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    Dal Belgio 240 veicoli militari per l’Ucraina

    Bruxelles – Il Belgio fornirà 240 nuovi veicoli militari  all’Ucraina di cui 150 carri Volvo, seguiti da mezzi corazzati e automobili da fuoristrada.
    Il governo l’ha deciso lo scorso 27 gennaio, questi carri Volvo già in servizio dal 1990 sono stati ora rimessi a nuovo e sono dunque in ottime condizioni, assicurano le autorità.
    Ieri e stato deciso dal parlamento Olandese di mandare due navi cacciamine entro il 2025. Le marine belga e olandese collaborano strettamente, quindi il Belgio contribuirà all’addestramento di base dei militari ucraini e alla manutenzione dei due cacciamine. Il ministero della difesa Belga sta ancora studiando se il Belgio possa inviare propri cacciamine.

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    L’Ue potrebbe mobilitare 2 miliardi di euro per munizioni a Ucraina. Cautela sulle notizie del sabotaggio di Nord Stream

    Bruxelles – Un piano in tre passi, per uno stanziamento complessivo da due miliardi di euro per la fornitura di munizioni. L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha anticipato oggi (8 marzo) alla stampa le intenzioni della Commissione Europea per un ulteriore sostegno all’Ucraina sul piano del sostegno militare, proprio mentre “la situazione militare sul campo rimane molto difficile, in particolare a Bakhmut, dove continuano le battaglie strada per strada, e le prossime settimane saranno critiche”.
    L’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell
    Dal momento in cui Kiev “ha bisogno di continuo supporto, soprattutto di munizioni per l’artiglieria”, la soluzione a inizio 2023 da Bruxelles è un piano di “tre fasi complementari, che vanno insieme e non in modo isolato”, ha precisato con forza l’alto rappresentante Borrell. In primis una donazione di munizioni di artiglieria da 152/155 millimetri “dagli stock già esistenti”, il cui “rimborso arriverà attraverso un miliardo di euro dall’European Peace Facility”, lo strumento fuori bilancio per la prevenzione dei conflitti, la costruzione della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale. In secondo luogo, un altro miliardo per il “coordinamento della domanda per gli ordini di altre munizioni attraverso l’Agenzia Europea della Difesa”, per cui è necessaria “una procedura veloce, per abbattere il prezzo e i tempi di consegna”. E infine un “aumento della capacità manifatturiera europea e la diminuzione dei tempi di produzione”.
    Nel corso del Consiglio Difesa informale a Stoccolma è stata raggiunta “un’intesa in linea generale” a proposito della fornitura di munizioni all’Ucraina, ma “ci sono ancora questioni da discutere“, ha confessato Borrell: “Spero che al prossimo Consiglio [al momento calendarizzato per il 23 maggio, ndr] si raggiunga un accordo formale”. Le parole dell’alto rappresentante sono dure: “Serve una mentalità da guerra, perché siamo in guerra, sfortunatamente dobbiamo parlare così perché il conflitto continua”, anche se “dobbiamo tenere aperta la porta per ogni negoziato di pace“. Intanto gli ambasciatori dell’Ue hanno approvato l’ulteriore stanziamento da 2 miliardi di euro per il Fondo europeo per la pace, dando seguito all’intesa politica di dicembre tra i ministri Ue della Difesa.

    #COREPERII Today, EU Ambassadors approved an additional €2 billion to the European Peace Facility. This decision sends a clear signal of the EU’s enduring commitment to military support for Ukraine and other partners. pic.twitter.com/T4U44gak4Q
    — Swedish Presidency of the Council of the EU (@sweden2023eu) March 8, 2023

    Oltre le munizioni, le notizie su Nord Stream
    Fuoriuscita di gas metano nel Mar Baltico dal gasdotto Nord Stream 1 (27 settembre 2022)
    “È una cosa molto seria, ma non bisogna mai avere paura della verità, di nessuna verità”, è la cauta presa di posizione dell’alto rappresentante Borrell a proposito dell’altro tema che ha agitato i 27 ministri Ue a Stoccolma. Secondo quanto riportano il quotidiano tedesco Die Zeit e lo statunitense New York Times, dietro al sabotaggio dei due gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 con la fuoriuscita di metano nel Mar Baltico di fine settembre dello scorso anno ci sarebbe un gruppo filo-ucraino. “Stiamo parlando di speculazioni, le indagini stanno ancora andando avanti in Svezia, Germania e Danimarca”, ha cercato di gettare acqua sul fuoco Borrell. Fino a quando non si arriverà alla fine delle investigazioni, “non possiamo giungere a conclusioni affrettate“.
    Secondo le rivelazioni dei due quotidiani, l’operazione potrebbe essere stata condotta in modo non ufficiale da un gruppo con legami con il governo o con i servizi di sicurezza ucraini. Anche se ci sono ancora molti buchi nella versione trapelata sulla stampa, gli investigatori tedeschi avrebbero identificato un’imbarcazione utilizzata per piazzare gli esplosivi, appartenente a una società registrata in Polonia e di proprietà di due cittadini ucraini. La squadra che avrebbe condotto l’operazione di sabotaggio ai danni dei due gasdotti sarebbe stata composta da sei individui di nazionalità sconosciuta. “Non c’entriamo nulla con l’operazione di sabotaggio ai danni dei gasdotti Nord Stream, sarebbe un bel complimento per i nostri servizi speciali ma quando si concluderanno le indagini si vedrà che l’Ucraina non ha nulla a che fare con tutto ciò“, si è smarcato da ogni tentativo di accusa il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, arrivando a Stoccolma, dove ha partecipato al vertice informale.
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    L’alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha anticipato il piano in tre step, che prevede donazioni immediate e coordinazione della domanda futura. Sulle speculazioni di gruppo pro-Kiev dietro al sabotaggio “non bisogna avere paura della verità, ma aspettare la fine delle indagini”

