Bruxelles – Era da quasi un anno che la Transnistria era scomparsa dai radar delle maggiori preoccupazioni dell’Unione Europea sulla destabilizzazione russa nell’Est Europa, ma la più irrequieta delle regioni separatiste del continente europeo è tornata con prepotenza sul tavolo dei dossier più caldi nelle ultime ore. “Seguiamo da vicino l’evolversi della situazione nella Repubblica di Moldova e nel territorio separatista della Transnistria“, ha reso noto oggi (29 febbraio) il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, commentando la richiesta delle autorità dell’autoproclamata Repubblica filo-russa di “protezione” a Mosca dal governo di Chișinău: “Siamo in costante e stretto contatto con le autorità della Repubblica di Moldova e confidiamo che faranno tutto il possibile per gestire la situazione”.
La notizia dell’appello arrivato da Tiraspol poco più di 24 ore fa è uno dei punti più bassi delle relazioni tra Chișinău e i separatisti della regione, che ricorda in modo inquietante quanto accaduto nei giorni precedenti all’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, con il riconoscimento da parte della Russia delle Repubbliche separatiste Donetsk e Luhansk, nel Donbass ucraino. Il Congresso speciale della Transnistria – la cui autorità non è riconosciuta a livello internazionale – ha adottato ieri (28 febbraio) una risoluzione con cui chiederà al Consiglio della Federazione Russa e alla Duma di Stato “di attuare misure per proteggere la Transnistria di fronte alla crescente pressione” della Moldova, motivando la richiesta con il fatto che “sono presenti in modo permanente oltre 220 mila cittadini russi” sul territorio della regione separatista e sulla scorta “dell’esperienza positiva russa di peacekeeping e dello status di garante e mediatore nel processo negoziale” per l’indipendenza da Chișinău.
A Bruxelles si cerca di fare appelli alla calma, con il portavoce del Seae Stano che ricorda come “la stabilità in questa regione è nell’interesse di tutti, in primo luogo della popolazione”, mentre si cerca di spingere “un dialogo costruttivo” tra le due parti: “L’Unione Europea continua a sostenere una soluzione pacifica e globale in Transnistria, si tratta di un conflitto congelato” sul territorio moldavo “e per questo lo stiamo affrontando sulla base del rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità della Moldova”, ha concluso Stano. Ma mentre la presidente moldava, Maia Sandu, e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky, a Tirana discutevano degli ultimi tentativi di Mosca di destabilizzare la regione e del “sostegno vicendevole” sui rispettivi percorsi verso l’ingresso nell’Unione Europea (Moldova e Ucraina hanno entrambe ricevuto il via libera ai negoziati di adesione Ue al Consiglio Europeo del dicembre 2023), sia la Duma di Stato sia il ministero degli Esteri russo hanno confermato che “la protezione dei nostri compatrioti in Transnistria è una priorità” e che sarà valutata la richiesta di Tiraspol “non appena sarà ricevuta ufficialmente”.
Le tensioni nella regione della Transnistria
La regione moldava a maggioranza russofona che confina a est con l’Ucraina si è separata unilateralmente dalla Moldova a seguito del crollo dell’Unione Sovietica. Nel corso della guerra civile del 1992 i separatisti furono sostenuti dall’intervento dell’esercito russo, prima della cristallizzazione della situazione e il referendum del 2006 (non riconosciuto dalla comunità internazionale) che per la prima volta ha sancito la volontà di farsi annettere dalla Russia. Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina il 24 febbraio 2022 sono aumentate le tensioni nella Repubblica di Moldova, con attacchi a Tiraspol e lungo il confine con l’Ucraina (primi segnali di un tentativo di trovare un pretesto per un possibile intervento armato). Nei primi mesi del 2023 si sono registrati sempre più numerosi atti di provocazione palese di Mosca, compresi missili che hanno attraversato lo spazio aereo della Repubblica di Moldova in direzione del territorio ucraino.
Il 9 febbraio dello scorso anno il presidente ucraino Zelensky aveva informato per primo i 27 leader Ue del piano del Cremlino per “rompere l’ordine democratico e stabilire il controllo” russo in Moldova e solo pochi giorni più tardi la presidente moldava Sandu aveva confermato il tentativo di Mosca di “un cambio di potere a Chișinău”, attraverso “azioni violente, mascherate da proteste della cosiddetta opposizione“, con il coinvolgimento anche di “cittadini stranieri”. Il dito era puntato contro il Movimento per il Popolo che riunisce diversi gruppi filo-russi come Șor, il partito di Ilan Shor, oligarca moldavo sanzionato nell’ottobre 2022 dagli Stati Uniti per la sua vicinanza al governo russo e oggi in esilio in Israele per proteggersi da un furto bancario da 1 miliardo di dollari.
Sul piano politico la situazione si è aggravata con le dimissioni a sorpresa il 10 febbraio dello scorso anno da parte della premier europeista Natalia Gavrilița. Il suo successore, Dorin Recean, ha subito tranquillizzato i partner occidentali sulla linea di continuità nelle politiche e nelle alleanze della Moldova, Paese che ha fatto richiesta formale per aderire all’Ue a una sola settimana dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Dopo l’ulteriore allarme lanciato a Bruxelles dalla ministra degli Interni moldava, Ana Revenco, sul fatto che “la Repubblica di Moldova si trova sulla strada di Mosca per rompere la stabilità e l’unione in Europa”, sette persone legate al Cremlino sono state arrestate durante le proteste antigovernative guidate da Șor, che tra l’altro intimavano le dimissioni della presidente Sandu. Dal 24 aprile 2023 è stata istituita la missione civile di partenariato in Moldova (Eupm Moldova) con l’obiettivo dichiarato di rafforzare la sicurezza del Paese contro crisi e minacce ibride: “Stiamo intensificando il sostegno dell’Ue per proteggere la sicurezza, l’integrità territoriale e la sovranità” di Chișinău di fronte alle “attuali difficili circostanze”, aveva spiegato l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell.