Un test per i partiti in vista delle future elezioni politiche. E per le coalizioni che, in non pochi casi, sperimentano nuove formule di alleanze, in ordine sparso. Nove milioni di italiani sono chiamati alle urne per rinnovare le loro amministrazioni in un migliaio di comuni e per votare i referendum sulla giustizia. Un test, questo, a rischio quorum ma che non esenta tutti i partiti a misurarsi anche sull’affluenza per il voto amministrativo.
Tanto più perché la vigilia del voto, che dovrebbe essere scandita da un ferreo silenzio elettorale, si trasforma in una giornata di accuse e minacciate querele. I leader delle forze politiche hanno chiuso ieri i loro tour elettorali ma Matteo Salvini approfitta di una visita al Salone del Mobile per tornare all’attacco di governo, partiti ed Europa. E mentre si fa il contro alla rovescia per l’apertura delle urne di una votazione già funestata dall’annuncio di una pletora di 18 candidati “impresentabili”, secondo il verdetto della Commissione Antimafia, e dall’arresto di due candidati al Comune di Palermo – uno di Fi e uno di FdI – scoppia anche il caso del biglietto pagato dall’ambasciata russa per il viaggio, poi saltato, Di Salvini a Mosca. Un terremoto che si somma agli attacchi del leader di Via Bellerio alla Bce nuovamente accusata di mettere l’Italia “sotto attacco”, al governo (“altro che 9 miliardi, trovi velocemente i soldi per rinnovare lo sconto benzina e gasolio almeno per tutta l’estate”) e pure al Pd. Con il senatore Andrea Ostellari che si scaglia contro Enrico Letta, accusato di avere “intrattenuto rapporti molto stretti, avendo assunto incarichi in alcune società” con la Cina.
Salvini replica ruvido anche all’alleata Giorgia Meloni, che gli aveva chiesto di firmare un “patto anti-inciucio”. “Non ho bisogno di firmare. Non ho nessuna intenzione di governare col Pd dopo questa fase di emergenza”, assicura. A valle dell’abbraccio tra Salvini e Meloni sul palco a Verona, questa sfida elettorale è infatti la prova del nove per misurare i rapporti di forza tra Lega e Fdi e con Fi. Il centrodestra parte da una posizione di vantaggio nella consultazione di domani con 18 tra le 26 città più grandi che vanno al voto governate da una loro coalizione. Ma nella competizione si segnala proprio il caso di Verona, dove Forza Italia sostiene Tosi, candidato alternativo a Sboarina appoggiato da Lega e Fdi, rischiando così di aprire la porta del ballottaggio al candidato del fronte progressista. A Genova dove si ripresenta il civico Marco Bucci, la situazione si capovolge: il fronte del centrodestra che lo sostiene conta infatti anche sull’appoggio di Italia Viva e Azione.
La tornata elettorale a Palermo è invece molto indicativa per la coalizione di centrosinistra: nel capoluogo siciliano si sperimenta la tenuta dell’alleanza tra Pd e M5s anche in vista delle prossime regionali, dove Letta e Conte hanno messo in cantiere delle primarie comuni. Ma nelle geometrie variabili di questa tornata un caso è anche quello di Parma, governata per due mandati dal sindaco ex M5s, Pizzarotti: lì il Pd sostiene Guerra con la sinistra e con Italia Viva (ma non Azione di Calenda) e senza il M5s che non presenta una sua lista. Il centrodestra va invece al voto con Lega e Forza Italia a sostegno di Vignali da una parte e con FdI che appoggia Bocchi dall’altra. Se per il centrodestra è fondamentale difendere il “fortino” dei comuni che governano, per il centrosinistra la sfida è riconquistare il terreno perduto puntando il più possibile sul campo largo. E’ la scommessa che si gioca Enrico Letta quando esorcizza la debacle del 2017: “all’epoca il Pd fece una scelta che io non condivisi, che era una scelta di autosufficienza, di isolamento. Oggi – ripete sempre – noi stiamo facendo una scelta importante di allargamento”. Nella speranza che il M5s di Giuseppe Conte, perno di questo “allargamento” sostenuto dal segretario del Pd, regga ai prossimi, difficili, appuntamenti che lo attendono sul fronte legale.
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