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    Laptop per l’Ucraina, raccolti altri 13mila dispositivi da inviare a Kiev. Bruxelles valuta l’estensione della protezione temporanea al 2025

    Bruxelles – Computer portatili, smartphone e tablet. Sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea, per essere consegnati a studenti, infermieri e dipendenti governativi colpiti dalla guerra in Russia. Secondo le stime di Bruxelles, da quando la guerra della Russia in Ucraina è iniziata il 24 febbraio di un anno fa, sono stati spediti a Kiev almeno 12mila dispositivi donati attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE. Gli altri 13mila – fa sapere l’esecutivo comunitario in una nota – saranno trasportati nelle prossime settimane.
    L’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’ è stata lanciata a dicembre scorso, insieme al ministero ucraino per la trasformazione digitale e a DIGITALEUROPE, l’organizzazione europea che rappresenta la tecnologia digitale. L’obiettivo è quello di raccogliere oltre 50mila tra laptop, tablet e smartphone per aiutare scuole, ospedali e amministrazioni governative a mantenere i servizi essenziali e garantire che i cittadini ucraini rimangano connessi a Internet.
    L’iniziativa si è rapidamente diffusa e conta oggi oltre 17 poli di raccolta dei dispositivi in tutta Europa, in Belgio, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Lituania, Ungheria, Romania e Slovenia. Questa spedizione sarà la prima di molte, poiché le donazioni dagli altri centri di raccolta europei verranno raccolte su base continuativa. Aziende e privati ​​possono ancora donare dispositivi di ricambio funzionanti in uno dei 17 centri di raccolta Inoltre, sono in fase di lancio nuovi poli di raccolta. I cittadini sono invitati a donare attraverso uno degli hub e le aziende private possono mettersi in contatto con la Commissione per organizzare il trasferimento di donazioni più consistenti.
    Nel frattempo la Commissione europea ha presentato oggi il primo rapporto sulla direttiva sulla protezione temporanea concessa agli ucraini in fuga dalla guerra, attivata per la prima volta il 4 marzo di un anno fa in risposta all’aggressione della Russia contro l’Ucraina. Bruxelles stima che sono circa 4 milioni le persone ad aver ottenuto da allora protezione immediata nell’Ue, di cui oltre 3 milioni nella prima metà del 2022. La protezione è già stata prorogato fino a marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogato fino al 2025 e Bruxelles non lo esclude. “L’Unione europea è pronta a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario. La protezione è già stata prorogata fino al marzo 2024 e può essere ulteriormente prorogata fino al 2025. La Commissione è pronta ad adottare le misure necessarie per un’ulteriore proroga, se necessario”, annuncia pubblicando il rapporto annuale. “Allo stesso tempo l’Ue perseguirà un solido approccio coordinato a livello europeo per garantire una transizione agevole verso status giuridici alternativi che consentano l’accesso ai diritti oltre la durata massima della protezione temporanea, nonché un sostegno mirato per le persone che, fuggite dall’Ucraina, desiderano ritornare a casa”, spiega l’esecutivo europeo.

