More stories

  • in

    A 30 giorni dalla proposta della Commissione UE, è operativo il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia

    Bruxelles – Era il 4 maggio quando la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, presentava davanti alla plenaria del Parlamento UE a Strasburgo la proposta del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ponendo un forte accento sull’embargo totale al petrolio russo. A 30 giorni da quell’annuncio, la nuova tornata di misure restrittive è stata approvata dal Consiglio dell’UE, lasciandosi alle spalle tutta una serie di dure polemiche, errori di valutazione e deroghe inizialmente non previste dalla proposta.
    Al centro del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia e la Bielorussia – spalla operativa per l’invasione dell’Ucraina da nord – c’è proprio l’embargo al petrolio in arrivo da Mosca. Il divieto di acquisto, importazione e trasferimento del greggio e dei derivati prevede una gradualità tra i sei (per il greggio) e gli otto mesi (per prodotti raffinati), ma soprattutto un’eccezione temporanea per le importazioni tramite oleodotto negli Stati membri che “a causa della loro situazione geografica, soffrono di una dipendenza specifica dalle forniture russe e non hanno opzioni alternative valide”. È il caso dell’Ungheria di Viktor Orbán (ma anche di Polonia, Germania e Slovacchi), che fino all’ultimo ha tenuto in stallo l’accordo tra i leader UE al vertice di lunedì e martedì (30-31 maggio), mentre a Bulgaria e Croazia sono garantite deroghe temporanee per l’importazione di greggio via mare e di gasolio sottovuoto. Della durata di queste eccezioni si dovrà discutere nelle prossime riunioni a livello tecnico e politico a Bruxelles.
    Il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill
    Altro punto complesso – anche se la criticità è emersa a sorpresa solo dopo l’accordo al Consiglio UE sul sesto pacchetto di sanzioni – è l’aggiornamento degli elenchi di persone ed entità vicine al regime di Vladimir Putin e di Alexander Lukashenko colpiti dalle misure restrittive. Tra i 58 “responsabili delle atrocità commesse dalle truppe russe a Bucha e Mariupol, le personalità che sostengono la guerra, i principali uomini d’affari e i familiari degli oligarchi e dei funzionari del Cremlino” (oltre ai 1.093 individui e 80 entità già presenti) doveva comparire anche il capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill. Tuttavia, il premier ungherese Orbán ha deciso mercoledì (primo giugno) di porre il proprio veto sulla richiesta della Commissione di congelare i suoi beni e rimuoverne il visto, bloccando nuovamente il pacchetto al Coreper (il Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio). La richiesta di Orbán è stata accolta in meno di ventiquattr’ore dagli altri 26 governi UE, lasciando nella lista militari e ufficiali responsabili di crimini di guerra, oligarchi e società russe del settore della difesa.
    Terza misura che compare nel sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci: Sberbank, una delle più grandi banche russe, la Banca di credito di Mosca e la Banca agricola russa (a cui si aggiunge anche la Banca bielorussa per lo sviluppo e la ricostruzione). Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. Inoltre, dal momento in cui il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, sarà vietata la fornitura di servizi di contabilità, relazioni pubbliche, consulenza, e servizi cloud alla Russia.
    Mentre si ragiona sul rafforzamento del regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive, si approfondiscono le restrizioni all’esportazione di beni e tecnologie a duplice uso “che possono contribuire al potenziamento tecnologico del settore della difesa e della sicurezza” di Mosca. Tra questi compaiono anche 80 prodotti che possono essere utilizzati per la produzione di armi chimiche.
    Ultimo punto, la sospensione della radiodiffusione di tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Queste strutture sono state utilizzate dal governo russo come strumenti per manipolare le informazioni e promuovere la disinformazione sull’invasione dell’Ucraina” con l’obiettivo di “destabilizzare i Paesi vicini alla Russia, l’UE e i suoi Stati membri”, spiegano dal Consiglio. Una precisazione – per rispondere in anticipo alle eventuali polemiche sulla libertà di stampa – riguarda il fatto che “in linea con la Carta dei diritti fondamentali, queste misure non impediranno ai media e al loro personale di svolgere nell’UE attività diverse dalla trasmissione, come ricerche e interviste”.

