A Taranto la vita o la morte del governo. Sull’ex Ilva i giallorosa di fatto si giocano tutto con il premier Giuseppe Conte che, dopo mesi, dal salotto di Bruno Vespa, fa una sorta di appello pubblico che chiama a raccolta tutti per salvare lo stabilimento pugliese. E’ un appello che il capo del governo fa soprattutto alla maggioranza e che forse, non riguarda solo l’ex Ilva ma è destinato all’intero esecutivo.
Il blitz televisivo di Conte avviene dopo che, in mattinata, il premier vede il presidente Sergio Mattarella. La preoccupazione per l’ex Ilva, al Quirinale, è palpabile, come lo è sempre con crisi aziendali di questa dimensione che investono il tema chiave dell’occupazione. E, per questo, Mattarella, senza entrare nel merito della strategia da intraprendere, chiede a Conte di fare il massimo e con tempi rapidi. In gioco c’è la vita di migliaia e migliaia di famiglie. Una strategia, a Palazzo Chigi, sembra comunque delinearsi in queste ore. La trattativa con ArcelorMittal al momento non c’è. E nel governo non c’è neanche la volontà a piegarsi alla multinazionale. L’unica concessione sottolineata dal premier resta lo scudo penale ma, nella vertenza specifica, l’argomento non è decisivo. Per questo a Palazzo Chigi si preparano al peggio: ad una battaglia legale epica e all’arrivo di nuovi commissari che, attraverso dei prestiti-ponte, traghettino l’ex Ilva nel periodo della non facile ricerca di una nuova cordata.
Con un’idea che avanza nella maggioranza: nazionalizzare. Per Italia Viva non sarebbe un tabù, per il M5S sarebbe una soluzione. Per Conte è una delle alternative. Con due appendici non di poco conto: il sì dell’Europa, tutt’altro che scontato; il peso dell’eventuale operazioni sui conti pubblici. Peso sul quale, anche al Mise, si dicono pessimisti. Attorno a Palazzo Chigi è scattato lo stato d’allerta. Il governo latita sulla manovra e nel Pd aumentano le spinte interne di chi vuole una rottura subito dopo la finanziaria e prima, quindi, del voto in Emilia-Romagna. Voto che, è la convinzione di chi spinge per la crisi, se perdurasse lo status quo potrebbe essere catastrofico per i Dem. Alcune fonti Pd addebitano queste spinte a Nicola Zingaretti e al suo vice Andrea Orlando anche se, pur dicendosi stanco di “furbizie”, il segretario nega qualsiasi strappo. Uno strappo che potrebbe tuttavia prodursi sullo scudo penale, che il Pd vuole per agevolare la battaglia con A.Mittal e anche in vista di future operazioni industriale.
Sul tema c’è il “no” di Luigi Di Maio. Il capo politico si ritrova con il M5S a un passo dall’implosione. Non può e soprattutto non vuole forzare sul ripristino dello scudo penale, inviso ad una cospicua parte dei gruppi e, comunque, storicamente bocciato dal Movimento. Se il tema si porrà come decisivo per l’ex Ilva o per la sorte del governo Di Maio lascerà che siano i gruppi a decidere ma per ora, per lui, lo scudo non è dirimente. Di certo, nel M5S, siamo alla resa dei conti. Non a caso Roberto Fico, nei panni del pompiere, assicura l’unità del Movimento nei momenti chiave. Non a caso Davide Casaleggio, messo nel mirino dal dissenso interno, nel pomeriggio compare alla Camera e poi al Senato. Vede alcuni parlamentari e non è escluso un faccia a faccia con Di Maio. Il leader del M5S, nelle prossime ore, vedrà i direttivi dei gruppi e, probabilmente, martedì tutti i deputati e i senatori.
Sarà un primo assaggio del grande bivio che si pone davanti al M5S e al governo: cementare un’alleanza stantia o abbandonarsi all’Armageddon che da giorni attende Matteo Salvini.
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