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    L’Unione Europea ha contribuito alla raccolta di 9,1 miliardi di euro della campagna Stand Up for Ukraine: “È luce nel buio”

    Bruxelles – L’Unione Europea in prima linea per il sostegno ai profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, anche a livello finanziario. Dei 9,1 miliardi di euro raccolti a livello globale con la campagna Stand Up for Ukraine, un miliardo è arrivato dalla Commissione UE, a cui si aggiunge un altro miliardo annunciato dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo come prestito per coprire i bisogni delle persone sfollate.
    L’impegno dell’UE era stato anticipato durante il grande evento di sabato (9 aprile) a Varsavia – organizzato dalla Commissione e dal governo del Canada in collaborazione con l’organizzazione internazionale Global Citizen – dove ha partecipato la leader dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, insieme al presidente polacco, Andrzej Duda, e il premier del Canada, Justin Trudeau. “La solidarietà di Paesi, aziende e persone in tutto il mondo offre un po’ di luce in quest’ora buia”, ha sottolineato con forza von der Leyen, spiegando che i quasi dieci miliardi della campagna Stand Up For Ukraine sono solo l’inizio: “Continueremo a fornire supporto a Kiev e quando le bombe avranno smesso di cadere, aiuteremo il popolo ucraino a ricostruire il Paese”. Una promessa che era stata fatta anche al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nel corso della sua missione a Kiev il giorno precedente (venerdì 8 aprile).
    I 9,1 miliardi di euro raccolti saranno incanalati in due direttrici di sostegno finanziario alle autorità ucraine, a livello centrale e locale. Una prima tranche da 4,1 miliardi andrà a sostenere le donazioni in natura e i contributi per gli sfollati interni e i rifugiati all’estero, mentre i restanti 5 miliardi saranno previsti come prestiti e sovvenzioni delle istituzioni finanziarie pubbliche europee (la Banca europea per gli investimenti e la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa). Le donazioni del settore privato saranno gestite dalle agenzie delle Nazioni Unite.
    Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio scorso, sono circa 4 milioni i profughi che hanno trovato rifugio nei Paesi membri dell’UE, in particolare in Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia. Il gabinetto guidato da von der Leyen ha messo in piedi un notevole sforzo di accoglienza (avallato dai Ventisette), applicando per la prima volta dal 2001 la Direttiva europea sulla protezione temporanea e presentando le linee-guida per l’assistenza delle persone in fuga dall’Ucraina. Inoltre, sono stati sbloccati i fondi di prefinanziamento nell’ambito di REACT-EU per accelerare le capacità degli Stati membri di attuare i piani di sostegno ai profughi e per far funzionare la piattaforma di solidarietà per i trasferimenti sicuri di persone verso Paesi che hanno maggiori capacità di accoglienza, compresi quelli extra-UE (come il Canada).

    La Commissione UE ha destinato un miliardo di euro per l’evento globale di raccolta fondi a sostegno dei profughi in fuga dalla guerra in Ucraina. La presidente von der Leyen ha promesso ulteriori fondi per “ricostruire il Paese, quando le bombe avranno smesso di cadere”

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    L’Unione sempre più determinata contro Mosca: “Intensificheremo la fornitura di armi a Kiev”

    Bruxelles – In attesa di una soluzione sulla non semplice questione energetica, avanti con il sostegno militare dell’UE all’Ucraina. Su questo i Ventisette sembrano avere non solo idee chiare, ma pure unità di intenti. “Insieme come UE, come amici dell’Ucraina, in futuro intensificheremo la fornitura di armi” a Kiev per rispondere all’aggressione russa. La linea viene espressa da Annalena Baerbock, ministra degli Esteri della Germania che sul tema ‘brucia’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.
    La tedesca non attende la conferenza stampa di fine lavori di Borrell, parla lasciando Lussemburgo e anticipa i contenuti della riunione. Un modo di fare che riaccende anche il dibattito su una politica estera comune ancora tutta da costruire e getta ombre sul ruolo oggi ricoperto da Borrell. Che conferma lo slancio dell’UE in questo senso. “Sono stati messi a disposizione 1,5 miliardi di euro solo attraverso fondi europei” per rifornire l’Ucraina di ciò che serve per contrastare le operazioni militari dell’armata russa. “A questo si aggiungono i contributi nazionali a titolo personale, e quindi la cifra è molto più grossa”, anche se ammette di non averla sotto mano. “Se quanto messo sul piatto non dovesse essere sufficiente, ne riparleremo” con l’obiettivo di incrementare gli aiuti. “Per non entrare in guerra la sola cosa da fare è rifornire l’Ucraina di ciò di cui ha bisogno“, sottolinea poi.
    L’Alto rappresentante riassume quello che è il sentimento e la presa d’atto comune. “Si tratta di una guerra”. Quello che sta avvenendo in Ucraina “ha più dimensioni, inclusa quella militare”, con cui occorre fare i conti e l’Europa ritiene che la intensificare la fornitura di armi sia la via obbligata.

