La maggioranza sembra determinata a procedere sulla strada delle riforme cercando un consenso ampio ma anche con la forza di affrontare un eventuale referendum che si terrebbe qualora non venisse ottenuta la maggioranza dei due terzi nella seconda delle votazioni in ciascuna Camera.
Una maggioranza, che, del resto, a conti fatti, è piuttosto complicata da raggiungere e si attesta a 267 deputati e 137 senatori (nel computo vanno inseriti anche i senatori a vita).
Attualmente a Palazzo Madama, per arrivare a quella soglia alla maggioranza mancano ben 21 voti. Il centrodestra può contare, infatti, su 116 senatori: 63 di FdI, 29 della Lega, 18 di FI e 6 di Noi Moderati. Non è da escludere che si possano aggiungere i 5 senatori delle Autonomie (che si astennero sulla fiducia al governo Meloni e che hanno fatto qualche apertura sul modello del premierato). Se il gruppo di Azione-Italia Viva, composto da 10 senatori, nel suo complesso decidesse di sostenere le riforme si arriverebbe, così, a quota 131 e, dunque, a 6 voti da quota 137. Da capire quali scelte faranno i 6 senatori a vita.++
Ancora più complessa la partita dei numeri alla Camera. Per quanto riguarda Montecitorio, infatti, la maggioranza conta su 118 deputati di FdI, 66 della Lega, 44 di Forza Italia e 10 di Noi Moderati: in totale si tratta di 238 voti certi. A questi si potrebbero aggiungere i 4 delle Minoranze linguistiche e si arriva, così, a 242. Anche in questo caso l’eventuale apporto del gruppo di Azione-Italia Viva alla Camera, che è di 21 componenti, non sarebbe comunque sufficiente ad arrivare ai due terzi dei deputati: ci si fermerebbe infatti a 263.
La storia delle riforme e dei tentativi di modifica costituzionale, così come di riforma della legge elettorali, è fatta anche di alleanze inattese ma, di certo, almeno guardando al bilancino, il referendum sembra allo stato, complicato da evitare anche considerando l’eventuale apporto del gruppo più dialogante dell’opposizione.
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