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    Sulla Serbia l’Ue rimane in silenzio. Dopo Costa, neanche Kallas critica Vučić

    Bruxelles – Altro giro, altri mezzi silenzi. L’Ue non vuole alzare la voce con la Serbia, scegliendo di non prendere di petto due questioni fondamentali: la vicinanza del presidente Aleksandar Vučić alla Russia di Vladimir Putin e la repressione delle proteste antigovernative. In visita a Belgrado, Kaja Kallas è stata giusto un pelo più loquace di António Costa, che l’aveva preceduta di una decina di giorni. Ma nemmeno lei è riuscita a pronunciare una condanna chiara e netta né dell’autoritarismo del leader serbo né dello scivolamento del Paese candidato verso Mosca.Per la seconda volta nel giro di una decina di giorni, uno dei vertici comunitari si è presentato a Belgrado per confrontarsi con la leadership serba sui progressi nel processo di adesione. Oggi (22 maggio) è toccato a Kaja Kallas, dopo che lo scorso 13 maggio era stato il turno del presidente del Consiglio europeo António Costa.Rispetto a quest’ultimo, l’Alta rappresentante è stata un po’ più schietta. “Voglio sottolineare che abbiamo bisogno di vedere azioni” concrete da parte del Paese balcanico che dimostrino una reale volontà di progredire sulla strada dell’ingresso in Ue, ha dichiarato di fronte ai giornalisti. L’unico modo per Belgrado di avanzare sul sentiero europeo, ha detto, è realizzare “riforme reali”, non cosmetiche. “Non ci sono scorciatoie per l’adesione”, ha aggiunto, suggerendo che “i prossimi passi includono la libertà dei media, la lotta alla corruzione e la riforma elettorale“.My message to the authorities in Belgrade is clear.I want to see Serbia advancing towards the EU. For that, political leaders must deliver the necessary reforms and clarify the strategic direction.This is best done by restoring trust and staying true to democratic principles. pic.twitter.com/I9Jv9BV33P— Kaja Kallas (@kajakallas) May 22, 2025Queste riforme, ha osservato, porteranno benefici a tutta la popolazione, a partire dai giovani animatori dell’agguerrito movimento studentesco, che da mesi si stanno riversando nelle piazze per chiedere un impegno serio contro la corruzione dilagante e reclamare il proprio futuro europeo. Un futuro in cui “l’autonomia delle università dev’essere rispettata”, dice Kallas, riconoscendo esplicitamente le rivendicazioni dei manifestanti.Ma la sua loquacità si è fermata lì. Nessuna condanna della repressione delle proteste ordinata dal governo, oltre a vaghe parole sulla necessità che “i Paesi candidati seguano i princìpi dei diritti umani” tra cui quello a un giusto processo, negato invece agli studenti detenuti arbitrariamente nelle carceri serbe.E nessuna condanna esplicita nemmeno del clamoroso viaggio del presidente Vučić a Mosca, dove ha partecipato alle celebrazioni dello scorso 9 maggio insieme a Vladimir Putin. Un vero e proprio schiaffo in faccia alla stessa Kallas, che aveva personalmente esortato i leader di Stati membri e Paesi candidati a non presentarsi sulla Piazza Rossa (in rappresentanza della prima categoria c’era il premier slovacco Robert Fico).Rispondendo ad una domanda sul tema, il capo della diplomazia a dodici stelle si è limitata a ripetere che “il mio punto di vista è molto chiaro, non capisco perché sia necessario stare fianco a fianco con la persona che sta conducendo questa orribile guerra in Ucraina“. Per poi aggiungere, senza elaborare oltre, che il capo dello Stato “mi ha spiegato la sua versione della storia” nel corso di una “discussione molto lunga”.Il presidente russo Vladimir Putin (sinistra) e il suo omologo serbo Aleksandar Vučić (foto: Alexander Zemlianichenko/Afp)La vicinanza di Vučić al Cremlino è uno dei motivi di maggior imbarazzo a Bruxelles per quel che riguarda la politica estera del Paese candidato. L’altro elemento che sta “ostacolando l’allineamento con la Pesc“, cioè la politica estera dell’Ue, è lo stallo in cui si trova il processo noto come dialogo Belgrado-Pristina, il cui obiettivo è la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Serbia e Kosovo.“La Serbia sta affrontando scelte geostrategiche” importanti, ha rimarcato Kallas, e deve decidere “dove vuole stare”. “Il futuro europeo della Serbia dipende dai valori che sceglie di sostenere” in patria e all’estero, dice l’Alta rappresentante: sia nei rapporti con la Russia sia nelle relazioni di vicinato, a partire dal Kosovo e dalla Bosnia-Erzegovina.L’invito di Kallas: “È tempo di superare il passato e focalizzarci sul futuro comune“. Bruxelles incoraggia i partner dei Balcani occidentali a “far tesoro dello slancio attuale sull’allargamento”, pur riconoscendo la lentezza di un processo che finora ha prodotto pochi risultati concreti. Il rischio, se i Paesi candidati implementano le riforme ma i Ventisette non fanno “i compiti a casa”, è quello di alimentare “frustrazione” nei cittadini, riconosce Kallas.La sua visita a Belgrado è la prima tappa di un tour nella regione che ricalca, seppur in versione ridotta, quello di Costa: lasciata la Serbia, l’Alta rappresentante si è recata in Kosovo. Da Pristina ha annunciato che l’Ue “ha iniziato a rimuovere gradualmente le misure introdotte nel giugno 2023“, cioè le sanzioni seguite agli scontri nel nord del Paese, ma che la rimozione totale rimane “condizionale” ad una completa de-escalation. Domani, l’Alta rappresentante concluderà il suo viaggio in Macedonia del nord.

