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    Tanzania, l’UE chiede il rilascio dei prigionieri politici e indagini su sparizioni e violenze durante le elezioni

    Bruxelles – Un altro partner dell’UE in Africa mostra il suo volto illiberale in occasione delle elezioni presidenziali. In Tanzania, la presidente Samia Suluhu Hassan è stata confermata con il 98 per cento dei consensi, dopo aver escluso dalla partita i leader dei principali partiti d’opposizione. Dal giorno del voto, il 29 ottobre, dal Paese – in cui è stata sospesa la connessione Internet – giungono notizie di centinaia di vittime negli scontri con le forze dell’ordine. In un comunicato a nome dei Paesi membri, l’Alta rappresentante Ue per gli Affari esteri, Kaja Kallas, si è detta “molto preoccupata”, e ha chiesto “il rilascio di tutti i politici detenuti” e indagini “rapide e approfondite su tutti i casi segnalati di rapimenti, sparizioni e violenze“.Suluhu Hassan è al potere dal 2021, ma il suo partito – il Chama Cha Mapinduzi (Partito della Rivoluzione, in lingua swahili) – guida ininterrottamente il Paese da oltre mezzo secolo. Il plebiscito che l’ha riconfermata era prevedibile. Già ad aprile, il vicepresidente e candidato del principale partito di opposizione, Tundu Lissu di Chadema (Partito della Democrazia e dello Sviluppo) , era stato arrestato e accusato di tradimento e reati informatici. Sorte simile è toccata il mese scorso al candidato di ACT-Wazalendo (Alleanza per il Cambiamento e la Trasparenza), un altro partito di opposizione: il suo leader, Luhaga Mpina, è stato squalificato per vizi di forma dalla corsa elettorale.Chadema aveva lanciato una campagna di boicottaggio del voto in seguito all’arresto del proprio leader, e negli ultimi mesi si sono susseguiti diversi casi di sparizioni forzate di oppositori e critici del governo. Dopo l’annuncio della vittoria di Suluhu Hassan da parte della Commissione elettorale nazionale indipendente (INEC), migliaia di persone hanno protestato per giorni a Dar es Salaam e nei principali centri del Paese. Chadema ha accusato le forze di sicurezza di aver ucciso tra le 500 e le 800 persone durante gli scontri. Il governo ha imposto il coprifuoco e sospeso la connessione internet in tutto il Paese e le notizie sono difficilmente verificabili. Già il 31 ottobre, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti umani (OHCHR), riportava la morte di almeno 10 persone a Dar es Salaam, Shinyanga e Morogoro, a seguito dell’utilizzo di “armi da fuoco e gas lacrimogeni” da parte delle forze di sicurezza per disperdere i manifestanti.Nella giornata di ieri, l’Unione europea ha diffuso una nota sottolineando che “le notizie attendibili relative a un numero elevato di vittime e feriti gravi destano estrema preoccupazione”. Il capo della diplomazia UE ha chiesto “il rilascio di tutti i politici detenuti e un processo trasparente ed equo per le persone arrestate su una solida base giuridica, nonché indagini rapide e approfondite su tutti i casi segnalati di rapimenti, sparizioni e violenze”. Bruxelles è legata al Paese dell’Africa orientale da un partenariato di lunga data: Kallas ha ribadito che l’UE “apprezza” la cooperazione e il dialogo con la Tanzania, rinforzato proprio nel 2021 con l’insediamento di Suluhu Hassan, che ruota intorno a tre priorità: Green Deal, capitale umano e occupazione, governance. L’UE ha stanziato 585 milioni di euro in sovvenzioni per il partenariato con la Tanzania nel periodo 2021-2027.

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    Serbia, un anno di proteste guidate dagli studenti. Nessuna apertura da Vučić e un’UE in grande difficoltà

    Bruxelles – A poche ore dal primo anniversario del crollo della tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, che costò la vita a 16 persone, decine di migliaia di cittadini serbi stanno muovendo in direzione della città a nord di Belgrado: domani (1 novembre) ricorderanno le vittime e ribadiranno che non hanno alcuna intenzione di fermare il più grande movimento di protesta della storia del Paese. Nonostante la ferocia con cui il presidente, Aleksandar Vučić, si è mostrato finora determinato a rimanere al potere.Ieri sera, a Inđija, a metà strada tra la capitale e Novi Sad, circa tremila giovani hanno dormito a cielo aperto, nella strada principale della città, grazie ai materassi e alle coperte messi a disposizione dai cittadini. Il sindaco di Inđija, esponente del partito del presidente (SNS), si è rifiutato di aprire qualsiasi spazio pubblico per accogliere gli studenti. L’appuntamento è alle 11:52 di domani mattina – l’ora esatta del tragico incidente – alla stazione di Novi Sad, dove saranno osservati 16 simbolici minuti di silenzio.Dopo un anno di proteste imponenti contro la corruzione e la gestione autoritaria dell’apparato statale, è tempo di qualche bilancio. Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, “non è stata fatta alcuna apertura” da parte del presidente. Dall’enorme manifestazione di Belgrado, lo scorso 28 giugno, Vučić ha solamente stretto le maglie della repressione “andando al di là di qualsiasi linea rossa vista finora” nel Paese candidato di lunga data all’adesione all’Unione europea. Diversi report di media indipendenti e organizzazioni della società civile hanno denunciato molestie sessuali contro le studentesse arrestate nelle stazioni di polizia e l’utilizzo di armi e sostanze chimiche illegali per respingere i manifestanti. Nel frattempo, il governo ha rinforzato la narrazione che vuole che l’incidente di Novi Sad sia stato in realtà un atto terroristico.Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security PolicyA sostenere pubblicamente questa “teoria del complotto” anche Ana Brnabić, presidente del Parlamento di Belgrado che interverrà al Forum Ue sull’Allargamento, a Bruxelles, il prossimo 18 novembre. L’Unione europea d’altronde, sulla situazione nel paese nel cuore dei Balcani, è in grande difficoltà. Il report annuale sullo stato dell’arte nei Paesi candidati all’adesione, che sarà svelato martedì 4 novembre, dovrebbe adottare un linguaggio molto duro nei confronti di Belgrado. E, pochi giorni fa, il Parlamento europeo ha adottato ad ampia maggioranza una risoluzione in cui ha chiesto a Vučić di fermare la repressione e di “essere serio” nel percorso di adesione.Eppure, uno dopo l’altro, la commissaria Ue per l’Allargamento Marta Kos, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si sono recati a Belgrado per confermare il supporto a Vučić, in quello che Cvijić ha definito un “bisogno masochista dell’Europa di credere in questo governo, perché ha paura di un salto nel buio”. Due settimane fa, in conferenza stampa insieme a Vučić, von der Leyen ha usato il bastone e la carota: dopo aver sottolineato che Bruxelles sta dalla parte “della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“, ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).Ursula von der Leyen e Aleksandar Vucic a Belgrado, 15/10/25 (Photo by Andrej ISAKOVIC / AFP)Proprio quest’ultimo punto – ha commentato Cvijić – mostra il “faticoso gioco” che sta portando avanti il presidente. Secondo la ricostruzione dell’analista politico, è vero che diverse organizzazioni indipendenti sono “entrate con difficoltà e molti rischi per la loro legittimità pubblica” in dialogo con il governo per eleggere i membri del REM, ma “per l’ennesima volta” l’esecutivo “ha usato degli escamotage” per assicurarsi la maggioranza dei membri di questa commissione di controllo.Il gioco di Vučić è su diversi fronti: mostrare finte aperture a Bruxelles, delegittimare i manifestanti e i loro sostenitori – lo stesso Cvijić è stato attaccato da un alto funzionario del governo dopo aver pubblicato un editoriale sul quotidiano britannico The Guardian – e nel frattempo “utilizzare ogni possibilità per approfondire fratture nel movimento democratico”. Perché qualche crepa nel fronte studentesco sulla strategia da perseguire esiste, e ruota intorno al comportamento da tenere in vista di uno degli obiettivi primari, quello di ottenere elezioni legislative anticipate.Una veduta dall’alto delle proteste oceaniche in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić (foto: Tadija Anastasijevic/Afp)In un primo momento, il movimento studentesco aveva rifiutato con convinzione qualsiasi interazione con le istituzioni politiche consolidate, compresi i partiti di opposizione. Ora gli studenti che sostengono con forza la necessità di tornare alle urne hanno annunciato che presenteranno una lista elettorale, che sarà resa pubblica solamente quando e se verranno convocate le elezioni. Una vasta parte della società serba sostiene questa richiesta e ha invitato tutti i partiti dell’opposizione a non partecipare alle eventuali elezioni, in segno di sostegno ai candidati degli studenti. Questo sta inevitabilmente portando a timori e tensioni nel vasto movimento democratico.Ed è lì che sta provando a inserirsi Vučić per allargare le crepe. Secondo Cvijić, il presidente non sta convocando le elezioni perché “non è sicuro di poterle vincere”, e quindi “sta lavorando per rompere il fronte” dell’opposizione e riconquistare terreno. Da calendario istituzionale, la Serbia dovrà in ogni caso tenere le elezioni presidenziali nella primavera del 2027 e quelle per rinnovare il parlamento prima della fine dello stesso anno. Il tempo è dalla parte di Vučić. La storia dalla parte degli studenti. E di quei 16 cittadini schiacciati dalla tettoia di una stazione ferroviaria inaugurata pochi mesi prima, che ha svelato l’inadeguatezza dei lavori e la corruzione dilagante dell’apparato statale del Paese.

