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    Ucraina, i volenterosi a Parigi per definire le garanzie di sicurezza

    Bruxelles – Gli alleati di Kiev continuano a cercare la quadra sulle garanzie di sicurezza. Dopodomani a Parigi la coalizione dei volenterosi discuterà per l’ennesima volta di come sostenere l’Ucraina al termine delle ostilità, anche se le trattative sono in stallo da settimane. Ma rimane da sciogliere il nodo principale: il potenziale dispiegamento di soldati sul campo. Da Berlino sono arrivate parole nette all’indirizzo di Ursula von der Leyen, che gioca a fare il comandante in capo di una forza militare che non c’è.Il menù sul tavolo della trentina di partecipanti alla coalizione dei volenterosi, che si incontreranno giovedì (4 settembre) nella capitale transalpina, è lo stesso da mesi. La portata principale è costituita dalle ormai famigerate garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina una volta cessata la guerra, in corso da più di tre anni e mezzo. Nonostante se ne discuta da tempo, tuttavia, nessuno è ancora in grado di definirle chiaramente, indicando con precisione su quali elementi si baseranno e, soprattutto, chi fornirà cosa.Alla riunione parigina di dopodomani, co-presieduta da Emmanuel Macron e Keir Starmer, dovrebbero partecipare in presenza anche Volodymyr Zelensky, Ursula von der Leyen e il Segretario generale della Nato Mark Rutte. Il presidente ucraino chiederà nuovi aiuti e cercherà di spingere i suoi alleati ad aumentare la pressione su Vladimir Putin, che non sembra minimamente interessato a sedersi al tavolo negoziale nonostante la sceneggiata di ferragosto in Alaska con Donald Trump.Il presidente francese Emmanuel Macron (foto via Imagoeconomica)Il nodo più intricato è quello dell’invio di un contingente multinazionale sul suolo ucraino, che per essere credibile dovrebbe contare almeno 30mila soldati – al netto dell’inquadramento di una tale “forza di rassicurazione“, essenzialmente diversa dalle classiche operazione di peacekeeping (se non altro perché le truppe non monitorerebbero il fronte ma rimarrebbero nelle retrovie, pronte a sostenere l’esercito di Kiev in caso di nuova aggressione russa). Un’opportunità che parrebbe avere un qualche senso dal punto di vista strategico, ma che rimane difficile da digerire sul piano politico.Nessun capo di Stato o di governo occidentale prende alla leggera l’impegno a mandare i propri soldati all’estero, soprattutto al di fuori del cappello Nato. Al momento pare che gli unici disponibili a inviare i proverbiali “stivali sul terreno” siano proprio Macron e Starmer, anche se quest’ultimo in tempi recenti avrebbe raffreddato gli ardori dei mesi scorsi. Contrari, invece, Italia, Germania e soprattutto Stati Uniti. Washington ha accettato di offrire un non meglio specificato backstop ad ucraini ed europei, e le altre cancellerie hanno fatto ampiamente capire che senza il sostegno dello zio Sam non si va da nessuna parte.Le difficoltà su questo fronte sono emerse plasticamente ieri (primo settembre), quando il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha criticato aspramente la fuga in avanti di Ursula von der Leyen sulla questione. In una recente intervista al Financial Times, il capo dell’esecutivo comunitario ha sostenuto che i volenterosi avrebbero elaborato “piani piuttosto precisi” rispetto all’impegno nel dopoguerra, compreso un eventuale contingente terrestre.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Dati Bendo/Commissione europea)Un passo di troppo per Berlino, dove il governo è alle prese con una complessa riforma della Bundeswehr. Con commenti caustici, Pistorius ha sottolineato che “l’Ue non ha alcuna responsabilità né competenza in materia di dispiegamento di truppe, per nessuno e per nessun motivo”, offrendo un consiglio al vetriolo per la numero uno del Berlaymont: “Mi asterrei dal confermare o commentare in alcun modo tali considerazioni“, ha rincarato, ritenendo “assolutamente sbagliato” discutere pubblicamente dei piani militari prima che i belligeranti abbiano stipulato una tregua. Lo stesso cancelliere federale Friedrich Merz ha ribadito che allo stadio attuale “nessuno sta parlando di truppe di terra“.Una soluzione politicamente politicamente più accettabile per i volenterosi potrebbe essere la fornitura di supporto aereo e logistico, inclusi la condivisione d’intelligence e l’addestramento delle forze armate di Kiev, come ventilato la scorsa settimana dall’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas. Sicuramente, come ripete da tempo von der Leyen, la strategia su cui tutti concordano è quella di fare dell’Ucraina un “porcospino d’acciaio“, rafforzando il suo esercito al punto da renderla “indigesta” per qualunque aggressore.D’altro canto, le iniziative diplomatiche per giungere alla cessazione delle ostilità sembrano giunte ad un binario morto. L’ultimo incontro diretto tra le delegazioni negoziali dei belligeranti si è risolto nell’ennesimo buco nell’acqua e non si vede all’orizzonte alcuna svolta nelle trattative. Mosca continua a bombardare il suo vicino ed è arrivata a colpire anche la sede della delegazione Ue a Kiev.Nello specifico, le posizioni dei belligeranti sulle garanzie di sicurezza sono inconciliabili: per la Russia se ne dovrebbe parlare solo una volta raggiunta l’intesa su una tregua (ma la presenza di truppe Nato è inaccettabile per Mosca), mentre l’Ucraina le ritiene un prerequisito essenziale per sedersi al tavolo. Del resto, lo zar sta infrangendo uno dopo l’altro gli ultimatum lanciati da Trump, senza che la Casa Bianca abbia messo in campo alcuna delle “gravi conseguenze” minacciate negli scorsi mesi.Il presidente russo Vladimir Putin (foto via Imagoeconomica)Nel frattempo, l’inquilino del Cremlino ha sostenuto di non essere mai stato contrario all’adesione dell’Ucraina all’Ue durante un colloquio a Pechino col primo ministro slovacco Robert Fico, uno dei cavalli di Troia di Putin all’interno del club a dodici stelle. Lo zar ha dichiarato di “apprezzare molto” l’autonomia di Bratislava nel seguire una “politica estera indipendente“, mentre il suo interlocutore ha precisato che “l’Ucraina deve soddisfare tutte le condizioni per entrare nell’Ue”, sottolineando che “i criteri politici non possano prevalere sui criteri di preparazione”.Si tratta del terzo faccia a faccia tra Fico e Putin nel giro di un anno, con buona pace della pretesa di Bruxelles di aver mantenuto un fronte unitario nei confronti di Mosca. L’atro sodale di Putin nell’Unione, il premier ungherese Viktor Orbán, sta continuando a bloccare tanto l’apertura dei negoziati di adesione quanto l’esborso degli aiuti per l’Ucraina, puntando sistematicamente i piedi anche sulle sanzioni comunitarie contro il Cremlino (al momento è in preparazione il 19esimo pacchetto, dopo aver disinnescato proprio il veto di Fico). Budapest e Bratislava hanno da tempo ingaggiato un braccio di ferro con Kiev sulle forniture di gas e petrolio russo, lamentando recentemente le interruzioni dovute agli attacchi ucraini all’oleodotto Druzhba.

