiglia e agli osservatori, in una colonia penale a regime rigoroso fuori Mosca”, ha commentato in una dichiarazione l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, definendo Navalny “l’ennesimo esempio della continua repressione sistematica da parte delle autorità russe”.
    Nella dichiarazione il capo della diplomazia europea ribadisce il suo invito alla Russia a rilasciare Navalny “immediatamente e senza condizioni”. Dal 2020 sono state imposte sanzioni contro persone ed entità responsabili dell’avvelenamento, dell’arresto arbitrario, dell’accusa e della condanna di Navalny. Il 20 luglio scorso il Consiglio ha adottato ulteriori misure nei confronti di 11 persone e 5 entità responsabili di gravi violazioni dei diritti umani in Russia, anche in relazione al caso dell’oppositore russo in prigione.
    Ha poi ribadito la “profonda preoccupazione per le segnalazioni di maltrattamenti ripetuti, misure disciplinari ingiustificate e illegali e vessazioni equivalenti a torture fisiche e psicologiche da parte delle autorità carcerarie nei confronti di Navalny. La leadership politica della Russia è responsabile della sua sicurezza e salute, di cui sarà tenuta a rendere conto”. In un tweet anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha condannato la sentenza definendola provocatoriamente “verdetto farsa” e dichiarandola “inaccettabile”. Per Michel “questa condanna arbitraria è la risposta al suo coraggio di parlare in modo critico contro il regime del Cremlino”.

    The latest verdict in yet another sham trial against Alexey @navalny is unacceptable. This arbitrary conviction is the response to his courage to speak critically against the Kremlin’s regime.
    I reiterate the EU’s call for the immediate and unconditional release of Mr. Navalny.
    — Charles Michel (@CharlesMichel) August 4, 2023

    Il tribunale della sezione penale dove è già incarcerato a Melekhovo, a pochi chilometri da Mosca, ha condannato oggi il principale oppositore di Putin, Alexei Navalny, a scontare altri 19 anni di carcere. Da Bruxelles la condanna per il Cremlino

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    Armi, beni ‘duali’, aviazione: l’Ue allinea le sanzioni alla Bielorussia a quelle contro la Russa

    Bruxelles – Russia e Bielorussia, due facce di una stessa medaglia fin qui trattate in modo diverso ma che l’Ue adesso decide di considerare allo stesso modo. Il Consiglio dell’Ue vara una stretta sanzionatoria che allinea le misure restrittive contro Mosca a quelle contro Minsk, con l’obiettivo chiudere gli spazi utili ad aggirare le decisioni a dodici stelle. Al fine di evitare che una nazione possa fornire all’altra beni che sono sottoposti al blocco delle esportazioni, i Ventisette estendono il divieto di vendita verso la Bielorussia di tutta una serie di beni e tecnologie altamente sensibili che contribuiscono al miglioramento militare e tecnologico del Paese alleato con la Federazione russa.
    Anche nei confronti della Bielorussia scatta il “divieto esteso” di esportazione di beni e tecnologie a duplice uso o ‘duali’ (vale a dire uso civile ma con potenziale impiego militare), come previsto nell’11esimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Vuol dire stop a droni, sensori, laser, valvole, programmi informativi, materiale elettronico. Stop anche all’esportazione di merci utilizzate dalla Russia per la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina, quali dispositivi a semiconduttore, circuiti integrati elettronici, apparecchiature di produzione e collaudo, macchine fotografiche e componenti ottici. Niente più vendite al governo di Minsk e alle sue imprese di tecnologie adatte all’uso nell’industria aeronautica e spaziale, compresi motori di aeromobili. Anche questa una misura che si allinea all’11esimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia. A tutto questo si aggiunge anche la messa al bando di vendita, fornitura, trasferimento o esportazione di armi da fuoco, loro parti e componenti essenziali e munizioni.
    “Adottiamo ulteriori misure contro il regime bielorusso in quanto complice della guerra di aggressione illegale e non provocata della Russia contro l’Ucraina”, scandisce Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue.
    L’Unione europea in realtà colpisce Alexander Lukashenko e il suo Paese due fronti. Vengono inasprite anche le sanzioni contro la Bielorussia per il deterioramento interno. Borrell denuncia le “continue violazioni sistematiche, diffuse e gravi dei diritti umani e alla brutale repressione contro tutti i segmenti della società bielorussa” da parte di quello che l’Alto rappresentante non esita a definire “un regime illegittimo“. Un riferimento alle contestate elezioni del 9 agosto 2020 di cui l’Ue non riconosce l’esito.
    Misure restrittive scattano contro nei confronti di 38 persone e 3 entità bielorusse “responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, che contribuiscono alla repressione della società civile e delle forze democratiche, nonché di coloro che beneficiare e sostenere il regime di Lukashenko”. I nuovi elenchi includono funzionari penitenziari considerati responsabili della tortura e del maltrattamento di detenuti, inclusi prigionieri politici, propagandisti di spicco, nonché membri del ramo giudiziario coinvolti nel perseguire e condannare oppositori democratici, membri della società civile e giornalisti.