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    Gli Stati Uniti richiamano 4.500 soldati dall’Europa dell’est. US Army: “Non è un ritiro”

    Bruxelles – Sul fianco est dell’Europa ci saranno meno soldati statunitensi. Il ritorno in America avverrà in questi giorni e coinvolgerà Ungheria, Slovacchia e Romania. L’annuncio è arrivato oggi, 29 ottobre, dal comando dell’Esercito degli Stati Uniti con responsabilità sull’Europa (US Army Europe). “La 2nd Infantry Brigade Combat Team della 101st Airborne Division verrà ridistribuita, come da programma, nella propria unità di base in Kentucky, senza sostituzioni”, fa sapere l’esercito in una nota.L’impegno americano in Europa resta comunque sostanzioso: sono circa 85.000 i soldati statunitensi, di cui 20.000 sono arrivati nel Continente dopo l’aggressione russa all’Ucraina. In sostanza il numero totale rimane maggiore rispetto al 2022. La decisione però potrebbe rappresentare un messaggio ambiguo a Mosca.The US will reportedly scale down its troop presence in some of the countries on NATO’s eastern flank, Romania’s defense ministry said, as the administration of President Trump reviews its military footprint in Europe.The decision doesn’t amount to “a full withdrawal” of US… pic.twitter.com/fRmyPQmdhK— Alexander Kokcharov (@alex_kokcharov) October 29, 2025Non si tratta di un ritiroLa scelta non è certo un fulmine a ciel sereno. Il Pentagono ha scelto da tempo il suo “teatro principale”, identificando il Pacifico e il contenimento della Cina come obiettivo strategico. Proprio per questo, in un report consultato dall’emittente NBC ad aprile, si parlava di un ritiro dall’Europa di circa 10.000 unità. I suoi primi effetti si sono visti con l’annuncio di oggi.La smobilitazione della “2ª Brigata da Combattimento di Fanteria” non è una scelta casuale. Il reggimento è composto da circa 4.500 uomini ed era stato dispiegato dall’ex presidente statunitense Joe Biden in risposta all’attacco russo. L’unità è una delle più celebri dell’esercito USA e, tra le altre missioni per cui fu impegnata, ci fu lo sbarco in Normandia.Gli alti gradi statunitensi hanno sminuito la decisione: “Non si tratta di un ritiro dall’Europa né di un segnale di minore impegno nei confronti della NATO e dell’articolo 5”, si legge nella nota, che aggiunge: “Questo adeguamento della posizione delle forze armate non cambierà il contesto di sicurezza in Europa”.Le riduzioni saranno soprattutto in Slovacchia, Ungheria e Romania. Bucarest, ad esempio, disponeva di 1.700 soldati americani, saranno ora “900 o 1.000”, conferma il ministro della difesa, Ionut Mosteanu. Nonostante la notizia il ministro non si dice preoccupato: “Le capacità strategiche rimarranno invariate”.“Un segnale sbagliato”A pensarla in modo diverso però ci sono gli analisti. George Scutaru, co-fondatore del think tank New Strategy Center, intervistato da AFP non nasconde scetticismo. “È un segnale sbagliato da mandare a Mosca – afferma Scutaru -, mille unità in più o in meno non fanno la differenza, ma si tratta di un gesto politico chiaro”.La Romania del resto rimane un punto centrale nella difesa del fronte est. Sul suo suolo hanno sede due imponenti basi NATO: quella di Câmpia Turzii e quella di Mihail Kogălniceanu che nei programmi potrebbe diventare la più grande del Continente.Romania swaps its MiG-21s for F-16Cs – boosting NATO Air Policing from Câmpia Turzii ✈️This adds to the 53rd Fighter Squadron at Fetești and the German Air Force Eurofighter detachment from Mihail Kogălniceanuhttps://t.co/7PHKganyKp pic.twitter.com/OUQ8a53tTz— NATO Air Command (@NATO_AIRCOM) October 28, 2025L’Unione e il fianco EstLa decisione arriva in un momento critico per la difesa europea. Le incursioni di velivoli teleguidati negli spazi aerei NATO hanno generato allarme tra gli eserciti. Proprio per questo Scutaru ha affermato che è importante che gli alleati europei inviino “un segnale di solidarietà” e prendano in considerazione l’idea di rafforzare la loro “presenza militare per compensare”. L’Unione Europea dal canto suo sta sviluppando, insieme all’Alleanza Atlantica, un progetto per rafforzare la sua difesa. Il 16 ottobre ha presentato una Roadmap con la finalità di organizzare un riarmo comunitario. L’iniziativa presentata dalla Commissione UE fa sapere il portavoce, Thomas Regnier, “non sarà influenzato da questo disimpegno. Lanceremo il progetto nel primo trimestre del 2026”.