    Via libera dal Consiglio dell’UE all’embargo graduale al petrolio russo (con deroghe temporanee), allo scollegamento di altre tre banche dal sistema SWIFT, all’oscuramento di tre organi di propaganda e a nuovi nomi nella lista dei sanzionati (ma non il patriarca di Mosca Kirill)

  • in

    L’Ungheria ci ripensa: blocca le sanzioni sul petrolio russo perché c’è dentro anche il patriarca Kirill

    Bruxelles – Ieri Viktor Orban aveva approvato il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, oggi ha dato ordine al suo ambasciatore di bloccarne l’adozione formale perché ci ha ripensato: il patriarca Kirill, sanzionato ieri, deve essere escluso dalla lista.
    La tattica del bastone fra le ruote dell’Unione europea da parte del primo ministro di Budapest continua. A quanto si apprende la scelta di inserire anche il patriarca pro-Putin aveva lasciato nei leader europei riuniti ieri a Bruxelles il dubbio che qualcuno potesse opporsi, cosa che però alla fine non era accaduta, e tutti i leader del Ventisette, Orban compreso avevano dato il via libera politico.
    Oggi si sono riuniti gli ambasciatori per il varo formale del sesto pacchetto di sanzioni, ed ecco che il rappresentante ungherese blocca tutto, dicendo che porrà il veto finché il patriarca non sarà escluso dalla lista dei sanzionati. A quanto si apprende sono in corso contatti con il Governo ungherese nell’auspicio che la questione possa essere risolta a breve, ma la riunione è stata sospesa e si attende una nuova convocazione, che non sarà a brevissimo. 
    Da parte ungherese, ed anche polacca, da tempo è stata messa in pratica una politica di “micro ostacoli” all’Unione europea, per la quale, di solito su cose non di primo piano, si cerca di buttare sabbia negli ingranaggi, riuscendo spesso nell’intento. Qui la partita è evidentemente più grande, ma la tattica da “guerriglia legislativa” con imboscate a sorpresa è sempre quella.

    Orban continua nella sua tattica del bastone tra le ruote dell’Unione: ieri aveva approvato tutto il sesto pacchetto contro Mosca

  • in

    Ucraina, Papa: Non si usi il grano come arma di guerra. Italia preme per corridoi marittimi

