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    L’Unione Europea cerca di coordinare gli Stati membri per il cambio delle banconote dei profughi in fuga dall’Ucraina

    Bruxelles – Nelle ultime sette settimane, da quando la Russia ha aggredito militarmente l’Ucraina, l’Unione Europea è diventata un luogo di rifugio per oltre quattro milioni di ucraini. Aldilà degli sforzi di solidarietà annunciati e messi in atto dai Ventisette, ci sono molti aspetti problematici che riguardano la vita di tutti i giorni e le necessità pratiche di cittadini di un Paese extra-UE che sono stati accolti in massa e in tempi record alle frontiere dell’Unione (grazie alla prima attivazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea). Uno di questi riguarda le banconote che i rifugiati in arrivo dall’Ucraina hanno in portafoglio e quelle che servono loro per effettuare pagamenti nell’UE.
    Dopo aver risolto la questione degli animali domestici e delle comunicazioni tra profughi e famiglie rimaste in Ucraina (grazie a un accordo storico tra operatori telefonici), gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) ha approvato una raccomandazione sul cambio di banconote di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nell’UE, a sostegno delle persone che – dopo essere fuggite dalla guerra – stanno riscontrando problemi nella conversione di denaro. La raccomandazione invita gli Stati membri a istituire schemi nazionali che permettano la conversione fino a 10 mila grivnie (circa 310 euro) a persona, bambini compresi, per un minimo di tre mesi. La conversione di banconote avverrebbe senza spese e al tasso di cambio ufficiale pubblicato dalla Banca centrale dell’Ucraina.
    Dall’inizio dell’invasione militare russa, la Banca centrale dell’Ucraina ha dovuto sospendere il cambio di banconote di grivnia per proteggere le riserve limitate di valuta estera del Paese, influenzando a sua volta la convertibilità della valuta ucraina negli Stati membri UE: molte banche non sono più state disposte a cambiare la grivnia proprio a causa dei rischi di cambio, rendendo più difficile per i rifugiati convertire il denaro che hanno portato con sé fuggendo dalla guerra. Il primo aprile la Commissione Europea ha presentato una proposta di raccomandazione per promuovere un approccio coordinato per gli schemi nazionali, in modo che gli sfollati dall’Ucraina possano convertire alle stesse condizioni le banconote di grivnia in valuta locale, indipendentemente dallo Stato membro che li ospita (euro, lev bulgaro, corona ceca, corona danese, corona svedese, fiorino ungherese, kuna croata, złoty polacco, leu romeno). In questo modo si stabiliranno condizioni di parità per gli istituti di credito e si potranno prevenire comportamenti speculativi sul mercato.
    L’adozione formale della raccomandazione da parte del Consiglio è prevista per il 19 aprile con procedura scritta. Le raccomandazioni non sono atti giuridicamente vincolanti, ma l’implementazione effettiva e l’istituzione degli schemi devono essere decise dagli Stati membri secondo le proprie legislazioni nazionali.

    I 27 ambasciatori UE hanno approvato la raccomandazione sulla conversione di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nei Paesi membri a condizioni paritarie e senza spese, per prevenire comportamenti speculativi sul mercato

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    La svolta militarista in Scandinavia: la minaccia russa spinge le neutrali Svezia e Finlandia verso l’adesione alla NATO