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    Atrocità e uccisioni di massa in Sudan, la crisi umanitaria più grave al mondo precipita ancora

    Bruxelles – Non c’è pace in Sudan, dove il conflitto in corso da due anni e mezzo sta toccando in queste ore un nuovo apice. Da El Fasher, capitale della regione del Darfur settentrionale, giungono notizie di uccisioni sommarie e atrocità da parte delle Forze di Supporto Rapido (RSF), il corpo paramilitare che si oppone all’esercito regolare e che ha preso il controllo della città dopo 18 mesi di logorante assedio. Le Forze congiunte – fedeli alla capitale Khartoum – hanno denunciato più di 2 mila esecuzioni di civili disarmati negli ultimi giorni.In un comunicato, l’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato di aver ricevuto “numerose segnalazioni allarmanti” di crimini e violenze commesse dalle RSF a El Fasher e nella città di Bara, nello Stato del Kordofan settentrionale, nei giorni scorsi. Già lunedì Volker Türk, capo dell’Ufficio dell’Onu, aveva lanciato l’allarme per il rischio crescente di “violazioni e atrocità motivate da ragioni etniche” a El Fasher. Nella primavera del 2023, dopo aver conquistato la città di Geneina, nel Darfur occidentale, le RSF uccisero fino a 15 mila civili, per lo più appartenenti a gruppi non arabi.La situazione sul terreno è confusa, le notizie difficilmente verificabili, ma diversi filmati diffusi da attivisti locali nella città mostrano persone morte a terra e spari contro gruppi di civili disarmati. Le comunicazioni satellitari Starlink – l’unica rete funzionante – sono state interrotte, lasciando la città in un “blackout totale”, secondo il Sindacato dei giornalisti sudanesi.Tra le segnalazioni ricevute dall’UNHCR, “esecuzioni sommarie di civili che tentavano di fuggire, con indicazioni di motivazioni etniche per le uccisioni”, “violenza sessuale diffusa contro donne e ragazze da parte di gruppi armati insieme a notizie di esecuzioni raccapriccianti a El Fasher”. Domenica 26 ottobre le RSF avevano dichiarato di aver espugnato la base militare principale dell’esercito nella città e di aver “esteso il controllo sulla città di El Fasher”. Il capo dell’esercito sudanese, il generale Abdel Fattah al-Burhan, ha confermato lunedì che le truppe governative si sono ritirate “in un luogo più sicuro”.Negli ultimi mesi El Fasher era diventata uno dei principali fronti della guerra civile in corso tra la giunta militare e le RSF, guidate da Mohamed Hamdan Dagalo. Dall’inizio del conflitto, secondo l’Onu più di un milione di persone sarebbero fuggite dalla città e circa 260 mila sarebbero rimaste intrappolate all’interno, senza aiuti umanitari, strette dall’assedio e logorate dai combattimenti. Da domenica, più di 26 mila sarebbero riuscite a scappare, carcando rifugio nelle periferie o verso Tawila, a circa 70 chilometri.La lotta di potere tra le due branche dell’esercito ha innescato una delle crisi umanitarie più gravi della storia recente, in cui più di 150 mila persone sono rimaste uccise oltre 14 milioni di civili sono stati sfollati. Sia l’esercito della capitale sia le RSF sono accusate di crimini di guerra, per aver deliberatamente preso di mira i civili e bloccato gli aiuti umanitari. Già nell’ottobre 2023, l’Unione europea aveva istituito un regime di sanzioni dedicato alla crisi sudanese, inserendo nella lista individui ed entità che facevano capo ad entrambe le parti in guerra.La commissaria europea per la gestione delle crisi, Hadja Lahbib, ha scritto su X che “l’incubo a El Fasher sta raggiungendo il suo apice. I civili vengono uccisi. Le famiglie sono costrette a fuggire dalla violenza delle Fsr (Forze di sostegno rapido). Ricordiamo alle parti in conflitto il loro obbligo di rispettare il diritto internazionale umanitario. I civili devono essere protetti e beneficiare di un passaggio sicuro».Questa mattina, un portavoce della Commissione europea ha espresso “seria preoccupazione per l’intensificarsi delle ostilità a El Fasher”, ricordando che “per oltre 18 mesi, i civili sono stati sottoposti a un assedio imposto dalle Forze di supporto rapido, che ha portato a carenze croniche di cibo, acqua e assistenza medica, mentre sono esposti a bombardamenti costanti”. La Commissione europea, che negli ultimi due anni ha mobilitato più di 300 milioni di euro per l’emergenza umanitaria in Sudan, ha invitato “tutte le parti in conflitto a ridurre l’escalation della situazione, in conformità con la Risoluzione 2736 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, che nel giugno 2024 chiedeva di fermare l’assedio di El Fasher e di cessare i combattimenti, oltre a chiedere ad entrambe le parti di rispettare il diritto umanitario internazionale.D’altra parte la stessa UE negli anni è stata accusata da diverse inchieste e testimonianze di aver arricchito indirettamente le casse delle RSF: attraverso il cosiddetto Processo di Khartoum, il patto che nel 2014 impegnò lo Stato africano a combattere la migrazione illegale in direzione dell’Europa in cambio di finanziamenti per lo sviluppo, l’UE avrebbe versato decine di milioni di euro proprio alle milizie, che all’epoca facevano della gestione della migrazione un business con cui finanziarsi e rafforzare la loro spesa militare.La conquista dell’ultima grande città del Darfur controllata dall’esercito, conferisce ora al gruppo paramilitare delle RSF il controllo su tutte e cinque le capitali degli Stati del Darfur e potrebbe segnare una svolta significativa nella guerra. L’esercito regolare è escluso in sostanza da circa un terzo del territorio sudanese.