    Roma – Il grano fermo in Ucraina preoccupa anche Papa Francesco. La catastrofe alimentare sta per abbattersi soprattutto sull’Africa e, a un mese dal suo viaggio in Congo e Sud Sudan (2-7 luglio), il Pontefice lancia un appello alla comunità internazionale: “Non si usi il grano come arma di guerra”.
    Dalle esportazioni dei carichi bloccati, ricorda al termine dell’udienza generale, “dipende la vita di milioni di persone, specialmente nei Paesi più poveri. Si faccia ogni sforzo per risolvere la questione e per garantire il diritto umano universale a nutrirsi”.
    Anche il pensiero del Presidente della Repubblica,  Sergio Mattarella, è alla crisi del pane: “Quello scatenato dall’aggressione Russia in Ucraina è un conflitto che a cerchi concentrici si ripercuote su altri popoli e nazioni”, sottolinea nel saluto prima del concerto al Quirinale per le celebrazioni del 2 giugno. Ma la guerra incide anche sugli obiettivi legati all’emergenza climatica: “La comunità internazionale vede pesantemente messi in discussione i risultati raggiunti negli ultimi decenni. Sembra l’avversarsi di scenari che vedono l’umanità protagonista della propria rovina”, afferma il Capo dello Stato.
    Di sicurezza alimentare il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha parlato ieri con il segretario di Stato americano, Anthony Blinken. A breve avrà un nuovo colloquio anche con l’omologo ucraino, Dmytro Kuleba. “Stiamo premendo affinché vengano creati corridoi marittimi per il trasporto delle materie prime alimentari, anzitutto il grano, dai porti ucraini”, assicura, durante il question time alla Camera. Servirà trovare un accordo tra Kiev e Mosca sia per sminare le acque antistanti i porti, in particolare quello di Odessa, a fronte della garanzia del transito sicuro dei carichi, sia per la navigazione senza ostacoli per le imbarcazioni cariche delle tonnellate di grano che da settimane sono ferme in Ucraina.
    Ieri, però, il premier Mario Draghi ha avanzato anche l’ipotesi di un trasporto via ferrovia, rivelando che l’Unione europea si sta adoperando in questo senso. Nel frattempo, l’unica certezza è che quel grano va sbloccato urgentemente, prima del nuovo raccolto, anche per questioni strategiche. “Sappiamo che non tutti i Paesi africani non sono con l’Occidente, l’abbiamo visto con i voti alle Nazioni Unite su questa guerra. Se si perde la guerra sulla sicurezza alimentare si perde la possibilità che questi Paesi possono venire incontro all’Europa”, ha osservato l’ex capo della Bce, ricordando che la guerra “non è il risultato delle sanzioni”, al contrario, sono le sanzioni a essere conseguenza dell’aggressione russa in Ucraina. Sulla contingenza, il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli annuncia lo sblocco di oltre 200mila ettari di terreni per rispondere al caro materie prime. “È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che rende operative le deroghe ai regolamenti comunitari sulla Pac”, fa sapere.
    Spaventano intanto le previsioni di S&P nell’ultimo rapporto, dal titolo ‘The Global Food Shock Will Last Years, Not Months’. Per l’agenzia, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari e la riduzione delle forniture durerà fino al 2024, forse oltre. La carenza di fertilizzanti, i controlli sulle esportazioni, le interruzioni del commercio globale e l’aumento dei costi del carburante e dei trasporti eserciteranno pressioni al rialzo sui prezzi dei beni alimentari di base. Nell’analisi i Paesi a medio e basso reddito dell’Asia centrale, del Medio Oriente, dell’Africa e del Caucaso saranno i più colpiti dall’impatto iniziale. Lo shock dei prezzi alimentari inciderà sulla crescita del Pil, sulla performance fiscale e sulla stabilità sociale, e potrebbe spingere ad azioni di rating in base alle risposte dei singoli Paesi e delle organizzazioni internazionali.