    Bruxelles – Forse solo Vladimir Putin poteva riuscire nell’impresa di spingere Svezia e Finlandia sulla strada dell’adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). L’aggressione militare della Russia ai danni dell’Ucraina ha provocato uno tsunami politico nei due Paesi, che per la prima volta dal secondo dopoguerra a oggi sono pronti ad abbandonare la tradizionale neutralità per confluire sotto l’ombrello di assistenza militare reciproca garantito dall’Alleanza.
    Da sinistra: la prima ministra della Svezia, Magdalena Andersson, e della Finlandia, Sanna Marin (Stoccolma, 13 aprile 2022)
    “La Finlandia deciderà entro poche settimane“, ha annunciato oggi (mercoledì 13 aprile) la premier, Sanna Marin, durante la conferenza stampa congiunta con l’omologa svedese, Magdalena Andersson, a Stoccolma. Proprio oggi è stato pubblicato il rapporto strategico sulla sicurezza della Finlandia – preambolo della posizione a favore dell’ingresso nella NATO – che il governo ha presentato all’Eduskunta (il Parlamento monocamerale) per il confronto tra forze politiche. Se emergerà una chiara maggioranza a favore dell’adesione all’Alleanza, Helsinki potrebbe presentare domanda già entro la metà di maggio, per ambire all’adesione un mese dopo, durante Summit di Madrid (29-30 giugno).
    Ma il governo Marin spinge perché la strada dell’ingresso nella NATO della Finlandia sia condivisa con le stesse tempistiche anche dalla Svezia. A inizio settimana, il ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, aveva sottolineato a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo che “è importante che Stoccolma segua un processo simile“, anche grazie al “continuo scambio di informazioni” che rende più probabile “prendere decisioni condivise nello stesso momento”. Nel corso della conferenza stampa di oggi a Stoccolma, la premier Andersson ha mostrato evidenti segnali di apertura: nonostante sia necessario “soppesare con molta attenzione tutti i pro e i contro”, la leader dell’esecutivo svedese ha sottolineato che “non vedo alcun motivo per rinviare la decisione“. In ogni caso, la premier ha confermato che “per la Svezia sarà importante la scelta della Finlandia sulla NATO: un cambio di rotta ovviamente ci influenzerà”.
    Finlandia e Svezia hanno perseguito per decenni le proprie politiche di non allineamento militare e fino allo scoppio della guerra in Ucraina sembrava tutt’altro che verosimile che potessero metterle in discussione. Solo sette settimane fa la possibilità di adesione alla NATO non era nemmeno in discussione, nonostante i due Paesi siano strettamente coinvolti in qualità di partner nel confronto sulla sicurezza dell’Alleanza. L’aggressione militare del Cremlino alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina ha fatto cambiare idea all’opinione pubblica finlandese e svedese, che ora sembra propendere verso l’integrazione nella NATO. La Finlandia condivide con la Russia un confine lungo 1.340 chilometri e nella sua storia ha già subito un’invasione (nel 1939), mentre le tensioni tra Mosca e Stoccolma si sono acuite negli ultimi anni, in particolare per le manovre militari del Cremlino nel Mar Baltico, attorno all’isola di Gotland (a metà strada tra la capitale svedese e l’enclave russa di Kaliningrad).
    Da Mosca sono già arrivate minacce all’indirizzo dei due Paesi scandinavi. “La NATO non è un’Alleanza che fornisce pace e un’ulteriore espansione non porterà più stabilità nel continente europeo“, ha avvertito in modo sibillino il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, facendo presagire “conseguenze” in caso di adesione da parte di Svezia e Finlandia. È opportuno sottolineare che un’eventuale decisione in questo senso – come per qualsiasi altro Paese libero e sovrano anche nelle scelte sulla propria sicurezza nazionale – sarà discussa nelle opportune sedi istituzionali e potrebbe anche passare da un referendum popolare (non obbligatorio né vincolante).
    Alla riunione del Consiglio Atlantico di una settimana fa, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha ribadito che l’Alleanza accoglierebbe a braccia aperte Svezia e Finlandia se decidessero di trasformare la propria cooperazione rafforzata in un’adesione formale: “Spetta a loro decidere, naturalmente. Ma se fanno domanda, mi aspetto che i 30 alleati li accetteranno“.