    🇮🇹🇪🇺| Intervista della Vice Ministra @MarinaSereni a @RaiNews a margine dei lavori del Consiglio affari esteri #CAE odierno a #Lussemburgo pic.twitter.com/tcwhTtt0Lm
    — Italy 🇮🇹 in EU (@ItalyinEU) April 11, 2022

    La rotta è tracciata, e anche l’Italia la sposa. “Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina, anche militarmente“, chiarisce la vice-ministra degli Esteri italiana, Marina Sereni. L’obiettivo di questo rinnovato sostegno militare intende costringere Mosca a cessare le ostilità e sedersi al tavolo negoziale “con una atteggiamento genuino e costruttivo”.

    L’accordo raggiunto dai ministri degli Esteri nella riunione di Lussemburgo. L’annuncio della Germania, che anticipa l’Alto rappresentante Borrell. Anche l’Italia favorevole

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    L’UE studia il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, sul tavolo l’embargo sul petrolio russo

    Bruxelles – C’è l’ipotesi embargo sul petrolio russo nelle discussioni in corso sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina a cui lavora la Commissione Europea. “Stiamo guardando il settore del petrolio per capire come includere anche quello nel prossimo pacchetto di sanzioni”, ha confermato la portavoce della Commissione UE, Dana Spinant, lunedì 11 aprile nel briefing quotidiano con la stampa, richiamando le parole della presidente Ursula von der Leyen pronunciate in conferenza stampa venerdì al termine dell’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che hanno fatto cenno al fatto che un sesto pacchetto di sanzioni è in cantiere, “se la Russia non dovesse porre fine alle ostilità”.
    Bruxelles conferma la necessità di un approccio graduale alle nuove misure restrittive contro Mosca. Venerdì l’UE ha varato il quinto pacchetto di sanzioni andando a colpire per la prima volta le entrate della Russia sul carbone, per un valore di circa 8 miliardi di euro l’anno (con i dati del 2021). La strategia con cui l’UE lavora su nuove sanzioni è quella di individuare in che modo andare a colpire l’economia russa, senza danneggiare troppo la propria. Il 27% circa del petrolio europeo è importato dalla Russia.

    Anche se non formalmente in agenda, il tema embargo sul petrolio russo è sul tavolo anche al Consiglio Affari Esteri in corso lunedì a Lussemburgo, come hanno confermato diversi ministri europei all’arrivo alla riunione. Per ora non c’è ancora un accordo a livello europeo per vietare le importazioni di petrolio greggio da Mosca, ma buona parte dei governi è favorevole a incrementare le sanzioni. “L’Unione europea sta spendendo centinaia di milioni di euro per importare petrolio dalla Russia, il che sta sicuramente contribuendo a finanziare questa guerra”, ha detto il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney, confermando che si sta lavorando per garantire che il petrolio faccia parte del prossimo pacchetto di sanzioni.
    Favorevoli a questa ipotesi anche gli omologhi olandese, ceco e lituano che si sono detti aperti a incrementare il regime di sanzioni per mettere pressione sulla Russia. In arrivo al Consiglio questa mattina l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha confermato la posizione della Commissione UE secondo cui un embargo sul petrolio dell’UE dovrà arrivare “prima o poi”, sostenendo la posizione già assunta dalla presidente von der Leyen di fronte all’Eurocamera riunita in plenaria la scorsa settimana. Gli eurodeputati, in una risoluzione non vincolante, hanno chiesto ai leader dell’UE di alzare il tiro sulle sanzioni, proponendo un embargo totale e immediato su tutte le importazioni energetiche, gas, nucleare, petrolio, non solo il carbone.
    Ago della bilancia sarà la posizione che assumerà la Germania, tra i Paesi europei che frenano di più sull’embargo energetico totale da Mosca perché fortemente dipendente. La dipendenza energetica da Mosca varia molto da Paese a Paese in UE, anche l’Ungheria – che già aveva mostrato una certa resistenza sull’embargo sul carbone – ha fatto sapere di essere molto cauta sull’embargo sul petrolio russo, e di non poterlo sostenere. La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock in arrivo Lussemburgo ha espresso la necessità di un “piano coordinato per eliminare completamente i combustibili fossili” dalla Russia, anche se Berlino sta cercando di mantenere un approccio più possibile graduale sulle sanzioni. E così anche l’UE.

