“I bolsonaristi più fanatici dovranno adeguarsi alla maggioranza della società”. Luis Ignacio Lula da Silva ‘voltou’, è tornato. L’icona pop della sinistra sudamericana – grande favorito nei sondaggi – si è ripreso la scena, deciso a pacificare il Paese diviso, dopo i quattro anni di mandato del presidente di destra Jair Bolsonaro, pronto – almeno a parole – a combattere con tutti i mezzi pur di restare in sella. Una “svolta epica” l’ha definita il New York Times nei suoi pronostici sul Brasile al voto, per la fenice risorta dalle sue ceneri a 76 anni, dopo essere stata travolta dall’inchiesta Lava Jato, la mani pulite brasiliana guidata dal giudice Sergio Moro, poi diventato ministro della Giustizia (in seguito dimissionario) del governo dell’ex parà appoggiato dalla chiesa evangelica e dalla polizia militare. Un capitolo buio e mai chiarito fino in fondo (le condanne vennero annullate e tutto finì in prescrizione), costato 18 mesi di carcere all’uomo simbolo del Partito dei lavoratori, che ora chiede di essere “risarcito”, adombrando forse – come alcuni osservatori sostengono – un certo desiderio di regolamento di conti, una volta che avrà ben strette in pugno le redini della decima economia del mondo. Nonostante la campagna più polarizzata nella storia del colosso verde-oro, che nei 46 giorni di comizi e scambi di accuse ha contato persino tre morti, l’ex sindacalista è convinto che sarà “facile ristabilire pace e democrazia nel Paese”.
La sua ricetta per il “Brasile della speranza” come ha raccontato, senza risparmiarsi, nelle piazze dei 27 stati del gigante sudamericano, spesso vestito con i colori della sua squadra del cuore, il Corinthians. L’alternativa al progetto basato su “Dio, patria e famiglia” di Bolsonaro, mai entrato in sintonia con donne, giovani, e le fasce più povere della popolazione. “Ci saranno sempre dei fanatici che non vogliono adattarsi, come ci sono in tutti i partiti. Ma la maggior parte della società brasiliana vuole pace, tranquillità, armonia e vuole lavorare, produrre e vivere bene “, ha spiegato Lula riemergendo dalla cabina elettorale della scuola Joao Firmino, nel quartiere Assuncao di San Bernardo do Campo, sua roccaforte elettorale, a sud dello stato di San Paolo, dove è arrivato con Janja, la moglie Rosangela da Silva, e Geraldo Alckmin (Ptb), suo vice nel futuro governo. Per “quelli che non rispettano la legge, è un problema loro” si è limitato a dire Lula riferendosi alla grande incognita che pesa sul voto: il timore di un mancato riconoscimento del risultato dei bolsonaristi e del suo leader, che potrebbe incendiare il Brasile.
Per questo nei giorni scorsi da organizzazioni internazionali e da mezzo mondo sono arrivati appelli al rispetto delle procedure democratiche guidate dal Tribunale superiore elettorale, che il presidente di destra negli ultimi mesi ha attaccato a più riprese, adombrando il pericolo di brogli e manipolazioni, ed esigendo la presenza dell’esercito a sorvegliare il funzionamento di scrutini a campione. Del resto anche nella sua uscita pubblica a Rio de Janeiro, dove ha votato alla scuola municipale Rosa de Fonseca, nel quartiere di Vila Militar, centro di caserme e di abitazioni di militari, Bolsonaro è stato sibillino. “Con elezioni pulite, vinca il migliore”, ha affermato, senza tuttavia rispondere ai numerosi cronisti che chiedevano se avrebbe accettato il verdetto elettorale. Sull’avenida Paulista, arteria centrale di San Paolo, già prima della chiusura dei seggi i supporter del leader del Partito dei lavoratori erano pronti a sventolare una volta ancora le loro bandiere vermiglio.
Source: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/politica_rss.xml