    L’aggressione dell’Ucraina sta avendo un effetto non calcolato da parte del Cremlino: per la prima volta i due Paesi potrebbero decidere di iniziare il processo per entrare nell’Alleanza Atlantica. Lo hanno confermato le rispettive prime ministre, Magdalena Andersson e Sanna Marin

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    La timida fuga dei colossi aziendali italiani dalla Russia: la metà prende tempo o non rinuncia ancora agli affari

    Bruxelles – Una ritirata scoordinata, con tanti che restano, alcuni che temporeggiano e altri ancora che – ognuno a proprio modo – fanno le valigie. Le grandi aziende italiane (ma anche globali) stanno mettendo in luce diverse strategie di approccio alla risposta dura dell’Unione Europea e dei 40 partner in tutto il mondo all’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. È quanto emerge dallo studio della Yale School of Management, che ha affinato la ricerca su oltre mille aziende internazionali e la loro risposta all’aggressione militare russa e al regime di misure restrittive messo in atto dall’Occidente.
    Come già era emerso un mese fa, quando lo studio era stato pubblicato nella sua prima versione, non esiste un approccio coordinato da parte delle aziende, anche perché la decisione di abbandonare il Paese avviene per motivi morali, economici o politici, ma non strettamente legali. È per questo motivo che oltre 600 multinazionali hanno già preso la decisione di fare un passo indietro – ritirandosi, sospendendo o riducendo le attività – ma ancora molte non rinunciano a fare affari in Russia, in particolare quelle cinesi (in tre casi su quattro), o cercano di prendere tempo per capire in che direzione proseguirà la guerra e come indirizzare gli investimenti futuri.

    In questo discorso rientrano in pieno anche le aziende italiane, che dimostrano un tasso limitato di disimpegno dalle operazioni industriali e commerciali in Russia. Su 27 gruppi industriali, quasi un terzo ha deciso di rimanere nel Paese, a causa di “un’esposizione significativa” al mercato russo e al rischio sia di andare incontro a ingenti perdite di fatturato, sia di esporsi a grosse incognite di approvvigionamento di materie prime. In questa categoria rientrano soprattutto i gruppi industriali dell’abbigliamento e calzaturieri come Calzedonia, Zegna Group e Geox, ma anche quelli del settore alimentare, come Cremonini Group e De Cecco. Spiccano anche l’istituto bancario UniCredit, oltre alla casa farmaceutica Menarini Group e all’impresa multinazionale attiva nella produzione di cemento e calcestruzzo Buzzi Unichem.
    Cinque gruppi aziendali cercano di prendere tempo, rimandando i futuri investimenti pianificati e contemporaneamente continuando a fare affari “sostanziali”. Non è un caso se in questa categoria compare anche il colosso alimentare Barilla (per la stessa questione dell’approvvigionamento di grano dalla Russia, che insieme all’Ucraina rappresenta il 30 per cento del commercio mondiale), oltre a Campari. A trovarsi in una posizione scomoda anche i giganti del settore energetico, come Saipem e Maire Tecnimont, così come dei piccoli elettrodomestici, come Delonghi, e Intesa Sanpaolo.
    Sulle 27 grandi aziende italiane individuate dallo studio della Yale School of Management, meno della metà (13) ha deciso di intraprendere un’azione di smarcamento dal mercato della Russia, a diversi livelli. Assicurazioni Generali, ENI, Ferragamo e YOOX (moda) hanno interrotto gli impegni commerciali o industriali e si sono ritirati definitamente dal Paese. Altri gruppi, come CNH Industrial (macchine per agricoltura e costruzioni), Ferrari, Leonardo, Moncler e Prada, hanno invece deciso di sospendere temporaneamente la maggior parte delle operazioni, mantenendo aperte le opzioni di ritorno. Infine, un’altra categoria di imprese ha ridotto le operazioni, ridimensionando alcuni ambiti in modo “significativo” e proseguendone altri: sono Enel, Ferrero, Iveco e Pirelli.

    Da Calzedonia a De Cecco, Geox, Intesa e UniCredit: uno studio della Yale School of Management ha individuato 8 aziende italiane (su 27) che sono rimaste nel Paese nonostante le sanzioni UE. Altre 6 posticipano a data da destinarsi i nuovi investimenti (anche Barilla, Campari e Delonghi)

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    L’Unione Europea ha contribuito alla raccolta di 9,1 miliardi di euro della campagna Stand Up for Ukraine: “È luce nel buio”