    Il Pontefice sarà in Africa dal 2 al 7 luglio. La preoccupazione del Presidente della Repubblica: Effetti guerra su tutti a cerchi concentrici, c’è crisi alimentare

  • in

    Le sanzioni oltre l’embargo al petrolio. Cosa ci sarà nel sesto pacchetto contro Mosca approvato dai leader UE

    Bruxelles – Banche, media di regime, oligarchi e ufficiali delle forze armate. Se l’embargo al petrolio russo è la portata principale sul tavolo del sesto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia, il contorno continua a colpire a fondo la cerchia stretta di Vladimir Putin e la propaganda di regime. Con le conclusioni approvate nella notte tra ieri (lunedì 30 maggio) e oggi, i leader UE hanno dato il via libera al nuovo round di misure restrittive contro Mosca, con l’obiettivo di tenere alta la pressione sul regime russo.
    L’esecutivo comunitario ha previsto di inserire nella lista delle sanzioni altri 58 tra militari e responsabili di crimini di guerra a Bucha e nell’assedio “disumano” della città di Mariupol (in aggiunta ai 1.093 individui e 80 entità già inserite), come aveva sottolineato la numero uno della Commissione, Ursula von der Leyen, al momento della proposta. Il nome più caldo nella lista è quello del capo della Chiesa ortodossa russa e patriarca di Mosca, Kirill, a cui la Commissione vorrebbe estendere il congelamento dei beni e la revoca del visto. Il nome era stato inserito nella proposta per il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma dai palazzi delle istituzioni comunitarie ancora non filtrano certezze: “Anche Kiril dovrebbe esserci, se me lo aveste chiesto una settimana fa avrei risposto sicuramente di sì”, ha lasciata aperta la questione l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, entrando questa mattina al Consiglio Europeo.
    Quello che invece è certo è l’aggiunta di altre tre banche nella lista di quelle scollegate dal sistema dei pagamenti internazionali SWIFT, facendo salire il numero a dieci. Ci sarà sicuramente Sberbank, una delle più grandi banche russe, mentre le altre due – secondo quanto riferiscono fonti UE – dovrebbero essere Credit Bank of Moscow and Russian Agricultural Bank. Il gabinetto von der Leyen per ora non tocca Gazprombank, la banca controllata del gigante energetico russo Gazprom, che serve all’UE per continuare a pagare le forniture di gas e nonostante le recenti complessità legate all’apertura di un secondo conto in rubli. L’obiettivo rimane quello di colpire le banche “critiche” per il sistema finanziario russo, isolandole sul piano finanziario. Inoltre, considerato il fatto che il Cremlino si affida a contabili, consulenti e spin-doctor europei, Bruxelles vieterà la fornitura di questi servizi alle società russe e sta puntando a rafforzare il regime di sanzioni con la proposta di confiscare e riutilizzare i beni degli oligarchi nel caso di violazione delle misure restrittive (anche attraverso contabili e consulenti dei Ventisette).
    Infine, il sesto pacchetto di sanzioni UE contro la Russia colpisce tre grandi emittenti statali russe, ovvero Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24 e TV Centre International. Come già accade da inizio marzo con Russia Today e Sputnik, le tre emittenti non saranno più autorizzate a distribuire i loro contenuti nei Paesi membri dell’Unione Europea via cavo, satellite, Internet o tramite app per smartphone. “Abbiamo identificato questi canali come organi che amplificano la disinformazione e la propaganda di Putin in modo aggressivo, non dobbiamo più dare loro un palcoscenico per diffondere queste bugie”, aveva attaccato von der Leyen a Strasburgo.

