More stories

  • in

    L’Eurocamera chiede di sospendere i fondi UE per la Tanzania dopo le violenze post-elettorali

    Bruxelles – Il Parlamento europeo alza la voce sulle violentissima repressione delle proteste scoppiate in Tanzania dopo le elezioni di fine ottobre. Migliaia di morti e feriti – oltre 3 mila vittime, secondo diverse organizzazioni per i diritti umani in Africa – per mano di un governo che beneficia di programmi di finanziamento europei. In una risoluzione adottata oggi (27 novembre) con 539 voti favorevoli e nessun contrario, gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione europea di sospendere qualsiasi sostegno diretto alle autorità tanzaniane.Lo scorso 29 ottobre, la presidente Samia Suluhu Hassan – il cui partito Chama Cha Mapinduzi governa ininterrottamente da oltre mezzo secolo – è stata confermata con il 98 per cento dei consensi, dopo aver escluso dalla partita elettorale i leader dei principali partiti d’opposizione. Le proteste scoppiate a Daar es Salaam e nei principali centri del Paese sono state represse nel sangue: “migliaia di morti e feriti, con segnalazioni di fosse comuni“, sottolinea l’Eurocamera. Nella risoluzione, gli eurodeputati denunciano inoltre “la detenzione arbitraria e motivata politicamente” del leader dell’opposizione Tundu Lissu, escluso dal processo elettorale e accusato di un reato capitale, e ne chiedono “il rilascio immediato e incondizionato”.La presidente della Tanzania Samia Suluhu Hassan durante un comizio elettorale, 28/10/25 (Photo by Michael JAMSON / AFP)Strasburgo ha insistito sulla necessità di istituire una commissione d’inchiesta internazionale, guidata dai Paesi africani, per condurre “un’indagine imparziale sui sospetti di omicidio, sparizioni forzate, tortura e altre violazioni”. E verso Bruxelles, gli eurodeputati esortano la Commissione e il Consiglio dell’UE a “sospendere il sostegno diretto alle autorità tanzaniane” e a dare invece priorità al supporto “alla società civile, ai difensori dei diritti umani e ai giornalisti”. Nel testo, si chiede inoltre di prendere in considerazione sanzioni contro i responsabili delle violenze.In una seconda risoluzione non vincolante – adottata per alzata di mano – il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di ritirare un progetto di decisione sul finanziamento del piano d’azione annuale (AAP) dell’UE per la Tanzania per il 2025. Si tratta di 156 milioni di euro, già sospesi dall’esecutivo dopo l’adozione della risoluzione in commissione Affari esteri (AFET) dell’Eurocamera. In una nota, l’ambasciata del Paese africano a Bruxelles ha accusato di ingerenze indebite il Parlamento europeo e ha sottolineato che non è stata alcuna opportunità di “presentare la propria versione dei fatti e chiarire la situazione”.

  • in

    Ucraina, il Parlamento europeo sprona l’UE e bacchetta gli USA: “Ambivalenza dannosa per la pace”

