Gianni Agnelli lo definì, con ironia sabauda, “il tipico intellettuale della Magna Grecia”, e nonostante Ciriaco De Mita abbia ricoperto tutti gli incarichi politici e istituzionali possibili, tranne la Presidenza della Repubblica, la definizione di Agnelli coglie il segno. L’ex premier ed ex segretario della Dc è stato il politico della Prima Repubblica che più di altri ha cercato di coniugare l’azione politica con la riflessione accademica, alla ricerca di innovazioni sociali e politiche, il tutto mixato dal suo carattere spigoloso. Non da ultimo è colui, da segretario Dc, che portò in campo due “professori”, Romano Prodi e l’attuale inquilino del Quirinale Sergio Mattarella.
Nato a Nusco, in provincia di Avellino il 2 febbraio 1928, De Mita dopo il liceo vinse una borsa di studio per seguire i corsi della Cattolica di Milano, fucina di una schiera di esponenti del cattolicesimo democratico “figliocci” di Giuseppe Lazzati, che seppero coniugare l’impegno sociale e politico a quello all’interno della Chiesa che si avviava verso il rinnovamento del Concilio Vaticano II. Iscritto giovanissimo alla Dc, nel 1953 è tra gli aderenti alla corrente “Base” di Giovanni Marcora, il partigiano Albertino, che voleva evitare una deriva conservatrice del partito dei cattolici. La brillantezza intellettuale, quella dei suoi interventi congressuali, lo portò a scalare del gerarchie scudocrociate, fino alla sua prima elezione nel 1963 alla Camera, dove sedette ininterrottamente fino al 1994. Nel 1969 promosse il cosiddetto Patto di San Ginesio tra i quarantenni per sottrarre il controllo del partito ai dorotei, e nel 1973 divenne vicesegretario Dc. In quegli anni fu più volte al governo (Ministro dell’Industria, Commercio estero, del Mezzogiorno, finché nel 1979 tornò all’impegno nel partito come vicesegretario e nel 1982 finalmente segretario, incarico che ricoprì fino al febbraio 1989.
In quel ruolo De Mita cercò di rinnovare la Dc: il superamento dell’esasperante frazionamento correntizio poteva essere perseguito con un rinnovato collegamento con la società civile. Ed ecco la sua chiamata del professore Prodi all’Iri e poi come ministro, o quella del giurista Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, a ripulire la Dc palermitana. De Mita era convinto della necessità di superare la “conventio ad excludendum” del Pci, sulla linea di Aldo Moro, e questo lo portò a scontrarsi con il segretario del Psi Bettino Craxi, che invece aveva lanciato la “competition” a sinistra con i comunisti. Questo non impedì a De Mita di diventare Presidente del Consiglio nell’aprile del 1988, mentre era ancora segretario del suo partito, unico a ricoprire il doppio incarico dopo Fanfani. Ma già nel febbraio 1989 la corrente di Gava, Forlani e Andreotti sconfisse De Mita al congresso Dc e, dopo aver ceduto l’incarico di segretario, nel luglio successivo dovette cedere quello di presidente del Consiglio in favore di Andreotti, un governo che avviò il cosiddetto CAF (Craxi-Andreotti-Fornali) che gestì la fase finale della Prima Repubblica.
De Mita fu impegnato nelle riforme istituzionali, e appena nominato a Palazzo Chigi nel 1988 le Br uccisero il suo consigliere Roberto Ruffilli, teorico dell’uninominale. De Mita guidò nel 1992 la Bicamerale per le riforme costituzionali, la cui guida poi passò a NIlde Iotti, ma dopo l’approvazione della legge elettorale Mattarella nel 1993 il presidente Scalfaro sciolse le Camere sull’onda di Tangentopoli. La scesa in campo di Silvio Berlusconi contribuì a spazzar via i vecchi partiti, e De Mita dopo due anni sabbatici fu di nuovo in Parlamento nel 1996 prima con il Ppi, poi con la Margherita, fino al 2008, quando il segretario del nuovo partito, il Pd, Walter Veltroni, non volle ricandidarlo, cosa che spezzò il legame con il centrosinistra di De Mita. La passione per la politica lo spinse tuttavia negli ultimi anni di vita a candidarsi e a essere eletto sindaco della sua Nusco, un ritorno nella sua Magna Grecia.
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