Dimissioni collettive di tutte le istituzioni politiche e cittadini subito al voto. E’ un vero e proprio grido di dolore quello lanciato dal premier libico Abdel Hamid Dbeibah, sostenuto dalla comunità internazionale, all’indomani delle violenze che hanno scosso il Paese da est a ovest unendo paradossalmente nello scontento sociale e nella protesta contro il caro-vita e la corruzione le due anime della Libia perennemente in lotta tra di loro dall’uccisione di Muammar Gheddafi.
“Aggiungo la mia voce ai manifestanti in tutto il Paese: tutti gli organi politici devono dimettersi, compreso il governo, e non c’è modo per farlo se non attraverso le elezioni”, ha scritto Dbeibah su Twitter, mentre il Consiglio di presidenza ha annunciato di essere in seduta permanente “per realizzare la volontà dei libici (che vogliono) il cambiamento e la produzione di un’autorità eletta”.
Una situazione di tensione che cova da mesi, culminata nell’assalto di venerdì al parlamento di Tobruk, che ha allarmato anche l’Onu. “E’ assolutamente fondamentale mantenere la calma, che la leadership libica si dimostri responsabile, e esercitare moderazione da parte di tutti”, ha scritto a sua volta su Twitter Stephanie Williams, consigliere speciale in Libia del segretario generale dell’Onu, ammonendo che “il diritto del popolo a protestare pacificamente dovrebbe essere rispettato e protetto, ma sono del tutto inaccettabili rivolte e atti vandalici come l’assalto alla sede della Camera dei Rappresentanti ieri a Tobruk”.
Le immagini del parlamento sventrato da un bulldozer e saccheggiato, con dense colonne di fumo, hanno fatto il giro del mondo. Ma il venerdì nero ha investito le strade di tutto il Paese passando da Tobruk ad al-Baida e Bengasi, culla della rivolta del 2011, e poi a Sebha, nel sud, fin nell’ovest, a Misurata e a Tripoli. “Vogliamo avere la luce” scandivano i manifestanti riferendosi alle interruzione di energia per molte ore al giorno, aggravate dal blocco di diverse installazioni petrolifere, provocato tra le tensioni tra le fazioni rivali.
L’oggetto della rabbia della gente è la classe politica, giudicata incapace di dare risposte concrete ai problemi quotidiani, e che non è stata nemmeno in grado di convocare nuove elezioni, dopo l’annullamento di quelle previste lo scorso dicembre. La piazza ha chiesto un voto presidenziale e legislativo entro l’anno, appello raccolto oggi dal premier Dbeibah, pressato anche dal visto il fallimento dei negoziati di giovedì a Ginevra sotto l’egida dell’Onu che non sono riusciti a mettere d’accordo il governo di Tripoli con quello rivale dell’altro premier Fathi Bashaga, sostenuto dal generale Khalifa Haftar, su un data per quell’appuntamento elettorale che tutti dicono di volere.
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