    Bruxelles – Il piano di pace per l’Ucraina reso pubblico la scorsa settimana solleva “legittime preoccupazioni in merito all’impegno degli Stati Uniti a favore del diritto internazionale e della sicurezza dell’Europa e dell’Ucraina”. Il Parlamento europeo non usa mezzi termini e – in una risoluzione adottata oggi (27 novembre) a larghissima maggioranza – bacchetta “l’ambivalenza politica” di Washington, che va “a scapito dell’obiettivo di una pace duratura”.Il testo della risoluzione sulla posizione dell’UE sul piano di pace per l’Ucraina è stato redatto da cinque gruppi lungo un ampio spettro politico: Conservatori e riformisti (ECR), Partito popolare europeo (PPE), Renew, Socialisti e democratici (S&d) e Verdi. Ai voti, è stato sostenuto da 401 eurodeputati. Tra i 70 contrari e i 90 astenuti, ci sono la quasi totalità dei Patrioti per l’Europa e dell’Europa delle Nazioni Sovrane – i due gruppi di ultradestra – e di The Left, il gruppo di sinistra radicale. Tra gli italiani, gli unici a non appoggiare la risoluzione sono state le delegazioni di Lega e Movimento 5 Stelle.Pur riconoscendo “gli sforzi dell’amministrazione statunitense” per porre fine alla guerra, l’Eurocamera punta il dito contro “l’ambivalenza politica di Washington nei confronti di Kiev“. Per questo, si legge nel testo adottato, l’emiciclo di Strasburgo “esorta l’UE e gli Stati membri a dar prova di leadership in questo cruciale momento geopolitico”, a “continuare a collaborare con gli Stati Uniti e i partner che condividono gli stessi principi”, per garantire “che i negoziati per una pace giusta e duratura in Ucraina si fondino sui principi del diritto internazionale” e “siano condotti in buona fede”.Gli eurodeputati hanno ribadito i principi su cui dovrà basarsi un eventuale accordo di pace, sulla falsa riga di quanto affermato ieri in Aula dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Prima di tutto “un cessate il fuoco efficace”, sostenuto da “solide garanzie di sicurezza” per Kiev da parte dell’UE e degli Stati Uniti – equivalenti alle clausole di mutua assistenza previste dall’articolo 5 della NATO e all’Articolo 42.7 del Trattato UE -, dopodiché nessuna limitazione alla “capacità dell’Ucraina di difendere la propria sovranità, indipendenza e integrità territoriale”.EP Plenary session – Position on the proposed plan and EU engagement towards a just and lasting peace for UkraineNel testo si afferma inoltre che “nessun territorio ucraino temporaneamente occupato sarà legalmente riconosciuto dall’UE e dai suoi Stati membri come territorio russo”. C’è poi il nodo della ricostruzione dell’Ucraina: l’Eurocamera ha messo in chiaro che qualsiasi accordo di pace “deve prevedere un pieno risarcimento da parte della Russia per i danni materiali e immateriali” causati nel Paese aggredito. Da qui l’appello ad “adottare e attuare, senza ulteriori ritardi, un prestito di risarcimento garantito dai beni russi congelati”. Infine, il Parlamento europeo ha chiesto di non fare passi indietro sulle sanzioni a Mosca, da non revocare “prima dell’attuazione di un accordo di pace basato su negoziati”.Gli emendamenti al testo proposti da un lato da The Left, dall’altro dai Patrioti, sono stati rispediti al mittente. Tra cui qualsiasi riferimento allo scandalo di corruzione in corso in Ucraina e al rischio di escalation derivante dalla corsa agli armamenti avviata in Europa.Per Lucia Annunziata, eurodeputata eletta nelle liste del Partito Democratico, “l’esclusione dell’Europa dal tavolo delle trattative è servita a trovare un’inedita unità in Parlamento, con una chiarezza e degli impegni presi che finora non si erano mai visti”. Eppure – ha avvertito Annunziata – “non dobbiamo nasconderci che si discute, a posteriori, un piano proposto dagli Stati Uniti in cui per ora non è chiarito il ruolo europeo nelle trattative”.La delegazione del Movimento 5 Stelle ha bollato la risoluzione come “un tentativo maldestro di mettere i bastoni fra le ruote nel processo di pace in corso”, perché stabilisce condizioni che “rendono i negoziati difficili, se non impossibili”. Per i pentastellati, “dopo quasi quattro anni dall’inizio del conflitto meglio una brutta pace che una sporca guerra”.

  • in

    Von der Leyen mostra fermezza sull’Ucraina: “A Ginevra punto di partenza, ma mantenere alta la pressione”

