Bruxelles – A poche ore dal primo anniversario del crollo della tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, che costò la vita a 16 persone, decine di migliaia di cittadini serbi stanno muovendo in direzione della città a nord di Belgrado: domani (1 novembre) ricorderanno le vittime e ribadiranno che non hanno alcuna intenzione di fermare il più grande movimento di protesta della storia del Paese. Nonostante la ferocia con cui il presidente, Aleksandar Vučić, si è mostrato finora determinato a rimanere al potere.
Ieri sera, a Inđija, a metà strada tra la capitale e Novi Sad, circa tremila giovani hanno dormito a cielo aperto, nella strada principale della città, grazie ai materassi e alle coperte messi a disposizione dai cittadini. Il sindaco di Inđija, esponente del partito del presidente (SNS), si è rifiutato di aprire qualsiasi spazio pubblico per accogliere gli studenti. L’appuntamento è alle 11:52 di domani mattina – l’ora esatta del tragico incidente – alla stazione di Novi Sad, dove saranno osservati 16 simbolici minuti di silenzio.
Dopo un anno di proteste imponenti contro la corruzione e la gestione autoritaria dell’apparato statale, è tempo di qualche bilancio. Secondo Srđan Cvijić, presidente dell’International Advisory Committee of the Belgrade Centre for Security Policy, “non è stata fatta alcuna apertura” da parte del presidente. Dall’enorme manifestazione di Belgrado, lo scorso 28 giugno, Vučić ha solamente stretto le maglie della repressione “andando al di là di qualsiasi linea rossa vista finora” nel Paese candidato di lunga data all’adesione all’Unione europea. Diversi report di media indipendenti e organizzazioni della società civile hanno denunciato molestie sessuali contro le studentesse arrestate nelle stazioni di polizia e l’utilizzo di armi e sostanze chimiche illegali per respingere i manifestanti. Nel frattempo, il governo ha rinforzato la narrazione che vuole che l’incidente di Novi Sad sia stato in realtà un atto terroristico.
A sostenere pubblicamente questa “teoria del complotto” anche Ana Brnabić, presidente del Parlamento di Belgrado che interverrà al Forum Ue sull’Allargamento, a Bruxelles, il prossimo 18 novembre. L’Unione europea d’altronde, sulla situazione nel paese nel cuore dei Balcani, è in grande difficoltà. Il report annuale sullo stato dell’arte nei Paesi candidati all’adesione, che sarà svelato martedì 4 novembre, dovrebbe adottare un linguaggio molto duro nei confronti di Belgrado. E, pochi giorni fa, il Parlamento europeo ha adottato ad ampia maggioranza una risoluzione in cui ha chiesto a Vučić di fermare la repressione e di “essere serio” nel percorso di adesione.
Eppure, uno dopo l’altro, la commissaria Ue per l’Allargamento Marta Kos, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si sono recati a Belgrado per confermare il supporto a Vučić, in quello che Cvijić ha definito un “bisogno masochista dell’Europa di credere in questo governo, perché ha paura di un salto nel buio”. Due settimane fa, in conferenza stampa insieme a Vučić, von der Leyen ha usato il bastone e la carota: dopo aver sottolineato che Bruxelles sta dalla parte “della libertà anziché dell’oppressione, compreso il diritto di riunirsi pacificamente“, ha “accolto con favore i recenti progressi” compiuti con l’istituzione del registro elettorale unificato e con le nomine del consiglio della Commissione Regolatrice dei Media Elettronici (REM).
Proprio quest’ultimo punto – ha commentato Cvijić – mostra il “faticoso gioco” che sta portando avanti il presidente. Secondo la ricostruzione dell’analista politico, è vero che diverse organizzazioni indipendenti sono “entrate con difficoltà e molti rischi per la loro legittimità pubblica” in dialogo con il governo per eleggere i membri del REM, ma “per l’ennesima volta” l’esecutivo “ha usato degli escamotage” per assicurarsi la maggioranza dei membri di questa commissione di controllo.
Il gioco di Vučić è su diversi fronti: mostrare finte aperture a Bruxelles, delegittimare i manifestanti e i loro sostenitori – lo stesso Cvijić è stato attaccato da un alto funzionario del governo dopo aver pubblicato un editoriale sul quotidiano britannico The Guardian – e nel frattempo “utilizzare ogni possibilità per approfondire fratture nel movimento democratico”. Perché qualche crepa nel fronte studentesco sulla strategia da perseguire esiste, e ruota intorno al comportamento da tenere in vista di uno degli obiettivi primari, quello di ottenere elezioni legislative anticipate.
In un primo momento, il movimento studentesco aveva rifiutato con convinzione qualsiasi interazione con le istituzioni politiche consolidate, compresi i partiti di opposizione. Ora gli studenti che sostengono con forza la necessità di tornare alle urne hanno annunciato che presenteranno una lista elettorale, che sarà resa pubblica solamente quando e se verranno convocate le elezioni. Una vasta parte della società serba sostiene questa richiesta e ha invitato tutti i partiti dell’opposizione a non partecipare alle eventuali elezioni, in segno di sostegno ai candidati degli studenti. Questo sta inevitabilmente portando a timori e tensioni nel vasto movimento democratico.
Ed è lì che sta provando a inserirsi Vučić per allargare le crepe. Secondo Cvijić, il presidente non sta convocando le elezioni perché “non è sicuro di poterle vincere”, e quindi “sta lavorando per rompere il fronte” dell’opposizione e riconquistare terreno. Da calendario istituzionale, la Serbia dovrà in ogni caso tenere le elezioni presidenziali nella primavera del 2027 e quelle per rinnovare il parlamento prima della fine dello stesso anno. Il tempo è dalla parte di Vučić. La storia dalla parte degli studenti. E di quei 16 cittadini schiacciati dalla tettoia di una stazione ferroviaria inaugurata pochi mesi prima, che ha svelato l’inadeguatezza dei lavori e la corruzione dilagante dell’apparato statale del Paese.
