Un verdetto storico che potrà dare origine a cambiamenti epocali nella società giapponese, a tratti più conformista che conservatrice, e per questo poco incline ai cambiamenti repentini. La sentenza del giudice donna Tomoko Takebe della Corte di Sapporo di considerare incostituzionale il mancato riconoscimento di un’unione legale tra due persone dello stesso sesso è stata celebrata come una conquista dopo un travagliato percorso della comunità Lgbt, perché crea un precedente; da altri come una vittoria simbolica.
L’azione legale era stata presentata nel 2019 da un totale di 16 coppie in molteplici località del Giappone, da Tokyo a Nagoya, Fukuoka e Osaka, oltre alla sede di Sapporo, che si opponevano al divieto di non poter convolare a nozze al pari delle persone eterosessuali. Nella formulazione della sentenza il giudice ha posto l’accento sulla violazione dell’articolo 14 della Costituzione, che sancisce il principio di uguaglianza degli individui davanti alla legge: “L’orientamento sessuale non è qualcosa che una persona può scegliere e cambiare a proprio piacimento”, ha stabilito il giudice, ammonendo l’incapacità del Governo “di garantire alle coppie dello stesso sesso anche una minima parte degli effetti legali che derivano dal contratto di matrimonio”.
Nell’illustrare la decisione di non assegnare un risarcimento dei danni morali e psicologici, pari a una richiesta di un milione di yen (7.700 euro), la Corte ha spiegato che non si è invece manifestata una violazione dell’articolo 24, che specifica come “il matrimonio può avvenire solo con il mutuo consenso di entrambi i sessi”, e in questo senso il diritto civile prevede che la registrazione legale di una famiglia si riferisca a un uomo e una donna.
Il Giappone è l’unico Paese del G7 a non autorizzare le unioni legali tra persone dello stesso sesso, e con ogni probabilità la sentenza odierna darà l’avvio a un ampio dibattito a livello politico e sociale, sgombrando il campo dalle iniziative precarie e a tratti confuse che hanno segnato la comunità Lgbt negli ultimi anni. E’ stata proprio la città di Sapporo, nella prefettura più a nord del Giappone, a voler dare i segnali di apertura più tangibili, emettendo nel 2017 i certificati di eleggibilità per le coppie omosessuali che, sebbene non legalmente vincolanti, tentavano senza troppo successo di semplificare l’accessibilità ai servizi comunali al pari delle regolari coppie unite in matrimonio.
Sulle probabilità di un cambiamento di direzione del legislatore gli esperti legali non sono così pessimisti, facendo notare come il diritto civile del Paese del Sol Levante tecnicamente non considera il presupposto di un’unione tra due persone dello stesso sesso, ma neanche lo esclude a priori.
L’entrata in vigore della Costituzione nel 1947, infatti, serviva perlopiù a garantire una maggiore equità ed uguaglianza tra i potenziali coniugi, con lo scopo di prevenire i matrimoni forzati. Secondo gli storiografi, inoltre, il Giappone si è mostrato estremamente tollerante verso l’omosessualità, con casi documentati tra guerrieri samurai durante il periodo feudale. Fu in seguito, verso la fine del XIX secolo, che il Paese iniziò ad adottare atteggiamenti pregiudiziali legati all’omofobia importati dall’Occidente.
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