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    Michel: “Adesione Ucraina all’ordine del giorno da metà giugno”

    Bruxelles – Ribadisce che “presto o tardi colpiremo il petrolio e il gas russi“, ma soprattutto garantisce che la questione dell’adesione ucraina sarà all’ordine del giorno presto, da metà giugno, termine entro il quale la Commissione europea intende produrre il suo parere. Charles Michel viene incontro alle richieste di Volodymyr Zelenskyy. Il presidente del Consiglio europeo rassicura il presidente dell’Ucraina, dopo l’incontro di Kiev servito a riaffermare la vicinanza tra Bruxelles e Kiev. Non sarà facile, ma la rotta appare segnata. L’aggressione russa dell’Ucraina sta portando il blocco dei Ventisette laddove sembrava impossibile, e sulla scia di questo Michel si sente di lasciarsi andare a dichiarazioni che fin qui non rispecchiano le intenzioni politiche di tutti gli Stati membri, divise sui dossier più scottanti.
    “Ci sono diverse sensibilità attorno al tavolo, ma avverto un forte sostegno” all’ingresso dell’Ucraina nella famiglia a dodici stelle, scandisce Michel, che si impegna a tenere alto il dibattito. “E’ mia responsabilità decidere quanto mettere il punto all’ordine del giorno”, e questo avverrà non appena l’esecutivo comunitario avrà sciolte le riserve sulle risposte fornite dal governo di Kiev.
    Di fronte a Zelensky che chiede un sesto pacchetto di sanzioni con “embargo totale” delle risorse energetiche che gli europei continuano a comprare e pagare a Mosca, perché “altrimenti si tratterebbe di un pacchetto incompleto”, Michel rilancia con forza un dibattito tutto a dodici stelle che continuerà. La Commissione UE ragiona a strette sul greggio, ma il gas per ora è lasciato fuori. Lo sanno gli ucraini, lo sanno gli addetti ai lavori europei. Per questo la promessa di Michel non può andare oltre i tentennamenti che agitano gli Stati membri. Zelensky ha capito che serve pazienza. “Sembrava che la Germania non volesse introdurre un embargo al carbone, ora sembra che la Germania sia per quello al petrolio”.
    In attesa di sanzioni in fase di definizione e del dibattito sul futuro del Paese in ottica di adesione ucraina, per cui Zelensky dice di attendersi “il sostegno degli Stati membri e del presidente Michel”, il presidente ucraina torna a chiedere il sostegno economico. “Abbiamo bisogno di iniziare a ricostruire dopo che avremo vinto la guerra“. L’UE già lavora alla conferenza internazionale dei donatori. Inoltre c’è la difesa militare. Servono soldi per acquistare “le armi di cui abbiamo bisogno e che non abbiamo”. Tutte richieste su cui Michel ha dato rassicurazioni. “Faremo di tutto per sostenere l’Ucraina”, altra promessa solenna di Michel. Ora Kiev attende l’Europa alla prova dei fatti.

    Il presidente del Consiglio europeo rassicura Zelensky anche su sanzioni e sostegno economico. “Faremo di tutto per aiutare”

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    Vaticano-Ungheria, domani Orban da Papa Francesco: prima visita ufficiale all’estero dopo le elezioni