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    Gaza: 100 eurodeputati firmano interrogazione per commissione d’inchiesta sugli attacchi ai giornalisti promossa da Sandro Ruotolo

    Bruxelles – Cento deputati al Parlamento europeo, appartenenti a i gruppi da laSinistra ai popolari, hanno firmato l’interrogazione scritta presentata da Sandro Ruotolo (S&D – PD) che chiede all’Alto Rappresentante per la politica estera europea Kaja Kallas di fare pressioni per spingere le Nazioni Unite a creare una commissione internazionale d’inchiesta sugli attacchi contro i giornalisti a Gaza e la creazione di meccanismi di protezione internazionale per i reporter che operano nelle zone di conflitto.L’iniziativa è nata dopo i due gravissimi attacchi di agosto: il bombardamento del 10 che ha ucciso sei giornalisti di Al Jazeera presso l’ospedale Al-Shifa, e quello del 25 al complesso medico Al-Nasser di Khan Younis, in cui hanno perso la vita altri cinque cronisti.L’interrogazione, presentata da Ruotolo e co-firmata, come secondo firmatario da Nicola Zingaretti, capo delegazione del PD al Parlamento europeo, è stata consegnata simbolicamente con le 100 firme a Yousef Khader Habache, rappresentante europeo del Sindacato dei giornalisti Palestinesi e a Shuruq As’ad giornalista e membro del sindacato.Dal 7 ottobre 2023, 247 giornalisti e operatori dei media palestinesi sono stati uccisi, pari al 13 pe cento dei giornalisti di Gaza, tra cui 34 donne. Oltre 520 sono rimasti feriti e più di 800 familiari di cronisti hanno perso la vita. Circa 1700 giornalisti della Striscia sono stati costretti a sfollare più volte e 800 di loro vivono e lavorando in tende o ospedali senza elettricità, acqua e internet. Sono stati registrati 206 giornalisti arrestati, di cui 55 ancora detenuti. In Gaza l’esercito israeliano ha distrutto 115 testate e redazioni giornalistiche con bombardamenti e attacchi di carri armati. In Cisgiordania e a Gerusalemme ha chiuso 5 media e distrutto o sigillato 12 tipografie.“L’immobilismo dell’Europa è figlio della scelta di molti governi europei che, a parte i comunicati, bloccano qualsiasi iniziativa. Stiamo lavorando affinché il Parlamento europeo arrivi ad una risoluzione formale chiara, un passaggio fondamentale per affermare il diritto alla verità e alla giustizia del popolo palestinese”, ha dichiarato Nicola Zingaretti.Secondo Ruotolo, “chi colpisce i giornalisti colpisce il diritto a conoscere la verità. Per questo chiediamo all’Unione europea di agire con determinazione: serve una commissione di inchiesta e meccanismi di protezione internazionale per chi rischia la vita ogni giorno pur di raccontare quello che accade. Sostengo con convinzione l’iniziativa del Sindacato dei Giornalisti Palestinesi di organizzare una barca di reporter verso Gaza. È un gesto di coraggio e di verità che merita il nostro appoggio”.

