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    Ucraina, Papa vede Duda in Vaticano: profughi al centro. Il presidente lo invita in Polonia

    Città del Vaticano – Non si placano le violenze in Ucraina e, con gli orrori, l’emorragia di profughi costretti ad abbandonare le loro case. Secondo l’Unhcr sono già due milioni le persone che hanno lasciato l’Ucraina, la maggior parte trova rifugio nella vicina Polonia. Mentre Varsavia è alle prese con l’emergenza, il presidente Andrzej Duda vola a Roma per incontrare Papa Francesco. Più volte la Santa Sede si è proposta di mediare nella crisi.
    Al colloquio a porte chiuse, durato 35 minuti,  è seguito un faccia a faccia tra il presidente polacco e il cardinale Segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il ‘ministro degli Esteri’ del Vaticano, monsignor Paul Gallagher. Conflitto, sicurezza e pace in Europa il focus, con un riferimento particolare alla situazione dei rifugiati, filtra dalle mura Leonine.  Delle sue preoccupazioni Bergoglio ha parlato anche con il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, ricevuto il 29 marzo. Al centro, hanno fatto sapere i vescovi, “l’impegno della Chiesa a fronte della crisi umanitaria”.
    Tra i doni del Papa per Duda oggi ce ne è uno che torna frequentemente: il medaglione di San Martino. Secondo la tradizione, durante un temporale il santo donò una metà del suo mantello a un mendicante seminudo e l’altra metà a un secondo indigente incontrato poco dopo. ‘Icona dell’impegno verso i bisognosi’, recita la nota di accompagnamento.  Con il medaglione, Francesco regala anche i documenti del suo Pontificato (le encicliche, le esortazioni apostoliche, l’ultimo messaggio per la Pace, la dichiarazione sulla fratellanza umana, il libro sulla Statio Orbis del 27 marzo 2020).  Il presidente polacco ricambia con un dipinto raffigurante il cardinale Stefan Wyszynski, un album fotografico degli eventi del primo anno dell’attuale mandato della Presidenza e una collana di cd con opere del musicista polacco Fryederyk Chopin.
    La Polonia, che ha aperto le porte ai rifugiati, è tornata più volte nei ringraziamenti del Papa, dall’inizio del conflitto. Duda lo ringrazia, invita Bergoglio a visitare di nuovo il Paese, in queste settimane, gli racconta dei colloqui avuti con il presidente ucraino, Volodomyr Zelensky. “Abbiamo quasi due milioni di cittadini ucraini, questa sarebbe una occasione di incontro con due nazioni, quella polacca e quella ucraina”, spiega poi in un briefing, senza spingersi a fornire altri dettagli.  Ma a chi gli chiede conto della richiesta di tanti attori di trovare una soluzione onorevole per il presidente russo Vladimir Putin,  Duda risponde senza indugi: “Non c’è onore per la gente senza onore”.

    Francesco riceve in Vaticano il presidente polacco: confronto sul dramma del conflitto in Ucraina

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    La presidente del Parlamento UE Roberta Metsola è in viaggio per Kiev

    Bruxelles – Cinque parole e una fotografia, che hanno un valore pesantissimo sul piano diplomatico. On my way to Kiev, “sulla strada per Kiev“. La presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, ha annunciato così – con un tweet in inglese e ucraino alle ore 22.33 di giovedì 31 marzo – la sua partenza per la capitale dell’Ucraina, sotto bombardamento russo dal 24 febbraio.
    Nessun dettaglio né indiscrezione sul viaggio di Metsola in Ucraina era trapelato prima del tweet, per questioni di sicurezza. La numero uno dell’Eurocamera era presente mercoledì (30 marzo) a Bruxelles per la cerimonia d’inaugurazione del ritratto di David Sassoli nella galleria degli ex-presisdenti del Parlamento Europeo, mentre lunedì prossimo (4 aprile) è prevista la sua presenza a Strasburgo per presiedere la sessione plenaria in programma fino a giovedì (7 aprile), come confermano a Eunews fonti del Parlamento UE.