    Città del Vaticano – Sullo sfondo del conflitto in Ucraina e del dramma di milioni di profughi sfollati in Europa, domani alle 11 il premier ungherese Viktor Orban farà tappa in Vaticano. Incontrerà Papa Francesco per la seconda volta, anche se sarà la sua prima visita ufficiale alla Santa Sede.
    Ad annunciarlo è Zoltan Kovacs, portavoce del primo ministro, su Twitter, ricordando come questa sia la prima visita ufficiale all’estero di Orban dopo la vittoria delle elezioni lo scorso 3 aprile, il suo quarto mandato.
    Jorge Bergoglio e Orban si sono già incontrati a Budapest, dove il Papa ha trascorso qualche ora per chiudere il 52esimo congresso eucaristico internazionale il 12 settembre scorso, mentre si dirigeva in Slovacchia. Potrebbe far ritorno in Ungheria a settembre prossimo, in visita ufficiale, unendo la tappa al viaggio apostolico in Kazakhstan.
    Nel 2021, in molti hanno accostato il veloce incontro, a cinque, con il premier sovranista ungherese nel museo delle Belle Arti di Budapest con la visita ufficiale e i picchetti d’onore, fatta nel palazzo presidenziale di Bratislava per incontrare la presidente della Repubblica europeista Zuzana Caputova. Una differenza di forma e sostanza che non è passata inosservata.
    Con Orban e il Papa, nell’incontro erano presenti anche il presidente Janos Ader, il segretario di Stato della Santa Sede, Pietro Parolin, e il ministro degli Esteri vaticano, Paul Gallagher. Di migranti Bergoglio parlò soltanto nell’incontro privato con i vescovi del Paese: “Vogliamo che il fiume del Vangelo raggiunga la vita delle persone, facendo germogliare anche qui in Ungheria una società più fraterna e solidale, abbiamo bisogno che la Chiesa costruisca nuovi ponti di dialogo”. Chiese loro di mostrare sempre “il volto vero della Chiesa”: “È madre! Un volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori, un volto fraterno, aperto al dialogo”.  “Ho chiesto a Papa Francesco di non lasciare che l’Ungheria cristiana perisca”, aveva annunciato su Facebook il premier ungherese. La replica pubblica del Papa arrivò più tardi, in Slovacchia, durante l’incontro ecumenico nella nunziatura di Bratislava. Ritrovare le radici cristiane è importante, aveva ricordato ma chiedendosi: “Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione?”. È difficile, aveva spiegato Francesco, “esigere un’Europa più fecondata dal Vangelo senza preoccuparsi del fatto che non siamo ancora pienamente uniti tra noi nel continente e senza avere cura gli uni degli altri. Calcoli di convenienza, ragioni storiche e legami politici non possono essere ostacoli irremovibili sul nostro cammino”. Parole che potranno tornargli utili nel nuovo faccia a faccia, questa volta privato, con il sovranista ungherese.

    Il Papa severo sulla posizione di Budapest circa i migranti. l premier ungherese è al suo quarto mandato, ha già incontrato il Pontefice il 12 settembre scorso

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    Fedorov a Bruxelles vuole più Europa. “Col vostro sostegno sconfiggeremo l’aggressore russo”

    Bruxelles – Sono consapevoli che sull’energia non si può pretendere troppo, ma sono certi che “col vostro supporto riusciremo a sconfiggere l’aggressore russo”. Ivan Fedorov, sindaco di Melitopol rapito dagli occupanti russi, e Maria Mesentseva, vicepresidente della commissione Integrazione europea della Rada, tornano a chiedere il sostegno economico e militare dell’Unione europea. Lo fanno in occasione del dibattito in commissione Affari esteri del Parlamento europeo, che li accoglie – per poi lasciar loro la parola per ultimi – nell’infuocato confronto tra le forze politiche, divise sull’effettiva efficacia delle sanzioni. Per i conservatori dell’ECR va fatto di più, perché, spiega Witold Jan Waszczykowski, “la guerra è ancora in corso”, e questo fatto da solo dimostra che “i cinque pacchetti di sanzioni non funzionano“.
    Mesenteva vuole rassicurare i partner. “Le sanzioni funzionano”, ma in questo momento non si può fare affidamento sulla sola economia. In Ucraina si è capito che “un embargo su gas e petrolio è molto ambizioso” e per questo non semplice, ma in questo l’Italia sembra un esempio. La voglia di differenziare e trovare alternative a Gazprom non passa inosservata, e “dovrebbero tutti seguire l’esempio”.
    Il sindaco di Melitopol avverte però l’esigenza di “liberare tutte le nostre città il più rapidamente possibile”. Vuol dire intensificare la risposta militare di Kiev, ed ecco allora la richiesta di più armi, rivolta soprattutto a Ungheria a Bulgaria, Stati membri restii a rifornire le forze armate ucraine. “Devono capire che se non sostengono l’Ucraina la guerra arriverà in Ungheria e Bulgaria”, avverte Fedorov. “Non capiscono che può accadere, ma è possibile” che succeda.
    Le armi sono dunque uno degli interventi che i rappresentanti delle istituzioni ucraine chiedono. Istituzioni democratiche ed europee, come sottolinea Fedorov. “Siamo riusciti a cambiare la nostra mentalità. Abbiamo iniziato a sentirci europei liberi”. Ma poi è arrivata l’aggressione. “Vogliamo vivere in un’Ucraina democratica, ma per la Russia questa situazione è inconcepibile”.