    Dall’inviato a Strasburgo – L’Eurocamera riflette sull’impulso dato da Donald Trump per mettere fine al conflitto in Ucraina. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, traccia la linea rossa del blocco UE: “Nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina. Nulla sull’Europa senza l’Europa. Nulla sulla NATO senza la NATO”. Un principio che sarebbe stato riconosciuto durante il confronto ristretto con Kiev e Washington a Ginevra. “Credo che ci sia l’opportunità di compiere progressi concreti“, conferma la leader UE.Von der Leyen ha aperto questa mattina (26 novembre) il dibattito all’emiclo di Strasburgo sulla posizione e sul ruolo dell’UE nel piano per la pace in Ucraina, aggiunto in extremis all’agenda della sessione plenaria del Parlamento europeo alla luce dell’iniziativa di mediazione della Casa Bianca. Ha esordito citando “la tempesta di droni e missili russi” che si è abbattuta pochi giorni fa su Ternopil – città ucraina “più vicina al confine polacco che a Kiev -, che ha ucciso 34 cittadini ucraini e ne ha feriti un centinaio. “Un atto di brutalità insensato”, ha attaccato von der Leyen. Al di là degli sforzi diplomatici, “è questa la realtà quotidiana”, ha insistito.Di fronte alla ‘morbidezza’ di Trump – che ha messo sul piatto un documento di 28 punti che sembrava redatto direttamente con Mosca -, von der Leyen chiede di tenere la guardia alta. “Dobbiamo mantenere alta la pressione”, perché “la strategia della Russia non è cambiata: ogni volta che si registrano progressi significativi nei negoziati, la violenza si intensifica“. Tuttavia, la presidente dell’esecutivo UE paga comunque il suo dazio al presidente americano, che ha avuto il merito di “avviare il lavoro su un testo”. Un passo che Bruxelles non è riuscita a compiere in tre anni e mezzo di guerra.“Credo che grazie al lavoro svolto negli ultimi giorni a Ginevra ora abbiamo un punto di partenza“, ha affermato von der Leyen agli eurodeputati. Ma senza fare sconti a Putin e alla Russia, la cui mentalità imperialista “non è cambiata dai tempi di Yalta”. Von der Leyen ha indicato le quattro priorità europee che dovranno riflettersi nel piano di pace. A cascata, la prima è che “qualsiasi accordo garantisca una pace giusta e duratura e assicuri una sicurezza reale per l’Ucraina e l’Europa”. E dunque, non ci può essere “alcuna limitazione alle forze armate ucraine” (il piano di Trump indicava un limite di 600 mila effettivi). Non solo, l’Ucraina “ha bisogno di garanzie di sicurezza solide, a lungo termine e credibili, come parte di un pacchetto più ampio per dissuadere qualsiasi futuro attacco da parte della Russia”.Le garanzie passano per l’integrità territoriale e dal coinvolgimento di UE e NATO nella protezione della sovranità del partner aggredito da Mosca. “Se oggi legittimiamo e formalizziamo l’indebolimento dei confini, apriamo le porte a ulteriori guerre domani”, ha insistito von der Leyen. Nessun passo indietro nemmeno sul futuro di Kiev: “Sovranità significa anche poter scegliere il proprio futuro e l’Ucraina ha scelto un destino europeo“. Una scelta che sarà “parte fondamentale ed essenziale di qualsiasi quadro di garanzia della sicurezza”.C’è poi il nodo delle coperture finanziarie da garantire ad uno Stato logorato da tre anni di conflitto. Servono circa 140 miliardi di euro per i prossimi due anni. Nonostante gli ultimi sviluppi sul piano diplomatico, la Commissione “è pronta a presentare il testo giuridico” per utilizzare gli asset russi congelati sul territorio europeo. “Per essere molto chiari, non vedo alcun scenario in cui i contribuenti europei pagheranno da soli il conto”, ha messo in chiaro von der Leyen tra gli applausi scroscianti dell’Aula.L’ultima priorità da includere in un eventuale accordo con Mosca, su cui l’UE sta lavorando da tempo e su cui la presidente si spende dall’inizio del conflitto in prima persona, riguarda le “decine di migliaia di ragazzi e ragazze” ucraini rapiti dalla Russia. “Ci sono migliaia di mamme e papà che non hanno mai smesso di sperare e di lottare per riportare a casa i loro figli. E l’Europa non smetterà mai di aiutare a realizzare questo obiettivo”, ha promesso la leader UE.

  • in

    Vertice UE-UA, non solo soldi all’Africa: intesa su migrazione, sviluppo e guerre