    L’Esecutivo europeo lavora sul nuovo regime di sanzioni contro Putin per l’aggressione all’Ucraina, mentre i governi europei al Consiglio Esteri di Lussemburgo cercano un consenso sul bando delle importazioni sul greggio russo

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    Via Crucis del Papa, nella stazione della morte di Cristo la croce portata da famiglie russa e ucraina

    Città del Vaticano – La pace tra Russia e Ucraina, simbolicamente, si fa all’ombra del Colosseo. Si fa venerdì notte, nella via Crucis di Papa Francesco, che ha scelto di far portare la Croce nella tredicesima stazione della Passione, la morte di Cristo, a una famiglia russa e a una ucraina. Un gesto che spiega meglio le parole pronunciate ieri dal Pontefice: “Nella follia della guerra, si torna a crocifiggere Cristo. Ancora una volta inchiodato alla Croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli”.
    “La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi”, si legge nelle meditazioni della stazione. I testi, affidati a diverse famiglie, descrivono in questo tratto i frutti della guerra: “L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno. Tutto perde improvvisamente valore”. Chiedono a Dio, mentre le lacrime finiscono e la rabbia cresce “Dove ti sei nascosto?”, lo invocano perché parli “nel silenzio della morte e della divisione”, insegnando “a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
    Ieri mattina, nel giorno della Domenica delle Palme, per la terza volta il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha raggiunto Kiev, dove Giovedì Santo, a nome del Papa, consegnerà una seconda ambulanza, a ricordare il gesto della Lavanda dei Piedi compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena. “Papa Francesco desidera chinarsi davanti agli uomini e alle donne dell’Ucraina ferita dalla guerra e testimoniare la sua vicinanza”, ha spiegato il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Quando una persona ferita, ammalata o in difficoltà, verrà portata sull’ambulanza, potrà sentire l’abbraccio e la consolazione del Papa, che vuole lavare e baciare i piedi di quei fratelli e di quelle sorelle che subiscono l’ingiusta violenza della guerra”, ha scandito.
    Solo qualche giorno fa, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, è tornato a ripetere che è necessario “fare di tutto per evitare una escalation” di violenze e non ha escluso l’ipotesi di un viaggio del Papa a Kiev, ipotesi che lo stesso Francesco ha detto essere sul tavolo. “Non è proibitivo un viaggio, si può fare. Si tratta di vedere quali conseguenze avrebbe questo viaggio, valutare se davvero può contribuire alla fine della guerra”, ha aggiunto. Il punto è dunque capire come verrebbe interpretata in Russia la presenza del Pontefice in Ucraina, soprattutto dal patriarcato di Mosca. Parolin ha confermato che “era stata già avviata una certa programmazione” per realizzare un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill, dopo quello del 12 febbraio 2016 a Cuba. “Da quanto ho capito, si continua in questa preparazione”, ha detto a Vatican News, spiegando che la ricerca al momento “è di un terreno neutro”. 

    L’elemosiniere del Papa a Kiev per portare una seconda ambulanza nel Paese martoriato dalla guerra

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    A Kiev von der Leyen indica la strada UE all’Ucraina: “Vi consegno il questionario per l’adesione, lavoriamoci insieme”

    Bruxelles – Procede a gonfie vele il processo di adesione dell’Ucraina all’UE. Con un gesto più che mai simbolico, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, una busta con stampate le due bandiere gialle e blu dell’UE (il cerchio di 12 stelle) e dell’Ucraina (a bande orizzontali) con dentro un plico di documenti: “È il questionario per l’adesione all’Unione, andrà compilato e poi si dovrà fare la raccomandazione al Consiglio”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario.
    Dopo la visita ai luoghi del massacro di Bucha, la presidente von der Leyen è arrivata a Kiev insieme all’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Slovacchia, Eduard Heger (a proposito di leader, domani si recherà nella capitale ucraina il cancelliere austriaco, Karl Nehammer). A Kiev ha incontrato il presidente Zelensky, a cui ha spiegato che “siamo qui per darvi una prima risposta positiva, in questa busta c’è l’inizio del vostro percorso verso l’UE”. L’esecutivo comunitario è pronto a “lavorare con voi 24 ore su 24, sette giorni su sette”, ha assicurato von der Leyen: “Se lavoreremo insieme, non sarà come al solito questione di anni, ma di settimane“. Entusiasta il leader ucraino: “Lo compileremo in una settimana”.