    On my way to Kyiv 🇺🇦
    На шляху до Києва 🇺🇦 #StandWithUkraine pic.twitter.com/8fz43BkapJ
    — Roberta Metsola (@EP_President) March 31, 2022

    Metsola è la prima alta carica UE a fare visita nell’Ucraina invasa e bombardata dall’esercito di occupazione russo, mentre i presidenti di Commissione, Ursula von der Leyen, e Consiglio Europeo, Charles Michel, non si sono ancora esposti sulla possibilità di incontrare il presidente Volodymyr Zelensky ‘in trasferta’ a Kiev per portare un messaggio di sostegno e solidarietà diplomaticamente incisivo nei confronti del Cremlino. A intraprendere lo stesso viaggio erano stati lo scorso 15 marzo i primi ministri di Slovenia, Janez Janša, Polonia, Mateusz Morawiecki, e Repubblica Ceca, Petr Fiala, che si erano presentati a Kiev come “rappresentanti del Consiglio Europeo” (ma senza “alcun mandato” da parte dei leader UE, avevano smentito fonti europee).
    Il viaggio in territorio ucraino e la presenza a Kiev della leader del Parlamento Europeo comporta senza dubbio dei rischi sul piano della sicurezza personale, nonostante sia anche nell’interesse di Mosca assicurarsi che non sia violata la sua incolumità. La decisione di Metsola si inserisce in linea con la richiesta avanzata da diversi eurodeputati (in particolare socialdemocratici) di una delegazione europea a Kiev per mediare un negoziato tra Russia e Ucraina attraverso il dialogo, la diplomazia e la presenza fisica dei leader UE nel territorio assediato, per tentare di far tacere le armi. La speranza è che l’esempio della presidente Metsola venga raccolto anche da altre altre cariche dell’Unione e dei Ventisette.

    I capi dei governi e delle istituzioni europee in #Ucraina per sostenere un popolo aggredito e per chiedere l’apertura di un vero negoziato.Continuo a dirlo, continuo a scriverlo. Un gesto straordinario in un momento terribile.
    — Pierfrancesco Majorino (@pfmajorino) March 16, 2022

    La numero uno dell’Eurocamera è la prima alta carica UE a recarsi in Ucraina da quando è iniziata l’invasione russa (dopo il viaggio dei premier polacco, sloveno e ceco). Lo ha annunciato con un breve tweet in inglese e ucraino: “Sulla strada per Kiev”

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    L’ufficio della missione UE a Mariupol è stato bombardato dall’esercito di occupazione russo in Ucraina

    Bruxelles – Anche l’UE inizia a fare la conta dei primi danni causati dai bombardamenti dell’esercito russo a Mariupol, la città portuale nel sud-est dell’Ucraina sotto assedio da fine febbraio. L’ufficio della missione consultiva dell’UE in Ucraina (EUAM) a Mariupol è stato “recentemente colpito da uno bombardamento russo e ha subito gravi danni”, ha fatto sapere l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. “Nessun membro della missione è rimasto ferito”, ha precisato.
    L’attacco all’ufficio della missione dell’UE a Mariupol si inserisce nella strategia di distruzione sistematica degli edifici della città, anche quelli civili, come dimostrato dagli attacchi all’ospedale pediatrico e al teatro cittadino, dove sono morte sotto le macerie circa 300 persone che avevano cercato riparo dai bombardamenti dell’esercito russo. Proprio l’alto rappresentante UE la settimana scorsa aveva accusato il Cremlino di “crimini di guerra” per quanto messo in atto in Ucraina in generale e a Mariupol in particolare. Una città grande come Genova – come ha ricordato il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, durante il suo intervento al Parlamento italiano – “completamente bombardata e rasa al suolo”.
    Non ha fatto eccezione l’edificio che ospita i locali dell’UEAM a Mariupol. “Condanniamo fermamente questi attacchi, così come qualsiasi attacco contro la popolazione e le infrastrutture civili“, ha attaccato Borrell, ribadendo la ferma richiesta di Bruxelles al Cremlino di “cessare immediatamente la sua offensiva militare e di ritirare incondizionatamente tutte le forze e le attrezzature militari dall’intero territorio dell’Ucraina”. La stessa richiesta è arrivata dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e soprattutto dalla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, lo scorso 16 marzo. La Russia però non riconosce la giurisdizione della Corte sulla controversia con l’Ucraina: per Mosca il tribunale internazionale con sede all’Aia non ha alcun potere indipendente per far rispettare le sue decisioni.