    Bruxelles – L’Unione Europea in prima linea per il sostegno ai profughi in fuga dalla guerra in Ucraina, anche a livello finanziario. Dei 9,1 miliardi di euro raccolti a livello globale con la campagna Stand Up for Ukraine, un miliardo è arrivato dalla Commissione UE, a cui si aggiunge un altro miliardo annunciato dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo come prestito per coprire i bisogni delle persone sfollate.
    L’impegno dell’UE era stato anticipato durante il grande evento di sabato (9 aprile) a Varsavia – organizzato dalla Commissione e dal governo del Canada in collaborazione con l’organizzazione internazionale Global Citizen – dove ha partecipato la leader dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, insieme al presidente polacco, Andrzej Duda, e il premier del Canada, Justin Trudeau. “La solidarietà di Paesi, aziende e persone in tutto il mondo offre un po’ di luce in quest’ora buia”, ha sottolineato con forza von der Leyen, spiegando che i quasi dieci miliardi della campagna Stand Up For Ukraine sono solo l’inizio: “Continueremo a fornire supporto a Kiev e quando le bombe avranno smesso di cadere, aiuteremo il popolo ucraino a ricostruire il Paese”. Una promessa che era stata fatta anche al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, nel corso della sua missione a Kiev il giorno precedente (venerdì 8 aprile).
    I 9,1 miliardi di euro raccolti saranno incanalati in due direttrici di sostegno finanziario alle autorità ucraine, a livello centrale e locale. Una prima tranche da 4,1 miliardi andrà a sostenere le donazioni in natura e i contributi per gli sfollati interni e i rifugiati all’estero, mentre i restanti 5 miliardi saranno previsti come prestiti e sovvenzioni delle istituzioni finanziarie pubbliche europee (la Banca europea per gli investimenti e la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa). Le donazioni del settore privato saranno gestite dalle agenzie delle Nazioni Unite.
    Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio scorso, sono circa 4 milioni i profughi che hanno trovato rifugio nei Paesi membri dell’UE, in particolare in Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia. Il gabinetto guidato da von der Leyen ha messo in piedi un notevole sforzo di accoglienza (avallato dai Ventisette), applicando per la prima volta dal 2001 la Direttiva europea sulla protezione temporanea e presentando le linee-guida per l’assistenza delle persone in fuga dall’Ucraina. Inoltre, sono stati sbloccati i fondi di prefinanziamento nell’ambito di REACT-EU per accelerare le capacità degli Stati membri di attuare i piani di sostegno ai profughi e per far funzionare la piattaforma di solidarietà per i trasferimenti sicuri di persone verso Paesi che hanno maggiori capacità di accoglienza, compresi quelli extra-UE (come il Canada).

    La Commissione UE ha destinato un miliardo di euro per l’evento globale di raccolta fondi a sostegno dei profughi in fuga dalla guerra in Ucraina. La presidente von der Leyen ha promesso ulteriori fondi per “ricostruire il Paese, quando le bombe avranno smesso di cadere”

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    L’Unione sempre più determinata contro Mosca: “Intensificheremo la fornitura di armi a Kiev”

    Bruxelles – In attesa di una soluzione sulla non semplice questione energetica, avanti con il sostegno militare dell’UE all’Ucraina. Su questo i Ventisette sembrano avere non solo idee chiare, ma pure unità di intenti. “Insieme come UE, come amici dell’Ucraina, in futuro intensificheremo la fornitura di armi” a Kiev per rispondere all’aggressione russa. La linea viene espressa da Annalena Baerbock, ministra degli Esteri della Germania che sul tema ‘brucia’ l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell.
    La tedesca non attende la conferenza stampa di fine lavori di Borrell, parla lasciando Lussemburgo e anticipa i contenuti della riunione. Un modo di fare che riaccende anche il dibattito su una politica estera comune ancora tutta da costruire e getta ombre sul ruolo oggi ricoperto da Borrell. Che conferma lo slancio dell’UE in questo senso. “Sono stati messi a disposizione 1,5 miliardi di euro solo attraverso fondi europei” per rifornire l’Ucraina di ciò che serve per contrastare le operazioni militari dell’armata russa. “A questo si aggiungono i contributi nazionali a titolo personale, e quindi la cifra è molto più grossa”, anche se ammette di non averla sotto mano. “Se quanto messo sul piatto non dovesse essere sufficiente, ne riparleremo” con l’obiettivo di incrementare gli aiuti. “Per non entrare in guerra la sola cosa da fare è rifornire l’Ucraina di ciò di cui ha bisogno“, sottolinea poi.
    L’Alto rappresentante riassume quello che è il sentimento e la presa d’atto comune. “Si tratta di una guerra”. Quello che sta avvenendo in Ucraina “ha più dimensioni, inclusa quella militare”, con cui occorre fare i conti e l’Europa ritiene che la intensificare la fornitura di armi sia la via obbligata.