    Bruxelles – Unione Europea e Unione Africana (UA) hanno firmato oggi, 25 novembre, un documento congiunto per una cooperazione strategica in vari ambiti. La cornice è stata il vertice Europa-Africa svoltosi tra ieri e oggi a Luanda la capitale dell’Angola. “Siamo qui per portare avanti un approccio di mutua intesa e non uno di sfruttamento come avvenne secoli fa,” ha subito chiarito Antonio Costa, presidente del Consiglio Europeo, durante il summit. La sua figura è la migliore che l’Unione possa mandare avanti di fronte ai leader africani. Il portoghese è figlio del colonialismo: suo padre veniva da Goa in India e una parte della sua famiglia dal Mozambico.Multilateralismo e diritto internazionaleL’intesa non propone solo una convergenza economica, ma affronta temi che spaziano dallo sviluppo energetico e digitale, la migrazione, fino agli aspetti più spinosi della geopolitica e del colonialismo. Uno degli elementi più interessanti è la presa di posizione sui conflitti in corso. Nel documento conclusivo le due Unioni ricordano l’ingiustizia delle attuali guerre nella scena globale. Come afferma Costa, “entrambi condividiamo i valori della Carta delle Nazioni Unite, per cui abbiamo messo nero su bianco il nostro sostegno a una pace giusta in Ucraina.”Non era scontato un testo simile. L’influenza russa nel continente è importante fin dai tempi della decolonizzazione post 1945. Lo ricorda il presidente angolano e dell’Unione Africana João Lourenço nella conferenza stampa finale: “L’Unione Sovietica ci aiutò a uscire dal giogo occidentale e per questo le saremo sempre grati,” ma ora “difendiamo i principi di sovranità e integrità territoriale, come nel caso dell’Ucraina.”La stella polare evocata nel testo conclusivo è quella del diritto internazionale orientato al multilateralismo. Lo strumento però è spesso fumoso: in Africa come in Europa viene usato spesso come parafulmine per nascondere interessi. Le Nazioni Unite, solo per fare un esempio, monitorano da anni le leggi repressive in Angola che limitano la libertà di espressione.Un manifestante con un cartello si avvicina ai poliziotti antisommossa in formazione a Luanda, il 26 luglio 2025, durante una protesta contro il caro vita (Photo by Julio PACHECO NTELA / AFP)Denaro in cambio di sviluppoMeno controverso è invece l’aspetto economico, che ha al centro il finanziamento europeo per lo sviluppo dell’Africa. L’idea, si legge nel documento, è quella di “sfruttare fondi pubblici e privati per stimolare gli investimenti”. La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ieri, ha ricordato come l’UE “Abbia già messo in campo 120 miliardi di euro su 150 stanziati, nel progetto Global Gateway per l’Africa”. L’intento è spendere i soldi europei stimolando una transizione verde, seguendo (non obbligatoriamente) i regolamenti europei come quello legato alla “tassa sul carbonio” CBAM e l’EUDR contro la deforestazione.La sfida più altisonante sancita dal vertice è invece quella di fornire energia solare a più di 100 milioni di persone entro il 2030 tramite l’Africa-EU Green Energy Initiative. Sul tavolo l’Europa mette circa 20 miliardi per la generazione di 50 GW di nuova capacità di energia rinnovabile, grazie a progetti sia su larga scala sia con soluzioni decentralizzate.I punti cari all’UnioneIl dividendo europeo c’è. Il primo è l’ottenimento di materie prime a basso costo, utilissime per svincolarsi dalla dipendenza dalla Cina. Questi minerali potrebbero raggiungere l’Unione grazie alle nuove infrastrutture da sviluppare in Africa. Proprio per questo nel documento si parla dell’ammodernamento della ferrovia che collega l’Angola al centro del continente attraverso il corridoio di Lobito. La necessità è quella di “riaffermare l’impegno a una partnership continua e investimenti vantaggiosi nei trasporti per garantire connettività sicura, includendo l’attuazione del corridoio di Lobito.” Il progetto è sviluppato in cooperazione con gli Stati Uniti d’America anche loro intenzionati a diventare indipendenti dai minerali cinesi.Rilevanti per i leader europei sono anche i capitoli relativi alla migrazione. “Riconosciamo l’importanza di migliorare i percorsi legali per studenti, accademici e ricercatori,” mentre nel testo si parla più genericamente di “prevenire la migrazione irregolare e combattere il traffico di migranti.”Foto d’archivio (credits: Federico Baccini)Il passato che tornaAl di là dell’interscambio di denaro c’è un aspetto storico da non sottovalutare quando a parlarsi sono Paesi che condividono una storia di conflitto secolare. L’Unione infatti dichiara di “riconoscere e avere un profondo rimorso per l’inesprimibile sofferenza inflitta a milioni di persone a seguito della tratta degli schiavi, del colonialismo e dell’apartheid” aspetto chiave per gli africani per poter portare avanti un vero processo di riappacificazione con il proprio passato.I prossimi passiGli altisonanti obiettivi necessitano però di un monitoraggio costante. L’applicazione del documento sarà controllata da comitati competenti. Nei prossimi sei mesi “una Riunione dei Funzionari Superiori dell’Unione Africana e dell’Unione Europea lavorerà su un piano di attuazione settoriale” che genererà direttive operative. Nonostante le infrastrutture realizzare gli ambiziosi obiettivi non sarà semplice. I precedenti non sono rosei. La Corte dei conti europea ha, ieri, dichiarato che nonostante gli sforzi europei (11 miliardi) nell’Africa sub sahariana “la situazione non mostra un miglioramento significativo”. Un precedente che non fa ben sperare per l’esito di questo tornata di aiuti. In ogni caso le due entità torneranno ad incontrarsi a Bruxelles, anche se la data non è stata ancora definita.

