Mercoledì si consumerà la parlamentarizzazione della crisi. Il premier Mario Draghi prenderà la parola prima al Senato, dove è nato il governo, e poi solo se lo reputerà necessario alla Camera. Più facile infatti che a Montecitorio consegni un testo scritto. I tempi esatti saranno individuati dalle conferenze dei capigruppo fra lunedì e martedì ma sarà il presidente del Consiglio a scegliere se attendere il dibattito ed anche il voto sulle comunicazioni oppure abbandonare subito dopo aver parlato l’Aula di Palazzo Madama e salire al Colle per rassegnare le dimissioni. Il premier lo ha messo a verbale parlando ai suoi ministri poco prima di annunciare le dimissioni (poi congelate dal capo dello Stato): il patto di fiducia è venuto meno, un’altra maggioranza non è possibile.
Qualora però reputasse che le condizioni politiche siano nuovamente mutate e che dunque sia possibile proseguire nell’azione di governo per sancire il nuovo avvio, avrebbe a disposizione il voto sulle comunicazioni rese in Parlamento. Secondo infatti quanto viene spiegato, la risoluzione di maggioranza potrebbe contenere un riferimento esplicito alla fiducia all’esecutivo e dunque, una volta incassato il voto favorevole, sarebbe sufficiente a riannodare il filo spezzato un questi giorni.
Nel caso di dimissioni del premier, invece, la parola passerebbe al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E qualora il capo dello Stato reputasse opportuno sciogliere le Camere e andare a elezioni, le date più probabili sono quelle del 25 settembre o del 2 ottobre. I tempi potrebbero sembrare eccessivamente lunghi, ma gli adempimenti per i partiti sono molteplici, non solo per la campagna elettorale ma anche per la presentazione delle liste che devono essere accompagnate da un alto numero di firme.
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