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    L’UE vuole integrare l’Ucraina nel sistema di comunicazione satellitare europeo

    Bruxelles – L’Ucraina parte del sistema di comunicazione satellitare UE. Alla fine la Commissione europea viene in soccorso di Kiev, con la proposta di avviare negoziati con il Paese candidato all’adesione all’Unione europea per permetterne la partecipazione a GOVSATCOM, la rete di comunicazione satellitare sicura europea costituita dalle risorse satellitari esistenti degli Stati membri e degli operatori privati UE, parte del più ampio programma spaziale dell’Unione europea. La decisione presa dalla Commissione europea si inserisce in un contesto aggravato dall’inaffidabilità statunitense. A luglio di questa estate Elon Musk aveva annunciato la disconnessione dell’Ucraina da Starlink, la rete di comunicazione satellitare di proprietà di SpaceX, di proprietà del multimiliardario statunitense. Una decisione che aveva di fatto impedito alle forze armate ucraine di poter tracciare i droni russi, e di fronte alla quale l’UE si era resa disponibile a sostituirsi a Starlink attraverso il programma di osservazione satellitare Copernicus e proprio la rete GOVSATCOM.Oggi la Commissione europea traduce in pratica impegni comunque già assunti in primavera, quando UE e Ucraina hanno firmato un accordo per permettere l’ingresso di Kiev all’interno di Copernicus, programma di base civile ma che si intende convertire in militare. In sostanza quel processo di integrazione economica, industriale, strategica e di difesa dell’Ucraina nell’UE prima di quella politica prosegue. “Questo è un passo decisivo verso un’Europa più forte e unita“, sottolinea il commissario per la Difesa, Andrius Kubilius, convinto che “la partecipazione dell’Ucraina rafforzerà le capacità spaziali sicure dell’Europa in un momento critico”. Al netto dell’entusiasmo però servirà pazienza. E tempo. Il negoziato è tutto da fare. Ai sensi del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Commissione, dopo averne proposto l’avvio, dovrà ottenere il via libera del Consiglio, con gli Stati membri chiamati poi ad approvare il testo legislativo sviluppato con i negoziati.

