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La Nato accorcia i tempi per l’adesione dell’Ucraina

Gli alleati hanno deciso di eliminare il Map per l’Ucraina – ovvero il Membership Action Plan, il percorso di riforme necessario per entrare nella Nato – quando verrà il momento per Kiev di far parte del Patto Atlantico.

Il pacchetto ideato dal segretario generale Jens Stoltenberg per permettere agli alleati di andare oltre la promessa vaga del summit di Bucarest, nel 2008, ha dunque ottenuto la luce verde da parte di tutti. Volodymyr Zelensky vorrebbe di più: una menzione chiara all’invito a guerra finita, senza se e senza ma. I negoziati, alla vigilia del vertice di Vilnius, continuano. Eppure pare difficile che l’Ucraina la spunti.

Gli Usa e la Germania, infatti, sarebbero “irremovibili”. Per Washington e Berlino impegnarsi ora non avrebbe senso, le incognite sono ancora troppe. La controffensiva ucraina ad esempio avanza, ma lentamente. A Mosca un giorno sì e l’altro pure evocano l’Armageddon nucleare. L’ingresso dell’Ucraina nella Nato avrebbe “conseguenze molto, molto negative” e richiederebbe alla Russia una reazione “ferma”, ha ribadito per l’ennesima volta il portavoce di Putin, Dmitry Peskov. Insomma, se il Cremlino non ha un veto su chi può entrare e chi no – gli alleati su questo concordano – serve avanzare con prudenza. E il pacchetto elaborato da Stoltenberg per trovare un punto di caduta tra i progressisti e i conservatori dell’Alleanza viene giudicato “sufficiente e bilanciato”. Il quadro sarà poi completato dalle “garanzie di sicurezza” bilaterali che molte capitali stanno concordando tra loro – tra cui l’Italia – e presto saranno presentate (forse non a Vilnius, per ragioni di tempo).

Il lodo Stoltenberg, oltre alla rimozione del Map, che trasformerà l’adesione dell’Ucraina da “un processo in due fasi a uno in un’unica fase”, prevede allora un programma di aiuto annuale da 500 milioni di euro per rendere le forze ucraine sempre più interoperabili con quelle della Nato. All’Alleanza sottolineano come si tratti di un passo avanti “concreto”. Poi il rafforzamento dei legami politici con la creazione del Consiglio Nato-Ucraina, che debutterà mercoledì, al secondo giorno del vertice, con la presenza di Zelensky. “Siederà alla pari con gli altri 31 alleati, più la Svezia: non è solo cerimonia, si tratta di uno sviluppo importante”, precisa un diplomatico alleato. La rimozione del Map è stata accolta con favore dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. Che dopo averla annunciata, su Twitter ha commentato: “È una decisione a lungo attesa e accorcia il nostro percorso verso la Nato”. Resta dunque solo il nodo dell’invito. “Sono certo che tutti gli alleati concorderanno su un messaggio molto chiaro per quanto riguarda l’Ucraina”, ha tagliato corto Stoltenberg.

Altro pilastro del summit – forse mediaticamente meno appetibile sebbene cruciale – è il capitolo “difesa e deterrenza”. Ci sono i piani di sicurezza regionali da approvare, la rivoluzione più rilevante dalla fine della Guerra Fredda: coprono il nord, il centro e il sud dell’Alleanza e sono propedeutici per mettere a terra il Nuovo Modulo Forze della Nato, quei 300.000 uomini ad alta prontezza d’intervento che saranno chiamati a difendere “ogni metro di suolo alleato” per i prossimi anni a venire.

Ecco, tutto ciò costa. Da nove anni a questa parte la spesa militare dei Paesi europei e del Canada è crescita costantemente ma non basta, i dividendi della pace post crollo dell’Urss sono terminati. A Vilnius si dovrà dunque aprire il portafoglio: dal 2024 il 2% del Pil dovrà essere il minimo. Resta da capire quanto in fretta raggiungere quella soglia. Alcuni alleati – come l’Italia – chiedono una curva dolce, altri severissima. È previsto un compromesso.
   


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