    Il sindaco di Melitopol in commissione Affari esteri con la vicepresidente della commissione Integrazione europea della Rada. “Abbiamo cambiato la nostra mentalità, ci sentiamo europei liberi”

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    Charles Michel è a Kiev, “nel cuore di un’Europa libera e democratica”

    Bruxelles – Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, è in missione a Kiev, in Ucraina, “nel cuore di un’Europa libera e democratica”. Lo fa sapere Michel stesso in un tweet pubblicato questa mattina (20 aprile), senza fornire ulteriori dettagli sulla visita, di cui non erano fuoriscite indiscrezioni fino a questo momento.
    Michel è l’ultimo dei tre presidenti delle istituzioni comunitarie a recarsi nella capitale ucraina da quando è iniziata la guerra della Russia di Vladimir Putin: ad aprire la strada è stata a inizio aprile la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, a cui è seguita la visita della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, accompagnata dall’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell. 

    Lo rende noto il presidente del Consiglio europeo in un tweet. Michel è l’ultimo dei tre presidenti delle istituzioni comunitarie a recarsi nella capitale ucraina da quando è iniziata l’invasione da parte della Russia a fine febbraio

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    L’UE condanna i bombardamenti russi sui civili in Ucraina. Borrell: “Al lavoro per la consegna di equipaggiamento militare”

    Bruxelles – I crimini di guerra di Vladimir Putin in Ucraina non rimarranno impuniti, “siamo al lavoro per supportare la consegna di equipaggiamento militare” all’esercito di Kiev. E’ quanto assicura Josep Borrell in una dura nota pubblicata ieri (18 aprile) in cui l’alto rappresentante UE per la politica estera e di sicurezza condanna gli ultimi “bombardamenti indiscriminati e illegali di civili e infrastrutture civili da parte delle forze armate russe”.

    I condemn continued indiscriminate shelling of civilians & civilian infrastructure by Russian armed forces in #Ukraine.
    In touch w/ ⁦@IntlCrimCourt⁩ prosecutor Khan. #NoImpunity for war crimes.
    Working to support delivery of military equipment. https://t.co/L2KK9S6R6p
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) April 18, 2022

    Borrell spiega di essere in stretto dialogo con il procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan, sostenendo a nome dell’UE le indagini in corso per stabilire la responsabilità del Cremlino per le violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale in questa guerra, iniziata con l’invasione dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio. “Non ci può essere impunità per i crimini di guerra”, afferma Borrell. Gli attacchi a cui il capo della diplomazia europea fa riferimento sono quelli negli ultimi giorni nell’est e nel sud dell’Ucraina, in particolare nella regione ucraina di Luhansk, a Severodonetsk, Lysychansk e Popasna. Le principali città, inclusa Kharkiv, “continuano ad essere attaccate indiscriminatamente, causando ulteriore distruzione di vite e infrastrutture civili”, prosegue la nota.
    Lunedì notte il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha fatto sapere che è iniziata la battaglia per il Donbass, la parte più orientale del Paese, in cui sono presenti le due autoproclamate Repubbliche filo-russe di Donetsk e Luhansk. Nel frattempo, domenica l’UE ha stanziato ulteriori 50 milioni di euro in finanziamenti umanitari per sostenere le persone colpite dalla guerra, di cui 45 milioni di euro per progetti umanitari in Ucraina e 5 milioni di euro per la Moldova. E’ di 143 milioni di euro in totale il finanziamento dell’aiuto umanitario dell’UE in risposta alla guerra mobilitato fino a questo momento, come parte del pacchetto di sostegno da un miliardo di euro promesso dalla Commissione europea in occasione dell’evento di donazione globale della scorsa settimana “Stand Up For Ukraine”.