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    Israele, l’ex Alto rappresentante Borrell attacca l’Ue: “La metà delle bombe sganciate su Gaza sono europee”

    Bruxelles – Ora che l’Ue, con colpevole ritardo, ha deciso che procederà ad una revisione dell’accordo di associazione con Israele, l’ex Alto rappresentante per gli Affari esteri, Josep Borrell – che già sei mesi fa cercò di insistere per la sospensione del dialogo politico con Tel Aviv -, può togliersi qualche sassolino dalle scarpe. In un’intervista alla radio spagnola Cadena Ser, ha affermato che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa” e che, “se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele“.Il socialista catalano, ora presidente del Barcelona Centre for International Affairs, è stato l’unico, tra i vertici delle istituzioni europee, a denunciare apertamente le violazioni del diritto internazionale commesse da Israele dopo il 7 ottobre 2023 e i doppi standard di Bruxelles. Di fronte al silenzio di Ursula von der Leyen – che “ha dimostrato pochissima empatia per le sofferenze dei palestinesi” – ha cercato di dare seguito alla richiesta di revisione dell’Accordo di associazione con Tel Aviv che Spagna e Irlanda avevano inoltrato alla Commissione europea già nel febbraio del 2024. Un tentativo fallito a causa dell’allora opposizione della maggior parte dei Paesi membri. La situazione ora si è ribaltata e 17 capitali Ue (ma non Roma) hanno sostenuto la nuova richiesta messa sul tavolo dal governo olandese.“Meglio tardi che mai”, ha commentato amaramente Borrell, sottolineando che, da quando Madrid e Dublino sollevarono la questione per la prima volta, “sono passati 15 mesi e quasi 30 mila morti in più“. La verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani da parte di Israele, prevista dall’articolo 2 dell’accordo Ue-Israele, è stata infine paradossalmente lanciata dal suo successore, la liberale estone Kaja Kallas, molto più cauta finora nelle critiche a Tel Aviv, e sarà condotta dai servizi interni della Commissione europea in cooperazione con il Servizio Europeo di Azione Esterna (Eeas). Questo perché il vasto accordo che lega Bruxelles a Tel Aviv copre diverse dimensioni: per la parte politica, ne è competente l’Alto rappresentante e in definitiva il Consiglio dell’Ue, mentre l’area economica è coperta dalla Commissione.Il ministro degli Esteri israeliano, Gideon Sa’ar, con l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, il 20 febbraio 2025E mentre eventuali modifiche dei termini politici dell’accordo vanno approvate all’unanimità dai Paesi membri, basterebbe la maggioranza qualificata per decidere ad esempio di limitare gli scambi commerciali con Israele. “La Commissione può proporlo – ha spiegato Borrell -. Se l’Europa volesse, avrebbe una grande capacità di influenzare Israele”.L’ex capo della diplomazia europea ha sollevato dubbi sulla possibilità che Benjamin Netanyahu possa essere processato per crimini di guerra e contro l’umanità, sottolineando al contempo “la delusione di vedere che in Europa qualche Paese lo accoglie con grandi onori”. Il premier israeliano si è recato recentemente in Ungheria, su invito di Viktor Orban, che ha contemporaneamente avviato il processo per la fuoriuscita di Budapest dalla Corte Penale Internazionale. “Genocidio è una definizione giuridica che dovrà essere determinata da un tribunale, ma non ho nessun dubbio che ci sia un’intenzione genocida“, ha aggiunto Borrell, definendo l’esecutivo guidato da Netanyahu come “il più religioso e fanatico che ci sia mai stato in Israele”.Di chi sono le armi utilizzate da Israele a GazaBorrell ha affermato, nel corso dell’intervista, che “la metà delle bombe che cadono su Gaza sono fabbricate in Europa”. Israele, dal 7 ottobre a oggi, ha sganciato oltre 100 mila tonnellate di esplosivo sull’enclave palestinese. Già a novembre 2024, in un anno di bombardamenti, aveva superato la quantità di esplosivo utilizzato durante tutta la seconda guerra mondiale.A livello militare, Israele dipende fortemente dai rifornimenti che arrivano da Washington. Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute, nel periodo 2020-2024 i due terzi delle importazioni di armi di Israele sono giunte dagli Stati Uniti (66 per cento). Per la guerra a Gaza, spiega il SIPRI, Israele “ha fatto ampio ricorso alle armi ricevute in aiuto dagli Stati Uniti prima del 7 ottobre 2023, in particolare agli aerei da combattimento”. Ma ha continuato a ricevere nel corso del 2024 “ingenti aiuti militari” dalla Casa Bianca, tra cui “missili, bombe guidate e veicoli blindati”.Gli altri due grandi fornitori di armi a Israele sono la Germania, al 33 per cento delle importazioni, e l’Italia, all’1 per cento. Berlino consegna a Tel Aviv soprattutto armamenti destinati alle forze navali israeliane, ma anche motori per i veicoli blindati che vengono utilizzati nella guerra di Gaza. La maggior parte di ciò che arriva da Roma, secondo quanto tracciato dal SIPRI, sono elicotteri leggeri e cannoni navali. L’Italia produce anche componenti per gli F-35 americani su cui volano le forze di difesa israeliane.