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    Il Belgio riconoscerà la Palestina, e vara sanzioni contro Israele e Hamas

    Bruxelles – “La Palestina sarà riconosciuta dal Belgio durante la sessione dell’ONU!”. E’ l’annuncio fatto su X nella notte dal ministro degli Esteri Belga, Maxime Prevot, dopo giorni di negoziati all’interno della composita maggioranza di governo del regno.Prevot aggiunge che “saranno prese misure severe nei confronti del governo israeliano. Anche qualsiasi forma di antisemitismo o glorificazione del terrorismo da parte dei sostenitori di Hamas sarà denunciata con maggiore forza”.“Considerata la tragedia umanitaria che si sta consumando in Palestina, e in particolare a Gaza, e di fronte alle violenze perpetrate da Israele in violazione del diritto internazionale, tenuto conto dei suoi obblighi internazionali, tra cui il dovere di prevenire qualsiasi rischio di genocidio, il Belgio aveva il dovere di prendere decisioni forti per accentuare la pressione sul governo israeliano e sui terroristi di Hamas”. Scrive il ministro nel suo lungo comunicato stampa.Il governo federale ha previsto dodici decisioni unilaterali. Tra queste, “il Belgio intensificherà i propri sforzi per fornire aiuti umanitari ai palestinesi con ogni mezzo possibile. Inoltre, il ministro della Cooperazione allo sviluppo stanzierà 12,5 milioni di euro che si aggiungeranno ai 7 milioni già stanziati quest’anno per gli aiuti umanitari a Gaza”. Proseguirà anche l’evacuazione dei bambini affetti da malattie gravi.Il governo di Bruxelles chiederà anche che “i coloni violenti e terroristi di Hamas siano inseriti nella lista europea delle personae non grata sul territorio belga. Anche i ministri estremisti Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich,  nonché i leader politici e militari di Hamas, saranno personae non gratae sul territorio belga.Prévot annuncia inoltre che il governo federale chiederà il divieto totale di esportazione e transito di armi verso Israele dal Belgio. E’ anche previsto un divieto di importazione di merci prodotte, sfruttate o trasformate nei territori occupati illegalmente da Israele. Anche i belgi residenti nelle colonie pagheranno un prezzo, poiché vedranno ridotti “al minimo” i servizi consolari della madre patria. I belgi residenti nelle colonie vedranno inoltre ridotti al minimo i servizi consolari forniti dallo Stato belga. Infine saranno respinte le richieste di sorvolo dello spazio aereo belga per voli militari israeliani.La Palestine sera reconnue par la Belgique lors de la session de l’ONU ! Et des sanctions fermes sont prises à l’égard du gouvernement israélien. Tout antisémitisme ou glorification du terrorisme par les partisans du Hamas sera aussi plus fortement dénoncé.Au vu du…— Maxime PREVOT (@prevotmaxime) September 2, 2025

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    Palestina, il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta riceve la Ministra degli Affari Esteri