    🇮🇹🇪🇺| Intervista della Vice Ministra @MarinaSereni a @RaiNews a margine dei lavori del Consiglio affari esteri #CAE odierno a #Lussemburgo pic.twitter.com/tcwhTtt0Lm
    — Italy 🇮🇹 in EU (@ItalyinEU) April 11, 2022

    La rotta è tracciata, e anche l’Italia la sposa. “Dobbiamo continuare a sostenere l’Ucraina, anche militarmente“, chiarisce la vice-ministra degli Esteri italiana, Marina Sereni. L’obiettivo di questo rinnovato sostegno militare intende costringere Mosca a cessare le ostilità e sedersi al tavolo negoziale “con una atteggiamento genuino e costruttivo”.

    L’accordo raggiunto dai ministri degli Esteri nella riunione di Lussemburgo. L’annuncio della Germania, che anticipa l’Alto rappresentante Borrell. Anche l’Italia favorevole

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    L’UE studia il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca, sul tavolo l’embargo sul petrolio russo

    Bruxelles – C’è l’ipotesi embargo sul petrolio russo nelle discussioni in corso sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina a cui lavora la Commissione Europea. “Stiamo guardando il settore del petrolio per capire come includere anche quello nel prossimo pacchetto di sanzioni”, ha confermato la portavoce della Commissione UE, Dana Spinant, lunedì 11 aprile nel briefing quotidiano con la stampa, richiamando le parole della presidente Ursula von der Leyen pronunciate in conferenza stampa venerdì al termine dell’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che hanno fatto cenno al fatto che un sesto pacchetto di sanzioni è in cantiere, “se la Russia non dovesse porre fine alle ostilità”.
    Bruxelles conferma la necessità di un approccio graduale alle nuove misure restrittive contro Mosca. Venerdì l’UE ha varato il quinto pacchetto di sanzioni andando a colpire per la prima volta le entrate della Russia sul carbone, per un valore di circa 8 miliardi di euro l’anno (con i dati del 2021). La strategia con cui l’UE lavora su nuove sanzioni è quella di individuare in che modo andare a colpire l’economia russa, senza danneggiare troppo la propria. Il 27% circa del petrolio europeo è importato dalla Russia.

    Anche se non formalmente in agenda, il tema embargo sul petrolio russo è sul tavolo anche al Consiglio Affari Esteri in corso lunedì a Lussemburgo, come hanno confermato diversi ministri europei all’arrivo alla riunione. Per ora non c’è ancora un accordo a livello europeo per vietare le importazioni di petrolio greggio da Mosca, ma buona parte dei governi è favorevole a incrementare le sanzioni. “L’Unione europea sta spendendo centinaia di milioni di euro per importare petrolio dalla Russia, il che sta sicuramente contribuendo a finanziare questa guerra”, ha detto il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney, confermando che si sta lavorando per garantire che il petrolio faccia parte del prossimo pacchetto di sanzioni.
    Favorevoli a questa ipotesi anche gli omologhi olandese, ceco e lituano che si sono detti aperti a incrementare il regime di sanzioni per mettere pressione sulla Russia. In arrivo al Consiglio questa mattina l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha confermato la posizione della Commissione UE secondo cui un embargo sul petrolio dell’UE dovrà arrivare “prima o poi”, sostenendo la posizione già assunta dalla presidente von der Leyen di fronte all’Eurocamera riunita in plenaria la scorsa settimana. Gli eurodeputati, in una risoluzione non vincolante, hanno chiesto ai leader dell’UE di alzare il tiro sulle sanzioni, proponendo un embargo totale e immediato su tutte le importazioni energetiche, gas, nucleare, petrolio, non solo il carbone.
    Ago della bilancia sarà la posizione che assumerà la Germania, tra i Paesi europei che frenano di più sull’embargo energetico totale da Mosca perché fortemente dipendente. La dipendenza energetica da Mosca varia molto da Paese a Paese in UE, anche l’Ungheria – che già aveva mostrato una certa resistenza sull’embargo sul carbone – ha fatto sapere di essere molto cauta sull’embargo sul petrolio russo, e di non poterlo sostenere. La ministra tedesca degli Esteri Annalena Baerbock in arrivo Lussemburgo ha espresso la necessità di un “piano coordinato per eliminare completamente i combustibili fossili” dalla Russia, anche se Berlino sta cercando di mantenere un approccio più possibile graduale sulle sanzioni. E così anche l’UE.

