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    È “imminente” il Pacchetto Allargamento che “provvederà ai mezzi” per accelerare l’integrazione di nuovi membri Ue

    Bruxelles – Mancano poche settimane al nuovo Pacchetto Allargamento Ue, l’attesa relazione annuale della Commissione Europea sullo stato di avanzamento dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione Ue. “È imminente”, ha annunciato oggi (28 settembre) il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, nel corso della conferenza stampa al termine del Consiglio Affari Generali informale a Murcia (Spagna), anticipando l’appuntamento previsto dall’agenda dei punti all’ordine del giorno del Collegio dei commissari per il 31 ottobre “o a inizio novembre”. Come reso noto dal commissario europeo, “sarà un pacchetto che includerà 10 Paesi candidati o con la prospettiva europea e che provvederà ai mezzi per accelerare l’integrazione“.
    Da sinistra: il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares, e il commissario europeo per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi (28 settembre 2023)
    Altri dettagli al momento non sono stati rivelati, a parte un riferimento al piano di crescita per i Balcani Occidentali presentato lo scorso 31 maggio dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Proprio la numero uno dell’esecutivo comunitario ha messo in chiaro da Spalato (Croazia) che “il passato allargamento Ue è stato un grande successo per Paesi come la Croazia” – l’ultimo a fare ingresso nell’Unione nel 2013 – “e ha portato grandi benefici per l’Unione Europea”, e per questo motivo “dobbiamo replicarlo con gli attuali candidati”. Ma in ogni caso non cambia il fatto che “è un processo basato sul merito, che richiede contemporaneamente riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo da parte dell’Ue“, come già evidenziato nel discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso 13 settembre: “È molto importante spiegare agli Stati membri e ai nostri cittadini che nel nuovo ambiente geostrategico l’allargamento Ue basato sui meriti ci rafforza, è necessario e porta benefici”, ha aggiunto von der Leyen.
    Cruciale il vertice informale dei ministri degli Affari europei per iniziare a confrontarsi sulla proposta franco-tedesca per adeguare l’Unione al futuro allargamento. “Le discussioni si sono divise in tre gruppi di lavoro“, ha spiegato il ministro degli Esteri spagnolo e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, José Manuel Albares: “Istituzioni e riforme necessarie in vista dell’allargamento Ue, impatto sul budget per le capacità di assorbimento e possibilità di creare nuove aree di cooperazione per una graduale integrazione”. E quanto emerge dal primo confronto è che “l’allargamento Ue è tra le tre priorità principali” dei Ventisette, ha voluto sottolineare con forza il commissario Várhelyi, considerato il fatto che “il cambiamento nelle dinamiche geopolitiche attorno a noi dimostra che il progetto di sicurezza, pace e stabilità dell’Ue dipenderà dal successo dell’allargamento Ue e dall’accogliere nuovi membri”. Se sul fronte esterno “abbiamo iniziato a discutere su come supportare i candidati ad accelerare sulle riforme”, su quello interno “non pensiamo ci sia bisogno di una riforma dei Trattati per accogliere nuovi membri“, ma i due percorsi “devono andare in parallelo ed essere conclusi nel breve termine”. Riecheggia anche a Murcia la data del 2030, quella avanzata dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel: “Se il Consiglio è pronto a fornire l’adesione, la Commissione lo sarà di sicuro, ma la vera domanda è se i Paesi candidati saranno pronti“.

    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    Attesa per il 31 ottobre, la nuova relazione annuale prevederà “un nuovo modo” di pensare l’adesione, ha fatto sapere il commissario per l’Allargamento, Olivér Várhelyi. La presidente Ursula von der Leyen chiede “riforme strutturali nei Paesi candidati e un percorso parallelo dall’Ue”

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    Why is the implementation of the Sustainable Development Goals key for the next European Commission?

