Il mondo “deve dimostrare” che Vladimir Putin non può restare impunito. Le parole di Boris Johnson, pronunciate nelle prime ore di oggi in una drammatica conversazione con il presidente ucraino Volodymir Zelensky, asserragliato in una Kiev sotto attacco da parte delle forze russe, riecheggiano stamattina a Londra; ma sono in effetti per il momento più un auspicio che altro, al di là della bandiera ucraina issata a Downing Street accanto all’Union Jack come gesto di solidarietà.
La capitale britannica alza comunque la soglia dello sdegno e dello shock per le immagini da guerra guerreggiata che rimbalzano dal fronte dell’Est europeo. Le sanzioni portate ieri a livelli senza precedenti dal governo Tory contro Mosca (con 100 nuovi individui ed entità prese di mira, le banche russe bandite dal Regno Unito, i conti bancari di cittadini e oligarchi russi sull’isola limitati a un tetto di 60.000 sterline) incassano anche il sostegno del leader dell’opposizione laburista Keir Starmer. Mentre Londra spinge in seno al G7 per l’espulsione di Mosca dal circuito dei pagamenti bancari internazionali Swift e la British Airways sospende tutti i sorvoli negli sterminati cieli russi sullo sfondo del bando incrociato imposto dai due Paesi alle rispettive compagnie aeree.
Intanto i giornali fanno leva in fotocopia sull’immagine simbolo del volto insanguinato e della testa bendata di una donna vittima dei primi bombardamenti per descrivere “L’agonia dell’Ucraina”, “L’invasione di Putin” e “Il giorno nero dell’Europa”, a seconda dei titoli di Independent, Guardian o Times. Mentre i tabloid Mirror e Sun commentano la stessa foto con un identico slogan: “Il suo sangue sulle mani di Putin”.
Guardano invece già al futuro il Mail e il Telegraph: il primo per attribuire all’intelligence britannica la convinzione che “i giorni di Kiev” siano ormai contati; il secondo per evocare l’evidenza di “Una nuova guerra fredda” destinata a durare fra Russia e Occidente. Dalla redazione fact checking della Bbc, infine, un avvertimento: attenti ai fake, alle immagini di altri teatri militari spacciate come testimonianze dall’Ucraina a fini propagandistici; o magari per l’ingnoranza individuale diffusa sui social media e altrove.
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