    Roma – Ribadire il fermo impegno nel sostenere il popolo palestinese e nel preservare le operazioni umanitarie che l’Ordine di Malta porta avanti in Palestina. Questo il messaggio espresso dal Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Riccardo Paternò di Montecupo, che oggi ha ricevuto la Ministra degli Affari Esteri e degli Espatriati dello Stato di Palestina, Varsen Aghabekian Shaheen, per una visita di lavoro a Roma.Una nota dell’Orine spiega che durante l’incontro, il Gran Cancelliere ha sottolineato l’importanza di continuare a supportare il popolo palestinese, in particolare i cittadini di Gaza City attraverso il progetto di apertura di un centro sanitario, e riaffermato la volontà di tutelare le attività umanitarie dell’Ordine già in corso.Aghabekian Shaheen ha espresso grande apprezzamento da parte del governo palestinese per il contributo dell’Ordine di Malta alla popolazione.Nella fase attuale, le attività umanitarie dell’Ordine di Malta in Palestina sono incentrate sul progetto di aiuti a Gaza City portato avanti in collaborazione con il Patriarcato latino di Gerusalemme e la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, recentemente colpita da raid. Da maggio 2024 sono state consegnate 200 tonnellate di cibo a oltre 25.000 civili, ed è appunto allo studio l’apertura di un punto di assistenza sanitaria per la comunità locale. L’Ordine di Malta inoltre continua a supportare gli aspetti logistici della distribuzione di cibo da parte del Patriarcato.Il cuore dell’attività dell’Ordine di Malta in Palestina è l’Holy Family Hospital di Betlemme, struttura sanitaria che dal 1990 offre cure materno-infantili di alta qualità in Cisgiordania. Essendo l’unico centro della regione in grado di assistere nascite premature, grazie a un reparto di terapia intensiva neonatale con 18 posti letto, è un punto di riferimento per tutte le donne in gravidanza dell’area, in particolare per quante necessitano di cure specializzate. Composto da medici, ostetriche e infermieri musulmani e cristiani, il personale garantisce un servizio senza distinzioni di credo o condizione sociale, offrendo assistenza a costi ridotti o in forma completamente gratuita.Sempre in Cisgiordania, l’Ordine di Malta è al fianco della popolazione con cliniche mobili, distribuzione di buoni per beni di prima necessità, iniziative di microcredito e attività di formazione sanitaria.A luglio, il Sovrano Ordine di Malta ha partecipato alla conferenza di alto livello delle Nazioni Unite a New York (28-30 luglio) sulla «Risoluzione pacifica della questione palestinese e l’attuazione della soluzione dei due Stati», promossa da Francia e Arabia Saudita. Nell’occasione, l’Ordine ha riaffermato la necessità di “una cessazione di tutti gli atti di violenza che violano il diritto internazionale e i principi umanitari” e si è detto “pronto a offrire pieno supporto agli sforzi di ricostruzione e sviluppo nei territori palestinesi”.

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    Falsa partenza (causa meteo) della Global Sumud Flotilla. Tutti gli occhi su Tel Aviv