    Brussels – These days are critical for the advancement of the Sustainable Development Goals (SDGs), as the 2023 SDG Summit taking place in New York aims to mark the beginning of a new phase in accelerating the implementation of the SDGs with high-level political guidance.
    (credits: Timothy A. Clary / Afp)
    In September 2015, world leaders, gathered at the United Nations to adopt the 2030 Agenda for Sustainable Development, which included 17 Sustainable Development Goals (SDGs), sought to address pressing global challenges by taking into account, on an equal footing, the economic, social and environmental dimensions. Now, half way to 2030, it is essential to take stock of the progress made, the challenges faced, and the path forward towards achieving these ambitious goals. The reality is that we are currently falling behind schedule, and it appears that even if we have all the required resources and technology, we are lacking the political determination to move forward at an adequate pace.
    During the High-Level Political Forum in July in New York, it was mentioned that the UN special edition of the SDGs Progress Report made clear that only 12 percent of the Sustainable Development Goals are on track globally. Europe is in better shape than other continents as there has been progress in some of the SDGs. Nevertheless, not all of them are progressing and not as fast as they should. In addition to this, there are disparities among EU Member States and regions and we still have a long way to go as multiple and consecutive crisis such as the pandemic and the war in Ukraine are destabilising the world and our efforts.
    The Road Ahead
    The lack of explicit mention of the implementation of the Sustainable Development Goals in President Ursula Von der Leyen‘s State of the Union speech on 13 September, shows that the SDGs are not the driving force of change of the EU policies. There is a certain “SDG washing”. Instead of considering them as an umbrella that defines our actions for systemic change, we just take fragmented decisions and state how it affects the implementation of specific goals.
    The president of the European Commission, Ursula Von der Leyen (13 September 2023)
    The incoming EU Commission should take the political commitment to implementing the Sustainable Development Goals seriously. Achieving the 2030 Agenda requires structural changes, innovative solutions, and collaboration among governments, civil society, businesses, and international organisations. We need a long-term transformative plan that will go beyond 2030. The European Economic and Social Committee (Eesc) and other civil society organisations have been calling for an overarching strategy to implement the SDGs since the beginning. And this requires political courage and commitment not only to adequately channel the available financial and human resources but also to restructure the way the administration works and to break silos.
    We are experiencing unprecedented floods, drought and wildfires. We are witnessing how social inequalities are rising and with them social unrest and disdain for our current politicians and policy-makers. We are seeing how the big economic players are improving their market position and how it’s getting harder and harder for the small ones to survive.  The implementation of the SDGs is the only reliable solution for all. Achieving the Sustainable Development Goals demands collective action, innovative solutions, and a renewed dedication to building a better world for current and future generations. We can’t allow the uncertainty to govern our future.

    Maria Nikolopoulou, is a member of the European Economic and Social Committee (Eesc) and a member of the Spanish Trade Union Confederation Comisiones Obreras

    Maria Nikolopoulou, member of the European Economic and Social Committee (Eesc), points out the need for the EU to achieve the 2030 Agenda: “This requires political courage and commitment to restructure the way the administration works and to break silos”

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    Il destino intrecciato dell’allargamento Ue e della riforma dei Trattati nel discorso sullo stato dell’Unione di von der Leyen

    Bruxelles – Non c’è allargamento Ue senza ripensamento sui meccanismi interni dell’Unione, non c’è riforma dei Trattati senza aspirazione a “completare la nostra Unione Europea” con i nuovi Paesi che hanno iniziato il percorso di avvicinamento all’adesione. Parola della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, dal podio nell’emiciclo del Parlamento Ue a Strasburgo per l’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione di questi cinque anni di mandato per il suo gabinetto: “È giunto il momento per l’Europa di pensare ancora una volta in grande e di scrivere il nostro destino”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