  • in

    Vertice UE-Africa in Angola: 150 miliardi per lo sviluppo del Continente

    Bruxelles – Al tavolo più di settanta leader, di solito divisi dalla striscia di mar Mediterraneo. Nella capitale dell’Angola, Luanda, si sono riuniti i capi di stato e di governo dell’Unione Europea e della Unione Africana (entità che raccoglie i 55 paesi del continente africano). L’evento celebra i 25 anni di partenariato tra le due entità e ha avuto come focus i finanziamenti comunitari allo sviluppo africano. “In un mondo di conflitti commerciali, una partnership più stretta tra noi inizia dal commercio” ha affermato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.Il summit non è di quelli semplici, tra i due continenti ci sono secoli di colonizzazione, difficili da dimenticare. Per questo l’Europa si presenta al tavolo cercando in tutti i modi di mostrarsi come un amico e non come un usurpatore. “Vogliamo che Africa ed Europa siano partner per scelta” ricorda von der Leyen, risponde sul tema, Mahmoud Ali Youssouf, presidente della Commissione dell’Unione Africana: “Non è più tempo di essere solo dei fornitori di materie prime”.Il Global Gateway per l’AfricaLa proposta europea gravita intorno ai 150 miliardi del pacchetto d’investimenti Global Gateway. Von der Leyen ne celebra già i primi successi: “Quando lo abbiamo lanciato, puntavamo a investire 150 miliardi di euro in Africa entro il 2027. Finora, abbiamo già mobilitato oltre 120 miliardi di euro”. Gli obiettivi sarebbe quelli di accelerare la transizione verde e digitale oltre a promuovere una crescita sostenibile della sanità e dell’istruzione. Investimenti concreti che hanno l’intenzione di far crescere un continente con enormi problemi strutturali.La ferrovia dei mineraliIl progetto strategico che più fa discutere è poi l’ammodernamento della ferrovia da 1.300 chilometri che si snoda attraverso Zambia, Repubblica Democratica del Congo e Angola fino al porto di Lobito. L’infrastruttura sarebbe essenziale per l’approvvigionamento europeo di materie prime strategiche: uno dei principali obiettivi dei leader europei. Sulla questione si era già portato avanti il commissario europeo per lo sviluppo Jozef Síkela, che due settimane fa aveva annunciato l’impiego per oltre 200 milioni di euro a sostegno della crescita industriale dello Zambia.Il focus principale del pacchetto era il restyling (ad oggi i treni viaggiano massimo a 45 chilometri orari) della ferrovia che porta a Lobito. L’idea è nobile. Rimodellare questa infrastruttura porterebbe a uno sviluppo delle aree circostanti. Il rischio è però la costruzione di una cattedrale nel deserto, utile solo agli interessi europei.L’aspetto storico e simbolico non è però da sottolineare. La costruzione risale alla fine del XIX secolo e ai primi decenni del XX secolo. All’epoca i governi coloniali di Belgio e Portogallo realizzarono la Benguela Railway, capace di collegare le aree minerarie del Katanga (oggi Repubblica Democratica del Congo) al porto di Lobito, in Angola.Von der Leyen ne è consapevole e quando parla dell’argomento usa tatto: “Conoscete tutti questo ambizioso progetto per portare minerali essenziali dallo Zambia e dalla Repubblica Democratica del Congo ai mercati globali. Ma c’è molto di più. Con il lancio del corridoio, abbiamo anche iniziato a collaborare con gli agricoltori proprio qui in Angola”, ricordando come alla fine sia sempre un processo win-win, “le aziende europee hanno fornito formazione – continua la presidente – hanno aiutato le aziende locali ad allinearsi agli standard europei e ad espandere la loro capacità di esportazione”.La ferrovia del Benguela ad oggi esistente capace di collegare Angola e Repubblica Democratica del Congo. L’infrastruttura è stata costruita durante l’epoca coloniale (Fonte Wikipedia)La Cina è la potenza da sfidareNei discorsi di distensione tra Africa ed Europa non viene citato però l’elefante nella stanza: la Cina. L’Angola, sede del summit, ad esempio è il principale debitore di Pechino in Africa. L’ex colonia portoghese deve risarcire circa 46 miliardi di dollari. Gli investimenti cinesi non toccano solo la parte occidentale del Continente. In questi anni i soldi di Pechino hanno coinvolto da nord a sud il continente concentrandosi sul finanziamento di risorse strategiche orientate all’accesso a minerali critici, progetti infrastrutturali, oltre che prestiti diretti agli stati. La Cina, con un passato senza macchia nella regione, è diventata negli anni il principale player nella zona.While the United States has been busy burning bridges, China has been building them.52 out of 54 countries in Africa now trade more with China than the United States. pic.twitter.com/p4GLnAVJs5— Jostein Hauge (@haugejostein) April 3, 2025Le chance dell’UnioneAll’Unione non resta che giocare la carta della prossimità territoriale, visto che come ricordato da von der Leyen: “L’Europa è già di gran lunga il vostro primo partner commerciale. Un terzo del commercio totale dell’Africa avviene con l’Europa, e l’Africa esporta verso l’Europa più del doppio rispetto alla Cina”. La sfida insomma è iniziata. Il divario da colmare però è ancora molto. Si inizierà a capire qualcosa in più quando il summit tra i leader dei due continenti sarà concluso.