    Bruxelles mobilita ulteriori 50 milioni di euro in finanziamenti umanitari per sostenere le persone colpite dalla guerra di Mosca, di cui 45 milioni di euro per progetti umanitari in Ucraina e 5 milioni di euro per la Moldova

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    L’Unione Europea cerca di coordinare gli Stati membri per il cambio delle banconote dei profughi in fuga dall’Ucraina

    Bruxelles – Nelle ultime sette settimane, da quando la Russia ha aggredito militarmente l’Ucraina, l’Unione Europea è diventata un luogo di rifugio per oltre quattro milioni di ucraini. Aldilà degli sforzi di solidarietà annunciati e messi in atto dai Ventisette, ci sono molti aspetti problematici che riguardano la vita di tutti i giorni e le necessità pratiche di cittadini di un Paese extra-UE che sono stati accolti in massa e in tempi record alle frontiere dell’Unione (grazie alla prima attivazione della Direttiva europea sulla protezione temporanea). Uno di questi riguarda le banconote che i rifugiati in arrivo dall’Ucraina hanno in portafoglio e quelle che servono loro per effettuare pagamenti nell’UE.
    Dopo aver risolto la questione degli animali domestici e delle comunicazioni tra profughi e famiglie rimaste in Ucraina (grazie a un accordo storico tra operatori telefonici), gli ambasciatori dei 27 Stati membri riuniti nel Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio (Coreper) ha approvato una raccomandazione sul cambio di banconote di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nell’UE, a sostegno delle persone che – dopo essere fuggite dalla guerra – stanno riscontrando problemi nella conversione di denaro. La raccomandazione invita gli Stati membri a istituire schemi nazionali che permettano la conversione fino a 10 mila grivnie (circa 310 euro) a persona, bambini compresi, per un minimo di tre mesi. La conversione di banconote avverrebbe senza spese e al tasso di cambio ufficiale pubblicato dalla Banca centrale dell’Ucraina.
    Dall’inizio dell’invasione militare russa, la Banca centrale dell’Ucraina ha dovuto sospendere il cambio di banconote di grivnia per proteggere le riserve limitate di valuta estera del Paese, influenzando a sua volta la convertibilità della valuta ucraina negli Stati membri UE: molte banche non sono più state disposte a cambiare la grivnia proprio a causa dei rischi di cambio, rendendo più difficile per i rifugiati convertire il denaro che hanno portato con sé fuggendo dalla guerra. Il primo aprile la Commissione Europea ha presentato una proposta di raccomandazione per promuovere un approccio coordinato per gli schemi nazionali, in modo che gli sfollati dall’Ucraina possano convertire alle stesse condizioni le banconote di grivnia in valuta locale, indipendentemente dallo Stato membro che li ospita (euro, lev bulgaro, corona ceca, corona danese, corona svedese, fiorino ungherese, kuna croata, złoty polacco, leu romeno). In questo modo si stabiliranno condizioni di parità per gli istituti di credito e si potranno prevenire comportamenti speculativi sul mercato.
    L’adozione formale della raccomandazione da parte del Consiglio è prevista per il 19 aprile con procedura scritta. Le raccomandazioni non sono atti giuridicamente vincolanti, ma l’implementazione effettiva e l’istituzione degli schemi devono essere decise dagli Stati membri secondo le proprie legislazioni nazionali.

    I 27 ambasciatori UE hanno approvato la raccomandazione sulla conversione di grivnia ucraina nelle valute in circolazione nei Paesi membri a condizioni paritarie e senza spese, per prevenire comportamenti speculativi sul mercato

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    La svolta militarista in Scandinavia: la minaccia russa spinge le neutrali Svezia e Finlandia verso l’adesione alla NATO