    L’allargamento Ue occupa un posto di notevole rilievo nell’ora di intervento della presidente von der Leyen alla sessione plenaria dell’Eurocamera questa mattina (13 settembre): “Il futuro dell’Ucraina, dei Balcani Occidentali, della Moldova è nella nostra Unione, e so bene quanto sia importante la prospettiva europea per molti abitanti della Georgia”. In un mondo in cui potenze come la Russia “cercano di eliminare i Paesi uno ad uno”, la numero uno dell’esecutivo comunitario ha ricordato che “non possiamo permetterci di lasciare indietro i nostri concittadini europei” – ucraini, balcanici, moldavi, georgiani – anche perché “è chiaramente nell’interesse strategico e di sicurezza dell’Europa”. Prima di ogni azione è però necessario “delineare una visione per un allargamento di successo”, per non snaturare un’Unione “libera, democratica e prospera” in cui Stato di diritto e i diritti fondamentali “saranno sempre il fondamento” degli Stati membri attuali e “in quelli futuri”. Ecco perché tra gli annunci dello Stato dell’Unione sui nuovi tavoli aperti dalla Commissione c’è anche quello sulle relazioni sullo Stato di diritto “a quei Paesi in via di adesione che si aggiorneranno ancora più rapidamente”, per metterli “sullo stesso piano degli Stati membri” e “sostenere i loro sforzi di riforma”.
    Ripensare alla struttura dell’Unione di fronte alla prospettiva di allargamento Ue che al momento conta 10 ‘ospiti’ a varie fasi di avvicinamento – Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldova, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina – significa riflettere già ora a “come funzioneranno le nostre istituzioni, come saranno il Parlamento e la Commissione“, ma anche al “futuro del nostro bilancio, cosa finanzia, come lo finanzia e come viene finanziato”. Tutte questioni che “dobbiamo affrontare oggi se vogliamo essere pronti per il domani”, è l’esortazione della numero uno della Commissione Europea, annunciando che “presenteremo le nostre idee alla discussione dei leader sotto la presidenza belga” del Consiglio dell’Ue nel primo semestre del 2024: “Dobbiamo rispondere alle domande su come funzionerà in pratica un’Unione di oltre 30 Paesi e in particolare sulla nostra capacità di agire”.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, alla sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo (13 settembre 2023)
    Sul rapporto tra allargamento Ue e riforma dei Trattati la presidente von der Leyen non potrebbe essere più chiara: “Non si tratta di approfondire l’integrazione o di allargare l’Unione, possiamo e dobbiamo fare entrambe le cose“. In altre parole, “dobbiamo superare i vecchi dibattiti binari sull’allargamento”, anche considerato il fatto che “ogni ondata di allargamento è stata accompagnata da un approfondimento politico”: dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio alla piena integrazione economica, fino alla “vera e propria Unione di popoli e Stati” dopo la caduta della Cortina di Ferro. “Abbiamo dimostrato di poter essere un’Unione geopolitica e di poterci muovere velocemente quando siamo uniti, credo che Team Europe funzioni anche a più di 30″ Paesi membri, così come l’Unione della Salute e l’Unione Europea della Difesa “iniziate a 27 e potremo portarle a termine a più di 30”. L’impegno di von der Leyen è quello di “sostenere questa Assemblea e tutti coloro che vogliono riformare l’Unione” per farla funzionare meglio: “E sì, questo significa anche modificare la Convenzione europea e il Trattato se e dove è necessario”.
    Nel discorso sullo Stato dell’Unione la presidente della Commissione non fa promesse su una data per la fine del processo dell’allargamento Ue – come fatto in maniera piuttosto controversa dal leader del Consiglio Ue, Charles Michel – ma dà indicazioni politiche piuttosto nette: “Non possiamo – e non dobbiamo – aspettare la modifica del Trattato per procedere con l’allargamento Ue“, perché un’Unione adatta a questo scopo “può essere realizzata più rapidamente”. La “buona notizia” su cui si può partire è che “ad ogni allargamento Ue è stato dimostrato che chi diceva che ci avrebbe reso meno efficienti si sbagliava”. Il Next Generation Eu, l’acquisto di vaccini anti-Covid, le sanzioni contro la Russia e l’acquisto congiunto di gas – “non solo a 27, ma anche in Ucraina, Moldova e Serbia” – parlano da sé. Ma ora bisogna fare un passo oltre: “Dobbiamo esaminare più da vicino ogni politica e vedere come verrebbe influenzata da un’Unione più ampia” e con questo obiettivo “la Commissione inizierà a lavorare su una serie di revisioni delle politiche pre-allargamento Ue, per vedere come ogni settore dovrebbe essere adattato”. Segnali di apertura a quell’idea di “processo più rapido, graduale e reversibile” avanzata dal presidente del Consiglio Ue, anche se “l’adesione è basata sul merito e la Commissione difenderà sempre questo principio”, ha messo in chiaro senza mezzi termini von der Leyen dal podio di Strasburgo.
    A che punto è l’allargamento Ue
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio dell’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.