    Президент України Володимир Зеленський розпочав зустріч із Президентом Європейської комісії @vonderleyen та Високим представником Європейського Союзу із закордонних справ та політики безпеки @JosepBorrellF, які прибули з візитом до нашої країни. pic.twitter.com/uYuqYuIzP6
    — Офіс Президента (@APUkraine) April 8, 2022

    Come specificano fonti europee, il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione di un Paese extra-UE – l’Ucraina in questo caso – e sembra comunque difficile che questa fase possa davvero concludersi nel giro di qualche settimana. È più verosimile fare riferimento alla promessa fatta a metà marzo dalla stessa presidente von der Leyen a Zelensky, che aveva parlato di “pochi mesi” per la valutazione e la trasmissione del parere formale al Consiglio. Quanto affermato oggi a Kiev dalla numero uno dell’esecutivo comunitario si inserisce nel tentativo di veicolare un forte messaggio di speranza e di solidarietà a un popolo bombardato dall’esercito russo da più di sei settimane.
    Il processo di adesione UE dell’Ucraina si è messo in moto lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare la Commissione Europea a presentare il proprio parere. La domanda formale di Kiev era stata inoltrata a Bruxelles il 28 febbraio, a soli quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa del Paese, con la richiesta di una “procedura speciale accelerata“. La prospettiva europea dell’Ucraina ha ricevuto l’endorsement prima del Parlamento Europeo il primo marzo e poi del vertice dei leader UE dell’11 marzo a Versailles.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare un Paese membro dell’UE l’Ucraina deve superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Dopodiché si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione del Paese. A riceverla, il presidente ucraino Zelensky: “La compileremo in una settimana”

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    Come un assenso fatto di silenzio ha reso possibile Bucha