    Bruxelles – La Global Sumud Flotilla è dovuta tornare indietro poche ore dopo essere salpata. La gigantesca mobilitazione della società civile internazionale per portare aiuti umanitari alla Striscia di Gaza via mare è partita ieri da diversi porti alla volta dell’exclave palestinese assediata. Dovrebbe arrivare al largo delle coste gazawe tra un paio di settimane, e punta a mantenere alta l’attenzione mediatica per mettere pressione su Israele, che con ogni probabilità impedirà alle imbarcazioni di sbarcare.È partita ieri (31 agosto) la prima parte della Global Sumud Flotilla, una flotta di decine di navi di dimensioni medio-piccole messe in acqua dagli aderenti a quella che potrebbe essere la più grande mobilitazione transnazionale della storia recente, ma è dovuta rientrare in porto poche ore dopo a causa delle condizioni meteorologiche avverse. Non è chiaro, al momento, quando potrà ritentare il mare.Una ventina di navi sono salpate da Barcellona, dove oltre 5mila persone hanno salutato i circa 300 naviganti: non solo marinai ma anche attivisti, giornalisti, avvocati, medici, personaggi pubblici e membri della società civile. Sulle imbarcazioni, tonnellate di aiuti umanitari per i palestinesi della Striscia, intrappolati da oltre 18 anni di assedio illegale dello Stato ebraico, iniziato nel giugno 2007.Tra gli altri c’era anche Greta Thunberg, che figura nel board dell’iniziativa. “La questione riguarda come le persone vengono deliberatamente private dei mezzi di sussistenza più elementari e come il mondo possa tacere“, ha dichiarato la giovane attivista svedese, accusando Tel Aviv di voler “cancellare la nazione palestinese“.Contemporaneamente, da Genova mollavano gli ormeggi altre imbarcazioni con la “benedizione” della sindaca Silvia Salis. La sera precedente, una manifestazione partecipatissima (gli organizzatori parlano di 50mila presenze) ha portato sul lungomare la cittadinanza per l’ennesima dimostrazione di solidarietà coi gazawi vittime dello sterminio. I rappresentanti dei portuali hanno promesso di “bloccare tutto” – riferendosi alle spedizioni per Israele, incluse quelle di armi, che partono regolarmente dalla Liguria – se verrà usata violenza contro la Flotilla.Altre navi sono partite da altri porti del Mediterraneo occidentale e tutte stanno facendo vela verso la zona centrale del Mare Nostrum dove, il prossimo 4 settembre, raccoglieranno ulteriori naviganti da altre località, incluse Tunisia, Grecia e Sicilia, per un totale di circa 50 imbarcazioni con oltre 500 naviganti provenienti da 44 Paesi. Obiettivo: forzare il blocco, o almeno trasmettere in diretta mondiale la risposta israeliana (negli scorsi mesi, Tel Aviv ha fermato diverse spedizioni umanitarie che avevano tentato di raggiungere Gaza, talvolta ricorrendo a metodi pirateschi come attacchi con droni in acque internazionali). L’arrivo era originariamente previsto per metà settembre.Come qualunque iniziativa simile, nemmeno la Global Sumud Flotilla è esente da critiche. Alcuni osservatori ne hanno messo in dubbio la genuinità e l’opportunità, domandandosi se si tratti di un gesto realmente utile – date le probabilità di successo dell’impresa, prossime allo zero, ma anche dati i costi esorbitanti della mobilitazione e una serie di apparenti inefficienze logistiche – o non piuttosto di una spettacolarizzazione mediatica per fornire all’ennesimo slancio del performattivismo occidentale una veste di dignità umanitaria con la quale l’opinione pubblica globale si potrà lavare la coscienza.Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (sinistra) e il presidente statunitense Donald Trump (foto via Imagoeconomica)Sia come sia, quel che è certo è che si tratta dell’unica azione concreta attualmente sul tavolo tesa a fermare la carneficina in corso a Gaza e a cercare di mettere all’angolo Benjamin Netanyahu, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità ma intoccabile fintantoché gode della protezione incondizionata delle potenze occidentali, a partire dagli Stati Uniti.Nessun governo sta esercitando una reale pressione su Tel Aviv affinché ponga fine allo sterminio dei palestinesi (bollato come genocidio dalle stesse ong israeliane, oltre che da un buon numero di giuristi ed esperti), alla pulizia etnica nella Striscia, allo sfollamento forzato, all’apartheid in Cisgiordania, alle violazioni estese e sistematiche dei diritti umani e, in definitiva, allo smantellamento delle fondamenta stesse del diritto internazionale.Quest’ultimo sembra ormai evaporato, cancellato insieme agli edifici rasi al suolo dall’esercito israeliano (Idf), alla carestia creata artificialmente come ai tempi dell’Holodomor, agli assassini di civili, giornalisti e personale sanitario perpetrati con metodi terroristici, alla violenza impunita dei coloni, alle detenzioni extragiudiziali e ai soprusi di ogni genere che il popolo palestinese subisce da decenni, intensificatisi gravemente negli ultimi 22 mesi. Indisturbato, Netanyahu procede nel fare a pezzi la Palestina, dalle demolizioni in Cisgiordania all’assalto su Gaza City tutt’ora in corso, e il suo sodale Donald Trump continua a vaneggiare di trasformare Gaza nella “riviera del Medio Oriente“.L’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Kaja Kallas (foto: Consiglio europeo)Mentre Tel Aviv starebbe valutando di annettere l’intera zona C – la porzione di Cisgiordania (circa il 60 per cento) che, in base agli accordi di Oslo di trent’anni fa, si trova attualmente sotto il “temporaneo” controllo amministrativo e militare israeliano – come risposta (sic) alle “minacce” di diversi Paesi di riconoscere lo Stato di Palestina all’imminente Assemblea generale dell’Onu, i leader Ue rimangono divisi e in diversi casi rischiano crisi politiche paralizzanti.Non si vede all’orizzonte nemmeno una maggioranza qualificata per una misura cosmetica come la sospensione parziale dei fondi Horizon+ a Israele, come certificato dall’Alta rappresentante Kaja Kallas. “Gli Stati membri non sono d’accordo su come far cambiare rotta al governo israeliano“, ha ammesso il capo della diplomazia comunitaria al termine dell’informale Difesa svoltosi l’altroieri a Copenaghen, dichiarandosi “non molto ottimista” sulla possibilità di fare progressi a stretto giro. Il portavoce della Commissione Thomas Regnier ha rifiutato di commentare su “casi specifici”, rispondendo ad una domanda sulle tecnologie militari vendute da Bruxelles all’Idf per lo sviluppo di droni usati contro i palestinesi.

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    Ribera: “Non possiamo accettare qualsiasi cosa ci chiedano” dagli Usa