    La presidente della Commissione Europea ha annunciato che “presenteremo le nostre idee alle discussioni dei leader sotto la presidenza belga” nel primo semestre 2024. Il “completamento dell’Unione” è una priorità strategica che “non può aspettare” la fine del rinnovamento interno

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    Il primo ripensamento post-Brexit di Londra. Accordo con Bruxelles per il ritorno del Regno Unito in due programmi Ue

    Bruxelles – Cadono le prime resistenze del Regno Unito post-Brexit a un ritorno nei programmi dell’Unione Europea, con tutto quello che significa anche da un punto di vista finanziario. Questa mattina (7 settembre) il governo britannico guidato da Rishi Sunak e la Commissione Europea hanno raggiunto un’intesa politica sulla partecipazione di Londra ai programmi Horizon Europe e Copernicus a partire dal primo gennaio 2024. Ricerca e innovazione e osservazione satellitare – con tutte le implicazioni sul piano della lotta alle conseguenze dei cambiamenti climatici e alle ambizioni di transizione energetica – hanno permesso di superare i dissapori degli ultimi due anni e mezzo a proposito dell’implementazione dell’Accordo di commercio e cooperazione, aprendo uno spiraglio per altri ripensamenti (come per esempio il programma d mobilità studentesca Erasmus+).
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak (27 febbraio 2023)
    “L’Unione Europea è leader mondiale nella ricerca e nell’innovazione, Horizon è fondamentale per mantenere il vantaggio tecnologico”, è stato il commento soddisfatto della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a proposito di un accordo tra “partner e alleati strategici fondamentali” che “rafforzerà la scienza in tutta Europa”. Una soluzione concordata “di comune accordo”, precisa una nota congiunta, che permetterà alle due parti di rimettere in contatto le rispettive comunità di ricerca e spaziali per approfondire le relazioni sulle materie di innovazione comune. È la stessa Commissione a fornire alcuni dettagli dell’accordo: in primis il fatto che l’intesa di oggi è “pienamente in linea” con l’accordo negoziato per il post-Brexit e soprattutto che il Regno Unito “dovrà contribuire finanziariamente al bilancio dell’UE ed è soggetto a tutte le garanzie” previste. La stima per quanto riguarda il contributo finanziario di Londra per la partecipazione a Horizon Europe e a Copernicus è di 2,6 miliardi di euro all’anno (pari a 2,2 miliardi di sterline ogni 12 mesi).
    “Abbiamo lavorato con i nostri partner dell’Ue per assicurarci che questo sia l’accordo giusto per il Regno Unito, sbloccando opportunità di ricerca senza precedenti“, ha voluto sottolineare il premier Sunak, precisando che questa intesa è “giusta per i contribuenti britannici”. Anche se l’espressione “senza precedenti” è senza dubbio fuorviante – per nascondere un evidente fallimento della Brexit – considerato il fatto che nel programma predecessore di Horizon Europe, Horizon 2020 (nel bilancio pluriennale 2014-2020), il Regno Unito era il secondo maggior beneficiario di fondi Ue alle spalle della Germania. Se approvato dal Consiglio e adottato formalmente dal Comitato specializzato Ue-Regno Unito sulla partecipazione ai programmi dell’Unione, l’accordo politico permetterà a ricercatori ed enti di ricerca britannici di ritornare a partire dal prossimo anno in una “rete mondiale per affrontare le sfide globali in materia di clima, energia, mobilità, digitale, industria e spazio, salute”.
    Il totale dei finanziamenti da Horizon 2020 ai Paesi beneficiari
    Nelle intenzioni di Bruxelles c’è quella di tornare a stringere i legami con Londra per saldare l’alleanza sul fronte della lotta ai cambiamenti climatici – grazie al programma satellitare Copernicus per il monitoraggio della Terra – e su quello del raggiungimento degli obiettivi climatici e del Green Deal – attraverso l’innovazione portata avanti con Horizon Europe (il 35 per cento dei 95,5 miliardi di euro complessivi stanziati sono destinati a questo proposito). Soddisfatto anche il vicepresidente della Commissione Ue per le Relazioni interistituzionali e vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo, Maroš Šefčovič: “L’accordo garantirà che i ricercatori e l’industria dell’Ue e del Regno Unito beneficino reciprocamente dell’esperienza degli altri e della proficua collaborazione nei programmi scientifici e spaziali dell’Ue”. Prove generali di responsabile per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù nel gabinetto von der Leyen per la commissaria designata Iliana Ivanova: “Come ho detto nel mio scambio con i membri del Parlamento Ue, abbiamo bisogno di cooperare con i Paesi che la pensano allo stesso modo”.
    Due anni di contesa tra Ue e Regno Unito
    Dal momento in cui la Brexit è diventata a tutti gli effetti una realtà, i due anni e mezzo che hanno seguito l’entrata in vigore dell’Accordo di commercio e cooperazione sono stati particolarmente tortuosi per i rapporti tra Bruxelles e Londra. La contesa tra Londra e Bruxelles è iniziata nel marzo del 2021 attorno alla questione del periodo di grazia per il commercio nel Mare d’Irlanda, ovvero la durata della concessione temporanea ai controlli Ue sui certificati sanitari per il commercio dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Nel contesto post-Brexit questi controlli sonoritenuti necessari per mantenere integro il Mercato Unico sull’isola d’Irlanda. Il problema maggiore ha riguardato le carni refrigerate e per questa ragione si è spesso parlato di ‘guerra delle salsicce’ con Bruxelles.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e l’ex-primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson
    Il tentativo di prorogare unilateralmente il periodo di grazia da parte dell’allora governo guidato da Boris Johnson ha scatenato lo scontro diplomatico tra le due sponde della Manica, apparentemente risolto tra il luglio e l’ottobre dello stesso anno. L’esecutivo comunitario ha così sospeso la procedura d’infrazione contro Londra, per cercare delle soluzioni di compromesso su tutti i settori più delicati. Ma nel giugno dello scorso anno la Commissione Ue ha scongelato la stessa procedura d’infrazione, attivandone altre due, per la decisione di Londra di tentare la strada della modifica unilaterale del Protocollo sull’Irlanda del Nord.
    Il crollo del governo Johnson prima e di quello disastroso di Liz Truss poi – con la contemporanea crisi economica che da allora ha travolto il Paese – ha agevolato le aperture da entrambe le parti verso una soluzione sostenibile per un accordo di compromesso. Accordo trovato con il Framework di Windsor il 27 febbraio 2023, firmato dalla presidente von der Leyen e dal premier Sunak. L’intesa raggiunta su Horizon Europe e Copernicus rappresenta “una pietra miliare dopo l’accordo sul Windsor Framework“, hanno voluto sottolineare le due parti.

    Trovata l’intesa politica per la partecipazione dal primo gennaio 2024 a Horizon Europe (per ricerca e innovazione) e Copernicus (per l’osservazione satellitare), secondo l’Accordo di commercio e cooperazione. La Commissione stima un contributo di 2,6 miliardi di euro all’anno

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    L’Ucraina ha ricevuto dall’Ue la settima tranche di supporto macrofinanziario. Gli aiuti nel 2023 salgono a 12 miliardi