  • in

    Africa sub-sahariana, dall’UE altri aiuti per 143 milioni. Dopo aver buttato oltre 11 miliardi

    Bruxelles – Nuovo pacchetto di aiuti umanitari da 143 milioni di euro per i Paesi dell’Africa sub-sahariana: la Commissione europea prosegue nel suo sforzo di sostegno alla regione, con impegni per ciascuno degli Stati interessati. L’esecutivo comunitario annuncia quindi aiuti da 2,5 milioni di euro per la Repubblica Centrafricana, 8 milioni di euro per la Nigeria, 30 milioni di euro per l’Etiopia, 30 milioni di euro per la Somalia, 35 milioni di euro per Sud Sudan. Si aggiungono inoltre 38 milioni di euro per i Paesi della regione del Sahel (Burkina Faso, Ciad, Eritrea, Mali, Mauritania, Niger, Senegal e Sudan).“Questo finanziamento dimostra il nostro impegno nei luoghi in cui la pressione è crescente e il sostegno è essenziale”, sottolinea Hadja Lahbib, commissaria per la Gestione delle crisi. Una sottolineatura che intende mostrare la natura positiva dell’azione a dodici stelle, criticata però dalla Corte dei conti europea proprio sugli aiuti garantiti all’Africa sub-sahariana in questi anni.Tra il 2014 e il 2020 la Commissione europea ha impegnato oltre 11 miliardi di euro per combattere la fame nell’Africa sub-sahariana, dove nonostante questi sforzi “la situazione non mostra un miglioramento significativo nel tempo”, è la denuncia dei revisori di Lussemburgo contenuta nello speciale rapporto. La Commissione ha dato fin qui soldi senza un criterio, con scarsa attenzione e strategie carenti e inefficaci.E’ convinzione della Corte dei conti europea che nel suo elargire fondi “la Commissione non disponeva di una metodologia chiara e documentata per dare priorità alle regioni e alle comunità più bisognose, il che ha limitato l’efficacia degli interventi”. Inoltre l’impatto a lungo termine del sostegno dell’Ue ha risentito anche di “carenze nell’impostazione dei progetti, di un monitoraggio insufficiente e di difficoltà nell’affrontare le cause profonde dell’insicurezza alimentare”.Insomma, gli aiuti umanitari dell’UE nell’Africa sub-sahariano sono uno spreco di risorse. A distanza di una settimana dalla denuncia dei revisori di conti la Commissione annuncia un nuovo pacchetto da 143 milioni di euro. L’auspicio è che questa volta siano ben spesi.

