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Qui Londra, Gb scommette su una lunga 'proxy war'

Nuove sanzioni anti Mosca, nuove promesse di armi a Kiev. Si muove su questo doppio binario parallelo la strategia di Londra in risposta all’invasione russa dell’Ucraina: in perfetta sintonia con gli Usa. L’ultimo capitolo è stato suggellato oggi dall’annucio di un’estensione delle ritorsioni contro il Cremlino da parte del governo di Boris Johnson ad altri 14 soggetti: i vertici manageriali e giornalistici dei media di Stato russi, nonché – a titolo più che altro simbolico in mancanza di suoi asset noti nel Regno Unito – il generale Mikhail Mizintsev, soprannominato dai tabloid isolani “il macellaio di Mariupol” per gli attacchi devastanti delle unità da lui guidate sulla città rivierasca ucraina semidistrutta dagli attacchi di queste settimane. “Quest’ultima serie di sanzioni colpisce i propagandisti senza vergogna che diffondono le fake news di Putin e la sua narrativa”, ha tagliato corto in riferimento ai media (e a conduttori come Serghei Briliov, anchorman ‘putiniano’ che a Londra ha vissuto per anni) la ministra degli Esteri britannica, Liz Truss, parlando a margine di una visita in India dove è impegnata a cementare le relazioni bilaterali post Brexit con New Delhi ma anche a cercare di convincere il colosso del subcontinente ad allentare la (vastissima) cooperazione militare con l’industria della difesa di Mosca. “Continueremo con altre sanzioni per aumentare la pressione sulla Russia e garantire che Vladimir Putin perda”, ha poi aggiunto la bellicosa titolare del Foreign Office. Senza escludere “nulla e nessuno”. Il segnale appare chiaro: Londra, come Washington, non sembra scommettere per ora granché sui negoziati di pace; semmai su una guerra prolungata che aggravi le difficoltà attribuite alle forze russe. Mentre per l’avvenire guarda a sanzioni a tempo virtualmente indeterminato (anche contro gli interessi degli alleati dell’Europa continentale e a costo di una minore unità d’intenti in seno all’Occidente) la cui durata BoJo collega ora addirittura a un ipotetico ritiro “dell’ultimo soldato” di Mosca dalla Crimea annessa. Non senza accompagnare la rinuncia definitiva a far entrare Ucraina o Georgia nella Nato all’idea di proseguire tuttavia sine die a rifornire massicciamente d’armamenti entrambe queste repubbliche ex sovietiche: quasi a voler predisporre, deterrenza a parte, le condizioni di una proxy war prolungata a intensità variabile ai confini russi.


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