    Bruxelles – Continua secondo i piani della Commissione Europea il sostegno macro-finanziario all’Ucraina promesso per tutto il 2023. Nella giornata di oggi (22 agosto) sono stati versati nelle casse di Kiev altri 1,5 miliardi di euro, a un mese dall’ultima tranche stanziata da Bruxelles per supportare il Paese invaso dall’esercito russo dal 24 febbraio 2022 negli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”. Ad annunciare lo stanziamento della settima tranche di assistenza macrofinanziaria è stata la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che ha promesso che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre“.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, a Kiev (8 maggio 2023)
    Con la settimana tranche di aiuti destinati a Kiev attraverso lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+, il supporto economico fornito da Bruxelles nel corso di quest’anno sale a 12 miliardi di euro, dei 18 totali previsti dal pacchetto approvato alla fine dello scorso anno dai co-legislatori. “Con questo strumento, l’Ue cerca di aiutare l’Ucraina a coprire il suo fabbisogno finanziario immediato, con un sostegno finanziario stabile, prevedibile e consistente nel 2023“, sottolinea l’esecutivo comunitario in una nota. Il supporto sarà utilizzato per pagare stipendi e pensioni, per mantenere in funzione i servizi pubblici essenziali (ospedali, scuole e alloggi per gli sfollati), per garantire la stabilità macroeconomica e per ripristinare le infrastrutture critiche distrutte (infrastrutture energetiche, sistemi idrici, reti di trasporto, strade, ponti): “Il Paese sta affrontando la brutale guerra di aggressione della Russia e sta lavorando per ripristinare le sue infrastrutture“, ha voluto ricordare von der Leyen.
    Il pagamento è arrivato dopo che il 25 luglio scorso la Commissione ha rilevato i “continui progressi” di Kiev nell’attuazione delle “condizioni politiche concordate”, rispettando i requisiti di rendicontazione “per garantire un uso trasparente ed efficiente dei fondi”. I progressi più importanti sono stati riscontrati nel lavoro per migliorare la stabilità finanziaria e il sistema del gas, rafforzare lo Stato di diritto, incoraggiare l’efficienza energetica e promuovere un migliore clima imprenditoriale. Ma la presidente von der Leyen ha voluto spingersi oltre: “Continueremo a stare risolutamente al fianco dell’Ucraina, con un sostegno fino a 50 miliardi di euro proposto per il periodo 2024-2027”. Il riferimento è alla proposta di revisione del bilancio pluriennale Ue 2021-2027, con l’idea di creare una riserva finanziaria da 50 miliardi di euro per i prossimi quattro anni, composta di sovvenzioni e prestiti. Mentre i 33 miliardi di prestiti saranno finanziati attraverso l’assunzione di prestiti sui mercati finanziari, i 17 miliardi di euro in sovvenzioni arriveranno direttamente dalle risorse aggiuntive previste dalla revisione del bilancio.
    Dall’inizio della guerra russa in Ucraina Bruxelles stima che il sostegno finanziario, umanitario, di bilancio d’emergenza e militare a Kiev arrivato dall’Unione Europea, dai Paesi membri e dalle istituzioni finanziaria europee “ammonta a 76 miliardi di euro“. Per quanto riguarda l’assistenza macro-finanziaria Ue, il totale è di 19,2 miliardi, di cui 7,2 miliardi stanziati nel 2022 e i 12 di quest’anno. La prima tranche dallo strumento assistenza macrofinanziaria Amf+ è arrivata all’Ucraina il 17 gennaio con un supporto iniziale di 3 miliardi, seguita da altri sei tranche mensili da 1,5 miliardi nel successivo semestre.

    Lo annuncia la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promettendo che “ne arriveranno altri, quest’anno e oltre”. Lo strumento di assistenza macrofinanziaria Amf+ mobiliterà in totale 18 miliardi per gli “sforzi di riparazione, recupero e mantenimento dello Stato”

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    “Obiettivo allargamento e rafforzamento dell’Ue”. Bruxelles ribadisce la duplice linea nel confronto con i Paesi partner