    .@EUAM_Ukraine #Mariupol Field Office were recently hit by Russian shelling, sustaining major damage. No Mission members or contractors were injured.
    Strongly condemn these attacks, as well as any attack targeting civilians and civilian infrastructure. https://t.co/fEt5TLhAEZ
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 29, 2022

    L’alto rappresentante UE, Josep Borrell, ha fatto sapere che l’edificio dove ha sede l’UEAM nella città ucraina “ha subito gravi danni” dopo il recente attacco, anche se “nessun membro della missione è rimasto ferito”

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    Sospese le pubblicazioni del giornale indipendente russo Novaya Gazeta. Condanna UE: “Intimidazioni sistematiche”

    Bruxelles – È sempre più stretto il cappio attorno al collo dei (pochi) media russi non allineati alla propaganda del Cremlino. La censura del regime di Vladimir Putin si è abbattuta ieri pomeriggio (lunedì 28 marzo) su Novaya Gazeta, il principale giornale indipendente in Russia, che ha annunciato la sospensione di ogni pubblicazione sia cartacea (bisettimanale) sia online, almeno “fino alla fine dell’operazione speciale sul territorio dell’Ucraina”. Da come è stata presentata la sospensione si capisce il mandante: “Operazione speciale sul territorio dell’Ucraina” è come Putin ha ordinato sia chiamata l’invasione – o la guerra – contro Kiev.
    “È il risultato della sistematica intimidazione e repressione dei media da parte del Cremlino“, è stata la dura condanna dell’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, contro il regime di censura e di propaganda instaurato in Russia e aggravato da quando sono iniziati i combattimenti sul suolo ucraino. “Novaya Gazeta è un’istituzione giornalistica il cui lavoro è riconosciuto ben oltre la Russia”, ha ricordato la vicepresidente della Commissione UE per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová, ribadendo con forza che “l’Unione Europea è al fianco dei media indipendenti che si sforzano di informare il popolo russo sulla guerra“.

    Newspaper @novaya_gazeta is a journalistic institution whose work is acknowledged far beyond Russia.
    Its name is inseparable from those of Dmitry Muratov and Anna Politkovskaya.
    The EU stands by independent media who strive to inform the Russian people about the war. https://t.co/J3qSGeSpct
    — Věra Jourová (@VeraJourova) March 28, 2022

    Da Bruxelles è arrivato nuovamente il sostegno ai media indipendenti e ai giornalisti russi, dopo che il direttore, Dmitry Muratov, si è trovato costretto a sospendere le pubblicazioni per il livello di minacce subite in questo mese di guerra dal governo russo, a causa del modo in cui il suo giornale stava raccontando gli eventi bellici. La decisione del direttore ha anticipato l’analogo provvedimento che avrebbe preso Roskomnadzor, l’agenzia statale delle comunicazioni: in Russia, dopo due ammonimenti un giornale viene chiuso e Novaya Gazeta aveva appena ricevuto il secondo. L’ammonimento era arrivato con la motivazione che il giornale non aveva segnalato un’organizzazione citata in un articolo come “agente straniero”, ovvero come gli organi di stampa russi devono definire i soggetti che secondo il Cremlino ricevono fondi dall’estero.
    Come ricordato dalla vicepresidente della Commissione UE Jourová, il nome del periodico è “inseparabile” da quello di Muratov, vincitore del Premio Nobel per la Pace 2021 insieme alla giornalista filippina Maria Ressa, e da quello di Anna Politkovskaya, professionista dell’informazione freddata il 7 ottobre del 2006 dopo aver denunciato proprio dalle colonne di Novaya Gazeta le brutalità commesse dal Cremlino in Cecenia. Dalla fondazione del giornale nel 1993, sei giornalisti di questa testata sono stati uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro e a tutti loro Muratov ha dedicato il Premio Nobel ricevuto lo scorso anno.

