Bruxelles – Incapace di fare la voce grossa nel braccio di ferro sui dazi commerciali con Donald Trump, l’Unione europea ha individuato due strade per non uscirne con le ossa rotte: da un lato l’approfondimento del mercato unico da un lato, dall’altro la ricerca spasmodica di nuove partnership commerciali. In America Latina e nei Caraibi, in Asia Centrale e in Australia, Bruxelles cerca di tessere una tela di accordi di libero scambio. Ieri (13 luglio) un nuovo tassello: l’obiettivo è finalizzare entro settembre un accordo di partenariato economico globale con l’Indonesia.
L’hanno annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente della Repubblica d’Indonesia, Prabowo Subianto. I negoziati erano in corso da 10 anni, ma la guerra commerciale globale scatenata da Trump ne ha imposto una decisa accelerazione. Se l’Ue rischia dazi del 30 per cento a partire dal primo agosto, all’Indonesia non è andata meglio: nella ‘letterina’ arrivata da Washington, all’arcipelago del sud-est asiatico sono stati annunciate tariffe del 32 per cento.
“In tempi di sfide globali come questi, i partner devono stringere i loro legami”, ha sottolineato von der Leyen a margine dell’accordo politico raggiunto con Subianto. II Cepa (Accordo di partenariato economico globale) promuoverà il commercio e gli investimenti tra Bruxelles e Giacarta e sosterrà la cooperazione sulle materie prime critiche, estratte in gran quantità nelle isole vulcaniche della Repubblica d’Indonesia. “L’accordo aprirà nuovi mercati e creerà migliori opportunità per le nostre imprese. Contribuirà inoltre a rafforzare le catene di approvvigionamento di materie prime essenziali, fondamentali per l’industria europea delle tecnologie pulite e dell’acciaio“, ha affermato la leader Ue.
Per il presidente indonesiano l’accordo “non riguarda solo il commercio, ma anche l’equità, il rispetto e la costruzione di un futuro forte insieme”. L’Indonesia, con un Pil di 1.200 miliardi di euro, è divenuta rapidamente una delle maggiori economie globali, oltre ad essere la terza democrazia più grande al mondo e il quarto Paese per popolazione. Un gigante della regione, che rappresenta più di un terzo del Pil dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean). Ma se l’Ue è il quinto partner commerciale per l’Indonesia in termini di scambio di beni e servizi, viceversa Giacarta è solo al 33esimo posto nella classifica di Bruxelles. L’anno scorso, l’Ue ha esportato beni per 9,7 miliardi di euro in Indonesia, importando invece per un totale di 17,5 miliardi di euro.
L’Indonesia e il nodo deforestazione
Da Giacarta arrivano soprattutto prodotti agricoli e materie prime. Olio di palma, caffè, cacao, ma anche carbone, stagno, gomma. Prodotti che arrivano dalle foreste pluviali del Borneo, di Sumatra, di Sulawesi: quel che non dice von der Leyen è che l’Indonesia ha un tasso di deforestazione tra i più alti al mondo, in aumento costante negli ultimi anni. Dal 1990, il Paese ha perso circa il 25 per cento delle sue foreste secolari e secondo l’ong Global Forest Watch, dal 2001 al 2024 il 76 per cento della perdita di copertura arborea è legata ad attività di deforestazione. La distruzione delle foreste è dovuta appunto principalmente all’attività mineraria, alla produzione di olio di palma e al commercio di legname.
L’Indonesia non è tuttavia stata inserita nella lista dei Paesi ad alto rischio di deforestazione, stilata da Bruxelles come previsto dal regolamento Eudr sulla deforestazione importata. Nell’elenco ci sono solo Russia, Bielorussia, Corea del Nord e Myanmar. Nei loro confronti l’Ue rafforzerà, a partire dal 30 dicembre 2025, i controlli alle importazioni di prodotti come carne bovina, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno.