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Quirinale: una donna al Colle, storia di una lunga rincorsa

La mattina più difficile della sua vita, quella in cui le toccò riconoscere la vittoria di Donald Trump, Hillary Clinton parlò così: “A tutte le donne che mi hanno sostenuto, anche se non abbiamo ancora sfondato il più alto e il più duro soffitto di cristallo, so che un giorno qualcuna lo farà”.

Non sono le Presidenziali degli Stati Uniti, queste elezioni per il Quirinale. Eppure anche nella corsa per il Colle nessuna donna è mai riuscita a sfondare il tetto di cristallo. E neanche ci è andata vicina, a dire il vero.

Quello che oggi è uno scenario possibile, un tempo accendeva addirittura dubbi di interpretazione costituzionale.

Il democristiano Giuseppe Fuschini si domandò durante la Costituente: la formula “cittadino” comprende le donne, tra la platea degli italiani over 50 eleggibili? Si chiarì che sì, era possibile.

Fino al 1978, comunque, nessun nome di donna fu appuntato nei verbali delle elezioni.

Nel frattempo, siamo negli anni Sessanta, le preferenze accordate all’attrice Sophia Loren furono dichiarate nulle. Nel corso delle ultime settimane sono circolati i nomi del ministro della Giustizia Marta Cartabia, della giurista Paola Severino, di Emma Bonino e Rosy Bindi come profili in corsa per il Colle.

Tocca ai grandi elettori, adesso, dire se per la prima volta una donna potrà almeno giocare una partita vera ed avere chance di vittoria. Perché altre candidate furono sì votate, ma senza reali margini di riuscita nell’urna.

La prima donna entrò in ballo durante l’elezione del Capo provvisorio dello Stato, nel 1946: Ottavia Penna – baronessa Buscemi, una delle 21 costituenti, eletta nelle liste dell’Uomo qualunque – raccolse 32 voti (Enrico De Nicola la spuntò con 396).

Bisogna attendere però il 1978, come detto, per trovare quattro voti registrati alla giornalista Camilla Cederna, tre ad Eleonora Moro (vedova di Aldo, la “dolcissima Noretta” nelle lettere dalla prigionia delle Br). Nel 1985, altri otto voti per Cederna e tre per Tina Anselmi, prima donna ministro.

La prima a poter contare su un’investitura politica alle spalle fu invece Nilde Iotti nel 1992, sostenuta dal Pds. Detiene ancora oggi il record di voti ottenuti: 256 al quarto scrutinio.

Si ritrovò per qualche ora in testa alla corsa, prima di cedere il passo a Oscar Luigi Scalfaro. E sempre nel 1992 Tina Anselmi strappò 18 preferenze, indicata dalle donne della Dc. Due preferenze andarono alla senatrice Aureliana Alberici, moglie all’epoca di Achille Occhetto.

La strada resta in salita anche sette anni dopo, nel 1999. Emma Bonino e la popolare Rosa Russo Jervolino entrano in partita, ma ne escono appena schiuse le urne: Carlo Azeglio Ciampi diventa Presidente al primo scrutinio. La radicale, però, è la prima ad avere alle spalle un comitato, “Emma for President”. Nel 2006 un altro comitato, “Tina Anselmi al Quirinale”, anche stavolta senza centrare l’obiettivo.

In quell’occasione, ottiene 24 voti Franca Rame, due Lidia Menapace, tre Barbara Palombelli. Altri tre a Linda Giuva, docente universitaria e moglie di Massimo D’Alema. E tre grandi elettori scelgono “Savoia Maria Gabriella”.

Nel 2013 si fa spazio Anna Finocchiaro. Sembra un’opzione forte, ma è Matteo Renzi a bruciare in fretta l’ipotesi dell’allora capogruppo Pd al Senato. Nel 2015, invece, consensi “di bandiera” sono destinati a Luciana Castellina – 37 voti – e sempre a Bonino (25 preferenze). Tra i voti dispersi, quelli all’attrice Sabrina Ferilli. E siamo alle Presidenziali del 2022. E a quel soffitto di cristallo, ancora infrangibile.


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