    L’Esecutivo europeo lavora sul nuovo regime di sanzioni contro Putin per l’aggressione all’Ucraina, mentre i governi europei al Consiglio Esteri di Lussemburgo cercano un consenso sul bando delle importazioni sul greggio russo

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    Via Crucis del Papa, nella stazione della morte di Cristo la croce portata da famiglie russa e ucraina

    Città del Vaticano – La pace tra Russia e Ucraina, simbolicamente, si fa all’ombra del Colosseo. Si fa venerdì notte, nella via Crucis di Papa Francesco, che ha scelto di far portare la Croce nella tredicesima stazione della Passione, la morte di Cristo, a una famiglia russa e a una ucraina. Un gesto che spiega meglio le parole pronunciate ieri dal Pontefice: “Nella follia della guerra, si torna a crocifiggere Cristo. Ancora una volta inchiodato alla Croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli”.
    “La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi”, si legge nelle meditazioni della stazione. I testi, affidati a diverse famiglie, descrivono in questo tratto i frutti della guerra: “L’esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d’inverno. Tutto perde improvvisamente valore”. Chiedono a Dio, mentre le lacrime finiscono e la rabbia cresce “Dove ti sei nascosto?”, lo invocano perché parli “nel silenzio della morte e della divisione”, insegnando “a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare”.
    Ieri mattina, nel giorno della Domenica delle Palme, per la terza volta il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, ha raggiunto Kiev, dove Giovedì Santo, a nome del Papa, consegnerà una seconda ambulanza, a ricordare il gesto della Lavanda dei Piedi compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena. “Papa Francesco desidera chinarsi davanti agli uomini e alle donne dell’Ucraina ferita dalla guerra e testimoniare la sua vicinanza”, ha spiegato il direttore della sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni. “Quando una persona ferita, ammalata o in difficoltà, verrà portata sull’ambulanza, potrà sentire l’abbraccio e la consolazione del Papa, che vuole lavare e baciare i piedi di quei fratelli e di quelle sorelle che subiscono l’ingiusta violenza della guerra”, ha scandito.
    Solo qualche giorno fa, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, è tornato a ripetere che è necessario “fare di tutto per evitare una escalation” di violenze e non ha escluso l’ipotesi di un viaggio del Papa a Kiev, ipotesi che lo stesso Francesco ha detto essere sul tavolo. “Non è proibitivo un viaggio, si può fare. Si tratta di vedere quali conseguenze avrebbe questo viaggio, valutare se davvero può contribuire alla fine della guerra”, ha aggiunto. Il punto è dunque capire come verrebbe interpretata in Russia la presenza del Pontefice in Ucraina, soprattutto dal patriarcato di Mosca. Parolin ha confermato che “era stata già avviata una certa programmazione” per realizzare un incontro tra il Papa e il patriarca Kirill, dopo quello del 12 febbraio 2016 a Cuba. “Da quanto ho capito, si continua in questa preparazione”, ha detto a Vatican News, spiegando che la ricerca al momento “è di un terreno neutro”. 