    Borrell: “Bielorussia complice nella guerra in Ucraina”. La decisione per evitare che le misure anti-Putin siano aggirate

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    Putin e “le nuove dipendenze” con i prezzi bassi del grano. Borrell avverte le potenze G20 e chiede una risposta unitaria

    Bruxelles – Un appello ai ministri degli Esteri delle 20 più importanti economie al mondo per convincere Putin a riaprire i negoziati con l’Ucraina sull’esportazione di cereali attraverso il Mar Nero. E’ in una lettera datata lunedì (31 agosto) che l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borell, ha invitato i suoi omologhi dei Paesi in via di sviluppo e del G20 a fare pressione sul Cremlino per riprendere l’Iniziativa del Mar Nero per i cereali – scaduta il 17 luglio e non rinnovata da Mosca – e ad astenersi dal prendere di mira le infrastrutture agricole dell’Ucraina.
    “Il principale beneficiario del blocco dell’iniziativa del grano sul Mar Nero è la Russia e il suo settore agricolo, che beneficerà ulteriormente dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e aumenterà la propria quota di mercato nel mercato globale dei cereali, limitando fortemente la capacità di esportazione del suo principale concorrente”, mette in guardia il capo della diplomazia europea nella lettera vista da Eunews, in cui ricorda che, secondo i dati disponibili, “dal primo luglio 2022 al 30 giugno 2023, le esportazioni di grano della Russia dovrebbero raggiungere circa 45 milioni di tonnellate, oltre il 10 per cento in più rispetto alla media degli anni precedenti”. Lo stesso aumento dei ricavi si stima sulle esportazioni russe di fertilizzanti, che “sono aumentati del 150 per cento nel 2022, grazie all’aumento dei prezzi”.
    Questa lettera, spiega a Eunews un portavoce dell’esecutivo comunitario, si inscrive nel tentativo di sensibilizzazione che l’Ue sta cercando di fare nei confronti dei Paesi terzi, a sostegno degli sforzi condotti dalle Nazioni Unite e dalla Turchia per riprendere l’attuazione dell’Iniziativa del Mar Nero per i cereali e per “contrastare la disinformazione russa sulla sicurezza alimentare globale” e sull’impatto delle sanzioni dell’UE, soprattutto in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che si terrà a settembre. Borrell ricorda nel documento ancora che mentre “il mondo affronta l’interruzione delle forniture e l’aumento dei prezzi, la Russia si rivolge ora ai Paesi vulnerabili con offerte bilaterali di spedizioni di grano a prezzi scontati, fingendo di risolvere un problema che ha creato lei stessa”.
    Il riferimento dell’alto rappresentante è al fatto che il presidente russo Vladimir Putin la scorsa settimana ha proposto ai leader africani di sostituire le esportazioni di grano ucraino verso l’Africa. Per Borrell si “tratta di una politica cinica che usa deliberatamente il cibo come arma per creare nuove dipendenze, esacerbando le vulnerabilità economiche e l’insicurezza alimentare globale”. L’appello alla comunità internazionale è quello a parlare con una voce “chiara e unitaria”, che potrebbe portare il Cremlino a riconsiderare di “riprendere la sua partecipazione a questa iniziativa vitale”. Borrell chiude la lettera invitando gli omologhi a sollecitare la Russia a tornare ai negoziati e ad astenersi dal prendere di mira le infrastrutture agricole dell’Ucraina.