    Bruxelles – “Non possiamo accettare qualsiasi cosa ci chiedano”. Mostra il volto duro dell’Unione Teresa Ribera, vice presidente della Commissione europea, responsabile della Concorrenza, parlando oggi con il Financial times (contenuto a pagamento) proposito delle nuove pressioni del presidente Usa Donald Trump sulle regole europee sulle aziende digitali.Dobbiamo “evitare la tentazione di essere subordinati agli interessi altrui”, aggiunge, escludendo che l’Unione possa ammorbidire il Digital Services Act e il Digital Markets Act. “Possiamo essere gentili, educati, cercare di trovare modi per risolvere i problemi e le discrepanze, ma non possiamo accettare qualsiasi cosa [ci chiedano]”, ha detto Ribera al Financial Times, “non possiamo essere soggetti alla volontà di un paese terzo”.“Difenderemo questa posizione”, ha affermato Ribera, ammonendo che “quindi, se abbiamo questo approccio generale e c’è questo tentativo di riaprire la questione, ovviamente la domanda è: ‘Ok, allora non ci sarà alcun accordo [commerciale]’? Non possiamo giocare con i nostri valori solo per venire incontro alle preoccupazioni degli altri“.Secondo Ribera, l’Unione ”ha cercato di essere gentile per vedere come poter recuperare un rapporto di fiducia“ con gli Stati Uniti. Ma se Trump viola quella fiducia ricorrendo a minacce, ”ovviamente dobbiamo attenerci ai messaggi e ai limiti molto chiari che abbiamo cercato di riflettere fin dall’inizio. Uno di questi è il riconoscimento della nostra capacità di proteggere gli interessi e i diritti dei nostri consumatori, dei nostri cittadini”.Ribera infine ricorda che le aziende tecnologiche americane “stanno realizzando grandi profitti da questo mercato, ma sono soggette alle stesse leggi e normative di qualsiasi altro operatore, indipendentemente dalla sede della loro sede centrale”.

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    Nucleare iraniano, gli europei ripristinano le sanzioni su Teheran

    Bruxelles – Lo storico accordo sul nucleare iraniano sembra essere arrivato al capolinea. Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso di ripristinare le sanzioni sulla Repubblica islamica, sospese proprio per effetto del Jcpoa ormai prossimo alla scadenza. Le nazioni europee sperano di mettere pressione su Teheran affinché si impegni seriamente al tavolo negoziale, mentre gli ayatollah minacciano “gravi ripercussioni”.Stamattina (28 agosto), i rappresentanti di Francia, Germania e Regno Unito – il gruppo noto come E3 – hanno consegnato una lettera ai membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite notificando l’attivazione del cosiddetto meccanismo snapback per ripristinare le sanzioni internazionali contro l’Iran, sospese per un decennio come previsto dal Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), l’accordo del 2015 sul nucleare di Teheran.“Sulla base di prove concrete, l’E3 ritiene che l’Iran sia in una posizione di grave inadempienza dei propri impegni” ai sensi del Jcpoa, si legge nella missiva. Il ministro degli Esteri transalpino, Jean-Noël Barrot, ha ribadito che “l’escalation nucleare dell’Iran non deve andare oltre“. Il principale timore delle cancellerie occidentali (che tuttavia non è mai stato sostenuto da prove tangibili) è che la Repubblica islamica abbia infranto l’obbligo di limitare il proprio programma nucleare esclusivamente a scopi civili, arricchendo l’uranio con l’obiettivo di produrre ordigni atomici.Avec mes collègues @AussenMinDE et @DavidLammy, nous avons officiellement notifié au Conseil de sécurité des Nations unies le non-respect notable par l’Iran de ses engagements au titre du Plan d’action global commun, et avons déclenché la procédure dite de « snapback ».