    Nel nuovo round di misure restrittive che i 27 leader dell’Unione hanno approvato saranno colpiti anche 58 tra oligarchi e ufficiali militari che si sono macchianti di crimini di guerra in Ucraina. Sberbank scollegata dal sistema di pagamenti SWIFT e banditi altre tre media di regime

  • in

    L’impegno monstre dei leader UE verso Kiev: 9 miliardi nel 2022 per far “rinascere l’Ucraina dalle sue ceneri”

    Bruxelles – Sbloccato lo stallo sull’embargo al petrolio russo, è rapida la strada che conduce i leader UE alle conclusioni sull’Ucraina e sul sostegno immediato e futuro per la sua ricostruzione. In un Consiglio Europeo caratterizzato dalle polemiche per i 26 giorni trascorsi senza un accordo sul sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca e dalla ricerca di una via d’uscita alle resistenze dell’Ungheria di Viktor Orbán – arrivata solo dopo la mezzanotte del primo giorno di vertice – rimane centrale il rinnovato impegno nei confronti di Kiev per affrontare l’invasione russa. Siamo entrati nel quarto mese di guerra e, come ricordato ieri (lunedì 30 maggio) dalla presidente del Parlamento UE, Roberta Metsola, “non possiamo permetterci di abbandonarci alla stanchezza o all’abitudine di questo conflitto”.
    La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, e del Consiglio, Charles Michel (30 maggio 2022)
    Ecco perché il testo firmato dai 27 leader ribadisce, nuovamente, la condanna dell’aggressione militare voluta dal Cremlino, l’aiuto a Kiev “a esercitare il suo diritto intrinseco di autodifesa” e l’esortazione a Mosca a “cessare immediatamente gli attacchi indiscriminati contro i civili e le infrastrutture civili” e a ritirare “immediatamente e incondizionatamente” truppe ed equipaggiamenti dal territorio ucraino “entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti”. Se all’Ucraina deve essere garantita la costruzione di “un futuro pacifico, democratico e prospero”, va sottolineato anche ciò che manca nelle conclusioni: non c’è il riferimento a quella “prospettiva di pace” voluta dal gabinetto di Mario Draghi, né al momento un’opzione di cessate il fuoco (la premier estone, Kaja Kallas, ha ricordato che non può essere imposta a Kiev un’opzione dall’esterno, “ma sono solo gli ucraini a poter dire quale pace vogliono nel loro Paese”). Nel frattempo, però, i leader sostengono “l’intenso lavoro” del procuratore della Corte penale internazionale per raccogliere prove e a indagare sui crimini di guerra commessi dall’esercito russo in Ucraina.
    Ma il cuore del testo firmato dai 27 capi di Stato e di governo dell’UE riguarda il sostegno umanitario e finanziario sul breve e medio periodo per la ricostruzione dell’Ucraina. L’impegno sulle necessità di liquidità è enorme: “L’Unione Europea è pronta a concedere una nuova assistenza macrofinanziaria eccezionale fino a 9 miliardi di euro nel 2022“, hanno stabilito i Ventisette. Come ricordato in conferenza stampa dalla presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, “Kiev ha bisogno di 5 miliardi di euro al mese solo per garantire i servizi di base, come salari e pensioni” e il supporto di Bruxelles arriva in coordinamento con il G7, che “ha messo sul piatto 9,5 miliardi, di cui 7,5 dagli Stati Uniti”. Si attende solo la proposta della Commissione, che verrà poi esaminata dal Consiglio. “Dovremo essere molto organizzati e creare una piattaforma per condividere tutte le iniziative internazionali ed essere chiari sulla destinazioni degli investimenti”, ha assicurato la leader dell’esecutivo comunitario: “Insieme agli investimenti arriveranno anche le riforme, perché potrà rinascere dalle ceneri una nuova Ucraina”, ancora più vicina all’Unione Europea.
    A questo si aggiunge il sostegno militare assicurato dall’Unione “per sostenere la capacità dell’Ucraina di difendere la propria integrità territoriale e sovranità” e i leader UE hanno appoggiato la decisione di aumentare il supporto finanziario per la fornitura di armi nell’ambito dell’European Peace Facility. Sul piano economico, è stata accolta con favore la decisione di sospendere per un anno i dazi su tutte le esportazioni ucraine verso i Paesi membri UE, mentre a livello politico sarà affrontata al Consiglio del 23-24 giugno la questione della domanda di adesione dell’Ucraina all’Unione, così come quelle della Repubblica di Moldova e della Georgia.

