Bruxelles – Detenzioni arbitrarie, torture, violenze sessuali, tratta di esseri umani. Il quadro dipinto lo scorso marzo nel rapporto finale della missione d’inchiesta dell’Onu in Libia ha spinto la Commissione per le Libertà Civili dell’Eurocamera (Libe) e la sottocommissione per i diritti umani a chiedere alla Commissione europea di “fornire una panoramica dei finanziamenti dell’Ue per la migrazione in questo Paese o per attività svolte in Libia negli anni passati”.
Nel complesso, Bruxelles ha stanziato 700 milioni di euro dal 2015 a oggi a sostegno della Libia attraverso vari strumenti di finanziamento. 90 milioni tra il 2021 e il 2022 e altri 95 promessi dal commissario Ue per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. Dal 2017 è attiva la missione Sibmmil (Support for Integrated Border and Migration Management in Libya), realizzata dal ministero dell’Interno italiano, che prevede la consegna di cinque navi per operazioni di ricerca e soccorso in mare e l’addestramento della Guardia costiera libica.
Dito puntato contro il “sostegno tecnico, logistico e monetario da parte dell’Unione europea per, tra l’altro, l’intercettazione e il rimpatrio dei migranti in Libia“: se sulla collaborazione in chiave anti-trafficanti con Tunisia, Egitto e Marocco si può chiudere un occhio (dal punto di vista delle garanzie di rispetto dei diritti umani), per gli eurodeputati non è più possibile farlo sui finanziamenti a Tripoli. “Sulla base dei risultati del rapporto delle Nazioni Unite, l’UE deve urgentemente rivedere il suo approccio nei confronti della Libia. La dignità umana ei diritti umani devono essere al centro delle politiche esterne dell’Ue. Ciò significa anche che il divieto di non respingimento deve essere assolutamente garantito”, ha dichiarato il presidente della sottocommissione per i diritti umani, Udo Bullman.
In questi mesi l’esecutivo Ue non si è mai espresso sul rapporto della missione d’inchiesta Onu, preferendo avanzare nel perfezionamento di quella dimensione esterna delle migrazioni che prevede il rafforzamento della cooperazione con i Paesi d’origine e di transito nella gestione dei confini. Proprio oggi, e proprio durante un’audizione in Commissione Libe sul naufragio di Pylos che lo scorso 14 giugno è costato la vita ad almeno 500 migranti, la commissaria Ue per gli Affari Interni, Ylva Johansson, ha ammesso che “con alcuni Paesi vicini è più difficile collaborare, come con la Libia, dove ci sono chiare indicazioni di criminali che si sono infiltrati nella Guardia Costiera“.
Sul perché questo non basti a interrompere i finanziamenti, la Commissione europea non si è ancora esposta. Il paradosso è che la stessa Tunisia, con cui Bruxelles sta cercando di chiudere un accordo indicato dai leader Ue come “modello” per future partnership con la regione, deporta centinaia di migranti subsahariani dalle sue coste ai confini con la Libia, lasciandoli alla mercé dei gruppi armati e dei trafficanti. E una volta firmato l’accordo di cooperazione che ha come obiettivo la riduzione delle partenze e l’aumento dei rimpatri, con ogni probabilità lo farà ancora di più. Sempre con fondi europei.