    La censura del Cremlino si è abbattuta sul giornale fondato e diretto dal Premio Nobel per la Pace 2021, Dmitry Muratov. Al bando sia la versione cartacea sia quella online, “fino al termine dell’operazione speciale sul territorio ucraino”

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    Unanimità dai ministri UE degli Interni al piano in 10 punti della Commissione sull’accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina

    Bruxelles – Tutti gli Stati membri allineati sull’accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina, senza eccezioni. Dopo la presentazione delle linee-guida per l’assistenza delle persone in fuga dalla guerra scatenata dalla Russia di Vladimir Putin, la Commissione Europea ha ricevuto il via libera dei 27 ministri UE degli Interni al piano in 10 punti per il coordinamento più stretto tra gli Stati membri sull’accoglienza di queste persone in arrivo (o già arrivate) nel territorio comunitario. La decisione è stata presa dopo la presentazione del piano da parte del vicepresidente esecutivo della Commissione, Margaritis Schinas, e della commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, al Consiglio straordinario Giustizia e Affari interni di ieri pomeriggio (lunedì 28 marzo).
    Secondo quanto già previsto dalla direttiva sulla protezione temporanea applicata per la prima volta in 21 anni, si andrà a creare una piattaforma europea di registrazione dei rifugiati dall’Ucraina per lo scambio di informazioni tra i Paesi membri, anche grazie al supporto dell’Agenzia UE per la gestione operativa dei sistemi informatici su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA). Coordinamento è la parola-chiave e passa anche dall’approccio alla gestione dei trasporti e dei centri di informazione, sostenuti dalla nuova Agenzia per l’Asilo, che si occuperà anche dei piani operativi per le capacità di accoglienza dei Ventisette: l’obiettivo è mettere in condivisione l’offerta di alloggi e organizzare i trasferimenti da uno Stato membro all’altro, anche grazie all’iniziativa “Case sicure”.
    Sempre a livello di accoglienza, saranno messe in campo procedure operative per il sostegno dei bambini e il trasferimento dei minori non accompagnati, così come un piano comune per prevenire il traffico e lo sfruttamento di esseri umani. La rete della piattaforma multidisciplinare europea contro le minacce criminali (EMPACT) ed Europol saranno incaricati di sostenere gli Stati membri sia per assicurare la vigilanza contro la criminalità organizzata, sia per garantire l’applicazione delle sanzioni UE contro oligarchi russi e bielorussi.
    Centrale nel piano è lo sviluppare di piani di emergenza nazionali che rispondano alle esigenze di medio e lungo termine, a partire da un piano europeo di emergenza e risposta. Sarà la Commissione a sviluppare un indice comune per la condivisione dell’onere, secondo quanto anticipato nelle linee-guida della settimana scorsa, ma anche uno sportello unico per il sostegno “personalizzato” degli Stati membri e l’uso “flessibile” dei finanziamenti messi in campo dall’Unione. Sul piano della solidarietà, è stata rafforzata la collaborazione con la Repubblica di Moldova, con più trasferimenti di rifugiati dall’Ucraina verso il territorio UE sostenuti da finanziamenti comunitari e il rapido dispiegamento di squadre dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) nel Paese. Nel quadro di cooperazione internazionale per garantire destinazioni sicure, la piattaforma di solidarietà sarà condivisa con Canada, Stati Uniti, Regno Unito e altri partner internazionali.
    Intanto dall’Italia è arrivata la firma da parte del premier, Mario Draghi, al decreto ministeriale sulla protezione temporanea e l’assistenza per i profughi provenienti dall’Ucraina. La durata annuale (prima di due possibili rinnovi semestrali) parte dal 4 marzo scorso e i beneficiari sono tutti gli sfollati a partire dallo scoppio della guerra nel Paese il 24 febbraio, sia i residenti sia i cittadini di Paesi terzi a cui era garantita la protezione internazionale. Il permesso di soggiorno garantirà l’accesso all’assistenza erogata dal Sistema sanitario nazionale, al mercato del lavoro e allo studio. Il provvedimento prevede anche “specifiche misure assistenziali” e permette il ricongiungimento dei cittadini ucraini già presenti in Italia con i familiari in fuga dalla guerra.