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    Investimenti, migrazione e disinformazione al centro dell’agenda di cooperazione tra Ue e Unione africana

    Bruxelles – L’Unione africana e l’Unione europea mirano a rafforzare la loro cooperazione formale, che compie quest’anno un quarto di secolo, per affrontare insieme le sfide comuni a entrambi i continenti. A partire dall’approfondimento della collaborazione su temi cruciali come l’uso delle materie prime critiche, la migrazione e gli investimenti, ma anche il contrasto alla disinformazione del Cremlino.“L’Africa e l’Europa sono ciascuna il continente gemello dell’altra“: con queste parole Kaja Kallas ha aperto i lavori della terza ministeriale Esteri Ue-Ua svoltasi oggi (21 maggio) a Bruxelles in preparazione del prossimo summit di alto livello, il settimo, in programma per quest’anno. Il 2025 segna peraltro il 25esimo anniversario del format di dialogo tra le due organizzazioni continentali, inaugurato al Cairo nel 2000.Per il capo della diplomazia a dodici stelle, per i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo ci sono “interessi condivisi ma anche sfide condivise” su una serie di questioni cruciali. “Le sfide sono immense ma lo sono anche le nostre risorse comuni“, ha sottolineato, menzionandone curiosamente solo di africane: “La popolazione che cresce più velocemente sul pianeta, un’immenso potenziale imprenditoriale, un’abbondanza di risorse e di materie prime critiche necessarie per le transizioni verde e digitale”.A co-presiedere la riunione odierna c’era Téte António, ministro degli Esteri angolano a capo del Consiglio esecutivo dell’Ua. Il quale, su quest’ultimo aspetto specifico, ha tenuto a precisare che “i progetti per la lavorazione delle materie prime devono avvenire sul campo in Africa” e non altrove, onde evitare di “esportare il valore aggiunto, cioè il lavoro, il benessere, lo sviluppo e la conoscenza”. In altre parole, per non ripetere le dinamiche predatorie del colonialismo estrattivo che gli Stati europei hanno praticato per secoli nel continente.Africa and Europe are partners of choice.We are working together for peace, security and sustainable growth.Today, we are gathering with foreign ministers and members of the African Union — strengthening our partnership and marking 25 years since the first EU-Africa Summit. pic.twitter.com/E4IiFarFmK— Kaja Kallas (@kajakallas) May 21, 2025“Dall’ultimo vertice” Ua-Ue, cioè il sesto (risalente a metà febbraio 2022), “il mondo è cambiato radicalmente“, ha osservato Kallas. “La guerra è tornata in Europa, l’instabilità sta crescendo in alcune aree dell’Africa e in Medio Oriente, assistiamo a un aumento della disinformazione e delle interferenze straniere nei nostri affari interni, a un’instabilità senza precedenti nei mercati mondiali e a minacce al multilateralismo e all’ordine internazionale fondato sulle regole”.António ha auspicato “delle soluzioni innovative” per rispondere in maniera congiunta alle sfide epocali che “non si fermano ai confini geografici” – il cambiamento climatico, la trasformazione economica, la sanità, la pace e la sicurezza e la migrazione, nell’elenco del ministro – e offrire “benefici tangibili per i nostri popoli su entrambi i continenti“.Le priorità chiave delle relazioni Ua-Ue comprendono gli investimenti e gli scambi commerciali tra i due mercati unici, lo sfruttamento delle materie prime critiche, la cooperazione in materia di sicurezza, lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di solide infrastrutture digitali, la blue economy, la mobilità (incluso il capitolo fondamentale della gestione dei flussi migratori), la connettività e l’integrazione regionale nonché le sfide della governance globale (a partire dalla tutela del multilateralismo in un’epoca di conflitti militari e guerre commerciali).Sul dossier migrazioni, António ha rimarcato che gli spostamenti delle persone “non rappresentano un problema di per sé” e possono anzi “portare benefici che hanno un impatto positivo” sui Paesi ospitanti, ma “il problema riguarda il ‘come’ questo fenomeno si sviluppa”. Vanno cioè trovate delle modalità per garantire vie sicure per la migrazione legale, dice, e va sostenuto lo sviluppo economico del continente africano.D’accordo anche Kallas: “È anche nel nostro interesse che ci sia prosperità in Africa, che ci siano posti di lavoro in Africa”, ha ragionato di fronte ai giornalisti, in modo che “non ci sia la pressione migratoria” sulle sponde europee. Così, spiega, il trasferimento tecnologico per l’estrazione e la lavorazione delle materie prime critiche farà “in modo tale che la prosperità rimanga in Africa”. Allo stesso obiettivo dovrebbero concorrere, nell’ottica dell’Alta rappresentante, anche altre azioni come “la riforma dell’architettura finanziaria internazionale, in modo che l’accesso ai capitali sia simile ovunque si effettuino investimenti”.Il logo del 25esimo anniversario dalla nascita del dialogo Ue-Ua (foto: Seae)E naturalmente anche la prevenzione dei conflitti, come quelli che affliggono la regione del Sahel in generale e il Sudan in particolare, definito dal ministro angolano come “il microcosmo dell’Africa” (poiché, sostiene, quello che accade lì si riverbera nell’intero continente). “La priorità è la cessazione delle ostilità“, ha assicurato l’ex premier estone, sottolineando che il processo di ricomposizione della crisi “dev’essere guidato dall’Africa, anche se