    Pubblichiamo, tradotto da noi, questo intervento di Andrei Kolesnikov uscito sul sito di Carnegie in inglese. 
    La conoscenza di ciò che era accaduto ad Auschwitz fu un campanello d’allarme per il pubblico tedesco del dopoguerra, che non aveva voluto saperne nulla mentre la guerra era in corso. Dal 24 febbraio anche il pubblico russo si è rifiutato di sapere qualcosa, barricandosi dal mondo dietro la lettera Z – che in Russia è diventata un simbolo della guerra – come un crocifisso che potrebbe scongiurare il male.
    Non c’è certezza che la conoscenza di ciò che sta accadendo nelle città ucraine di Mariupol e Bucha sarà un campanello d’allarme per i russi che li costringerà a pensare alla pace in termini di pentimento. Nonostante l’affermazione di Theodor Adorno secondo cui dopo Auschwitz scrivere poesie era diventato impossibile, dopo Auschwitz e i massacri di ebrei di Babi Yar da parte dei nazisti in Ucraina, è stata scritta molta buona poesia. Dopo il bombardamento di Guernica da parte della Legione Condor della Germania nazista nel 1937, Picasso ha prodotto il suo dipinto iconico con lo stesso nome. Dopo Mariupol, i talk show sui canali della TV di stato russa continuano a vomitare odio in tutto il resto del mondo.
    ANDREI KOLESNIKOV
    La tragedia di una nazione che ha rivendicato a priori l’ideologia del putinismo è che in Russia non ci sarà nessuno a pentirsi per Mariupol. Lo storicismo del putinismo, il suo focus ideologico sul passato e sull’imbiancare le pagine più oscure della storia del Paese, conosce solo eroi, non vittime. Di conseguenza, il culto della vittoria della Russia nella seconda guerra mondiale non si è trasformato in una lezione su come evitare la guerra, ma in un culto della guerra stessa. Le lezioni della storia sono state distorte, capovolte, degradate e trasformate in agitprop.
    L’ideologia putinista è del tutto priva di qualsiasi contenuto positivo. Non ha obiettivi positivi o un’immagine del futuro desiderato. L’intera identità dei putinisti si basa su qualcosa di negativo, e il militarismo ne è una parte importante. Sotto questo tipo di ideologia, un eroe non è Yury Gagarin, il primo uomo nello spazio, ma un delinquente senza nome chiamato “Motorola”, il combattente russo del Donbas. Qualcuno che, invece di aprire la strada a un futuro umanistico, ci ha riportato in un passato arcaico, completo di trincee, sangue, pidocchi e omicidi.
    Uccisioni e violenze vengono eroicizzate. Le principali istituzioni ch normalmente richiamano la fiducia stanno diventando istituzioni di violenza: l’esercito e la polizia segreta dell’FSB. E tutto questo è benedetto dalla Chiesa ortodossa russa ufficiale. Se in epoca sovietica la distruzione per il bene di obiettivi elevati era sanzionata dal dipartimento della propaganda del comitato centrale del Partito Comunista, ora lo fa la Chiesa.
    Un’ideologia che coinvolge l’idea di una nazione russa unificata che includa anche gli ucraini ha ucciso quell’idea, avendo creato un’identità negativa per gli ucraini. Dopo Bucha e Mariupol, non ci potrà mai più essere una nazione unificata. E i russi porteranno lo stigma di coloro che hanno permesso al putinismo di realizzarsi e che lo hanno sostenuto.
    IL SILENZIO COME COMPLICITÀ
    Ora si pone la questione della colpa e della responsabilità, inclusa la colpa collettiva e la responsabilità per quanto accaduto tra Ucraina e Russia. Per il fatto che la Russia è stata ricacciata nello stesso stato morale degli anni più repressivi e paranoici del terrore stalinista, quando denunciare un’altra persona era considerata una virtù e un dovere, quando il nero era bianco. Per il fatto che la Russia sta attraversando una catastrofe antropologica.
    I normali sentimenti per un normale cittadino della Federazione Russa, non un soggetto di Vladimir Putin, sono un terribile inferno interiore di orrore e vergogna. Vergogna per quello che ha fatto Putin, e per la testarda ostinazione con cui molti dei nostri connazionali lo sostengono, profanando così il concetto stesso di patriottismo. La maggioranza, guidata dallo squadrone della morte femminile guidato dalle portavoce dei media statali Olga Skabeyeva e Margarita Simonyan e dalla portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, non si vergogna. Al contrario, sono allegri. La minoranza si vergogna, sia per se stessa, sia per queste cheerleader della morte.
    Queste stesse emozioni furono provate da persone che conservarono la capacità di pensare, dubitare e provare compassione nel 1968, quando i carri armati sovietici arrivarono a Praga durante l’invasione della Cecoslovacchia. Allora, proprio come adesso, anche le persone venivano detenute e condannate semplicemente per aver aperto un cartello. La Russia di Putin, tuttavia, ha lasciato l’era Breznev nella polvere in termini di numero di vittime e arresti.
    Nel 1968, la dissidente Larisa Bogoraz partecipò a una manifestazione sulla Piazza Rossa di Mosca contro l’invasione. Nella sua dichiarazione finale al processo nell’ottobre di quell’anno, ha detto qualcosa di molto importante che è rimasto rilevante per molti anni a venire, ed è importante ancora una volta oggi: “Per me non bastava sapere che non avevano la mia voce a sostenerli. Per me importava che non sentissero la mia voce contraria… Se non l’avessi fatto [rivendicò il 25 agosto 1968], mi sarei ritenuta responsabile di quelle azioni del governo, così come tutti i cittadini maggiorenni del nostro Paese sono responsabili di tutte le azioni del nostro governo”.
