Si tiene stamane a Mansura, in Egitto, la nona udienza del processo in cui Patrick Zaki rischia cinque anni di carcere per diffusione di notizie false. Come previsto ieri dal capo della sua squadra di avvocati, la signora Hoda Nasrallah, per oggi è prevista solo la presentazione di “atti della difesa” e non è sicuro che ai legali venga concesso di proseguire con le arringhe interrotte nella precedente udienza, quella del 29 novembre. Il giudice monocratico, come noto, ha comunque il potere di pronunciare una sentenza in qualsiasi momento.
Il ricercatore e attivista per i diritti umani, a piede libero dall’8 dicembre 2021 dopo 22 mesi di custodia cautelare passati in carcere con accuse più gravi legate a dieci post su Facebook ma informalmente accantonate, è sotto processo presso una Corte della Sicurezza dello Stato per i reati minori (o d’emergenza) della sua città natale sul delta del Nilo.
Patrick, nel processo in corso dal settembre 2021, è imputato per un articolo del 2019 in cui prendeva le difese dei copti, la minoranza cristiana d’Egitto, sottolineando le sanguinarie persecuzioni dell’Isis degli anni precedenti e due casi di discriminazione sociale e giuridica.
Pur libero, il 31enne ricercatore in studi di genere ha un divieto di espatrio e non può lasciare l’Egitto. Il caso, assieme alla ricerca dei responsabili della tortura a morte di Giulio Regeni, ha una dichiarata rilevanza politica nei rapporti fra Italia ed Egitto. A Mansura, come in tutte le precedenti udienze per il prolungamento della custodia cautelare e del processo, dovrebbero portarsi diplomatici italiani e di altri Paesi nell’ambito di un monitoraggio europeo di processi rilevanti per il rispetto dei diritti umani in Egitto. Le presenze avvengono regolarmente su invito dell’ambasciata italiana al Cairo.
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