  • in

    La denuncia del premier palestinese Mustafa all’UE: “Nessun governo può sostenere riforme senza entrate”

    Bruxelles – Secondo gli accordi di Oslo tra Israele e l’Autorità Palestinese, da trent’anni Tel Aviv ha la responsabilità di riscuotere le entrate fiscali nei territori palestinesi occupati e consegnarle a Ramallah. Un potere che Israele ha utilizzato diverse volte, trattenendo in parte o in tutto quei soldi. È quello che sta avvenendo da oltre un anno, come denunciato ieri a Bruxelles dal primo ministro palestinese, Mohammad Mustafa: “Nessun governo può sostenere le riforme se gli vengono negate le proprie entrate”, ha affermato a margine di una conferenza incentrata proprio sul percorso di riforme richiesto a Ramallah nell’ambito del piano di pace per Gaza.Al primo incontro del Gruppo di donatori per la Palestina, nella capitale UE, erano presenti una sessantina di delegazioni nazionali. A margine dei lavori, Mustafa ha tenuto una conferenza stampa congiunta con la commissaria europea per il Mediterraneo, Dubravka Šuica. Nonostante l’iniziativa fosse stata costruita da Bruxelles come “una piattaforma” per l’Autorità palestinese per fare il punto sul suo programma di riforme, Šuica ha annunciato che – insieme a Germania, Lussemburgo, Slovenia e Spagna -, la Commissione europea ha firmato “oltre 82 milioni di euro di nuovi accordi di contributo a sostegno finanziario aggiuntivo da parte dei nostri Stati membri”. In totale, l’importo “promesso quest’anno è di oltre 88 milioni di euro, inclusi i contributi precedenti di Finlandia, Irlanda, Italia e Spagna”, ha aggiunto.La Commissione europea, nell’aprile scorso, ha messo sul tavolo un pacchetto da 1,6 miliardi di euro in tre anni per sostenere Ramallah, vincolato ad una serie di modifiche istituzionali e amministrative da lungo tempo richieste all’Autorità palestinese per poter avanzare nella chimerica soluzione dei due Stati. Mustafa ha assicurato che la riforma della governance sta procedendo e il programma di modernizzazione dell’istruzione “è già in fase di attuazione”. Ma d’altra parte, “questi progressi si stanno realizzando parallelamente alla quotidiana pressione fiscale e alle politiche israeliane dirette a indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese e la sua capacità di funzionare e fornire al nostro popolo i servizi necessari”.Mohammad Mustafa e Dubravka Šuica in conferenza stampa, a margine dell’incontro del Gruppo dei donatori per la Palestina (20/11/25)La denuncia di Mustafa è inequivocabile: “L’attuale crisi fiscale è motivata politicamente. Il blocco da parte di Israele delle entrate dell’Autorità palestinese minaccia gli stipendi, la continuità dei servizi e la stabilità sia a Gaza che in Cisgiordania”. Si parla di diversi miliardi, di fronte ai quali i contributi raccolti a Bruxelles impallidiscono. “Apprezziamo la solida partnership con l’Unione europea e gli Stati membri contributori, ma abbiamo bisogno di finanziamenti e azioni prevedibili e anticipati per proteggere le relative linee di credito e i limiti di liquidità instabili per quanto riguarda Gaza”, ha aggiunto il primo ministro.Šuica ha indicato che Tel Aviv avrebbe accumulato, da quando nella primavera dello scorso ha interrotto il trasferimento dei fondi palestinesi a Ramallah, “dai tre ai quattro miliardi di euro, una cifra enorme, indispensabile per un’Autorità palestinese solida e stabile”. La commissaria ha assicurato che “tutta la nostra energia diplomatica, tutto il nostro capitale politico, viene investito nel tentativo di spingere Israele a rilasciare queste entrate”.Le sanzioni economiche e politiche a Israele proposte dalla Commissione europea a settembre sono già state infilate in un cassetto dagli Stati membri, incapaci di trovare un accordo e restii sull’alzare la voce con il principale partner mediorientale. Proprio qui sta il paradosso: l’UE “sta investendo molto” nell’Autorità palestinese, “per renderla più forte e farla diventare interlocutore al tavolo non appena la situazione lo consentirà“, ha sottolineato Šuica. Ma nel frattempo, continua a mantenere saldissime relazioni con lo Stato ebraico, colpevole dell’occupazione e dell’oppressione dei territori palestinesi e dei suoi abitanti da decenni.Ora però, tagliata fuori dal piano di pace trumpiano e in secondo piano rispetto al sodalizio incondizionato tra Washington e Tel Aviv, l’UE rivendica un ruolo da “protagonista” perché “stiamo davvero mantenendo in vita l’Autorità nazionale palestinese”.

  • in

    Von der Leyen: “Non combattiamo i combustibili fossili ma le emissioni, investire in Africa”

    Bruxelles – “Non stiamo combattendo i combustibili fossili, quanto le emissioni che derivano dai combustibili fossili“. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen gioca la carta dell’equilibrismo politico per rilanciare l’agenda della Commissione europea senza scontentare i partner, e uno su tutti, quello statunitense, poco convinto della necessità di modelli produttivi alternativi. Si presenta al G20 in Sud Africaper rilanciare investimenti puliti in Africa, ma senza operare strappi con gli altri partner. Da qui la doverosa precisazione, che non è presa di distanza da chi continua a investire nelle logiche tradizionali, ma necessità di conciliare interlocutori riluttanti con altri più possibilisti.La presidenza Trump con la sua politica muscolare e ‘bulla’ restano un elemento molto presente. Non si tira in ballo in esplicitamente, ma sia von der Leyen sia il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, insistono ripetutamente sulla natura affidabile dell’UE come partner, su come l’UE creda nel regole e nel loro rispetto. Tutte sottolineature volte a far capire che l’Unione europea, a differenza degli Stati Uniti, non procederà mai con colpi di mano. “Siamo qui perché crediamo nel multilateralismo, e nell’ordine fondato sulle regole“, sottolinea Costa, convinto che “cambiamento climatico, disuguaglianza e povertà sono tre questioni principali su cui dobbiamo mobilitare il mondo intero”. A cominciare dall’Africa. E’ soprattutto qui che occorre sviluppare obiettivi e ambizioni europei in termini di sostenibilità.“Lo scorso anno gli investimenti in energia pulita hanno raggiunto i duemila miliardi di euro a livello globale, ma solo il 2 per cento di questi investimenti è stato destinato all’Africa, il continente con il 60 per cento del miglior potenziale solare al mondo”, lamenta von der Leyen, secondo cui “questo non può essere possibile”. Questo è il motivo per cui la campagna ‘Scaling Up Renewables for Africa‘ intende riunire governi, investitori e filantropi per un futuro dell’Africa senza combustibili fossili.Perché, insiste von der Leyen, “la vera questione, quando si parla di cambiamenti climatici, è l’energia“. Nell’UE, rivendica, “negli ultimi venti anni abbiamo ridotto le emissioni [di gas a effetto serra] del 50 per cento, grazie soprattutto ai tagli delle emissioni nell’energia”. Fuori dall’Europa si può ripetere l’esperienza: “Questo potenziale è forte nel continente africano”, ammette la tedesca.L’UE va alla riunione delle principali 20 economie mondiali con un occhio all’Africa tutta. E’ ai Paesi del continente, a iniziare dal Sudafrica presidente di turno del G20, che si guarda per trovare quell’alternativa verde e sostenibile all’America di Trump, che si vuole mettere all’angolo anche per ciò che riguarda l’ordine internazionale. E’ soprattutto ad Africa e Sudafrica che Costa chiede di “impegnarci nella riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e nella riforma delle Nazioni Unite affinché riflettano il mondo di oggi, perché il mondo di oggi non è più lo stesso del 1945″. Il nuovo corso nelle relazioni UE-Africa passa dunque per il G20 e le intenzioni con cui l’Europa si presenta all’appuntamento.