    Bruxelles – Forse solo Vladimir Putin poteva riuscire nell’impresa di spingere Svezia e Finlandia sulla strada dell’adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO). L’aggressione militare della Russia ai danni dell’Ucraina ha provocato uno tsunami politico nei due Paesi, che per la prima volta dal secondo dopoguerra a oggi sono pronti ad abbandonare la tradizionale neutralità per confluire sotto l’ombrello di assistenza militare reciproca garantito dall’Alleanza.
    Da sinistra: la prima ministra della Svezia, Magdalena Andersson, e della Finlandia, Sanna Marin (Stoccolma, 13 aprile 2022)
    “La Finlandia deciderà entro poche settimane“, ha annunciato oggi (mercoledì 13 aprile) la premier, Sanna Marin, durante la conferenza stampa congiunta con l’omologa svedese, Magdalena Andersson, a Stoccolma. Proprio oggi è stato pubblicato il rapporto strategico sulla sicurezza della Finlandia – preambolo della posizione a favore dell’ingresso nella NATO – che il governo ha presentato all’Eduskunta (il Parlamento monocamerale) per il confronto tra forze politiche. Se emergerà una chiara maggioranza a favore dell’adesione all’Alleanza, Helsinki potrebbe presentare domanda già entro la metà di maggio, per ambire all’adesione un mese dopo, durante Summit di Madrid (29-30 giugno).
    Ma il governo Marin spinge perché la strada dell’ingresso nella NATO della Finlandia sia condivisa con le stesse tempistiche anche dalla Svezia. A inizio settimana, il ministro degli Esteri finlandese, Pekka Haavisto, aveva sottolineato a margine del Consiglio Affari Esteri a Lussemburgo che “è importante che Stoccolma segua un processo simile“, anche grazie al “continuo scambio di informazioni” che rende più probabile “prendere decisioni condivise nello stesso momento”. Nel corso della conferenza stampa di oggi a Stoccolma, la premier Andersson ha mostrato evidenti segnali di apertura: nonostante sia necessario “soppesare con molta attenzione tutti i pro e i contro”, la leader dell’esecutivo svedese ha sottolineato che “non vedo alcun motivo per rinviare la decisione“. In ogni caso, la premier ha confermato che “per la Svezia sarà importante la scelta della Finlandia sulla NATO: un cambio di rotta ovviamente ci influenzerà”.
    Finlandia e Svezia hanno perseguito per decenni le proprie politiche di non allineamento militare e fino allo scoppio della guerra in Ucraina sembrava tutt’altro che verosimile che potessero metterle in discussione. Solo sette settimane fa la possibilità di adesione alla NATO non era nemmeno in discussione, nonostante i due Paesi siano strettamente coinvolti in qualità di partner nel confronto sulla sicurezza dell’Alleanza. L’aggressione militare del Cremlino alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina ha fatto cambiare idea all’opinione pubblica finlandese e svedese, che ora sembra propendere verso l’integrazione nella NATO. La Finlandia condivide con la Russia un confine lungo 1.340 chilometri e nella sua storia ha già subito un’invasione (nel 1939), mentre le tensioni tra Mosca e Stoccolma si sono acuite negli ultimi anni, in particolare per le manovre militari del Cremlino nel Mar Baltico, attorno all’isola di Gotland (a metà strada tra la capitale svedese e l’enclave russa di Kaliningrad).
    Da Mosca sono già arrivate minacce all’indirizzo dei due Paesi scandinavi. “La NATO non è un’Alleanza che fornisce pace e un’ulteriore espansione non porterà più stabilità nel continente europeo“, ha avvertito in modo sibillino il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, facendo presagire “conseguenze” in caso di adesione da parte di Svezia e Finlandia. È opportuno sottolineare che un’eventuale decisione in questo senso – come per qualsiasi altro Paese libero e sovrano anche nelle scelte sulla propria sicurezza nazionale – sarà discussa nelle opportune sedi istituzionali e potrebbe anche passare da un referendum popolare (non obbligatorio né vincolante).
    Alla riunione del Consiglio Atlantico di una settimana fa, il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha ribadito che l’Alleanza accoglierebbe a braccia aperte Svezia e Finlandia se decidessero di trasformare la propria cooperazione rafforzata in un’adesione formale: “Spetta a loro decidere, naturalmente. Ma se fanno domanda, mi aspetto che i 30 alleati li accetteranno“.