    Il capo della diplomazia europea scrive una lettera agli omologhi dei Paesi G20 e avverte che offrendo grano a buon mercato Mosca vuole “creare nuove dipendenze esacerbando le vulnerabilità economiche e l’insicurezza alimentare globale”. L’appello a coordinarsi e convincere Putin a rientrare nell’Iniziativa del grano sul Mar Nero

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    Fuga dal Niger, Bruxelles sostiene gli Stati membri. Macron attiva il Meccanismo Ue di protezione civile per i rimpatri

    Bruxelles – La Francia è il primo Paese Ue ad aver richiesto l’attivazione del Meccanismo europeo di protezione civile per sostenere il rimpatrio dei cittadini francesi ancora presenti in Niger. Lo ha annunciato oggi (2 agosto) la Commissione europea in una nota, appena ventiquattro ore dopo aver annunciato che il suo personale continuerà a rimanere nel Paese dove venerdì scorso il capo della Guardia presidenziale Abdourahmane Tchiani si è autoproclamato nuovo leader del Paese a seguito del colpo di stato con il quale è stato deposto il presidente in carica dal 2021 democraticamente eletto, Mohamed Bazoum. 
    Mentre Bruxelles ha offerto al suo personale la possibilità di essere evacuato dal Paese (ma non lo ha ancora imposto come una vera e promisura di emergenza, diversi Stati membri dell’Ue, come anche l’Italia, la Francia e la Spagna hanno iniziato a evacuare i loro connazionali organizzato voli di rimpatrio. Oggi il governo di Roma ha accolto 36 cittadini italiani e 32 stranieri che “abbiamo aiutato a partire dal Niger”, ha riferito in un tweet il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri Antonio Tajani.

    Ho accolto a #Roma 36 italiani ed altri 32 cittadini stranieri che il Governo ha aiutato a partire dal #Niger. Sui loro volti la gratitudine verso la diplomazia e i militari🇮🇹 che li hanno sostenuti. Continuiamo a lavorare per la stabilità in Niger ed evitare altro caos nel Sahel pic.twitter.com/cT0QUFMN3Q
    — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) August 2, 2023

    Parigi ha richiesto assistenza attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’UE per sostenere il rimpatrio dei cittadini europei e ha offerto quattro aerei per il rimpatrio da Niamey a Parigi. Due voli sono già arrivati in Francia, rimpatriando circa 500 persone e secondo Bruxelles altri voli sono in preparazione. Secondo il governo francese, sui due voli c’erano almeno 350 francesi evacuati. Il meccanismo Ue finanzierà il 75 per cento dei costi di trasporto. Il Meccanismo di protezione civile dell’UE può essere attivato dagli Stati membri e dai nove Stati partecipanti per richiedere assistenza consolare per i loro cittadini, ad esempio nelle operazioni di evacuazione. In situazioni di emergenza, i voli di rimpatrio coordinati nell’ambito del Meccanismo di protezione civile dell’UE garantiscono il rimpatrio sicuro dei cittadini dell’UE di diverse nazionalità.

    Parigi ha richiesto assistenza attraverso il Meccanismo di protezione civile dell’UE per sostenere il rimpatrio dei cittadini europei e ha offerto quattro aerei per il rimpatrio da Niamey a Parigi. Due voli sono già arrivati in Francia, rimpatriando circa 500 persone e secondo Bruxelles altri voli sono in preparazione. Secondo il governo francese, sui due voli c’erano almeno 350 francesi evacuati. Il meccanismo Ue finanzierà il 75 per cento dei costi di trasporto

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    La Polonia contro Zelensky: “Ucraina ingrata”. Kiev richiama l’ambasciatore