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    Von der Leyen cerca supporto sugli asset russi al Consiglio nordico, dove Mosca è una “minaccia reale”

    Bruxelles – Un confine lungo 1.340 chilometri tra Finlandia e Russia, e un mare – quello di Barents – teatro di imponenti esercitazioni militari da parte di Mosca, fanno dei Paesi scandinavi la prima linea europea quando si tratta di preparazione alle minacce esterne. È lì, al Consiglio Nordico, che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen cerca conferme alle ultime proposte per accelerare il riarmo del continente e rafforzare il sostegno all’Ucraina. A partire dal piano per utilizzare i 180 miliardi degli asset congelati russi per coprire gli urgenti bisogni finanziari di Kiev. Un piano che procede a rilento, e che rischia di complicare non poco le cose.Von der Leyen ha partecipato alla giornata inaugurale del 77esimo Consiglio Nordico, forum di cooperazione interparlamentare che riunisce Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e tre territori autonomi di Groenlandia, Isole Fær Øer e Isole Åland. Al Parlamento di Stoccolma, ha incontrato i primi ministri dei Paesi della regione. Una regione che ha definito “la stella polare dell’Europa”, in termini di “prontezza e preparazione attraverso tutta la società”, e nella capacità di “monitoraggio dell’Artico a nord e di deterrenza di un vicino ostile a est”.Nella conferenza stampa congiunta insieme ai leader del Consiglio Nordico, il focus non poteva che essere sulla minaccia russa. “La guerra in Ucraina ha reso la nostra regione un punto caldo”, ha sottolineato il premier finlandese Petteri Orpo. Helsinki, oggetto delle mire imperialiste di Mosca per secoli, fa nomi e cognomi: “La Russia è la minaccia numero uno. Quando la guerra in Ucraina finirà, la Russia sposterà le sue forze militari al di là del nostro confine. È una minaccia reale per noi“, ha indicato chiaramente Orpo.La conferenza stampa congiunta dei leader del Consiglio nordico con la presidente della Commissione europea, Ursula von der LeyenI test nucleari che hanno coinvolto le forze aeree, navali e di terra russe pochi giorni fa, fanno parte di “una lunga tradizione che la Norvegia segue molto da vicino”, ha affermato il premier norvegese, Jonas Gahr Støre. I norvegesi, ha insistito, vivono a “100 chilometri dal più grande arsenale nucleare del mondo”. Il Consiglio Nordico “non ha paura, ma siamo preparati”, ha concluso Gahr Støre.Il vero dibattito, è sullo stallo sulla proposta di utilizzare gli asset della Banca Centrale Russa per finanziare un prestito di riparazione all’Ucraina, che copra i bisogni macro-finanziari del Paese in conflitto per i prossimi due anni. Nonostante il flop del Consiglio europeo, von der Leyen cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno: i leader “si sono impegnati a coprire il fabbisogno finanziario dell’Ucraina per il 2026-27“, ha sottolineato. Ma nelle conclusioni del vertice figura solo la generica richiesta di esplorare opzioni, e nessun riferimento al lavoro sugli asset russi. Inviso soprattutto al Belgio, che ne detiene la stragrande maggioranza.Dal Consiglio Artico invece, l’endorsement al lavoro sul ‘prestito di riparazione’ è totale. È “l’unica soluzione ragionevole”, ha affermato Orpo. “Non ci sono alternative”, gli ha fatto eco Mette Frederiksen, premier della Danimarca. La Commissione europea potrà contare su Svezia, Finlandia e Danimarca quando, al prossimo vertice di dicembre, i capi di stato e di governo dell’Ue dovranno per forza esprimersi con chiarezza sulla proposta legislativa su cui sta lavorando l’esecutivo, che a quel punto rischia di essere già in ritardo.Anche perché nessuno dei nordici vuole sentire parlare dell’altra opzione verosimile. Quella di uno strumento di debito comune. E nemmeno la ricca Norvegia, che dell’UE non fa parte, sembra voler dare seguito all’ultima idea che circola a Bruxelles, cioè che proprio Oslo posa fare da garante al prestito all’Ucraina per rassicurare i più scettici.

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    La Lituania chiude il confine con la Bielorussia. Decisive le incursioni con palloni aerostatici