    Bruxelles – Un incontro informale per ribadire che la strada dei Paesi che hanno fatto richiesta di adesione è tracciata verso l’ingresso, ma che l’allargamento Ue è legato in ogni caso al rafforzamento dell’Unione stessa. Le modalità per renderlo realtà sono tutte da tracciare – considerate anche le difficoltà nel ragionare sulla riforma dei Trattati – ma per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, è fuori discussione che “l’obiettivo non è solo l’allargamento, ma anche il rafforzamento dell’Ue“. È il riassunto di una cena informale svoltasi ieri sera (21 agosto) ad Atene per iniziativa del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, a 20 anni dal vertice di Salonicco in cui per la prima volta veniva messa nero su bianco l’inevitabilità della strada verso l’adesione Ue dei Balcani Occidentali. Con lo scoppio della guerra russa in Ucraina altri tre Paesi attendono lo stesso destino, ma gli ultimi due decenni e tre allargamenti hanno messo in luce la necessità per l’Unione di riorganizzarsi e rinnovarsi.
    Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis, ad Atene (21 agosto 2023)
    “Il dibattito sull’allargamento è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio“, ha messo in chiaro lo stesso Michel al termine dell’incontro con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri Ue interessati da vicino dal processo: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Come spiegano fonti Ue, i punti principali emersi durante la cena hanno riguardato il sostegno “incrollabile” alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche l’allargamento Ue stesso, considerato “una strada a doppio senso” in cui i Paesi candidati “devono riformarsi” ma anche l’Ue “deve prepararsi” a questi ingressi. Un riferimento implicito al difficilissimo tema della riforma dei Trattati e del superamento del voto all’unanimità in seno al Consiglio, per ampliare le aree in cui si vota a maggioranza qualificata anche su politica estera e fiscalità. Parallelamente “l’allargamento rimane una priorità assoluta per l’Ue, uno strumento forte per promuovere la pace, la sicurezza e la prosperità nel nostro continente”, ha ribadito Michel: “Dobbiamo trovare la strada da percorrere per trasformare questa visione dell’Europa in realtà“.
    Diversi i temi sul tavolo ad Atene. Le stesse fonti Ue fanno riferimento alle discussioni volte a risolvere le controversie bilaterali, “in particolare quelle relative ai diritti delle minoranze”. Anche se non esplicitata, la questione ha riguardato più di recente i rapporti tra Grecia e Albania, il cui premier Edi Rama non è stato invitato ieri per le tensioni causate dalla detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti e da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico tra il governo Rama e il governo Mitsotakis: il primo accusa Atene di voler influenzare un’indagine indipendente, il secondo punta il dito contro Tirana per quella che considera una detenzione motivata politicamente. A proposito di controversie bilaterali, la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, si è congratulata con il premier macedone, Dimitar Kovačevski, per la presentazione degli emendamenti costituzionali in Parlamento sulle minoranze etniche nel Paese: “Spero che tutti i partiti lo sostengano per far progredire il percorso europeo della Macedonia del Nord“.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, ad Atene (21 agosto 2023)
    Un altro tema caldo ad Atene è stato quello delle tensioni tra Kosovo e Serbia e la ripresa del dialogo mediato da Bruxelles. La numero uno dell’esecutivo comunitario ha discusso con entrambi i leader – il premier kosovaro, Albin Kurti, e il presidente serbo, Aleksandar Vučić – sulla necessità di “un impegno costruttivo per smorzare la situazione nel nord del Kosovo” dopo gli scontri violenti di fine maggio e i continui scontri diplomatici di giugno. La presidente von der Leyen ha chiesto in particolare al premier Kurti di “attuare gli accordi sulla normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia” come parte del piano per la de-escalation concordato con Bruxelles. Con il presidente Vučić si è invece concentrata sui “progressi della Serbia nel suo percorso verso l’Ue”, in particolare sull’integrazione e l’allineamento delle due parti “di fronte alla guerra russa contro l’Ucraina“. E proprio a proposito del sostegno a Kiev, von der Leyen ha discusso ad Atene con il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sia del “continuo sostegno” – che ha visto ad Atene nuovi confronti sugli F-16 – sia dell’assistenza economica e del lavoro per “portare il grano ucraino sui mercati mondiali”. Ultimo, ma non per importanza il percorso di adesione Ue di Kiev, a meno di due mesi dalla pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (sulla base della presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia).
    A che punto è l’allargamento Ue
    Lo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada, su iniziativa rispettivamente del primo ministro georgiano, Irakli Garibashvili, e della presidente moldava Sandu. In soli quattro giorni (7 marzo) gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) hanno concordato di invitare la Commissione a presentare un parere su ciascuna delle domande di adesione presentate dai tre Paesi richiedenti, da trasmettere poi al Consiglio per la decisione finale sul primo step del processo di allargamento Ue.
    Prima di dare il via libera formale, un mese più tardi (8 aprile) a Kiev la presidente dell’esecutivo comunitario von der Leyen ha consegnato al presidente Zelensky il questionario necessario per il processo di elaborazione del parere della Commissione. Lo stesso ha fatto il commissario per la Politica di vicinato e l’allargamento, Olivér Várhelyi, a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo l’11 aprile. Meno di settanta giorni dopo, il 17 giugno il gabinetto von der Leyen ha dato la luce verde a tutti e tre i Paesi, specificando che Ucraina e Moldova meritavano subito lo status di Paesi candidati, mentre la Georgia avrebbe dovuto lavorare su una serie di priorità. La decisione ufficiale è arrivata al Consiglio Europeo del 23 giugno, che ha approvato la linea tracciata dalla Commissione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Dall’inizio di quest’anno sono già arrivate le richieste dall’Ucraina e dalla Georgia rispettivamente di iniziare i negoziati di adesione e di diventare Paese candidato “entro la fine del 2023”.
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è tornato sul tavolo dei 27 ministri degli Esteri Ue del 20 luglio.

