Bruxelles – È bersagliato su tutti i fronti il premier britannico, Boris Johnson. Quello interno è senza dubbio il più urgente – con il rischio di una crisi di governo imminente dopo le dimissioni in massa anche tra i suoi ministri più fedeli – ma anche per i rapporti con i partner internazionali dell’Europa continentale la situazione non è molto più rosea. Durante un confronto con gli eurodeputati alla sessione plenaria del Parlamento UE, il vicepresidente della Commissione per le Relazioni interisituzionali, Maroš Šefčovič, è tornato ad attaccare BoJo per il progetto di modifiche unilaterali del Protocollo sull’Irlanda del Nord: “Dobbiamo affrontare una grande sfida sulla frontiera orientale [la guerra russa in Ucraina, ndr], non è il momento per violare il diritto internazionale“.
Al centro della questione tra Londra e Bruxelles c’è la decisione del governo Johnson di non ritirare il progetto di legge che andrebbe a riscrivere – solo da parte britannica – le condizioni del commercio tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord, violando il protocollo che è parte dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito. Lo scorso 15 giugno la Commissione Europea aveva deciso di riattivare una procedura d’infrazione e di attivarne altre due proprio per questo motivo, ma la risposta dall’altra sponda della Manica è stata di totale chiusura: non solo la proposta non è stata ritirata, ma martedì scorso (28 giugno) la Camera dei Comuni l’ha approvata, dando il primo via libera al progetto di modifica del Protocollo sull’Irlanda del Nord. “Qualsiasi azione unilaterale eroderà la base di fiducia tra i partner”, ha avvertito Šefčovič, che ha definito l’azione politica britannica “inaccettabile”, anche perché “intacca gravemente i nostri interessi” nel Mercato interno.
Si tratta in particolare della questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli UE sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord (che nel contesto post-Brexit sono necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda). Il problema maggiore riguarda le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles. Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte del governo Johnson aveva scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra luglio e ottobre dello scorso anno: l’esecutivo comunitario aveva prima sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare poi delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati, ma senza mai mettere in discussione l’integrità della parte dell’accordo di recesso tra UE e Regno Unito siglato per garantire l’unità sull’isola irlandese.
La nuova offensiva politica di Downing Street 10 ha rimescolato le carte e ora la tensione tra le due sponde della Manica ha toccato i livelli più alti da quando il Regno Unito ha abbandonato il progetto UE. “Serve una collaborazione minima dei partner, con controlli sulla base del rischio per il Mercato interno”, è l’esortazione del vicepresidente Šefčovič: “Può funzionare, è il contenuto del Protocollo sull’Irlanda del Nord, non vogliamo soluzioni di facciata ma un risultato sulla base di una legge che è già predisposta”. Il lavoro per “garantire l’accesso Mercato interno dell’UE e anche a quello del Regno Unito” si dovrà basare su “soluzioni operative”, che potranno contare anche sulla “unità nell’Unione e il sostegno del Parlamento Europeo”.
Ouch pic.twitter.com/HMDGuVwyZ7
— Tim Durrant (@timd_IFG) July 6, 2022
La crisi di governo
A Londra però non è tanto la questione delle modifiche del Protocollo sull’Irlanda del Nord a tenere con il fiato sospeso una nazione intera, quanto la situazione ben più che traballante del governo Johnson. Se ancora di governo si può parlare, considerato il fatto che ormai sono salite a 34 le dimissioni di membri del gabinetto (oltre 150 se si considerano anche i sottosegretari), compresi tre pezzi grossi: il cancelliere dello Scacchiere (l’equivalente del ministro dell’Economia), Rishi Sunak, il segretario di Stato per la Salute, Sajid Javid, e il segretario di Stato per il Livellamento delle disuguaglianze territoriali, Michael Gove. Secondo quanto riferiscono le fonti di tutti i maggiori organi d’informazione britannici, una delegazione di ministri che ancora non hanno rassegnato le dimissioni – guidata dal segretario di Stato per le imprese, l’energia e la strategia industriale, Kwasi Kwarteng – si recherà a breve a Downing Street per chiedere a Johnson di fare un passo indietro. Anche se BoJo ha risposto con un “certamente” alla domanda in audizione alla Camera dei Comuni se crede che domani sarà ancora il primo ministro britannico.
A innescare un’ormai inevitabile crisi di governo – che si indirizza sempre più verso il binario delle dimissioni del primo ministro – sono alcuni scandali che hanno colpito il gabinetto guidato da Johnson. Il primo è stato il cosiddetto Partygate, che ha rivelato una serie di feste private organizzate a Downing Street 10 (la residenza riservata ai premier britannici) durante il lockdown per la pandemia COVID-19, seguito poi dalla scoperta che Johnson aveva nominato Chris Pincher a deputy chief whip (vice del responsabile per il controllo della disciplina del gruppo di maggioranza alla Camera dei Comuni) nonostante sapesse che era stato accusato di molestie sessuali. L’ondata di dimissioni dal gabinetto sono arrivate proprio dopo quest’ultimo scandalo: nella lettera di dimissioni di Javid si legge che “il popolo britannico si aspetta integrità dal suo governo”.
I have spoken to the Prime Minister to tender my resignation as Secretary of State for Health & Social Care.
It has been an enormous privilege to serve in this role, but I regret that I can no longer continue in good conscience. pic.twitter.com/d5RBFGPqXp
— Sajid Javid (@sajidjavid) July 5, 2022