    Prevista una piattaforma di registrazione per il coordinamento dei Ventisette, linee-guida per il supporto dei bambini, un piano anti-tratta di esseri umani e l’uso flessibile dei fondi europei a sostegno dei Paesi membri e della Moldova

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    Difesa comune e sanzioni “a maglie strette” contro la Russia. La guerra in Ucraina compatta i Ventisette in politica estera

    Bruxelles – Un Consiglio Europeo che lascia la sensazione che, almeno sul piano della politica estera, l’Unione si stia incamminando su un sentiero da cui difficilmente si potrà tornare indietro. Un mese di guerra della Russia in Ucraina ha dimostrato che i leader UE sembrano pronti a esorcizzare una chimera che non ha mai fatto dormire sonni tranquilli al progetto comunitario, dal giorno della sua nascita: una politica estera e di difesa comune. Il via libera alla Bussola Strategica per la difesa comune 2030, combinato con “l’adozione entro la fine del 2022 di misure per promuovere e facilitare l’accesso ai finanziamenti privati per l’industria della difesa“, come si legge nelle dichiarazioni conclusive della due-giorni di vertice UE, vanno in questa direzione.
    Sarà proprio il Consiglio a tenere “regolarmente controllata” l’attuazione del nuovo strumento che rappresenta “un grande passo in avanti nella definizione di una politica di sicurezza comune dell’Unione”, come l’aveva definito l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e “se necessario, fornirà ulteriori orientamenti”. Che il colpo di grazia all’implementazione di questo progetto comune sia arrivato dall’offensiva militare della Russia, lo evidenziano gli stessi 27 leader dell’UE: “Dobbiamo tenere conto della nuova situazione della sicurezza in Europa, che rappresenta un cambiamento importante nel suo ambiente strategico“. La Bussola strategica – il primo embrione di una difesa comune – è un insieme “coerente” di azioni, mezzi e obiettivi “per questo nuovo slancio”.
    Se bisogna seguire i soldi per capire in che direzione vanno i progetti politici, si può scendere dalle dichiarazioni di principio al piano concreto: “Vanno stimolati gli investimenti e l’innovazione per sviluppare insieme le capacità e le tecnologie necessarie” e allo stesso tempo “deve essere sfruttato tutto il potenziale degli strumenti e delle iniziative di finanziamento dell’Unione Europea”, in particolare il Fondo europeo per la difesa e la cooperazione strutturata permanente, il piano di sviluppo delle capacità e la revisione annuale coordinata sulla difesa. Prossimo appuntamento a metà maggio, quando la Commissione UE avrà elaborato un’analisi sulle lacune di investimenti e proporrà “ulteriori iniziative per rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea“.
    Il premier, Mario Draghi (25 marzo 2022)
    Il capitolo della difesa comune è pregnante anche nell’impegno del governo guidato da Mario Draghi per aumentare la spesa militare al 2 per cento del PIL. “Questo avviene all’interno della difesa europea, che è fondamentale per l’integrazione politica“. Un concetto che affonda le radici agli albori del progetto comunitario: “Chi volle la difesa europea, bloccata poi dal veto francese, fu Alcide De Gasperi“, ha sottolineato il premier italiano in conferenza stampa al termine del vertice di Bruxelles. “Avere la difesa europea vuol dire che non ci faremo più guerra tra di noi e dobbiamo impegnarci per coordinarci meglio, anche con una maggiore spesa”, come “tutti gli esperti dicono che è necessario e urgente”. Un’urgenza e una necessità che l’UE avverte da quando la Russia ha invaso l’Ucraina “con logiche che appartenevano ad altre epoche”, ha insistito Draghi.