…— Jean-Noël Barrot (@jnbarrot) August 28, 2025La risposta di Teheran non si è fatta attendere. Il titolare degli Esteri Abbas Araghchi l’ha denunciata come “un’azione ingiustificata, illegale e priva di qualsiasi base giuridica“, sostenendo che “l’Iran ha sempre agito in modo responsabile e in buona fede” e ammonendo che la Repubblica islamica reagirà “in modo appropriato”. Gli ayatollah, che in passato hanno già minacciato di ritirare il Paese dal trattato di non-proliferazione nucleare (Tnp) nel caso in cui fossero state reintrodotte le sanzioni internazionali, hanno ammonito su non meglio specificate “gravi ripercussioni“.La decisione di attivare lo snapback è stata descritta dai responsabili delle nazioni E3 come inevitabile dopo il sostanziale buco nell’acqua dell’ultimo round di trattative svoltosi a Ginevra lo scorso 26 agosto. Almeno a parole, gli europei lasciano la porta aperta al dialogo: le diplomazie dei Paesi E3 si dicono disposte a negoziare un nuovo accordo con le controparti iraniane prima che tornino in vigore le misure restrittive. “Questa misura non segna la fine della diplomazia“, ha osservato Barrot, reiterando che Parigi, Berlino e Londra restano “determinate a sfruttare il periodo di 30 giorni che si apre per dialogare con l’Iran“.Secondo i negoziatori europei, la Repubblica islamica non avrebbe ottemperato alle principali richieste avanzate dagli occidentali il mese scorso, quando avevano dato a Teheran fino alla fine di agosto per riprendere i colloqui diretti con gli Stati Uniti, accogliere nuovamente gli ispettori dell’Onu nei propri stabilimenti nucleari e consegnare il materiale fissile di cui si presume gli ayatollah siano ancora in possesso.I tecnici dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) erano stati estromessi dall’Iran in seguito all’aggressione israeliana di metà giugno e ai successivi bombardamenti statunitensi sui siti nucleari di Fordo, Natanz e Isfahan. Questa settimana, gli ispettori dell’Aiea sono stati riammessi sul suolo iraniano, seppur con forti limitazioni. Secondo le intelligence occidentali, il Paese dispone di circa 400 chilogrammi di uranio altamente arricchito – ad un livello sufficiente per confezionare un ordigno atomico (la soglia limite è il 90 per cento) – che non sono mai riemersi dopo l’attacco dei B-2 Spirit a stelle e strisce.Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi (foto: Anwar Amro/Afp)Non avendo riscontrato sufficiente buona volontà da parte di Teheran, dunque, Parigi, Berlino e Londra hanno deciso di attivare in tutta fretta il meccanismo di ripristino. Il prossimo 18 ottobre scadrà la risoluzione 2231, che disciplina il Jcpoa e prescrive che non si possano rimettere in piedi le sanzioni pre-2015 (comminate Onu, Usa e Ue) a meno di 30 giorni dal termine del trattato.Ora, sulla carta il Consiglio di sicurezza ha un mese per mantenere in vigore la sospensione delle sanzioni. Ma per farlo sono necessari almeno nove voti a favore sui 15 totali e, soprattutto, nessun veto da parte dei membri permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Usa). Tutti e cinque i membri permanenti, più l’Ue, facevano anche parte del Jcpoa finché Donald Trump non ritirò gli Stati Uniti dall’accordo nel 2018.A meno che l’organo esecutivo dell’Onu non intraprenda altre azioni, le sanzioni pre-Jcpoa verranno reintrodotte alla fine di settembre, un automatismo che non può essere bloccato nemmeno dai voti contrari di Pechino e Mosca. Le misure restrittive dell’Onu, sospese dal trattato del 2015, erano state comminate tramite sei risoluzioni tra il 2006 e il 2010 e includono un embargo sulla vendita di armi, il divieto di arricchire l’uranio oltre le soglie della ricerca civile, il divieto di sviluppare e trasferire tecnologia missilistica balistica (inclusi i lanci) e il congelamento di una serie di asset iraniani a livello globale.

