Bruxelles – La Commissione europea nega di aver messo fondi a disposizione delle forze di sicurezza tunisine nell’ambito dell’accordo Ue-Tunisia per ridurre le partenze di persone migranti verso l’Europa. E respinge così le accuse di coinvolgimento nelle documentate violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Guardia Nazionale tunisina. La portavoce Ana Pisonero ha affermato che “i fondi europei per la migrazione in Tunisia sono incanalati attraverso le organizzazioni internazionali, gli Stati membri e le ong presenti sul territorio”.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), la Croce rossa tunisina. Se è vero che sono loro i principali partner di Bruxelles sul campo, è altrettanto indubbio che non possano essere loro a svolgere il lavoro ‘preventivo’ richiesto dall’Unione europea. Quello di bloccare i migranti sulle coste del Paese nordafricano e impedire loro la traversata del Mediterraneo. Perché la Tunisia sia in grado di farlo, l’Ue ha già sborsato 42 milioni di euro per il refitting di navi, veicoli e altre attrezzature per la guardia costiera tunisina, oltre che per la fornitura di nuove imbarcazioni, termocamere e altra assistenza operativa.
Come rendicontato con precisione da un documento presentato agli ambasciatori degli Stati membri il 20 dicembre 2023, l’Ue ha inoltre previsto di finanziare “la costruzione e l’equipaggiamento di un centro di comando e controllo per la guardia nazionale tunisina” nel deserto al confine con la Libia. Questo non significa automaticamente che l’Ue abdichi al ruolo di difensore dei diritti umani sull’altare dell’esternalizzazione delle proprie frontiere. La gestione delle migrazioni deve essere in linea con gli standard Ue sui diritti delle persone migranti e dei richiedenti asilo, e la Commissione europea “monitora i suoi programmi attraverso diversi strumenti, tra cui i rapporti regolari dei partner esecutivi, le missioni di verifica in loco, gli esercizi di monitoraggio orientati ai risultati e le valutazioni esterne”, ha elencato Pisonero.
Salvo poi ammettere che “il monitoraggio da parte di terzi sarà istituito entro la fine del 2024”. Per quanto riguarda le missioni di verifica, già nel corso del 2023, due delegazioni del Parlamento europeo si sono viste rifiutare l’ingresso in Tunisia. Non proprio un segnale incoraggiante. Le violenze, gli stupri e i pushback messi in atto dalle forze di sicurezza tunisine, in un regime di completa impunità instaurato dal presidente Kais Saied, è “molto importante che vengano debitamente indagate dalle autorità competenti“, ha intimato quindi la portavoce della Commissione europea.
Difficile che l’input sia raccolto dalla Tunisia, il cui governo ha già definito le accuse pubblicate la scorsa settimana dal The Guardian come “false e infondate”. Nemmeno dopo le elezioni presidenziali del 6 ottobre, nelle quali la rielezione di Saied è data praticamente per certa. La richiesta di avviare un’indagine è però arrivata proprio oggi all’Aia: gli avvocati e le famiglie dei leader dell’opposizione tunisina incarcerati hanno chiesto alla Corte penale internazionale di indagare sulla repressione politica e sugli abusi nei confronti dei migranti sub-sahariani.