    Nelle conclusioni del Consiglio Europeo c’è l’impegno per la ricostruzione economica del Paese colpito dalla guerra russa. Il supporto finanziario, che dovrà essere coordinato da una piattaforma ad hoc, andrà di pari passo con le riforme per avvicinare il Paese all’Unione

  • in

    L’urgenza di superare il blocco della Russia ai porti del Mar Nero approda al Consiglio Europeo straordinario

    Bruxelles – Al prossimo vertice straordinario, per i Ventisette c’è un imperativo: superare il blocco della Russia nei porti del Mar Nero che impedisce l’esportazione di generi alimentari dall’Ucraina. Come emerge dalla bozza delle conclusioni del Consiglio Europeo del prossimo 30-31 maggio, i leader UE dovranno affrontare con particolare urgenza l’impatto del conflitto sulla sicurezza alimentare globale e sull’accessibilità dei prezzi. Tra le prime righe del capitolo dedicato alle catene di approvvigionamento internazionali, compare non solo la “ferma” condanna del Consiglio alla “distruzione e appropriazione illegale da parte della Russia della produzione agricola in Ucraina”, ma anche l’invito urgente a Mosca a mettere fine agli ostacoli all’export di materie prime e beni alimentari, “in particolare dal porto di Odessa”.
    Come spiegano fonti diplomatiche a Bruxelles, l’Italia è tra i Paesi membri maggiormente preoccupati per le potenziali ricadute di una crisi di sicurezza alimentare globale sui Paesi del Maghreb e del Medio Oriente che già sono toccati “sensibilmente” dall’aumento dei prezzi delle materie agricole. È per questo motivo che, riferiscono le stesse fonti, l’UE si impegnerà “in tutti i modi disponibili” per adottare misure alternative per facilitare le esportazioni dall’Ucraina, non volendo e non potendo intervenire contro il blocco dei porti nel Mar Nero senza provocare un’escalation militare con la Russia. Anche per sostenere il settore agricolo ucraino in vista della stagione 2022, la bozza di conclusioni invita gli Stati membri ad accelerare i lavori sui “corridoi di solidarietà” proposti dalla Commissione, agevolando il traporto via terra e offrendo almeno un punto di riferimento a livello nazionale. Allo stesso modo sarà vagliata la possibilità di coinvolgere anche il settore privato e costituire una piattaforma per il coordinamento.
    Sul piano del coordinamento, i leader UE chiederanno una risposta internazionale “efficace”, per garantire una risposta globale alla sicurezza alimentare. Questo passerà dalla Missione di resilienza agroalimentare (FARM), che punta a contenere i livelli dei prezzi e ridurre le conseguenze sulla produzione e sull’accesso e la fornitura di cereali, ma anche attraverso il sostegno al Gruppo di risposta alle crisi globali delle Nazioni Unite, l’imminente iniziativa del G7 che istituisce un’Alleanza globale per la sicurezza alimentare (GAFS). Andrà tenuta sotto controllo anche la carenza di fertilizzanti sul mercato mondiale, su cui il Consiglio inviterà a “compiere sforzi più concertati” con i partner internazionali, per promuovere un uso più efficiente anche delle alternative.