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    Un attacco russo ha colpito la delegazione Ue a Kiev. Bruxelles promette nuove sanzioni

    Bruxelles – Nell’attacco missilistico condotto questa notte dalla Russia su Kiev è stata colpita anche la sede della delegazione Ue in Ucraina. Immediate le condanne dei vertici comunitari, secondo i quali il Cremlino non dimostra alcun reale interesse per la pace. Intanto le trattative internazionali procedono a rilento, mentre i Ventisette discutono di garanzie di sicurezza e nuove sanzioni contro Mosca.Durante la notte tra il 27 e il 28 agosto, l’ennesimo bombardamento russo sulla capitale ucraina ha coinvolto la sede della delegazione dell’Unione europea, danneggiandola gravemente secondo le informazioni fornite dai funzionari che vi lavoravano. Stando ai rapporti locali, il raid avrebbe ucciso una decina di persone e ne avrebbe ferite una trentina, danneggiando una serie di edifici inclusa anche la sede del British Council, l’istituto di promozione della lingua inglese all’estero.Secondo Katarina Mathernova, ambasciatrice Ue a Kiev, il palazzo della delegazione sarebbe stato “gravemente danneggiato dall’onda d’urto” provocata dal bombardamento di un edificio civile nelle vicinanze. “Questa è la vera risposta di Mosca agli sforzi di pace“, ha aggiunto. Al momento attuale non risultano vittime tra il personale della delegazione.L’attacco russo su Kiev del 28 agosto 2025 (foto: delegazione Ue in Ucraina)Non si è fatta attendere la condanna di Bruxelles e la solidarietà delle istituzioni comunitarie verso le vittime civili e lo staff della delegazione. “Sono sconvolto dall’ennesima notte di attacchi missilistici contro l’Ucraina”, ha scritto su X il presidente del Consiglio europeo, António Costa, sottolineando che “l’Ue non si lascerà intimidire” dalle bombe della Federazione. “L’aggressione della Russia non fa che rafforzare la nostra determinazione a sostenere l’Ucraina e il suo popolo”, ha aggiunto.Per la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, “la Russia deve cessare immediatamente i suoi attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili e partecipare ai negoziati“, accettando la mediazione offerta dal presidente statunitense Donald Trump. Durante un punto stampa in tarda mattinata, la timoniera del Berlaymont si è detta “oltraggiata dall’attacco” in cui, ha spiegato, “due missili hanno colpito entro una distanza di 50 metri dalla delegazione nell’arco di 20 secondi”. Alle sue spalle, uno schermo proiettava le immagini della struttura colpita dall’attacco.“La Russia non si fermerà di fronte a niente pur di terrorizzare l’Ucraina“, ha rincarato, “incluso prendere di mira l’Ue”. E ha promesso di continuare a “mantenere la massima pressione” su Mosca rafforzando il regime sanzionatorio di Bruxelles e portando avanti “il lavoro sugli asset russi immobilizzati per contribuire alla difesa e alla ricostruzione dell’Ucraina”. Per il momento – riferiscono i portavoce della Commissione – il focus è sugli extraprofitti generati dai beni russi congelati più che sui beni stessi, il cui valore si aggira intorno ai 210 miliardi di euro nella giurisdizione dell’Unione, tuttavia le discussioni sul tema continuano.I’m outraged by the missile and drone attack on Kyiv, killing men, women and children.And damaging our EU diplomatic mission.My thoughts go to our brave staff.Russia’s strikes on Kyiv will only strengthen Europe’s unity and Ukraine’s defiance ↓ https://t.co/VzuBWIPxzH— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 28, 2025Contestualmente, von der Leyen ha annunciato che domani inizierà un tour in “sette Stati membri che stanno rafforzando e proteggendo i nostri confini esterni con la Russia e la Bielorussia“: nell’ordine della visita, che durerà fino a lunedì, toccherà Lettonia, Finlandia, Estonia, Polonia, Bulgaria, Lituania e Romania (Sofia e Bucarest sono in prima linea sul fianco orientale della Nato anche se non condividono direttamente una frontiera con Mosca e Minsk). L’obiettivo è “esprimere la piena solidarietà dell’Ue e condividere i progressi che stiamo facendo nella creazione di una forte industria europea della difesa“, ha spiegato.Come confermato dalla portavoce della Commissione per gli affari esteri, Anitta Hipper, l’Alta rappresentante Kaja Kallas ha convocato per “oggi stesso” il chargé d’affaires della Federazione a Bruxelles per protestare l’accaduto. Il capo della diplomazia a dodici stelle ha redarguito Mosca: “Mentre il mondo cerca una via per la pace, la Russia risponde coi missili“, ha dichiarato, ingiungendo al Cremlino di “fermare le uccisioni e negoziare” la cessazione delle ostilità.Anche la commissaria all’Allargamento Marta Kos ha condannato “fermamente questi attacchi brutali“, definendoli “un chiaro segnale che la Russia rifiuta la pace e sceglie il terrore“. “La nostra piena solidarietà va al personale dell’Ue, alle loro famiglie e a tutti gli ucraini che subiscono questa aggressione“, ha concluso.Il ministro degli Esteri ucraino Andrij Sybiha ha invocato “non solo la condanna dell’Ue, ma anche quella mondiale” per quella che definisce una “violazione diretta della Convenzione di Vienna“, nella quale viene sancita la sicurezza dei corpi diplomatici e l’inviolabilità di ambasciate e missioni internazionali.Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky (foto via Imagoeconomica)Sulla stessa linea, Volodymyr Zelensky ha dichiarato di aspettarsi “una risposta da parte di tutti coloro che nel mondo hanno invocato la pace, ma che ora più spesso rimangono in silenzio”, puntando il dito in particolare contro l’Ungheria di Viktor Orbán, il più filorusso tra gli Stati Ue che da tempo si mette di traverso sia sulle sanzioni a Mosca sia sugli aiuti a Kiev, per non parlare del veto contro l’adesione di quest’ultima al club europeo.Stasera, i titolari della Difesa dei Ventisette si riuniranno a Copenaghen per avviare una riunione informale che si protrarrà nella giornata di domani, mentre sabato sarà il turno dei responsabili degli Esteri. Sul tavolo soprattutto la questione delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina – su cui i membri della coalizione dei volenterosi stanno discutendo intensamente in queste settimane – e quella del 19esimo pacchetto di misure restrittive contro il Cremlino, che la Commissione vorrebbe presentare a inizio settembre.Dopo aver incontrato Trump in Alaska, lo scorso 15 agosto, il presidente russo Vladimir Putin ha puntato i piedi per rallentare i progressi diplomatici verso una soluzione negoziale della guerra in corso da oltre tre anni e mezzo, reiterando i dubbi già manifestati diverse volte sulla legittimità di Zelensky (il suo mandato è tecnicamente scaduto nel maggio 2024, ma non si possono convocare elezioni finché è in vigore la legge marziale) e bollando come irricevibile la presenza di truppe Nato in Ucraina, uno degli elementi centrali della cosiddetta “forza di rassicurazione” europea che gli alleati di Kiev stanno cercando di definire in una frenetica girandola di riunioni sulle due sponde dell’Atlantico.