    Bruxelles – Guerra in Ucraina e guerra del grano, tra Kiev e il blocco dei Ventisette si consuma lo strappo politico e diplomatico probabilmente più forte da quando l’Ue ha deciso di sostenere l’ex repubblica sovietica. La decisione di Varsavia di chiedere un’estensione fino a fine anno allo stop delle importazioni di quattro prodotti agricoli ucraini ha incrinato i rapporti bilaterali. Di fronte ai malumori ucraini il segretario di Stato presso la cancelleria del presidente della Polonia, Marcin Przydacz, non ha saputo tenere a freno la lingua. “L’Ucraina dovrebbe iniziare ad apprezzare ciò che la Polonia sta facendo per essa“, la dichiarazione ‘scappata’ nel corso dell‘intervista concessa al quotidiano Wprost.
    Parole “inaccettabili” per il governo ucraino, che ha immediatamente convocato l’ambasciatore polacco. A parole considerate forti si è risposto con un atto forte, il più forte, nelle dinamiche Ue-Ucraina, dall’avvio delle operazioni militari russe. Inoltre il presidente ucraino, Volodymir Zelensky, ha affidato a uno dei portavoce di governo, Andrii Sybiha, il compito di rispondere. “Respingiamo categoricamente i tentativi di alcuni politici polacchi di imporre alla società polacca l’idea infondata che l’Ucraina non apprezzi l’aiuto della Polonia“.
    Rapporti e relazioni dunque si incrinano. Scambi verbali e convocazioni di diplomatici che fanno il giro del mondo, assecondando il Cremlino. Anche in Russia si vedono segnali di cedimento nel sostegno europeo fin qui deciso all’Ucraina. Un prolungamento della guerra rischia di ledere la capacità di resistenza di un’unità a Ventisette fin qui poco scalfita. Anche se a ben vedere fin qui la politica adottata dall’Ungheria è stata meno risoluta di quella degli altri partner a dodici stelle. I segnali che arrivano dalla Polonia si aggiungono a quelli già registrati, sempre all’interno del blocco di Vysegrad.

    Uscita tutt’altro che felice quella del segretario di Stato presso la cancelleria del presidente della Polonia. Replica piccata dall’esecutivo ucraino. Il grano tra i motivi alla base delle tensioni

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    La stretta cinese all’export di gallio e germano preoccupa l’Ue: “Presto valutazione d’impatto sugli Stati”

    Bruxelles – La stretta cinese sull’esportazione di gallio e germanio, ovvero materie prime critiche per la produzione di semiconduttori, preoccupa l’Unione europea che sta valutando quale potrebbe essere l’impatto potenziale delle restrizioni sugli Stati membri. Parte delle restrizioni entrano in vigore da oggi (primo agosto) e la Commissione europea “sta attualmente lavorando su un’analisi dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”, ha spiegato la portavoce dell’Esecutivo europeo responsabile per il commercio, Miriam Garcia, durante il briefing quotidiano con la stampa, assicurando che l’Ue ha insistito con Pechino “sul fatto che questo controllo delle esportazioni non è” giustificato da “situazioni di sicurezza e quindi abbiamo sollevato le nostre preoccupazioni”.

    Non ha precisato quali saranno i tempi e quanto potrebbe richiedere la valutazione dell’impatto. A inizio luglio il ministero del Commercio cinese ha annunciato l’intenzione di Pechino di introdurre a partire dal primo agosto una serie di limiti all’esportazione di gallio e germanio, due materie prime utilizzate nella produzione di semiconduttori e di conseguenza per i microchip alla base delle tecnologie per la doppia transizione digitale e verde. Nel 2022 la Cina ha esportato circa 94 tonnellate di gallio e 43,7 tonnellate di germanio, coprendo rispettivamente circa l’80 e il 60 per cento (con il resto proveniente da Canada, Finlandia, Russia e Stati Uniti) del fabbisogno.
    Secondo uno studio pubblicato dai servizi della Commissione Ue, i Ventisette importano dalla Cina il 71 per cento del gallio e il 45 per cento del germanio necessari per la produzione industriale. Per anni Pechino è riuscita nel tempo a garantire una sorta di monopolio, proponendo sul mercato materie prime critiche a un prezzo competitivo. Entrambi i metalli sono utilizzati per lo sviluppo dei chip per computer ad alta velocità e nei settori della difesa e delle energie rinnovabili.
    Sulle materie prime critiche necessarie alla doppia transizione, Bruxelles ha chiarito più volte di non voler ripetere gli errori commessi in passato con la dipendenza energetica dai combustibili fossili importati (a prezzo basso) dal mercato russo. Quindi la strategia è quella della diversificazione, anche se sulle materie critiche non sarà facile come per gli idrocarburi. La Commissione europea ha varato lo scorso 16 marzo una vera e propria proposta di Legge sulle materie prime critiche (il Critical Raw material act) con cui ha individuato una lista di 34 materie critiche (dalla bauxite all’elio, dall’arsenico allo stronzio), ma riducendo l’elenco a sole 16 da considerarsi ‘strategiche’, tra cui gallio e germanio. Oltre alla Cina, piccole quantità di gallio sono prodotte da Giappone, Russia e Corea del Sud, mentre il Canada è il più grande produttore di germanio del Nord America.E’ nel quadro del Critical Raw Materials Act che la Commissione europea sta lavorando a un ‘Club’ delle materie prime critiche, ovvero un gruppo ristretto di partner affidabili con cui creare una catena di approvvigionamento, che non dipenda solo dalla Cina.