    L’aggressione dell’Ucraina sta avendo un effetto non calcolato da parte del Cremlino: per la prima volta i due Paesi potrebbero decidere di iniziare il processo per entrare nell’Alleanza Atlantica. Lo hanno confermato le rispettive prime ministre, Magdalena Andersson e Sanna Marin

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    La timida fuga dei colossi aziendali italiani dalla Russia: la metà prende tempo o non rinuncia ancora agli affari

    Bruxelles – Una ritirata scoordinata, con tanti che restano, alcuni che temporeggiano e altri ancora che – ognuno a proprio modo – fanno le valigie. Le grandi aziende italiane (ma anche globali) stanno mettendo in luce diverse strategie di approccio alla risposta dura dell’Unione Europea e dei 40 partner in tutto il mondo all’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina. È quanto emerge dallo studio della Yale School of Management, che ha affinato la ricerca su oltre mille aziende internazionali e la loro risposta all’aggressione militare russa e al regime di misure restrittive messo in atto dall’Occidente.
    Come già era emerso un mese fa, quando lo studio era stato pubblicato nella sua prima versione, non esiste un approccio coordinato da parte delle aziende, anche perché la decisione di abbandonare il Paese avviene per motivi morali, economici o politici, ma non strettamente legali. È per questo motivo che oltre 600 multinazionali hanno già preso la decisione di fare un passo indietro – ritirandosi, sospendendo o riducendo le attività – ma ancora molte non rinunciano a fare affari in Russia, in particolare quelle cinesi (in tre casi su quattro), o cercano di prendere tempo per capire in che direzione proseguirà la guerra e come indirizzare gli investimenti futuri.

    In questo discorso rientrano in pieno anche le aziende italiane, che dimostrano un tasso limitato di disimpegno dalle operazioni industriali e commerciali in Russia. Su 27 gruppi industriali, quasi un terzo ha deciso di rimanere nel Paese, a causa di “un’esposizione significativa” al mercato russo e al rischio sia di andare incontro a ingenti perdite di fatturato, sia di esporsi a grosse incognite di approvvigionamento di materie prime. In questa categoria rientrano soprattutto i gruppi industriali dell’abbigliamento e calzaturieri come Calzedonia, Zegna Group e Geox, ma anche quelli del settore alimentare, come Cremonini Group e De Cecco. Spiccano anche l’istituto bancario UniCredit, oltre alla casa farmaceutica Menarini Group e all’impresa multinazionale attiva nella produzione di cemento e calcestruzzo Buzzi Unichem.
    Cinque gruppi aziendali cercano di prendere tempo, rimandando i futuri investimenti pianificati e contemporaneamente continuando a fare affari “sostanziali”. Non è un caso se in questa categoria compare anche il colosso alimentare Barilla (per la stessa questione dell’approvvigionamento di grano dalla Russia, che insieme all’Ucraina rappresenta il 30 per cento del commercio mondiale), oltre a Campari. A trovarsi in una posizione scomoda anche i giganti del settore energetico, come Saipem e Maire Tecnimont, così come dei piccoli elettrodomestici, come Delonghi, e Intesa Sanpaolo.
    Sulle 27 grandi aziende italiane individuate dallo studio della Yale School of Management, meno della metà (13) ha deciso di intraprendere un’azione di smarcamento dal mercato della Russia, a diversi livelli. Assicurazioni Generali, ENI, Ferragamo e YOOX (moda) hanno interrotto gli impegni commerciali o industriali e si sono ritirati definitamente dal Paese. Altri gruppi, come CNH Industrial (macchine per agricoltura e costruzioni), Ferrari, Leonardo, Moncler e Prada, hanno invece deciso di sospendere temporaneamente la maggior parte delle operazioni, mantenendo aperte le opzioni di ritorno. Infine, un’altra categoria di imprese ha ridotto le operazioni, ridimensionando alcuni ambiti in modo “significativo” e proseguendone altri: sono Enel, Ferrero, Iveco e Pirelli.

    Da Calzedonia a De Cecco, Geox, Intesa e UniCredit: uno studio della Yale School of Management ha individuato 8 aziende italiane (su 27) che sono rimaste nel Paese nonostante le sanzioni UE. Altre 6 posticipano a data da destinarsi i nuovi investimenti (anche Barilla, Campari e Delonghi)