“Desidero esprimere solidarietà alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela, di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’ angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso. Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari che l’attendono con strazio indicibile”.
Fu questa, all’Angelus del 3 luglio 1983, la prima volta che l’allora Papa Giovanni Paolo II, santo dal 27 aprile 2014, intervenne pubblicamente sulla vicenda della scomparsa, tuttora avvolta nel mistero, di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, figlia di un dipendente della Prefettura della Casa Pontificia che prestava servizio in qualità di messo all’anticamera papale, nel palazzo apostolico. Finito nei giorni scorsi al centro di polemiche proprio intorno al caso Orlandi, il papa polacco ha ricevuto la difesa della memoria da Papa Francesco, che ha parlato di “illazioni offensive e infondate” contro Wojtyla.
Dopo il primo intervento, altre otto volte Giovanni Paolo II fece pubblicamente riferimento alla vicenda: un nuovo accenno fu all’Angelus della domenica successiva (10 luglio 1983): “Stiamo facendo tutto il possibile”, disse; poi un terzo (17 luglio 1983), con un appello dopo la consegna all’ANSA di un messaggio registrato da presunti “rapitori” che avevano detto di tenere prigioniera la ragazza e ne avevano legato il destino alla liberazione di Alì Agca, il terrorista turco che il 13 maggio 1981, in piazza San Pietro, aveva attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Il 20 luglio 1983 il papa chiese ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per l’udienza generale di recitare con lui un’Ave Maria in latino e di pregare per la ragazza scomparsa. Il giorno dopo (21 luglio 1983) il papa rivolse un altro appello ai “rapitori” chiedendo la liberazione della ragazza, senza contropartita: era il giorno indicato nel messaggio dei presunti sequestratori come scadenza dell’ultimatum per la liberazione di Agca.
Un ulteriore accenno del papa a Emanuela Orlandi fu fatto il 24 luglio 1983, dal palazzo apostolico di Castel Gandolfo: un invito ai fedeli a pregare per lei; un altro ancora, tre giorni dopo (27 luglio), con un nuovo invito alla preghiera. E, ancora, il 28 agosto 1983, sempre dalla residenza pontificia estiva. La vigilia di Natale di quel 1983, poi, Giovanni Paolo II si recò in casa Orlandi, in Vaticano, per far visita alla famiglia.
Infine, il 25 aprile 1984 il papa lanciò un nuovo appello, l’ultimo pubblico, per avere notizie della ragazza scomparsa: “Il mio pensiero – disse – va a persone vicine e lontane: va innanzitutto alla famiglia Orlandi, che ho ricordato particolarmente nella preghiera insieme con la loro cara Emanuela, della quale non si è più saputo nulla. I genitori di Emanuela non perdono la speranza di poter riabbracciare la loro figlia. Attendono con ansia di avere almeno qualche sicura notizia che allevii la loro terribile angoscia”.
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