c’è il bisogno di una mediazione” per la quale, eventualmente, Bruxelles si rende disponibile.Un altro dei temi toccati oggi è quello del contrasto alle campagne ibride di disinformazione e misinformazione, soprattutto quelle orchestrate da Mosca. “La lotta alle narrazioni si svolge ovunque e la disinformazione è uno degli strumenti che la Russia sta utilizzando, soprattutto in Africa”, ha ammonito l’Alta rappresentante. E ha ammesso che “è sempre più difficile” riuscire a “combattere la disinformazione e l’influenza maligna straniera“, nonostante gli sforzi messi in campo finora, perché “viviamo nell’era dell’informazione” nella quale “le bugie viaggiano velocemente e si espandono rapidamente”.L’Ue e i suoi Stati membri rappresentano per l’Ua il primo partner commerciale, il primo investitore estero (309 miliardi di euro nel 2022) e il principale donatore di aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari. Il supporto dell’Unione alla sicurezza del continente africano nel quadro dello Strumento europeo per la pace – Epf nell’acronimo inglese – vale oltre 1 miliardo (anche se parte di quei fondi, per ammissione della stessa Kallas, sono momentaneamente bloccati), e nel continente sono attualmente operative 11 missioni civili e operazioni militari sotto l’ombrello Pesc.

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    Sdegno internazionale per gli spari israeliani sui diplomatici a Jenin. Kallas: “Inaccettabile, Tel Aviv faccia chiarezza”

    Bruxelles – Roma, Parigi, Madrid. E Bruxelles. Immediate le condanne delle cancellerie europee per l’episodio di Jenin, dove le forze di difesa israeliane hanno sparato dei colpi d’avvertimento nei confronti di una delegazione diplomatica in visita nella Cisgiordania occupata. “È inaccettabile“, ha dichiarato l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, che ha chiesto a Tel Aviv di indagare sull’incidente e di portare davanti alla giustizia i responsabili. Il governo italiano, il cui vice console è stato coinvolto nell’incidente, ha convocato l’ambasciatore israeliano a Roma.L’esercito israeliano ha rilasciato a stretto giro una dichiarazione di scuse, annunciando accertamenti e spiegando che “la delegazione ha deviato dal percorso approvato ed è entrata in un’area dove non era permesso stare”, motivo per cui “i soldati che operano nell’area hanno sparato colpi di avvertimento per tenerli lontani”. Resta il fatto che “le minacce contro i diplomatici sono inaccettabili”, ha dichiarato il vicepremier italiano, Antonio Tajani, e che – come ricordato dal capo della diplomazia Ue – Israele è firmatario della Convenzione di Vienna e “ha l’obbligo di garantire la sicurezza di tutti i diplomatici stranieri”.La notizia dello spiacevole “incidente” – va ricordato che a Gaza, dall’ottobre del 2023, sono stati uccisi centinaia di operatori umanitari, alcuni volontariamente presi di mira dai bombardamenti israeliani, nonostante il diritto internazionale umanitario preveda la protezione degli operatori umanitari negli scenari di guerra – è giunta a Bruxelles proprio nel giorno in cui, al Parlamento europeo, si è tornato a parlare con urgenza della risposta dell’Ue al piano del governo israeliano di occupare la Striscia di Gaza.Socialisti, verdi e sinistra chiedono a gran voce azioni decisive. “La decisione presa ieri dall’Ue di rivedere l’accordo di associazione non è sufficiente. Avrebbe dovuto essere presa molto tempo fa. Ora è il momento di sospenderlo. Una revisione non è sufficiente. Sospendiamo l’accordo di associazione, imponiamo un embargo totale sulle armi a Israele e sanzioni individuali ai membri di spicco del governo Netanyahu”, ha dichiarato in plenaria la leader socialista Iratxe Garcia Perez. Sulla stessa linea i Verdi, secondo cui “il governo e l’esercito israeliani sono responsabili delle più gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, non possiamo restare a guardare”.La protesta di The Left, Verdi e S&d davanti al Parlamento europeo [Ph: Account X The LEft]Per Benedetta Scuderi, eurodeputata dei Verdi rientrata dalla ‘Carovana solidale’ a Rafah con l’Intergruppo per la pace, “a Gaza è piu’ facile morire che sopravvivere”. E “a volte è meglio morire”, le avrebbe detto una cittadina di Gaza che è riuscita a scappare. “Siamo stanche dei dibattiti in plenaria mentre la gente muore. Cosa ancora deve accadere per sanzionare Israele, per interrompere l’accordo di commercio, porre un embargo totale sulle armi?”, ha attaccato Scuderi.Prima del dibattito, i deputati europei della sinistra, dei Verdi e dei Socialisti, insieme a attivisti e funzionari dell’Ue, si sono sdraiati a terra davanti al Parlamento di Bruxelles, rappresentando le decine di migliaia di persone uccise a Gaza dall’Idf negli ultimi 20 mesi. Per il gruppo The Left “è evidente che l’articolo 2 dell’accordo di associazione UE-Israele è stato sistematicamente violato da Israele, che ha perpetrato un genocidio a Gaza. Il processo di revisione annunciato questa settimana dall’Ue è solo una manovra dilatoria”.Nella giornata di ieri (20 maggio), il Consiglio dell’Ue ha deciso che procederà ad un esercizio di revisione dell’articolo 2 dell’Accordo di associazione con Israele, che impone alle parti il rispetto dei diritti umani. Per la prima volta dopo più di un anno e mezzo di guerra e 53 mila vittime palestinesi, una maggioranza di 17 Paesi membri si è detta a favore della revisione. Italia e Germania si sono opposte.

