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Trump va a caccia di terre rare in Asia centrale (e l’Europa rischia di rimanere a bocca asciutta)

Bruxelles – Se Donald Trump non si reca in Asia centrale, l’Asia centrale vola da Donald Trump. Il presidente statunitense ha ospitato ieri (6 novembre) alla Casa Bianca i suoi omologhi dei cinque Paesi della regione, particolarmente strategica in questa fase storica: Kassym-Jomart Tokayev (Kazakistan), Sadyr Japarov (Kirghizistan), Emomali Rahmon (Tagikistan), (Turkmenistan) e Shavkat Mirziyoyev (Uzbekistan).

Era la prima volta che i capi di Stato centro-asiatici venivano accolti tutti insieme nella capitale USA. L’incontro è stato l’occasione per celebrare il decimo anniversario del format C5+1, con cui Washington ha istituzionalizzato la sua cooperazione con Astana, Bishkek, Dushanbe, Ashgabat e Tashkent nei settori economico ed energetico, ma soprattutto sulla sicurezza (in particolare a seguito del ritiro dall’Afghanistan nel 2021 e dell’invasione russa dell’Ucraina, l’anno successivo).

I leader del formato C5+1 (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan più Stati Uniti), alla Casa Bianca il 6 novembre 2025 (foto via Imagoeconomica)

Ora, Trump vorrebbe fare delle materie prime critiche – di cui la regione centro-asiatica è ricca (con grandi riserve di uranio, rame, oro, tungsteno e terre rare, tra le altre cose) – il fulcro delle relazioni tra i membri del C5+1. I Paesi dell’area vendono già questi prodotti strategici a Pechino e Mosca, in quantità ben maggiori di quelle esportate verso i partner occidentali.

A indispettire Washington e Bruxelles, tuttavia, è il fatto che la Cina detenga il monopolio mondiale dell’estrazione e la lavorazione di tali minerali, indispensabili per le tecnologie digitali, militari e green (e per contendersi l’egemonia globale nel XXI secolo), e ha recentemente messo in crisi tanto gli Stati Uniti quanto l’Ue mettendo mano ai controlli sulle esportazioni di questi prodotti chiave.

Come visto di recente nell’incontro coi leader di Armenia Azerbaigian, anche stavolta il tycoon ha messo in campo il suo approccio diretto, muscolare e transazionale. Do ut des. “Uno dei punti chiave della nostra agenda sono i minerali critici“, ha affermato candidamente, sottolineando la necessità di “ampliare le nostre catene di approvvigionamento” nel mondo. A partire dai Paesi che, ha specificato, “un tempo ospitavano l’antica Via della Seta che collegava l’Oriente e l’Occidente“.

Ponte geografico ma anche, appunto, miniera ben fornita. Nel tentativo di spezzare il monopolio del Dragone, Washington ha istituito nel 2022 la Minerals Security Partnership (MSP) con Kazakistan e Uzbekistan, estesa l’anno scorso al resto dei C5. Coi colloqui di ieri, Trump ha ottenuto l’apertura di importanti giacimenti minerari nella regione allo sfruttamento delle aziende a stelle e strisce.

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto: Parlamento europeo)

In cambio, lo zio Sam ha offerto opportunità di investimenti negli States in diversi settori cruciali, inclusi l’automotive, l’aviazione e il digitale, oltre ad aver concordato la vendita di decine di jet Boeing. Trump ha anche ottenuto la sottoscrizione, per quanto simbolica, degli accordi di Abramo da parte del Kazakistan, un Paese a maggioranza musulmana. I trattati del 2020, tra i principali lasciti del tycoon in politica estera nel suo primo mandato, mirano alla normalizzazione diplomatica tra Israele e i suoi vicini regionali in funzione anti-Iran.

E l’Unione europea? I vertici comunitari paiono essersi accorti del potenziale strategico della regione abbastanza tardi. A gennaio 2024, hanno promesso investimenti per 10 miliardi di euro in mobilità sostenibile attraverso il corridoio transcaspico. Lo scorso aprile Ursula von der Leyen ha annunciato altri 12 miliardi per la cooperazione su materie prime critiche ed energia. Nei mesi successivi, Bruxelles ha iniziato a puntare sull’export del green tech made in EU verso l’Asia centrale, per concentrarsi quindi in maniera esplicita sulle terre rare.

Ma, considerati gli attuali livelli di produzione, spezzare la dipendenza da Pechino è impresa tutt’altro che facile. Per ora, l’UE può tirare un sospiro di sollievo. Il pericolo di uno stop totale delle importazioni dalla Cina è stato scongiurato – e non certo per merito dei negoziatori europei – almeno per i prossimi 12 mesi. Resta da vedere se e come questo anno “guadagnato” verrà sfruttato per ribilanciare queste asimmetrie strutturali. Gli Stati Uniti di Trump hanno fatto la loro mossa. Quale carta giocheranno i Ventisette?


Source: https://www.eunews.it/category/politica-estera/feed


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