    In vigore dal primo agosto le restrizioni cinesi all’esportazione di alcune materie prime critiche necessarie alla transizione, gallio e germanio. Bruxelles lavora a un’analisi “dettagliata del potenziale impatto di queste misure restrittive alle esportazioni sui Ventisette”

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    Uranio e influenza in Africa, il dilemma Ue del Niger tra interessi russi e cinesi

    Bruxelles – Democrazia, diritti, e poi l’uranio. Le instabilità in Niger possono di mettere in difficoltà il mercato dell’energia nucleare dell’Unione europea, che proprio dal Niger acquista uranio grezzo per i propri reattori. Per ora si rassicura, e si escludono impatti negativi dal colpo di Stato nel Paese dell’Africa occidentale. “Non c’è alcun rischio di approvvigionamento”, sostiene il portavoce della Commissione europea, Adalbert Jahnz. “Le imprese hanno sufficienti scorte di uranio naturale per mitigare qualsiasi rischio di approvvigionamento a breve termine e per il medio e lungo termine ci sono abbastanza depositi sul mercato mondiale per coprire il fabbisogno dell’Ue”.
    C’è però una questione geo-politica in ballo, fatta di energia nucleare, risorse, e presenza europea nell’area. Fin qui il Niger è stato il forniture numero uno dell’uranio nella sua forma grezza. La relazione della Commissione europea sul mercato di uranio, con dati aggiornati al 2021, afferma che “analogamente agli anni precedenti, Niger, Kazakistan e Russia sono stati i primi tre paesi a fornire uranio naturale all’Ue nel 2021, fornendo il 66,94% del totale”. Il Niger da solo, è arrivato a rappresentare un quarto dell’import complessivo a dodici stelle (24,26%). Non un fornitore marginalcina e, dunque. Alla luce delle relazioni sempre più delicate e complesse con la Russia quale risultato dell’aggressione all’Ucraina, l’Ue ha bisogno di ridurre le dipendenze con la federazione russa e un deterioramento ulteriore della situazione in Niger potrebbe indurre a rivedere la domanda di uranio.
    La Commissione Ue per ora intendere rimanere presente nel Paese. Evacuazione del personale e chiusura delle sedi di rappresentanza non sono prese in considerazione, perché andare via vorrebbe dire lasciare mano libera ad altri attori, a cominciare da quello cinese. Dopo la Francia la Repubblica popolare è il secondo più grande investitore straniero.
    Pechino è presente in Niger dal 1974, e ha dato nuovi impulsi alle relazioni bilaterali dagli inizi degli anni Duemila. Ha iniziato ad investire in infrastrutture (strade, ospedali, telecomunicazioni), scambi culturali (borse di studio per nigerini in Cina), a garantire sostegni umanitari contro disastri naturali. In cambio ha ottenuto diritto di esplorazione petrolifera e di uranio. Il progetto dell’oleodotto di circa 675 chilometri per la connessione Niger-Benin è possibile grazie a PetroChina, il colosso petrolifero cinese. Mentre Cnnc, la società di Stato attiva nel settore del nucleare, ha già avuto modo di lavorare col governo di Niamey per lo sviluppo del giacimento di Azelik.
    A livello globale il Niger rifornisce appena il 5% circa dell’uranio mondiale, ma è un fornitore leader per l’Ue. Sottrarre quote di mercato agli europei sarebbe per la Cina, già allo stato attuale fornitore principale di tutto ciò che serve all’Ue in termini di materie prime per la transizione sostenibile, un ulteriore colpo alle ambizioni di indipendenza e potenza europea.