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    Il Vaticano è “disponibile” ad ospitare i negoziati Ucraina-Russia

    Bruxelles – Il Vaticano come cornice per nuovi negoziati tra Russia e Ucraina? È la domanda che sta serpeggiando tra le cancellerie di mezzo mondo nelle ultime ore, dopo una serie di contatti tra Washington, le capitali dell’Ue, quella italiana e la Santa Sede. Intorno alla città eterna – e al nuovo pontefice Leone XIV – sembrano stringersi le maglie della diplomazia internazionale per portare al tavolo delle trattative Mosca e Kiev, superando i fallimenti dei round negoziali precedenti.A dare nuova linfa alle speculazioni sul potenziale ruolo del Vaticano nei negoziati tra Russia e Ucraina è stata, nella serata di ieri (21 maggio), una scarna nota di Palazzo Chigi che rendeva conto di una conversazione telefonica tra la premier Giorgia Meloni e il nuovo papa Leone XIV, al secolo Robert Francis Prevost.La presidente del Consiglio ha trovato “nel Santo Padre la conferma della disponibilità ad ospitare in Vaticano i prossimi colloqui tra le parti“, si legge nel comunicato. Il confronto tra i due ha dato seguito, si scopre, alla “richiesta” di Donald Trump di sondare il terreno presso la Santa Sede rispetto ad un potenziale coinvolgimento della diplomazia pontificia nei negoziati in corso (o meglio in stallo) sulla guerra d’Ucraina.Da sinistra: il vicepresidente statunitense JD Vance, la premier italiana Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto via Imagoeconomica)Poco dopo l’elezione al soglio di Pietro, il papa ha espresso il desiderio di dare una nuova centralità al Vaticano come mediatore nei conflitti globali, pur senza menzionare direttamente il conflitto in Ucraina. Negli scorsi giorni, Leone XIV ha incontrato Volodymyr Zelensky e il numero due della Casa Bianca, JD Vance, accompagnato dal Segretario di Stato Marco Rubio. In quello che è stato sbandierato dal governo italiano come un successo politico per la premier, Vance si è confrontato anche con Ursula von der Leyen, che finalmente sembra venire presa in qualche considerazione da Trump.Il capo della diplomazia a stelle e strisce si aspetta che il Cremlino presenti i propri termini per un cessate il fuoco in breve tempo, “forse tra qualche giorno”. La proposta russa sarà a quel punto esaminata dall’amministrazione statunitense, sostiene Rubio, per determinare la “serietà” di Vladimir Putin rispetto ad un processo negoziale inceppato da mesi e che sta indispettendo non poco Washington, che ha già minacciato più volte di sfilarsi dalle trattative.Nonostante le dichiarazioni pubbliche di apertura a colloqui diretti con la dirigenza ucraina, i gesti concreti dello zar non lasciano intendere per ora alcuna disponibilità ad intavolare reali negoziati con Kiev. A dimostrarlo, sotto la luce del sole, ci sono i buchi nell’acqua collezionati finora negli incontri tra le delegazioni dei belligeranti: quello indiretto di Riad, lo scorso marzo, e quello diretto di Istanbul della scorsa settimana.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Del resto, non sembrano esserci grandi incentivi per Mosca per cessare le ostilità, almeno in questa fase. Sul campo, la situazione è favorevole all’esercito russo, mentre diplomaticamente il fronte degli alleati di Kiev si è scoperto particolarmente fragile da quando Trump ha deciso di prendere in mano personalmente la questione, mostrandosi esageratamente morbido nei confronti dell’aggressore e offrendo addirittura a quest’ultimo opportunità commerciali con gli Stati Uniti.Lo zar, peraltro, non ha mai riconosciuto esplicitamente la legittimità di Zelensky né dell’Ucraina come nazione sovrana e indipendente. Anzi, le richieste massimaliste che la squadra negoziale russa continua a mettere sul tavolo – tra cui “neutralizzazione” dello Stato ucraino, rinuncia all’adesione alla Nato e cessione de jure dei territori occupati alla Federazione – sembrano andare nella direzione opposta. Questo almeno il leitmotiv a Bruxelles, dove giusto ieri i Ventisette hanno dato il via libera al 17esimo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino per continuare a “mettere pressione” su Putin.I had a good conversation with the President of the Council of Ministers of Italy @GiorgiaMeloni. As always, cool ideas.We discussed yesterday’s talks with President Trump and European leaders. We are coordinating our positions. Italy supports all efforts aimed at achieving a… pic.twitter.com/YdEl26IZ3g— Volodymyr Zelenskyy / Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) May 20, 2025Sia come sia, la diplomazia internazionale non vuole ancora darsi per vinta. La chiamata Meloni-Prevost è l’ennesima di un’incessante girandola di telefonate che sta facendo squillare freneticamente gli apparecchi delle cancellerie in molti Paesi. Da Tirana a Washington, da Bruxelles a Istanbul, da Londra a Varsavia, da Parigi a Helsinki, da Berlino a Kiev passando, appunto, per Roma e il Vaticano.“È stato concordato di mantenere uno stretto coordinamento tra i partner in vista di un nuovo ciclo di negoziati per un cessate il fuoco e un accordo di pace”, fa sapere Palazzo Chigi. Le dietrologie sui pasticci diplomatici tra alleati si sprecano e alimentano il dibattito politico nazionale (e non solo). I prossimi incontri, a sentire gli interessati, adotteranno formati “fluidi” e potranno prevedere geometrie variabili. Resta sempre da vedere quanto tali incontri siano in grado di avvicinare sul serio una soluzione diplomatica alla crisi che da 11 anni sta dilaniando il cuore dell’Europa.