    In una Russia libera e democratica, gli scolari avrebbero dovuto imparare a memoria queste parole e il 25 agosto avrebbe dovuto essere celebrato come l’anniversario del risveglio della coscienza nazionale. Invece, gli scolari vivono in una Russia diversa: quella in cui la verità viene derisa come una falsa e dove a quei bambini viene insegnato a denunciare i “traditori nazionali”.
    Dopo essere stata bruscamente interrotta dal giudice, Bogoraz ha continuato: “C’era un’altra considerazione che avevo contro l’andare alla manifestazione… Quella era l’inutilità pratica della manifestazione, che non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Ma alla fine ho deciso che per me non si trattava di cosa avrebbe fatto di buono, ma della mia responsabilità personale”.
    Allo stesso modo, il cantautore dissidente sovietico Alexander Galich ha cantato: “Quante volte siamo stati in silenzio in vari modi – e non ‘contro’, ovviamente, ma ‘per’”. Per lui, il silenzio, proprio come nell’interpretazione di Bogoraz, è complicità con il azioni del regime.
    IL CIECO CHE GUIDA IL CIECO
    Secondo la logica di Larisa Bogoraz, quindi, coloro che approvano o tacciono hanno, come minimo, la responsabilità collettiva di ciò che sta accadendo nel proprio Paese e di ciò che lo Stato sta facendo. E questa, molto probabilmente, è la differenza tra colpa collettiva e responsabilità collettiva: qualcosa di cui la filosofa Hannah Arendt ha scritto molto nel suo lavoro sulla responsabilità dei tedeschi dopo la seconda guerra mondiale.
    “Nella Germania del dopoguerra… il grido ‘Siamo tutti colpevoli’ che a prima vista suonava così nobile e allettante in realtà è servito solo a discolpare in misura considerevole coloro che erano effettivamente colpevoli. Dove tutti sono colpevoli, nessuno lo è”, ha scritto la Arendt nel suo articolo “Responsabilità collettiva”, tracciando un confine tra responsabilità politica (collettiva) e colpa morale e/o legale. Il che non è assolvere il popolo tedesco dalla responsabilità per quello che è successo.
    Tutto questo deve ancora venire per il popolo russo, che è già equiparato ai tedeschi degli anni ’30 e ’40 agli occhi dell’opinione pubblica in gran parte del mondo (non solo in Occidente). Nella ricerca della “denazificazione”, hanno acquisito l’infamia dei “nazificatori”.
    In situazioni estreme, come le “operazioni militari speciali” di Putin, qualsiasi silenzio è a favore, non contro. Questo è il caso della responsabilità collettiva. Per questo la maggioranza, la cosiddetta opinione pubblica, non vuole credere ai “falsi” (cioè alla verità) e giustifica le azioni di Putin.
    La conformità passiva non è meno terribile della conformità attiva e aggressiva. La mancanza di responsabilità collettiva (“non ha nulla a che fare con me”) dà origine alla responsabilità collettiva. È cecità collettiva volontaria. La nazione segue Putin come il cieco che guida il cieco. Quando una nazione diventa cieca, sorda e muta, Mariupol e Bucha diventano possibili.
    UNA GLEICHSCHALTUNG GENERALE
    Questo è ciò che in epoca nazista veniva chiamato Gleichschaltung: il vile adattamento della gente comune al regime politico in cui vive. Il filosofo tedesco Jürgen Habermas lo ha descritto come il “passaggio volontario all’ideologia prevalente”. Il concetto ha caratterizzato la coscienza di massa della nazione dal 1933, quando Hitler divenne cancelliere. Un fenomeno simile fu visto sotto Stalin e negli anni crepuscolari dell’Unione Sovietica.
    Gleichschaltung spiega gli ultimi sondaggi, che mostrano che l’80 per cento dei russi sostiene “l’operazione militare speciale” del proprio Paese. Non tutti coloro che hanno affermato di sostenerlo supportano davvero i combattimenti, la distruzione e le uccisioni, ovviamente. Ma dicendo che lo fanno, si sono uniti al silenzioso “per”, quindi dobbiamo prendere sul serio questi numeri.
    Ne ha parlato anche Larisa Bogoraz nella sua dichiarazione finale in tribunale: “Il pubblico ministero ha concluso il suo intervento suggerendo che la sentenza che chiede sia approvata dall’opinione pubblica… Non dubito che l’opinione pubblica approverà questa sentenza, così come ha già approvato sentenze simili, poiché approverebbe qualsiasi sentenza … L’opinione pubblica approverà un verdetto di colpevolezza, in primo luogo perché le saremo presentati come parassiti, come eretici e trasmettitori di un’ideologia nemica. E in secondo luogo, se qualcuno ha un’opinione diversa da quella ‘pubblica’ e trova il coraggio di esprimerla, presto si ritroverà dove sono io”.
    Se una nazione non si ferma mai a pensare a cosa le è successo e a cosa è stato fatto con il suo consenso, troverà migliaia di modi per giustificarlo. Di quello che ha chiamato “l’uomo della mafia”, la Arendt ha scritto: “quando la sua occupazione lo costringe ad uccidere persone, non si considera un assassino perché non lo ha fatto per inclinazione ma per capacità professionale. Per pura passione non farebbe mai del male a una mosca”, ha scritto nel suo articolo “Colpa organizzata e responsabilità universale”.
    Questo spiega sia la manifestazione allo stadio Luzhniki di Mosca a sostegno della guerra, sia le scene a Bucha, così come l’80 per cento delle persone che sostengono la guerra o tacciono. “Non ha niente a che fare con noi”. “Questo è solo il modo in cui le cose hanno sempre funzionato”. “Ci è stato detto che lì ci sono nazisti”. “Stavamo solo eseguendo gli ordini.” “Avevamo paura di perdere il lavoro”. “Avevamo un mutuo da pagare”.
    E in effetti, non c’era niente che potessero fare. Perché hanno volontariamente rinunciato alle libere elezioni e alla democrazia: uno strumento per mantenere la coscienza della nazione e garantire l’efficienza dell’amministrazione. Perché hanno smesso di pensare e hanno fatto infiniti compromessi. E quei compromessi finirono nel disastro di un generale Gleichschaltung.