    Bruxelles – Ritornano le incursioni nello spazio aereo dell’Unione Europea. Questa volta gli attacchi ibridi hanno colpito i cieli lituani, violati da tre giorni da palloni aerostatici bielorussi. Questi eventi indesiderati hanno obbligato, oggi 27 ottobre, la prima ministra Inga Ruginienė a chiudere i quasi 700 chilometri di confine con la Bielorussia. “Stiamo inviando un segnale alla Bielorussia: nessun attacco ibrido sarà tollerato e stiamo adottando le misure più severe per fermarli”, ha affermato Ruginienė, suggerendo anche un possibile appello all’articolo 4 della NATO, quello relativo alle consultazioni tra gli Stati membri.Confini chiusiLe incursioni erano state costanti durante la settimana scorsa, causando l’interruzione delle attività in diversi scali aeroportuali. Le autorità erano state costrette a chiudere lo spazio aereo più di quattro volte nella settimana precedente, provocando disagi a oltre 30.000 passeggeri, secondo l’emittente pubblica lituana LRT.Oltre allo spazio aereo, questa volta la Lituania ha voluto dare un segnale ancora più forte, sigillando i propri valichi di frontiera. In una nota su X, la prima ministra Ruginienė ha motivato così la decisione: “Gli autocrati stanno ancora una volta mettendo alla prova la resilienza dell’UE e della NATO contro le minacce ibride. La nostra risposta determinerà fino a che punto oseranno spingersi gli autocrati”.La chiusura temporanea del confine è iniziata in mattinata, ma si parla già di rendere la decisione definitiva grazie all’approvazione del governo prevista per mercoledì. La misura rappresenterebbe un problema significativo per Minsk, che deve già fare i conti con il blocco a tempo indeterminato del traffico con la vicina Polonia. Le autorità bielorusse, in ogni caso, negano qualsiasi coinvolgimento e definiscono la decisione lituana “una provocazione volta a giustificare le politiche anti-bielorusse e ad ampliare le sanzioni”, come riportato in una nota diffusa dall’agenzia di stampa russa Tass.⚡️BREAKING: Lithuania’s PM I. Ruginienė just announced that the border with Belarus will stay closed, and any balloons violating Lithuanian airspace will be shot down! pic.twitter.com/QLlew9nHfV— Auraja ‡ (@Twee_Papillon) October 27, 2025I palloni del contrabbandoL’episodio è rilevante anche per le modalità utilizzate. I mezzi utilizzati dai bielorussi per entrare nel cielo lituano non sono stati droni, come nei gravi episodi di settembre, ma palloni aerostatici. Questi velivoli sono stati tradizionalmente impiegati dai contrabbandieri per spostare merci tra i due valichi di frontiera. Sotto questa copertura, i bielorussi avrebbero tentato di mascherare l’attacco ibrido. Ipotesi che però non ha convinto i lituani. “Sta diventando sempre più chiaro che non si tratta di contrabbando ordinario. Il contrabbando viene utilizzato come copertura per quella che in realtà è un’operazione psicologica ibrida”, aveva dichiarato, prima della chiusura del confine, Deividas Matulionis, consigliere capo per la sicurezza nazionale lituana.La scelta dei palloni aerostatici da parte dei bielorussi si spiega anche per via delle loro caratteristiche tecniche. Questi velivoli sono molto efficaci grazie alla capacità di volare a bassa quota ma ad alta velocità, circa 100-200 chilometri orari. “Abbatterli con armi da fuoco è una missione impossibile: volano troppo bassi”, aveva aggiunto Matulionis, evidenziando la vulnerabilità dello spazio aereo comunitario.The Lukashenka regime continues its hybrid war against — last night, more “weather balloons” crossed into Lithuania.We support ’s firm response, while calling to keep the borders open for honest Belarusians.Only a free, democratic Belarus can end these threats to Europe. pic.twitter.com/kwCJGLqvYj— Sviatlana Tsikhanouskaya (@Tsihanouskaya) October 27, 2025Il commento dell’UnioneGli attacchi subiti dal piccolo paese baltico hanno avuto un’eco internazionale. La prima a essere chiamata in causa è stata l’Unione Europea. Durante la conferenza stampa di mezzogiorno, la portavoce della Commissione Europea, Anna-Kaisa Itkonen, ha ricordato che “la chiusura dello spazio aereo è una prerogativa degli Stati membri. Siamo a conoscenza dell’accaduto e restiamo in contatto con la Lituania”. L’episodio potrebbe rappresentare un ulteriore motivo per accelerare la costruzione di quel “muro anti-droni” che l’UE sta sviluppando in sinergia con la NATO.