    Al vertice dei leader UE si cercheranno soluzioni per contrastare le conseguenze della guerra in Ucraina (in particolare a Odessa) sulla sicurezza alimentare. L’Italia è preoccupata soprattutto per i Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, già toccati “sensibilmente” dall’aumento dei prezzi

  • in

    Al vertice dei leader UE si discuterà della “prospettiva di pace” in Ucraina. Ma rimane incrollabile il sostegno a Kiev

    Bruxelles – Dopo tre mesi di guerra russa in Ucraina l’imperativo per l’UE deve essere la pace. A pochi giorni dal Consiglio Europeo straordinario (30-31 maggio) – con ancora un Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti del Consiglio) sicuro e uno in forse prima di lunedì – si intensificano i lavori sulla bozza delle conclusioni del vertice dei leader dell’Unione. Per diversi Paesi membri UE, Italia in primissima fila, la priorità è non solo supportare Kiev, ma mettere nero su bianco che la pace è l’obiettivo da perseguire in Ucraina.
    Per precisazione, fino a oggi Bruxelles non è stata impegnata in qualcosa di diverso se non garantire una via d’uscita pacifica al conflitto in corso. Né tantomeno il Consiglio metterà in discussione il “fermo impegno ad aiutare l’Ucraina a esercitare il suo diritto intrinseco all’autodifesa contro l’aggressione russa e a costruire un futuro pacifico, democratico e prospero”, come si legge nella bozza delle conclusioni. Questo sono tutte pre-condizioni perché il presidente, Volodymyr Zelensky, possa sedersi al tavolo dei negoziati con Mosca. Ciò che riferiscono fonti diplomatiche a Bruxelles è che nel documento finale che verrà firmato dai 27 leader UE “ci deve essere almeno peace perspective“, un riferimento alla prospettiva di pace in Ucraina. E la forza con cui è stato pronunciato quel “ci deve essere” ha chiarito la necessità che tutti gli strumenti messi in campo dall’Unione a supporto di Kiev abbiano “come unico obiettivo” una via d’uscita pacifica della guerra. Almeno questo è quello su cui spingerà l’Italia di Mario Draghi, dopo una settimana di lavori sul piano tecnico. Nella prima stesura delle conclusioni il riferimento non c’è, ma la parte italiana l’ha “evocato più volte”, fanno sapere le stesse fonti.
    Se l’obiettivo in Ucraina è la pace, gli strumenti messi in campo dall’UE per raggiungerla non cambiano. Non solo l’aiuto a livello umanitario e per la raccolta di prove per “sostenere l’intenso lavoro del Procuratore della Corte penale internazionale per indagare sui crimini di guerra” dell’esercito russo, ma anche il “rafforzamento del sostegno militare attraverso l’European Peace Facility“, si legge nella bozza. Inoltre, rimane cruciale il supporto finanziario per far fronte a un”immediato bisogno di liquidità” di Kiev per il prossimo trimestre: il pacchetto complessivo accordato in sede G7 è di 15 miliardi di euro complessivi, di cui l’UE si caricherà dell’onere maggiore (9 miliardi in prestiti e sovvenzioni). E poi c’è il supporto politico, sia per quanto riguarda la domanda di adesione UE dell’Ucraina (così come di Georgia e Repubblica di Moldova) – anche se il Consiglio “tornerà sull’argomento nella riunione di giugno”, in attesa dei pareri formali della Commissione UE – sia sul fronte del contrasto della disinformazione, della destabilizzazione informatica e dell’elusione delle sanzioni.
    A proposito di pace e difesa, la guerra in Ucraina ha causato un “cambiamento importante” nell’ambiente strategico dell’UE in materia di sicurezza, mette in evidenza la bozza di conclusioni. I 27 leader dell’Unione vogliono attuare “con determinazione” la Bussola strategica 2030, rafforzando i partenariati strategici e aumentando la capacità di sicurezza e di difesa attraverso “maggiori e migliori investimenti, concentrandosi sulle carenze strategiche individuate”. Si fa riferimento al joint procurement (gli appalti comuni) proposto dalla Commissione, anche se su questo punto specifico l’Italia è sì favorevole, ma con il freno a mano tirato. Le fonti diplomatiche specificano che il governo auspica una razionalizzazione della spesa militare, ma non un’imposizione alla chiusura della collaborazione con partner terzi. In altre parole, spesa comune europea, ma dove possibile, e soprattutto vanno definiti meglio i parametri degli appalti comuni. La posizione non è fredda, ma “tiepida”, anche considerata la portata storica di una proposta che potrebbe condurre l’Unione verso una maggiore integrazione su una delle maggiori prerogative degli Stati membri: difesa ed esercito.