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    L’Ue ha aperto alla revisione dell’accordo di associazione con Israele. Ma saltano le sanzioni ai coloni

    Bruxelles – Gli alleati di Israele – dall’Unione europea al Regno Unito, fino ad un “frustrato” Donald Trump – sono sempre più in difficoltà di fronte ai deliberati crimini di Tel Aviv contro la popolazione civile a Gaza. Ieri, la durissima dichiarazione congiunta di Francia, Regno Unito e Canada contro le “azioni scandalose portate avanti dal governo” di Benjamin Netanyahu. Oggi (20 maggio), a più di un anno e mezzo da quando è stato messo sul tavolo la prima volta, l’Unione europea ha deciso che procederà a una revisione dell’accordo di associazione con Israele.L’ha annunciato Kaja Kallas, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, a margine della riunione con i ministri degli Esteri dei 27. “Una forte maggioranza dei Paesi membri è a favore della revisione dell’articolo 2 del nostro accordo di associazione” con Israele – quello che prevede che i rapporti tra Bruxelles e Tel Aviv siano basati sul rispetto dei diritti umani -, ha dichiarato il capo della diplomazia europea. Ci aveva provato il suo predecessore, Josep Borrell, dando seguito alla richiesta di Spagna e Irlanda di fronte al silenzio della Commissione europea, salvo poi sbattere sulle resistenze delle altre capitali.Gaza City, il 4 maggio 2025 (Photo by Omar AL-QATTAA / AFP)L’estone, molto più cauta nel criticare le operazioni militari israeliane a Gaza, ha preferito in un primo momento convocare un Consiglio di associazione per discuterne apertamente con il partner israeliano, celebrato lo scorso 20 febbraio 2025. Una kermesse che non ha portato ad alcun risultato, e che anzi ha solo contribuito a far percepire l’Unione europea come complice del governo estremista di Netanyahu. Ora, la strategia cambia, e gli Stati membri “avvieranno questo esercizio”, sperando che questo basti a fermare Israele.Il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo, il più risoluto nel denunciare gli orrori commessi a Gaza, ha commentato amaramente: “Il mondo intero ha assistito a un genocidio, proprio davanti ai nostri occhi, eppure l’Unione europea ha impiegato 20 mesi solo per prendere in considerazione un’azione contro i crimini di guerra israeliani”. Marc Botenga, coordinatore del gruppo per gli Affari esteri, ha rilanciato: “Abbiamo bisogno di un embargo totale sulle armi contro Israele e dell’immediata cancellazione dell’accordo di associazione Ue-Israele”.In realtà, perché la verifica del rispetto degli obblighi sui diritti umani porti a un’effettivo riposizionamento dell’Ue nei confronti di Tel Aviv, la strada è lunga e complicata. Per una sospensione, anche parziale, dell’Accordo di associazione, serve un voto all’unanimità. E già oggi è bastato uno Stato membro – l’Ungheria, rivelano fonti diplomatiche – per bloccare nuove sanzioni ai coloni israeliani violenti in Cisgiordania.Sanzioni chieste esplicitamente verso “alcuni ministri” del governo Netanyahu dalla ministra degli Esteri svedese, Maria Malmer Stenegard. In un messaggio all’Afp, ha dichiarato: “La Svezia è amica di Israele, ma ora dobbiamo alzare ancora il tono. Ci batteremo per le sanzioni europee contro alcuni ministri israeliani” che “sostengono una politica di insediamento illegale e si oppongono attivamente a una futura soluzione dei due Stati”. Anche l’omologa slovena, Tanja Fajon, ha annunciato che Lubiana “sta valutando, insieme a Francia e Irlanda, la possibilità di imporre sanzioni contro Israele”.

