Bruxelles – Era il 4 maggio quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presentava davanti alla plenaria del Parlamento UE a Strasburgo la proposta del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ponendo un forte accento sull’embargo totale al petrolio russo. A 30 giorni da quell’annuncio, la nuova tornata di misure restrittive è stata approvata dal Consiglio dell’UE, lasciandosi alle spalle tutta una serie di dure polemiche, errori di valutazione e deroghe inizialmente non previste dalla proposta.
Al centro del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia e la Bielorussia – spalla operativa per l’invasione dell’Ucraina da nord – c’è proprio l’embargo al petrolio in arrivo da Mosca. Il divieto di acquisto, importazione e trasferimento del greggio e dei derivati prevede una gradualità tra i sei (per il greggio) e gli otto mesi (per prodotti raffinati), ma soprattutto un’eccezione temporanea per le importazioni tramite oleodotto negli Stati membri che “a causa della loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dalle forniture russe e non hanno opzioni alternative valide”. È il caso dell’Ungheria di Viktor Orbán (ma anche di Polonia, Germania e Slovacchi), che fino all’ultimo ha tenuto in stallo l’accordo tra i leader UE al vertice di lunedì e martedì (30-31 maggio), mentre a Bulgaria e Croazia sono garantite deroghe temporanee per l’importazione di greggio via mare e di gasolio sottovuoto. Della durata di queste eccezioni si dovrà discutere nelle prossime riunioni a livello tecnico e politico a Bruxelles.
Altro punto complesso – anche se la criticità è emersa a sorpresa solo dopo l’accordo al Consiglio UE sul sesto pacchetto di sanzioni – è l’aggiornamento degli elenchi di persone ed entità vicine al regime di Vladimir Putin e di Alexander Lukashenko colpiti dalle misure restrittive. Tra i 58 “responsabili delle atrocità commesse dalle truppe russe a Bucha e Mariupol, le personalità che sostengono la guerra, i principali uomini d’affari e i familiari degli oligarchi e dei funzionari del Cremlino” (oltre ai 1.093 individui e 80 entità già presenti) doveva comparire anche il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill. Tuttavia, il premier ungherese Orbán ha deciso mercoledì (primo giugno) di porre il proprio veto sulla richiesta della Commissione di congelare i suoi beni e rimuoverne il visto, bloccando nuovamente il pacchetto al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). La richiesta di Orbán è stata accolta in meno di ventiquattr’ore dagli altri 26 governi UE, lasciando nella lista militari e ufficiali responsabili di crimini di guerra, oligarchi e società russe del settore della difesa.
Terza misura che compare nel sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci: Sberbank, una delle più grandi banche russe, la Banca di credito di Mosca e la Banca agricola russa (a cui si aggiunge anche la Banca bielorussa per lo sviluppo e la ricostruzione). Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. Inoltre, dal momento in cui il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, sarà vietata la fornitura di servizi di contabilità, relazioni pubbliche, consulenza, e servizi cloud alla Russia.
Mentre si ragiona sul rafforzamento del regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive, si approfondiscono le restrizioni all’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso “che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza” di Mosca. Tra questi compaiono anche 80 prodotti che possono essere utilizzati per la produzione di armi chimiche.
Ultimo punto, la sospensione della radiodiffusione di tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Queste strutture sono state utilizzate dal governo russo come strumenti per manipolare le informazioni e promuovere la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina” con l’obiettivo di “destabilizzare i Paesi vicini alla Russia, l’UE e i suoi Stati membri”, spiegano dal Consiglio. Una precisazione – per rispondere in anticipo alle eventuali polemiche sulla libertà di stampa – riguarda il fatto che “in linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno ai media e al loro personale di svolgere nell’UE attività diverse dalla trasmissione, come ricerche e interviste”.