    Fonti diplomatiche a Bruxelles riportano che nelle conclusioni del Consiglio UE del 30-31 maggio “ci deve essere” il riferimento a chiare lettere alla risoluzione pacifica del conflitto in corso, su cui spinge l’Italia. Ma al momento non compare nella bozza del testo

  • in

    La Finlandia sulla strada della NATO: “Non è vero che siamo neutrali. Ma serve una riflessione sui tempi dell’adesione”

    Bruxelles – Un processo che sembra apparentemente irreversibile. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Finlandia si sta spingendo sulla strada dell’adesione all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO), una decisione che sarebbe epocale, ancor più se accompagnata dall’allineamento anche della vicina Svezia, e che fino a due mesi fa non sembrava nemmeno lontanamente plausibile. Per la prima volta dal secondo dopoguerra a oggi Helsinki potrebbe abbandonare il tradizionale non allineamento militare, che emergerà con più certezza dal confronto tra le forze politiche attualmente in corso all’Eduskunta (il Parlamento monocamerale) sul rapporto strategico sulla sicurezza del Paese, presentato due settimane fa dall’esecutivo guidato da Sanna Marin.
    Un dibattito che si imposta su un cambiamento di percezione del pericolo russo e di priorità sulle questioni della difesa da parte dei cittadini finlandesi e sulle riflessioni sul breve e medio periodo da parte del mondo accademico. Come confermato a Eunews da Juha Jokela, direttore del programma di ricerca sull’Unione Europea al Finnish Institute of International Affairs, nel corso di un’intervista sul bivio presente per la storia del Paese e sugli scenari futuri di una possibile adesione della Finlandia – e della Svezia – sullo scacchiere geopolitico baltico ed europeo.
    Eunews: Dottor Jokela, che idea si è fatto della svolta finlandese sulla questione NATO?
    Jokela: “Prima di tutto bisogna puntualizzare che non è corretto parlare di neutralità della Finlandia, come leggo spesso sugli organi di informazione. Piuttosto possiamo dire che non siamo schierati militarmente, anche se ci siamo legati all’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord con una cooperazione rafforzata e da decenni va avanti la politica di approfondimento dei rapporti con i partner. La Finlandia ha sempre concepito l’opzione di aderire alla NATO, se lo scenario internazionale di sicurezza fosse cambiato. E ora, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, vediamo chiaramente questa possibilità, ecco perché è possibile affrontare questo discorso a livello di dibattito pubblico nazionale”.
    E: A proposito, come viene percepita dalla popolazione questa possibile scelta?
    J: “Quello a cui stiamo assistendo è un vero cambiamento di posizione proprio a partire dalla popolazione finlandese, tra il prima e il dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Normalmente il supporto nei confronti della NATO si attestava attorno al 20 per cento dei cittadini, ma, secondo quanto emerge dai sondaggi, dopo due giorni dall’invasione russa è salito al 50 e ora è tra il 60 e il 70 per cento. La popolazione si sta interrogando ed esprimendo sulla questione, adesso è arrivato il momento della scelta della sfera politica, a livello governativo, parlamentare e presidenziale”.
    E: Proprio ora al Parlamento è in corso il dibattito tra le forze politiche. Cosa si aspetta ne possa emergere?
    J: “L’unica potenziale discussione non è tanto se aderire alla NATO, quanto piuttosto se questo processo si stia sviluppando troppo rapidamente. Dobbiamo considerare seriamente le conseguenze sul piano della sicurezza, i pro e i contro di questa scelta sugli affari esteri del Paese. Il dibattito in Parlamento è stato voluto dall’esecutivo stesso per avere l’appoggio del potere legislativo sulla scelta, il white paper del governo non offre nessun suggerimento sulla politica da adottare proprio perché chiede una riflessione aperta tra partiti e deputati. Penso che un accordo sull’opinione del Parlamento sia una questione di settimane, non di mesi, e poi sarà affidata la decisione finale al governo e al presidente”.
    Da sinistra: la prima ministra della Svezia, Magdalena Andersson, e della Finlandia, Sanna Marin (Stoccolma, 13 aprile 2022)
    E: In caso di richiesta di adesione alla NATO da parte della Finlandia, quanto è probabile che la Svezia faccia altrettanto?
    J: “È evidente che la tensione militare in atto, iniziata già nel 2014, ha cambiato gli scenari di sicurezza per tutta la penisola scandinava. In questo periodo si sono strette le relazioni bilaterali tra Svezia e Finlandia in materia di difesa, con una cooperazione intensa anche sulla questione NATO. Proprio per il forte legame che si è creato, i due Paesi hanno canali diplomatici diretti per evitare che un cambiamento improvviso di posizioni di un partner vada a destabilizzare l’altro. Basti solo ricordare che quando a inizio marzo il presidente della Finlandia, Sauli Niinistö, è stato ospite dell’omologo statunitense, Joe Biden, durante l’incontro c’è stata una telefonata anche con la prima ministra svedese, Magdalena Andersson. Questa relazione riflette l’importanza strategica della stabilità nel Baltico, che ha un impatto anche su quella della regione artica, e nonostante Finlandia e Svezia stiano pensando alle proprie questioni di sicurezza nazionale, la loro decisione avrà un impatto significativo sullo scacchiere di tutta l’Europa”.
    E: È preoccupato per una possibile reazione dura da parte della Russia? Cosa rischiano Finlandia ed Europa?
    J: “Da un certo punto di vista, Helsinki è preparata per una minaccia militare diretta, già vediamo movimenti di truppe russe lungo il confine con la Finlandia, lungo 1.340 chilometri. Ma siamo più preoccupati per l’area grigia di un conflitto che contempli minacce ibride, come gli attacchi informatici, o l’invio forzato di persone ai confini. Evidentemente, ci sono implicazioni dirette su una possibile escalation di tensione con la Russia, ma l’eventuale decisione di aderire alla NATO è uno strumento legittimo di cooperazione con gli alleati transatlantici contro l’approccio aggressivo della Russia. Perché se è vero che non siamo neutrali, ma solo militarmente non schierati e già radicati nell’Alleanza, non va nemmeno dimenticato che nel caso di aggressione esterna per noi non si applica l’articolo 5 del Trattato del Nord Atlantico. Quello che afferma che un attacco contro un alleato è un attacco contro ogni componente dell’Alleanza”.

    Intervista a Juha Jokela, direttore del programma di ricerca sull’UE al Finnish Institute of International Affairs. “Stiamo assistendo a un cambiamento di posizione a partire dai cittadini. Ma la politica deve considerare seriamente le conseguenze sul piano della sicurezza del Paese”