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    Ucraina, l’Ue adotta il 17esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Approvato un pacchetto, se ne fa un altro. L’Ue non crede a Vladimir Putin, accusandolo di non essere realmente interessato a sedersi al tavolo col suo omologo Volodymyr Zelensky per negoziare una tregua in Ucraina. E così, il giorno dopo la telefonata di Donald Trump con lo zar, i Ventisette hanno dato il disco verde all’ennesimo giro di vite contro Mosca (il 17esimo dall’inizio della guerra) e si sono già messi al lavoro sul prossimo.Tra i file sul tavolo del Consiglio Affari esteri di oggi (20 maggio) c’era di nuovo quello delle sanzioni alla Russia. I ministri dei Ventisette hanno formalmente adottato il 17esimo pacchetto dall’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio 2022, che era stato approvato dagli ambasciatori la scorsa settimana. Niente di eclatante a livello di contenuti: si tratta sostanzialmente di un’estensione delle misure restrittive già in piedi, soprattutto per quanto riguarda le navi della cosiddetta “flotta ombra” con cui il Cremlino aggira l’embargo sul suo greggio.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Il mantra di Bruxelles è sempre lo stesso: le sanzioni servono per mettere pressione su Mosca e spingere lo zar Vladimir Putin a sedersi al tavolo delle trattative. “Penso sia importante, come abbiamo stabilito tutti e 27, che ci debba essere un cessate il fuoco completo e incondizionato“, ha ripetuto per l’ennesima volta Kaja Kallas ai giornalisti arrivando al Palazzo Europa. “L’Ucraina l’ha già accettato più di 60 giorni fa, e abbiamo concordato che se la Russia non accetta, come abbiamo visto ieri, allora aumenteremo la pressione“, ha aggiunto l’Alta rappresentante.Il riferimento è alla lunga telefonata (più di due ore) di ieri tra Donald Trump e l’inquilino del Cremlino, della quale tuttavia i due hanno dato due resoconti piuttosto diversi. Il presidente Usa si è detto molto soddisfatto della chiamata e ha annunciato trionfalmente sul suo social Truth che i due belligeranti “avvieranno immediatamente i negoziati per un cessate il fuoco e, cosa più importante, per la fine della guerra“.Putin, invece, si è limitato a dire che Mosca è pronta a lavorare con Kiev ad un “memorandum su un possibile futuro accordo di pace“. Il presidente russo ha sostenuto che tale documento potrebbe includere elementi come “i princìpi di una soluzione, i tempi di un possibile accordo di pace e così via, compreso un possibile cessate il fuoco per un certo periodo di tempo se si raggiungono accordi adeguati“, senza tuttavia fornire ulteriori dettagli.Per gli europei quello di Putin è un bluff. E dunque, garantisce il capo della diplomazia comunitaria, “continueremo a lavorare al prossimo forte pacchetto di sanzioni“: “Parliamo del tetto al prezzo del petrolio, del settore energetico e bancario“, spiega. E tira la giacca a Trump affinché faccia lo stesso: “Dagli Stati Uniti abbiamo sentito che senza una tregua ci sarebbero state delle reazioni forti, delle conseguenze, e ora vogliamo vedere queste conseguenze“, ha concluso l’ex premier estone lamentando l’assenza di “serie pressioni” da parte dell’amministrazione a stelle e strisce nei confronti del Cremlino.Tra i Ventisette la linea sembra essere condivisa. Per il titolare della Difesa tedesco, Boris Pistorius, Putin “non sembra ancora realmente interessato alla pace o a un cessate il fuoco, almeno non a condizioni che siano accettabili” per Kiev e i suoi alleati. Secondo il ministro socialdemocratico, il presidente russo sta “giocando col tempo” e non ha ancora rinunciato alle condizioni massimaliste che ripete da oltre tre anni.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Più soddisfatto della mediazione di Washington è parso invece il capo dell’Alleanza nordatlantica Mark Rutte, che partecipava al Consiglio Difesa di stamattina. “Sono davvero contento che Donald Trump abbia assunto un ruolo di leadership“, ha commentato, sostenendo che “l’amministrazione americana è molto coinvolta e sta dialogando con i colleghi dell’Ue“. Secondo il numero uno della Nato, non ci si deve aspettare risultati immediati perché “si tratta di un conflitto molto complesso”, ma “è importante che Trump abbia aperto canali di comunicazione” diretti con Putin.La chiamata tra Casa Bianca e Cremlino (la terza da quando il tycoon è ritornato allo Studio ovale) è arrivata in seguito al sostanziale buco nell’acqua dei colloqui di Istanbul, dove il leader ucraino aveva provocatoriamente invitato il suo omologo russo – che non si è mai presentato – a incontrarsi di persona per avviare trattative di alto livello su una tregua nei combattimenti e gettare le basi per futuri negoziati di pace. Ma l’unica cosa concordata dalle delegazioni di Mosca e Kiev è stato uno scambio di prigionieri e l’impegno a organizzare, in futuro, un faccia a faccia tra i rispettivi presidenti.