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    È stato siglato un accordo tra operatori telefonici per rendere gratuite (o più accessibili) le chiamate tra UE e Ucraina

    Bruxelles – Un accordo per andare incontro alle esigenze umane dei profughi ucraini nell’Unione Europea. È stata firmata oggi (venerdì 8 aprile) una dichiarazione congiunta tra 27 operatori di telecomunicazioni per garantire la gratuità – o quantomeno l’accessibilità dei prezzi – delle chiamate e del roaming tra UE e Ucraina, per aiutare i profughi che sono fuggiti dalla guerra scatenata dalla Russia a rimanere in contatto con amici e familiari che sono rimasti nel Paese. Nell’accordo patrocinato da Commissione e Parlamento Europeo compaiono anche TIM, Vodafone, il gruppo 3, Iliad e Fastweb, insieme ad altri 19 colossi europei e tre operatori ucraini (Kyivstar, lifecell e Vodafone Ukraine).
    Sono circa 4 milioni i profughi che nelle ultime sei settimane hanno trovato rifugio nei Paesi membri dell’UE (in particolare in Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia), anche grazie al notevole sforzo di accoglienza messo in piedi dal gabinetto guidato da Ursula von der Leyen. “Di fronte a questa crisi umanitaria crescente, è essenziale che i rifugiati ucraini abbiano accesso alla connettività a prezzi accessibili“, si legge nella dichiarazione congiunta, che si pone anche l’obiettivo di “garantire l’accesso a informazioni affidabili attraverso Internet”.
    A partire da oggi la dichiarazione è aperta a tutti gli operatori che desiderano firmarla e si applica per i prossimi tre mesi: a inizio luglio sarà rivista per considerare l’evoluzione della situazione in Ucraina. Nello specifico, l’impegno volontario prevede l’abbassamento delle tariffe all’ingrosso per il roaming che gli operatori si addebitano a vicenda, per consentire le chiamate internazionali con l’Ucraina. Questa misura minimizzerà i costi aggiuntivi sia per gli operatori dell’UE sia per quelli ucraini, permettendo di coprire i rispettivi costi, ma soprattutto di trasferire i benefici agli utenti finali.
    Soddisfazione da parte delle istituzioni UE sulla decisione degli operatori telefonici, che implica la rinuncia (o l’abbattimento) delle tariffe internazionali per le chiamate con l’Ucraina e dei supplementi di roaming: “È un’ancora di salvezza in tempi di crisi, ecco perché sosteniamo queste iniziative che possono fare una reale differenza”, ha commentato la vicepresidente della Commissione UE per il Digitale, Margrethe Vestager. Le ha fatto eco la relatrice del Parlamento UE sul nuovo regolamento sul roaming, Angelika Winzig (PPE): “Abbassando i massimali all’ingrosso, gli operatori ucraini possono offrire più facilmente il roaming gratuito all’interno dell’UE ai loro clienti, in modo che nessun ulteriore onere finanziario cada su di loro in questi tempi difficili“, ha sottolineato l’eurodeputata austriaca.
    Tra le altre azioni intraprese in queste settimane dagli operatori telefonici con sede nell’UE c’è anche la distribuzione gratuita di milioni di schede SIM ai rifugiati in arrivo dall’Ucraina, con la possibilità di fare chiamate internazionali gratuite. Alcuni hanno già abilitato il roaming gratuito, oppure hanno fornito una rete WiFi senza e ricariche telefoniche nelle aree di confine e nei rifugi per sfollati. Parallelamente, gli Stati membri UE possono utilizzare i fondi europei per finanziare il miglioramento dell’accesso ai servizi essenziali di comunicazione per i rifugiati ucraini. Per esempio, il Fondo sociale europeo (FSE) può essere sfruttato per offrire buoni per l’acquisto di carte SIM e abbonamenti, mentre il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) può andare a sostegno di infrastrutture e attrezzature tecnologiche.