    L’elemosiniere del Papa a Kiev per portare una seconda ambulanza nel Paese martoriato dalla guerra

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    A Kiev von der Leyen indica la strada UE all’Ucraina: “Vi consegno il questionario per l’adesione, lavoriamoci insieme”

    Bruxelles – Procede a gonfie vele il processo di adesione dell’Ucraina all’UE. Con un gesto più che mai simbolico, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha consegnato al presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, una busta con stampate le due bandiere gialle e blu dell’UE (il cerchio di 12 stelle) e dell’Ucraina (a bande orizzontali) con dentro un plico di documenti: “È il questionario per l’adesione all’Unione, andrà compilato e poi si dovrà fare la raccomandazione al Consiglio”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo comunitario.
    Dopo la visita ai luoghi del massacro di Bucha, la presidente von der Leyen è arrivata a Kiev insieme all’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, e il primo ministro della Slovacchia, Eduard Heger (a proposito di leader, domani si recherà nella capitale ucraina il cancelliere austriaco, Karl Nehammer). A Kiev ha incontrato il presidente Zelensky, a cui ha spiegato che “siamo qui per darvi una prima risposta positiva, in questa busta c’è l’inizio del vostro percorso verso l’UE”. L’esecutivo comunitario è pronto a “lavorare con voi 24 ore su 24, sette giorni su sette”, ha assicurato von der Leyen: “Se lavoreremo insieme, non sarà come al solito questione di anni, ma di settimane“. Entusiasta il leader ucraino: “Lo compileremo in una settimana”.

    Президент України Володимир Зеленський розпочав зустріч із Президентом Європейської комісії @vonderleyen та Високим представником Європейського Союзу із закордонних справ та політики безпеки @JosepBorrellF, які прибули з візитом до нашої країни. pic.twitter.com/uYuqYuIzP6
    — Офіс Президента (@APUkraine) April 8, 2022

    Come specificano fonti europee, il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione di un Paese extra-UE – l’Ucraina in questo caso – e sembra comunque difficile che questa fase possa davvero concludersi nel giro di qualche settimana. È più verosimile fare riferimento alla promessa fatta a metà marzo dalla stessa presidente von der Leyen a Zelensky, che aveva parlato di “pochi mesi” per la valutazione e la trasmissione del parere formale al Consiglio. Quanto affermato oggi a Kiev dalla numero uno dell’esecutivo comunitario si inserisce nel tentativo di veicolare un forte messaggio di speranza e di solidarietà a un popolo bombardato dall’esercito russo da più di sei settimane.
    Il processo di adesione UE dell’Ucraina si è messo in moto lo scorso 7 marzo, quando gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) avevano concordato di invitare la Commissione Europea a presentare il proprio parere. La domanda formale di Kiev era stata inoltrata a Bruxelles il 28 febbraio, a soli quattro giorni dall’inizio dell’invasione russa del Paese, con la richiesta di una “procedura speciale accelerata“. La prospettiva europea dell’Ucraina ha ricevuto l’endorsement prima del Parlamento Europeo il primo marzo e poi del vertice dei leader UE dell’11 marzo a Versailles.
    Dopo aver inviato la proposta formale di candidatura all’adesione e una volta che arriverà il parere positivo della Commissione (questionario incluso), per diventare un Paese membro dell’UE l’Ucraina deve superare l’esame dei criteri di Copenaghen, ovvero le basilari condizioni democratiche, economiche e politiche (istituzioni stabili, Stato di diritto, rispetto dei diritti umani, economia di mercato, capacità di mantenere l’impegno). Dopodiché si arriva alla firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, un accordo bilaterale tra UE e Paese richiedente, e a questo punto si può presentare la vera e propria domanda di adesione all’Unione: se accettata, viene conferito lo status di Paese candidato. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio UE di avviare i negoziati: solo quando viene dato il via libera all’unanimità dai Paesi membri si possono aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile). Alla fine di questo processo si arriva alla firma del Trattato di adesione.

    Il questionario fa parte della procedura di elaborazione del parere della Commissione UE sulla domanda di adesione del Paese. A riceverla, il presidente ucraino Zelensky: “La compileremo in una settimana”