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    Ue-Uk, il riavvicinamento dopo la Brexit. Dalla difesa agli Erasmus, si apre un “nuovo capitolo”

    Bruxelles – Difesa, energia, commercio, pesca, migrazioni, giovani. Al primo summit tra la “Gran Bretagna indipendente e gli alleati in Europa” – come l’ha definito il primo ministro laburista Keir Starmer -, celebrato oggi (19 maggio) nella City, Bruxelles e Londra riprendono in mano l’intricato tessuto dei rapporti Ue-Regno Unito e rammendano alcuni degli strappi traumatici inflitti dalla Brexit.Il riavvicinamento non può che essere figlio delle maggiori crisi di questi tempi. E parte dunque dalla partecipazione di Londra a Safe, il nuovo strumento Ue per finanziare l’industria della difesa degli Stati membri, e passa per una maggiore integrazione del Regno Unito nel mercato unico, in risposta alle minacce commerciali che arrivano da oltreoceano. Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas, tutti e tre presenti al summit – accompagnati dal commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič – tornano a casa con “tre risultati concreti”: una dichiarazione congiunta, un partenariato per la sicurezza e la difesa e un documento di intesa comune tra la Commissione europea e il Regno Unito.“Questi accordi riflettono i nostri impegni comuni”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Costa durante la conferenza stampa congiunta con von der Leyen e Starmer. Rivolgendosi al primo ministro britannico, ha aggiunto: “Siamo vicini, alleati, partner, e siamo amici”. Sulla stessa linea la presidente della Commissione europea, per cui le due sponde della Manica sono “partner storici e naturali”. Più cauto Starmer – che deve rendere conto a chi nove anni fa scelse di tagliare il cordone ombelicale con le imposizioni di Bruxelles -, per cui l’accordo di oggi è stato raggiunto “nell’interesse nazionale” e “nello stesso spirito con cui abbiamo raggiunto accordi con gli Stati Uniti e l’India”.Sulla destra: la delegazione Ue a Londra, con Maros Sefcovic, Antonio Costa, Ursula von der Leyen e Kaja Kallas al Eu-Uk Summit a LondraAccordi, quelli di libero scambio con Nuova Delhi e sui dazi con Washington, che secondo Starmer hanno permesso a Londra di presentarsi al vertice con l’Ue “da una posizione di forza“. E così, a  meno di un decennio dalla Brexit, Londra si garantisce “un accesso senza precedenti” al mercato unico, “il migliore di qualsiasi Paese al di fuori dell’Ue”. Nel tentativo di convincere i più scettici, Starmer ha snocciolato l’elenco dei vantaggi del riavvicinamento: la riapertura del mercato unico verso la Manica “darà impulso alle esportazioni britanniche“, la partnership sulla difesa “offrirà nuove opportunità alle industrie”, mentre la cooperazione in materia di scambio di quote di emissioni “eviterà alle imprese britanniche di dover pagare 800 milioni di sterline in tasse europee sul carbonio“.Il tutto – ha garantito il primo ministro – senza oltrepassare la linea rossa del manifesto con cui ha varcato la soglia di Downing Street: “Non rientrare né nel mercato unico né nell’Unione doganale, non tornare alla libertà di circolazione“. Bruxelles, viceversa, ha sottolineato l’importanza del prolungamento per dodici anni, fino al 30 giugno 2038, del pieno accesso reciproco delle acque per la pesca. E del capitolo sull’energia, che apre la strada alla partecipazione del Regno Unito al mercato elettrico Ue: “Positivo per la stabilità dei flussi energetici, per la nostra sicurezza energetica comune, per abbassare i prezzi”, ha spiegato von der Leyen.Ursula von der Leyen, Keir Starmer and Antonio Costa al Eu-Uk Summit a LondraPer quanto riguarda l’accesso a Safe, il fondo comune da 150 miliardi per la difesa, in un primo momento Londra avrà la possibilità di aderire agli appalti congiunti, ma poi – attraverso “ulteriori accordi bilaterali” – l’idea è che anche le imprese britanniche possano essere ammissibili al programma. Sempre che tale strumento venga approvato così com’è dal Consiglio dell’Ue, dove è ancora in discussione.C’è poi il nodo mobilità, giovani, Erasmus: tra le ‘vittime’ innocenti e indiscriminate della Brexit, da entrambe le sponde della Manica, ci sono senz’altro loro, le centinaia di migliaia di studenti e giovani lavoratori britannici ed europei a cui la fuoriuscita del Regno Unito dai 27 ha tolto opportunità di formazione e di crescita. “Ricordo il periodo in cui ero studente qui a Londra”, ha enfatizzato von der Leyen, che si è detta “molto lieta” dell’accordo – ancora da definire – per l’associazione del Regno Unito al programma Erasmus+ dell’Unione europea. Le cui “condizioni specifiche, comprese le condizioni finanziarie”, dovrebbero “garantire un giusto equilibrio per quanto riguarda i contributi e i benefici per il Regno Unito”. Sul tavolo c’è anche un programma di esperienze per i giovani, da istituire con un regime di visti a tempo determinato, per facilitare la partecipazione a “varie attività, quali il lavoro, gli studi, il soggiorno alla pari, il volontariato o semplicemente i viaggi”.L’accelerata impressa oggi al riavvicinamento tra Regno Unito e Unione europea è notevole. Come dichiarato dal direttore generale di BusinessEurope Markus J. Beyrer, “ha dato slancio al nostro fondamentale partenariato economico, ma ora occorre compiere progressi concreti per facilitare gli scambi di beni e servizi“. Secondo Sandro Gozi, eurodeputato liberale e presidente della delegazione all’Assemblea parlamentare di partenariato Ue-Regno Unito, “perché questa svolta sia credibile dobbiamo ricostruire una fiducia reale, che si traduca in accordi solidi su difesa, sicurezza, energia e pesca” e ancor più “su mobilità giovanile, cooperazione digitale, intelligenza artificiale e ricerca”.