    L’instabilità politica rischia però di complicare anche i piani cinesi, e non a caso anche la Cina segue con attenzione gli sviluppi nel Paese africano invitando a una soluzione. Per quanto a Bruxelles si cerchi di minimizzare e si ostenti sicurezza, in gioco c’è molto. Perché l’Ue ha deciso che il nucleare è ‘green’, non inserendolo la tecnologia nella tassonomia, l’insieme dei criteri che servono a determinare la sostenibilità di attività e prodotti. L’Ue ha bisogno dell’uranio per il suo nucleare, e il suo principale fornitore adesso offre meno garanzie.
    C’è anche l’aspetto russo della questione nigerina. L’uranio è certamente una questione ‘calda’ per l’Ue, ancora troppo legato alla Russia per ciò che serve per le centrali attive in Europa, soprattutto nei Paesi membri del quadrante nord-orientale. Alternative al combustibile russo è qualcosa di tutt’altro che semplice, e l’Ue non può permettersi di finire nuovamente nelle braccia del Cremlino. Ma da anni Mosca agisce nel continente africano, attraverso forniture di armi, accordi di cooperazione militare. Il controllo del continente sta diventando sempre più strategico, per via della sue ricchezze naturali in termini di risorse e materie prime. Governi ‘amici’ fanno l’interesse della partita in atto.
    La presenza del gruppo Wagner è stata accertata in almeno cinque Paesi africani (Libia, Mali, Sudan, Repubblica centrafricana, Mozambico). Si teme che il gruppo para-militare possa diventare una presenza forte anche in Niger. Analisti ricordano l’esempio del Mali, dove la Russia ha saputo inserirsi perché più accomodante rispetto alle richieste e alla condizioni poste dagli europei. “Ci sono già segnali che l’Ue potrebbe affrontare un dilemma simile in Niger“, avvertiva un anno fa, a giugno 2022, il think-tank pan-europeo Ecfr.
    C’è dunque la possibilità che il confronto tra Europa e Russia non si consumi solo sul fronte ucraino. La destabilizzazione del Niger gioca a favore di Mosca, più che dell’Europa, che nel Niger contava e conta anche per la gestione dei flussi migratori. All’incrocio di diverse rotte migratorie, il Niger ha rafforzato la sua politica di lotta alla migrazione irregolare con il sostegno dell’Ue, nell’ambito del nuovo partenariato dell’Ue con i Paesi terzi. Ora tutto questo rischia di saltare.
    A Bruxelles c’è già chi fa i conti con le tensioni e le incertezze nel Paese. In Parlamento Ue si inizia a riconoscere che il golpe “rischia di destabilizzare ulteriormente il Paese, oltre a problemi esistenti come l’instabilità regionale, la proliferazione di gruppi jihadisti violenti, un’ondata di rifugiati e sfollati interni”. In questo clima “il colpo di stato, salutato da Yevgeny Prigozhin, il capo di Wagner, potrebbe aumentare l’influenza della Russia sul Paese“.
    Una presa d’atto anche in Commissione, con l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Josep Borrell, che punta il dito contro Mosca. In Niger, scrive sul suo blog, “l‘unica interferenza di cui possiamo parlare oggi è quella dei militari che rovesciano un Presidente eletto e quella di una Russia imperialista che vuole usare questi regimi come pedine nella sua partita a scacchi mondiale” in cui l’Europa ha molto da perdere. Attacca frontalmente anche il leader del Cremlino. “Da diversi anni la Russia di Vladimir Putin alimenta questi colpi di stato con la sua falsa propaganda e approfitta dell’instaurazione di questi regimi militari con le sue milizie private”. Accuse e toni che confermano l’importanza della posta in gioco. L’Ue si vede scalzata dall’Africa, e non solo dal Niger e dalle sue forniture di uranio.

    Per la Commissione ciò che serve al nucleare europeo non è a rischio ma in gioco c’è molto di più, con la presenza di Mosca e Pechino tutt’altro che marginale