    Ci sono anche TIM, Vodafone, 3, Iliad e Fastweb nella dichiarazione congiunta patrocinata da Commissione e Parlamento UE tra le 27 compagnie europee e ucraine che hanno deciso di aiutare i profughi a restare in contatto con le proprie famiglie

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    Von der Leyen e Borrell sono arrivati a Bucha: “Qui è successo l’impensabile, l’umanità è andata in frantumi”

    Bruxelles – “Qui è successo l’impensabile, abbiamo visto l’umanità andare in frantumi”. Con queste parole la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha commentato la sua visita a Bucha, città di circa 35 mila abitanti nella regione di Kiev, dove domenica scorsa (3 aprile) sono state scoperte le scene agghiaccianti del massacro di civili ucraini commesso dall’esercito russo nei territori occupati dal 24 febbraio scorso.
    “A Bucha abbiamo visto il volto crudele dell’esercito di Vladimir Putin, la sconsideratezza e la spietatezza di chi ha occupato la città”, ha aggiunto von der Leyen. Abitanti uccisi e gettati in fosse comuni, una stanza per le torture, cadaveri con le mani legate dietro la schiena dopo la fucilazione sul posto, altri ancora freddati mentre erano in bicicletta e lasciati a imputridire per strada. “Tutto il mondo è con Bucha oggi“, ha concluso la sua dichiarazione la presidente von der Leyen.

    It was important to start my visit in Bucha.
    Because in Bucha our humanity was shattered.
    My message to Ukrainian people:
    Those responsible for the atrocities will be brought to justice.
    Your fight is our fight.
    I’m in Kyiv today to tell you that Europe is on your side. pic.twitter.com/oVEUOPDuD6
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) April 8, 2022

    La numero uno dell’esecutivo comunitario – insieme con l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Slovacchia, Eduard Heger – è in viaggio da questa mattina in Ucraina, nel corso della missione diplomatica che la porterà oggi pomeriggio a Kiev, per incontrare il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e primo ministro, Denys Šmihal’. “I responsabili delle atrocità saranno assicurati alla giustizia, la vostra lotta è la nostra lotta”, ha attaccato von der Leyen, rivolgendo un messaggio al popolo ucraino: “Oggi sono a Kiev per dirvi che l’Europa è dalla vostra parte“.
    “Siamo testimoni di immagini strazianti”, ha commentato l’alto rappresentante Borrell, in riferimento alle “atrocità commesse dalla Russia, con un prezzo indicibile pagato dal popolo ucraino innocente”. Massacri che “devono essere indagati e perseguiti”, ha ricordato l’alto rappresentante UE, annunciando che la missione dell’Unione nel Paese “sosterrà il procuratore generale ucraino nel fornire formazione e attrezzature per sostenere le indagini e la raccolta di prove”. Inoltre, da Bruxelles sarà lanciato “un progetto del valore di 7,5 milioni di euro per sostenere la raccolta di dati sulle persone scomparse“, ha anticipato Borrell.

    I am also launching a project worth €7.5 million to support data collection of missing persons. 3/3 pic.twitter.com/TiPhdIAVzJ
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) April 8, 2022

    A proposito di massacri, oltre a quello di Bucha, le istituzioni UE oggi hanno rivolto un messaggio di solidarietà anche per le vittime del bombardamento alla stazione ferroviaria di Kramatorsk: “È un attacco spregevole, sono inorridita dalla perdita di vite umane e porgerò personalmente le mie condoglianze al presidente Zelensky”, ha fatto sapere su Twitter von der Leyen. “Questo è l’ennesimo tentativo di chiudere le vie di fuga per coloro che fuggono da questa guerra ingiustificata e causare sofferenza umana”, ha sottolineato l’alto rappresentante Borrell.
    Gli attacchi missilistici hanno avuto luogo nella città di 150mila abitanti nella parte di regione di Donetsk controllata dalle forze ucraine e da cui si stanno organizzando le evacuazioni di profughi dal Donbass: “Donne, bambini e famiglie sono stati uccisi e feriti mentre speravano di prendere un treno e fuggire dalla guerra”, ha commentato con sdegno la presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola. “Gli attacchi missilistici russi non sono né falsi né bugie, i responsabili dei crimini di guerra affronteranno la giustizia”, ha messo in chiaro la numero uno dell’Eurocamera, mentre il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, ha promesso “più sanzioni alla Russia e più armi all’Ucraina“, ricordando l‘approvazione del quinto pacchetto di sanzioni UE questa mattina.

    Brutal killing of civilians in #Kramatorsk is sickening.
    Women, children, families were killed and wounded whilst they were hoping to catch a train & flee the war.
    Russian missile strikes are neither fake nor lies. Those responsible for war crimes will face justice.
    — Roberta Metsola (@EP_President) April 8, 2022

    Visita della presidente della Commissione e dell’alto rappresentante UE sui luoghi del massacro compiuto dai soldati russi prima della liberazione della città da parte delle forze ucraine: “Abbiamo visto il volto crudele dell’esercito di Putin, la sua sconsideratezza e spietatezza”