    Ad Atene è andata in scena la cena informale tra i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Per il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, il dibattito sull’adesione di nuovi membri “è molto vivo e dobbiamo sfruttare questo slancio”

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    Una cena ad Atene con i leader dei Paesi candidati, a 20 anni da Salonicco. La Grecia torna al centro dell’allargamento Ue

    Bruxelles – Vent’anni dopo, la Grecia vuole tornare protagonista della politica di allargamento Ue. La tavola è apparecchiata per l’appuntamento che questa sera (21 agosto) porterà ad Atene i vertici delle istituzioni comunitarie e i leader dei Paesi candidati all’adesione all’Unione Europea, con un assente eccellente e una strategia ancora tutta da definire, dopo gli ultimi tre vertici Ue-Balcani Occidentali in meno di due anni e tre richieste di ingresso arrivate a seguito dello scoppio della guerra russa in Ucraina. L’ospite della cena informale – il primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis – ha ricordato che quest’anno cade il ventesimo anniversario di quel cruciale vertice di Salonicco, quando per la prima volta volta i leader degli allora 15 Paesi membri riuniti in Grecia sancivano ufficialmente la rotta per la futura adesione dei Balcani Occidentali.
    La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Grecia, Kyriakos Mitsotakis
    Alla cena di questa sera saranno presenti i presidenti della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel, insieme con i leader di Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, Moldova e Ucraina, oltre a quelli di quattro Paesi membri interessati da vicino dall’allargamento Ue nei Balcani Occidentali e nell’Europa orientale: Bulgaria, Croazia, Romania e Slovenia. Mentre ad Atene dovrebbe recarsi anche il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a pesare sulla cena è però un assente eccellente tra i Paesi candidati all’adesione Ue: il premier albanese, Edi Rama, non invitato all’evento a causa delle recenti tensioni tra Atene e Tirana per la detenzione dallo scorso 14 maggio del sindaco di etnia greca della città albanese Himarë, Fredi Beleri. Il primo cittadino della cittadina costiera è stato arrestato per una presunta compravendita di voti, ma da tre mesi è in atto un braccio di ferro diplomatico con il governo Mitsotakis, accusato di voler influenzare un’indagine indipendente. Atene rietine che l’arresto sia motivato politicamente e potrebbe utilizzare la leva dell’adesione all’Ue come strumento di ricatto verso Tirana per mettere fine a quella che il governo greco considera una “violazione dei diritti umani”. Al posto di Rama – il politico più influente in Albania, padrone di casa dell’ultimo vertice Ue-Balcani Occidentali – alla cena di questa sera era stato invitato il presidente albanese, Bajram Begaj (il cui ruolo è principalmente cerimoniale). Invito comunque declinato per “impegni precedentemente presi”.
    La foto di famiglia del vertice Ue-Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022 a Tirana, Albania
    Attraverso il braccio di ferro con l’Albania e con la decisione di convocare tutti i leader – delle istituzioni comunitarie e dei Paesi partner – ad Atene per una cena informale, la Grecia di Mitsotakis sta cercando di rimettersi al centro del progetto di allargamento Ue e soprattutto della stabilità, pace e sicurezza energetica nella penisola balcanica. Era il 21 giugno 2003 quando i leader Ue dichiaravano a Salonicco che “il futuro dei Balcani è all’interno dell’Unione Europea” e decidevano di tenere vertici periodici sui Balcani Occidentali per accelerare questo processo. Vent’anni più tardi i progressi si registrano a singhiozzo e il rischio di perdere la fiducia di popolazioni europeiste accompagna puntualmente ogni appuntamento politico sulla questione.
    La cena di questa sera sarà un’altra occasione per un confronto informale sul percorso di adesione dei Paesi partner, che precede la pubblicazione dell’annuale Pacchetto di allargamento Ue (atteso per ottobre) e arrivato a due mesi dalla presentazione orale dello stato di avanzamento delle riforme in Ucraina, Moldova e Georgia. Al Consiglio Europeo di dicembre dovrà essere deciso se avviare i negoziati di adesione con le prime due (più la Bosnia ed Erzegovina) e se concedere lo status di Paese candidato alla terza. “Dobbiamo avvicinare i nostri amici, gli aspiranti membri dell’Ue, molto più rapidamente“, ha commentato su X la presidente von der Leyen al suo arrivo ad Atene, promettendo che “continueremo ad abbattere le barriere tra le nostre regioni”.
    A che punto è l’allargamento Ue nei Balcani Occidentali
    Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Tirana e Skopje i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Podgorica e Belgrado si trovano a questo stadio rispettivamente da 11 e nove anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre dello scorso anno anche Sarajevo è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione, mentre Pristina è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata alla fine dello scorso anno: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue non lo riconoscono come Stato sovrano (Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia) e parallelamente sono si sono inaspriti i rapporti con Bruxelles dopo le tensioni diplomatiche con la Serbia di fine maggio.
    Il processo di allargamento Ue in cui sono impegnati i sei Paesi dei Balcani Occidentali inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).
    Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.