    Ma l’unità in politica estera si stringe in modo sempre più coordinato insieme allo sforzo dei leader UE di “chiudere le maglie larghe delle sanzioni” contro la Russia. La condanna unanime all’aggressione russa non è una novità e nemmeno lo è l’impegno a rafforzare il regime di misure restrittive. Ma quello che davvero spicca nell’atteggiamento su questo fronte è il tentativo di parlare a una sola voce, mettendosi a capo di una coalizione che “ormai conta già 40 Paesi in tutto il mondo, la metà del PIL globale”, come ha sottolineato la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, dopo la fine delle quasi dieci ore di discussioni con i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione. Una leadership che va incontro anche alle aspettative del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, presente fisicamente in queste due giornate di incontri di alto livello a Bruxelles. A oggi sono quattro i pacchetti di sanzioni che “prosciugano le risorse a cui attinge l’economia russa”. Tuttavia, “ancora non sono riuscite alla perfezione”, ha avvertito la leader dell’esecutivo comunitario: “Abbiamo sistemi diversi, ma un obiettivo comune, e questo ci permetterà di chiudere le scappatoie e gli aggiramenti delle sanzioni“.
    La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e quello del Consiglio Europeo, Charles Michel (25 marzo 2022)
    Insomma, i leader UE sanno che per “chiudere i buchi” serve un lavoro coordinato tra i Ventisette e un “supporto della Commissione Europea”, ma anche che è necessario applicarle meglio e impedirne l’elusione: non si potrà prescindere dal “lavoro con Paesi terzi per sensibilizzarli a seguire la nostra stessa impostazione contro la Russia“, ha aggiunto il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. Fonti europee fanno però sapere che sarà necessario uno sforzo diplomatico e una prova di unità in politica estera non indifferente da parte dell’Unione: in Europa “preoccupa soprattutto il non allineamento della Serbia“, che al momento né Bruxelles né Washington sono riusciti a convincere. I leader UE “continuano a provarci”, per non rischiare di lasciare alla mercé di Mosca un avamposto per la destabilizzazione della regione balcanica.
    A proposito di Balcani Occidentali, “la Bosnia ed Erzegovina ha richiesto una discussione più lunga e complessa del previsto“, spiegano le stesse fonti, che sottolineano come “la situazione era già complessa, e ora si intensificano le destabilizzazioni russe”. Le conclusioni del Consiglio dedicano uno degli ultimi punti alla questione bosniaca, chiamando i leader del Paese – in particolare il serbo-bosniaco, Milorad Dodik – alla dimostrazione di “un forte impegno a portare a termine rapidamente la riforma costituzionale ed elettorale” e a “sostenere tutte le altre riforme prioritarie indicate nel parere della Commissione per ottenere lo status di Paese candidato all’adesione UE”. Timido invece il passaggio sulla Cina, a differenza dell’appello arrivato ieri dalla NATO: uno “scambio di opinioni” sulle relazioni con Pechino “nel nuovo contesto globale”, con riferimento sia alla guerra in Ucraina sia al vertice UE-Cina di venerdì prossimo (primo aprile). Sul nuovo sentiero della politica estera comune i Ventisette sono chiamati a fare passi più decisi.

    Nella due giorni di vertice è emersa l’unità sul coinvolgimento di Paesi terzi nelle misure contro Mosca e sul progetto della Bussola Strategica 2030. “L’aumento della spesa militare è all’interno del progetto di difesa europea, fondamentale per l’integrazione politica”, ha chiarito Draghi

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    Papa consacra Russia e Ucraina a Maria: Il dialogo prevalga sulle tentazioni di vendetta