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    UE-Cina ai ferri corti, Bruxelles prepara la risposta alle restrizioni di Pechino sulle terre rare

    Bruxelles – Una crisi dopo l’altra, ora “alle nostre porte“: il rischio è quello di uno stop all’approvvigionamento di materie prime critiche. A Bruxelles – e a Washington – è scattato l’allarme dopo che la Cina ha annunciato restrizioni sull’export di terre rare e tecnologie correlate. L’intesa sui dazi tra Trump e Xi Jinping, con Pechino che si sarebbe impegnata a rimandare di un anno l’entrata in vigore delle restrizioni, è una segnale di disgelo. Intanto, da questa parte dell’Atlantico, l’Unione europea affila le armi a sua disposizione.In un discorso tenuto sabato (25 ottobre) al Berlin Global Dialogue 2025, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affermato: “Siamo pronti a utilizzare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rispondere, se necessario”. La priorità – così com’è stata per mesi durante i negoziati per l’intesa sui dazi con Washington – è “cercare soluzioni con i nostri omologhi cinesi”. Ma un’altra capitolazione al volere di una grande potenza rischierebbe di essere fatale alla leader Ue. Che dunque non esclude di mettere sul tavolo quelle misure coercitive che invece aveva lasciato nel cassetto nelle trattative con l’alleato occidentale.In realtà, von der Leyen rivede nella decisione di Pechino il rischio di un ricatto simile a quello energetico subito dalla Russia di Vladimir Putin. L’UE è vulnerabile perché estremamente dipendente dalle importazioni cinesi di materie prime critiche, fondamentali per la doppia transizione verde e digitale, così come lo era dal gas di Mosca. “Se si considera che oltre il 90 per cento del nostro consumo di magneti in terre rare proviene dalle importazioni cinesi, si comprendono i rischi per l’Europa e i suoi settori industriali più strategici, dall’automobile ai motori industriali, passando per la difesa, l’aerospaziale, i chip per l’intelligenza artificiale e i centri dati”, ha ammesso nel suo intervento alla kermesse berlinese. Un “rischio significativo”, una “minaccia per la stabilità delle catene di approvvigionamento globali” che “avrà un impatto diretto sulle imprese europee”.Antonio Costa, Xi Jinping e Ursula von der Leyen al summit UE-Cina a Pechino, 24/07/25A disposizione di Bruxelles c’è il cosiddetto ‘bazooka’ europeo, lo strumento anti-coercizione entrato in vigore nel dicembre 2023 ma ancora mai utilizzato, che offre – in caso di minacce commerciali deliberate di Paesi terzi – un ventaglio di contromisure che vanno dall’imposizione di dazi alle restrizioni al commercio dei servizi e agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale, fino a restrizioni all’accesso agli investimenti diretti esteri e agli appalti pubblici. A soli tre mesi dal vertice UE-Cina in cui si sono celebrati i 50 anni delle relazioni diplomatiche tra Bruxelles e Pechino, l’ipotesi di utilizzare un tale strumento rende l’idea di quanto stia precipitando il rapporto con il gigante asiatico.Parallelamente, la Commissione europea avrebbe messo in cantiere un nuovo piano per affrontare la “sfida strutturale” dell’approvvigionamento di materie prime. Si chiamerà ‘ReSourceEU’, sulla falsa riga di quel ‘RePowerEU’ lanciato nel maggio 2022 per far fronte alla crisi dei prezzi dell’energia innescata dall’invasione russa in Ucraina. Sarà presentato “entro la fine dell’anno”, ha precisato un portavoce della Commissione europea. “L’obiettivo è garantire l’accesso a fonti alternative di materie prime essenziali a breve, medio e lungo termine per la nostra industria europea”, ha illustrato ancora von der Leyen. Il piano includerà misure per promuovere l’economia circolare, in modo da riutilizzare al meglio le materie prime essenziali già contenute nei prodotti venduti in Europa, acquisti collettivi e stoccaggio strategico. Inoltre, “accelereremo i lavori sui partenariati per le materie prime essenziali con paesi come Ucraina, Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia”, ha aggiunto la presidente dell’esecutivo Ue. Proprio il giorno prima, l’Ue ha siglato uno di questi accordi rafforzati (Epca) con l’Uzbekistan.Intanto questa mattina, a margine del vertice dei Paesi ASEAN a Kuala Lumpur, si è mosso anche il presidente del Consiglio europeo. In un bilaterale con il premier cinese Li Qiang, Antonio Costa ha sottolineato “l’importanza che l’Ue attribuisce a relazioni costruttive e stabili con la Cina” ed espresso “forte preoccupazione per l’estensione dei controlli sulle esportazioni di materie prime critiche e di beni e tecnologie correlati”. Costa ha invitato Pechino a “ripristinare quanto prima catene di approvvigionamento fluide, affidabili e prevedibili”. Giovedì 30 ottobre è attesa a Bruxelles una delegazione di tecnici del governo cinese per un incontro di alto livello sul tema con la Commissione europea.