    Il premier greco, Kyriakos Mitsotakis, ha invitato anche i vertici delle istituzioni comunitarie alla discussioni informale con i partner sulle prospettive di adesione dei Balcani Occidentali, Ucraina e Moldova. Giallo sull’assenza del premier albanese, Edi Rama, per le recenti tensioni bilaterali

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    Dall’energia rinnovabile alle materie prime critiche. L’Ue investe 45 miliardi in America Latina con il Global Gateway

    Bruxelles – Si apre con la notizia di un impegno concreto dell’Unione Europea a sostegno dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi il terzo vertice Ue-Celac in programma oggi e domani (17-18 luglio) a Bruxelles. “Sono lieta di annunciare che investiremo oltre 45 miliardi di euro fino al 2027 attraverso il nostro programma Global Gateway“, sono state le prime parole della giornata di confronti bilaterali e multilaterali della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, illustrando alla Business Round Table il programma di investimenti “di alta qualità a beneficio di entrambe le nostre regioni” e le catene di valore che avranno la priorità: “Dall’idrogeno pulito alle materie prime critiche, dall’espansione della rete di cavi dati ad alte prestazioni alla produzione dei più avanzati vaccini a base di mRNA”, il tutto accompagnato dai “più elevati standard ambientali e sociali e dalla trasparenza”.
    Si tratta di “oltre 135 progetti già in cantiere” – ha continuato von der Leyen – che si inseriscono all’interno dell’Agenda per gli investimenti Global Gateway per i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, secondo i criteri e le priorità che la Commissione Europea aveva presentato un mese fa in vista del primo vertice di alto livello tra i Ventisette e i 33 Paesi Celac dopo otto anni dall’ultima volta: transizione verde sostenibile, trasformazione digitale inclusiva, sviluppo umano, resilienza sanitaria e vaccini. Ma ciò su cui sarà principalmente rivolta l’attenzione è l’ambito energetico e digitale, sia come produzione sia come estrazione di materie prime critiche. “L’America Latina e i Caraibi hanno il potenziale per diventare una centrale elettrica globale per le energie rinnovabili”, ha assicurato la numero uno della Commissione, facendo riferimento ai settori eolico e solare che “stanno crescendo in modo esponenziale, anche grazie agli investimenti europei”. Il passo successivo ora è quello di “trasformare l’energia pulita in idrogeno pulito”, perché non solo “può essere facilmente esportato in altri continenti” ma può anche “alimentare nuove industrie nel vostro continente”. Acciaio e cemento, fertilizzanti, treni e autobus, “tutti puliti, tutti prodotti in America Latina”, ha sottolineato con forza von der Leyen: “Il vostro continente ha il potenziale per diventare un leader globale nelle industrie pulite di domani“.
    Per raggiungere questo obiettivo e fare in modo che le tecnologie verdi e digitali possano svilupparsi in tutte le loro potenzialità “le nostre industrie hanno bisogno di accedere a materie prime essenziali“, è l’avvertimento della numero uno dell’esecutivo Ue, che ha voluto assicurare come “anche in questo caso l’Europa vuole essere il vostro partner di riferimento”. Se tutto il mondo richiede materie prime critiche – dal litio al gallio e il germanio, come dimostrato dalle ultime restrizioni della Cina – c’è una grande differenza tra l’Ue e gli altri investitori, ha voluto mettere in chiaro von der Leyen: “Non siamo interessati a investire solo nella pura estrazione di materie prime, vogliamo collaborare con voi per costruire capacità locali di lavorazione, di produzione di batterie e di prodotti finali come i veicoli elettrici“. In altre parole, non si tratta solo di investimenti, ma “possiamo contribuire con una tecnologia di livello mondiale e con una formazione di alta qualità per i lavoratori locali”.
    Da sinistra: il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro della Spagna e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Pedro Sánchez (17 luglio 2023)
    Lo dimostrano gli oltre 130 progetti dal valore complessivo di 45 miliardi di euro annunciati oggi nell’ambito del Global Gateway per i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. A partire dalla collaborazione con Argentina e Cile e attraverso il Club delle materie prime critiche “per rafforzare le catene di approvvigionamento sostenibili”. In Brasile saranno espanse le reti di telecomunicazione nella regione amazzonica, in Cile saranno promosse le attività di investimento sull’idrogeno verde, in Paraguay sarà potenziata la rete elettrica, a Panama si spingerà per l’accesso universale all’energia. in Giamaica sarà portato il 5G e la banda larga a tutta l’isola, in Costa Rica sarà elettrificato il trasporto pubblico – con la conversione all’elettrico della flotta di 40 autobus urbani – e in Colombia sarà costruita una linea metropolitana. Più in generale saranno implementate l’Alleanza digitale – attraverso la creazione di due centri Copernicus per la riduzione del rischio di catastrofi, il cambiamento climatico e il monitoraggio terrestre e marino – l’Iniziativa Health Resilience per lo sviluppo della produzione locale di farmaci e vaccini e l’Iniziativa Global Green Bonds sul mercato dei green bond nell’America Latina e nei Caraibi. Focus anche sul programma Società inclusive per affrontare le disuguaglianze, ridurre la povertà e l’esclusione sociale attraverso politiche sociali e di genere, l’istruzione e lo sviluppo delle competenze.

    L’annuncio della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, prima dell’inizio del vertice Ue-Celac. Saranno sviluppati oltre 130 progetti fino al 2027 per spingere la transizione digitale e verde e per aumentare i partenariati industriali e sanitari