    Roma – La risposta di Papa Francesco alla guerra in Ucraina è del tutto diversa da quella dei leader dell’Occidente. Nella crisi russo-ucraina, l’unica via percorribile per la Santa Sede è sempre stata quella del negoziato. Ma oggi non parla la politica d’Oltretevere, parla la penitenza, la confessione dei peccati, la preghiera. E risuonano forti le campane della Basilica di San Pietro, un richiamo alle coscienze di tutti.
    Contro la “folle corsa” agli armamenti, Bergoglio consacra l’Ucraina e la Russia al Cuore Immacolato di Maria nel giorno dell’Annunciazione perché, spiega, “Dio ha cambiato la storia bussando al Cuore di Maria. E oggi anche noi, rinnovati dal perdono di Dio, bussiamo a quel Cuore”.  Alla Madre del Redentore Francesco affida il grido di pace delle popolazioni oppresse dalla guerra “insensata” e dalla violenza, “perché il coraggio del dialogo e della riconciliazione prevalga sulle tentazioni di vendetta, di prepotenza, di corruzione”, insiste.  Mentre le armi non tacciono, la guerra provoca “paura e sgomento” e abbiamo bisogno di sentirci dire “non temere” eppure, osserva,  “non bastano le rassicurazioni umane, occorre la presenza di Dio, la certezza del perdono divino, il solo che cancella il male, disinnesca il rancore, restituisce la pace al cuore”.
    Anche il Papa si fa confessare individualmente come gli altri, dopo il rito di riconciliazione, in un momento quasi drammatico, accompagnato dai violini. “Abbiamo smarrito la via della pace – scandisce nell’atto di consacrazione -. Abbiamo dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali. Abbiamo disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni e stiamo tradendo i sogni di pace dei popoli e le speranze dei giovani. Ci siamo ammalati di avidità, ci siamo rinchiusi in interessi nazionalisti, ci siamo lasciati inaridire dall’indifferenza e paralizzare dall’egoismo. Abbiamo preferito ignorare Dio, convivere con le nostre falsità, alimentare l’aggressività, sopprimere vite e accumulare armi, dimenticandoci che siamo custodi del nostro prossimo e della stessa casa comune. Abbiamo dilaniato con la guerra il giardino della Terra, abbiamo ferito con il peccato il cuore del Padre nostro, che ci vuole fratelli e sorelle. Siamo diventati indifferenti a tutti e a tutto, fuorché a noi stessi. E con vergogna diciamo: perdonaci, Signore!”. 

    “Dio ha cambiato la storia bussando al Cuore di Maria. E oggi anche noi, rinnovati dal perdono di Dio, bussiamo a quel Cuore”

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    Gli impegni dei leader G7: indipendenza energetica, fondi per sicurezza alimentare e nuove sanzioni “se necessario”

