Bruxelles – Solo 12 leader su 60 e la defezione – ultima in ordine di tempo – della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Sono i numeri impietosi che ridimensionano un vertice, quello tra i 27 Paesi dell’Unione europea e i 33 latinoamericani e dei Caraibi del CELAC, carico di aspettative. Sebbene da Bruxelles affermino che von der Leyen (che si trova già in Sud America, a Belém, in Brasile, per la COP30) ha rinunciato alla tappa in Colombia a causa della “scarsa presenza dei capi di Stato e di Governo”, l’ombra che si allunga sul summit è quella degli Stati Uniti, della loro rinnovata pressione sul continente e sulle invitabili frizioni sul delicato argomento.
L’ultima volta, a Bruxelles, nel luglio 2023, c’erano quasi tutti: si celebrava il primo vertice UE-CELAC dopo otto anni e Ursula von der Leyen giocava in casa per proseguire le trattative che da lì a un anno avrebbero portato alla finalizzazione dell’accordo commerciale con i quattro del Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay). Domenica 9 novembre a Santa Marta, in Colombia, ci sarà Antonio Costa, presidente del Consiglio europeo, mentre von der Leyen ha chiesto all’Alta rappresentante UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, di presenziare al posto suo.
Bogotà ha confermato la partecipazione di 12 capi di Stato e di governo, 6 vicepresidenti e 23 ministri degli Esteri. Dal vecchio continente arriveranno il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, e quello portoghese, Luis Montenegro, legati da relazioni storiche, linguistiche, commerciali con l’America Latina. Ci saranno il premier finlandese, Petteri Orpo, il primo ministro dei Paesi Bassi, Dick Schoof, e quello della Croazia, Andrej Plenkovic. Mancano all’appello, tra i tanti, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, la premier italiana Giorgia Meloni, e il presidente francese Emmanuel Macron. Ed anche tra i 33 del CELAC, le defezioni importanti non mancano: non ci sarà Javier Milei, presidente dell’Argentina, e nemmeno Claudia Sheinbaum, presidente del Messico.
Ci sarà invece il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, che ha fatto sapere che non mancherà di esprimere la “solidarietà regionale” al Venezuela: il regime autoritario di Nicolas Maduro è sempre più apertamente minacciato dagli Stati Uniti, che a settembre hanno intrapreso alcune manovre militari nelle acque del Mar dei Caraibi di fronte a Caracas. Il ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, ha spiegato da Belém che si tratta “della posizione della nostra politica estera”, e cioè che “l’America latina e, soprattutto, l’America del sud, in cui ci troviamo, è una regione di pace e cooperazione”.
La rinnovata aggressività di Washington verso quello che duecento anni fa fu definito il “cortile di casa” degli Stati Uniti non è limitata al Venezuela, il Paese con i maggiori giacimenti petroliferi al mondo, ma colpisce anche la Colombia e il suo presidente, che presiederà il summit, Gustavo Petro. Solo due settimane fa, Donald Trump ha accusato il presidente colombiano di essere “il leader dei narcotrafficanti” e ha annunciato lo stop di tutti gli aiuti americani al Paese.
È in questo contesto che inevitabilmente le discussioni relative alla transizione energetica e digitale, alla cooperazione e all’integrazione commerciale rischiano di passare in secondo piano. Nonostante le cancellerie europee abbiano giustificato le assenze dei leader illustrando la fitta agenda di novembre – oltre alla COP30 in Brasile, ci sarà poi il G20 in Sudafrica e il vertice UE-Unione africana in Angola -, il timore di trovarsi nella posizione scomoda di dover condannare pubblicamente l’amministrazione americana potrebbe aver giocato la sua parte. D’altronde, anche se la stessa Commissione europea ha ricordato che “le relazioni UE-CELAC sono molto importanti in questo contesto di sfide e divisioni geopolitiche”, è inutile chiedere all’Unione europea di scegliere tra gli Stati Uniti e qualsiasi altro partner al mondo.
A ben vedere, gli stessi Paesi latinoamericani potrebbero non scegliere l’Unione europea, se posti di fronte alla stessa domanda. L’assenza di Sheinbaum, ad esempio, mostra che la priorità del Messico, piuttosto che approfondire i rapporti con il club a dodici stelle, è rinegoziare i dazi con gli Stati Uniti, destinazione di oltre l’80 per cento dell’export del Paese. È proprio in questo contesto di “sfide e divisioni geopolitiche”, che ognuno – soprattutto i pesci più piccoli, come l’UE e l’America Latina – si promettono in matrimonio ma sono pronti a legarsi alle grandi potenze. È proprio in questo contesto che lo scorso maggio, infine, si è tenuto il quarto forum tra i 33 dell’America latina e dei Caraibi e la Cina, a Pechino, alla presenza di Xi Jinping.