    Bruxelles – Un’unità “straordinaria”, come l’ha definita il premier Mario Draghi, come forse mai prima d’ora, è quella che è risultata dal vertice dei leader del G7 di oggi (giovedì 24 marzo) sulla risposta alla guerra tra Ucraina e Russia, in linea con le precedenti discussioni in seno alla NATO. “Siamo pronti ad applicare ulteriori misure restrittive come richiesto, se necessario, continuando ad agire in unità nel farlo“, si legge nella dichiarazione conclusiva dell’incontro dei capi di Stato e di governo di Italia, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti e Canada, insieme ai presidenti della Commissione, Ursula von der Leyen, e del Consiglio Europeo, Charles Michel. “Lodiamo quei partner che si sono allineati con noi in questi sforzi”, hanno aggiunto i leader, chiamando a raccolta tutti gli alleati e i Paesi terzi che hanno condiviso i quattro pacchetti di sanzioni (come la tradizionalmente neutrale Svizzera).
    Oltre al sostegno all’Ucraina e alla condanna senza appello dell’aggressione militare scatenata dalla Russia, nelle conclusioni del vertice del G7 è ampio lo spazio dedicato alla questione energetica e alimentare. “Stiamo facendo ulteriori sforzi per ridurre la nostra dipendenza dall’energia russa“, anche attraverso la ricerca di “forniture alternative sicure e sostenibili” e il sostegno “attivo” dei Paesi che vogliono eliminare “gradualmente” la propria dipendenza dalle importazioni di gas, petrolio e carbone russo. In caso di possibili interruzioni delle forniture in arrivo da Mosca, “agiremo in modo solidale e in stretto coordinamento”, mettono in chiaro i leader del Gruppo dei 7. L’appello è rivolto in particolare all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC), invitati ad “agire in modo responsabile e ad aumentare le consegne ai mercati internazionali”, per assicurare forniture energetiche globali “stabili e sostenibili”. Nessun passo indietro, in ogni caso, sul raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi e del patto sul clima di Glasgow per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi centigradi. Sul fronte dell’aumento dei prezzi dell’energia, è stata condannata la decisione di Vladimir Putin di “mettere a rischio la ripresa economica globale, minare le catene globali del valore e di causare gravi impatti sui Paesi più fragili”.
    La preoccupazione dei leader del G7 va oltre l’energia e riguarda anche l’agricoltura, messa sotto pressione dalla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. Nessun divieto di esportazione o misure restrittive al commercio, mercati aperti e trasparenti. Mentre “l’attuazione delle nostre sanzioni contro la Russia tiene conto della necessità di evitare un impatto sul commercio agricolo globale”, sarà necessario adottare misure per “rispondere alla crisi”. Tra queste anche un “uso coerente di tutti gli strumenti e meccanismi di finanziamento” che permettano di “affrontare la sicurezza alimentare e costruire la resilienza nel settore agricolo in linea con gli obiettivi climatici e ambientali”. In questo senso dovranno essere affrontate “potenziali interruzioni della produzione agricola e del commercio”, ma è stato anche annunciato l’aumento del contributo collettivo “alle istituzioni internazionali pertinenti”, come il Programma Alimentare Mondiale (PAM), “per fornire sostegno ai Paesi con insicurezza alimentare acuta”. Al vertice del G7 è stato anche deciso di chiedere una sessione straordinaria del Consiglio dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), in modo da affrontare le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina sul piano della sicurezza alimentare e dell’agricoltura mondiale.
    Sullo sfondo rimane la minaccia nucleare. “L’attacco della Russia ha già messo a rischio la sicurezza dei siti nucleari in Ucraina”, hanno denunciato i leader del G7, avvertendo Mosca che “deve rispettare i suoi obblighi internazionali e astenersi da qualsiasi attività pericolosa“, garantendo il controllo “senza ostacoli” da parte delle autorità ucraine e il pieno accesso all’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica. L’avvertimento sul possibile uso di “armi chimiche, biologiche e nucleari” ricalca quello del vertice NATO, con la denuncia “categorica” della campagna di disinformazione “completamente infondata della Russia contro l’Ucraina, uno Stato che rispetta pienamente gli accordi internazionali di non proliferazione”.
    Rispetto al richiamo esplicito alla Cina della dichiarazione dei leader NATO, i riferimenti a Pechino del Gruppo dei 7 rimangono solo tra le righe: “Esortiamo tutti i Paesi a non dare assistenza militare o di altro tipo alla Russia per aiutare a continuare la sua aggressione in Ucraina”, è la risposta al rischio che il governo cinese possa pendere verso un appoggio militare ed economico. Nella stessa direzione si inserisce la “preoccupazione per altri Paesi che hanno amplificato la campagna di disinformazione della Russia”. In tutte le condanne dell’aggressione dell’Ucraina, non va dimenticato che Cremlino e popolazione non necessariamente coincidono agli occhi del mondo: “I cittadini russi devono sapere che non abbiamo nessun rancore nei loro confronti”, ma “sono Putin, il suo governo e sostenitori – compreso il regime di Alexander Lukashenko in Bielorussia – che stanno imponendo questa guerra e le sue conseguenze”. Una decisione che “infanga la storia del popolo russo”, hanno puntato il dito i leader del G7.

    Al vertice del Gruppo dei Sette decise “ulteriori misure restrittive” ai danni della Russia in caso di nuove escalation. I Paesi esportatori di petrolio chiamati a garantire “forniture stabili e sostenibili” e ad aumentare le consegne in caso di interruzioni da Mosca