    Computer portatili, smartphone e tablet: sono almeno 13mila i dispositivi elettronici che saranno consegnati all’Ucraina attraverso l’iniziativa ‘Laptop per l’Ucraina’, sostenuta dalla Commissione europea,

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    Russia e Cina non firmano, il G20 in India si conclude senza dichiarazione congiunta

    Bruxelles – Nessuna dichiarazione congiunta al termine del G20 in scena a Nuova Delhi. Che la Russia si opponesse alla richiesta di “ritiro completo e incondizionato dal territorio dell’Ucraina” era scontato, ma l’attenzione era tutta sulla scelta di Pechino: le parole del ministro degli Esteri Qin Gang, che nel suo intervento aveva dichiarato che la Cina “starà sempre dalla parte della pace, promuoverà attivamente i colloqui di pace ed è disposta a svolgere un ruolo costruttivo”, avevano fatto sperare che il gigante asiatico potesse schierarsi per la condanna alla Russia. Ma alla fine, anche la Cina si è rifiutata di firmare la dichiarazione congiunta.
    Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e in primo piano il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov (credits: Olivier Douliery / Pool / Afp)
    “Sulla questione che riguardava il conflitto in Ucraina ci sono state divergenze, differenze che non siamo riusciti a conciliare tra le varie parti”, ha confermato il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, padrone di casa al vertice. L’India, che solo una settimana fa si era astenuta dal voto nella risoluzione Onu di condanna al Cremlino, al G20 si è unita all’appello per il ritiro delle truppe russe. In sostituzione alla mancata dichiarazione congiunta, un meno ambizioso documento in 24 punti redatto da Jaishankar, su cui, salvo i due paragrafi riguardanti l’Ucraina, i Paesi hanno trovato un accordo unanime. “L’Unione Europea ha contribuito fino alla fine per avere un documento condiviso“, ha assicurato con un tweet l’alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, salutando con favore i 24 punti finali.
    Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa russa Tass, il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, avrebbe accusato l’Occidente di sacrificare le questioni “che dovrebbero essere al centro dell’agenda del G20 per le sue ambizioni in Ucraina”. Lavrov che, a margine del summit, ha avuto per la prima volta dall’inizio della guerra un breve incontro con il segretario di Stato Usa, Antony Blinken. Messa da parte la bagarre sulla guerra in Ucraina, i temi chiave affrontati a Nuova Delhi sono stati sicurezza energetica e alimentare e lotta al cambiamento climatico. I ministri degli Esteri dei 20 Paesi più industrializzati hanno ribadito l’impegno per promuovere “la disponibilità, accessibilità, convenienza, sostenibilità, equità e flusso trasparente di cibo e prodotti agricoli” nel mondo e “l’accesso universale all’energia”, accelerando la transizione verso fonti energetiche rinnovabili e pulite. Nei 24 punti, spazio anche ai rischi per la salute globale, alla lotta al terrorismo e al raggiungimento della parità di genere.

    The Indian presidency of the @g20org rightly recalls that we have one world, one family and one future. To deliver successfully, we need to work together.
    EU has contributed until the end to have a #G20 agreed document. We welcome the Chair’s Summary. https://t.co/9kOhNjy2Sm
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) March 2, 2023

    Mosca e Pechino hanno rifiutato di firmare il documento in cui si chiedeva il “ritiro completo e incondizionato” delle truppe russe dall’Ucraina. Alla fine del summit il ministro degli Esteri del Cremlino, Sergei Lavrov, ha incontrato il segretario di Stato Usa, Anthony Blinken

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    Le aziende del Belgio non lasciano la Russia: ce ne sono ancora 240

    Bruxelles – Solo una dozzina di aziende belghe hanno lasciato la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Nel marzo 2022, c’erano circa 240 aziende belghe con una o più filiali in Russia, e oggi, questo numero non è quasi cambiato.
    Come reazione all’ aggressione russa, molte aziende internazionali hanno deciso di lasciare quel mercato, mentre altre continuano a fare affari come sempre. Le tasse pagate da queste aziende concorrono a permettere al governo russo di finanziare la guerra in Ucraina.
    Quasi un anno fa, il produttore di birra AB InBev ha annunciato che si sarebbe ritirato dalla Russia. Non l’ha ancora fatto. Per quasi un anno, AB InBev ha negoziato con Efes la sua uscita dalla joint venture, ma senza successo. Anche il produttore di vetro AGC Europe e il produttore di porte e finestre Deceuninck affermano di essere in procinto di uscire, ma sono ancora lì, sottolonea l’agenzia di stampa Belga.
    Non tutte le aziende sono convinte della necessità della loro uscita. Il produttore di silicone Soudal rientra nella categoria di quelle che prendono tempo, così come il panettiere La Lorraine e il produttore di fili d’acciaio Bekaert. Il produttore di pannolini Ontex e l’azienda alimentare Puratos non hanno nemmeno intenzione di partire. Continueranno a operare in Russia, motivando la loro decisione con il fatto che forniscono prodotti essenziali.
    Questo tipo di decisioni non sono apprezzate dalla comunità internazionale. Recentemente l’azienda olandese Heineken è stata sommersa da reazioni negative, in quanto è emerso che il produttore di birra ha lanciato non meno di 61 nuovi prodotti sul mercato russo l’anno scorso, mentre aveva appena promesso di smettere di investire lì a causa della guerra in Ucraina.
    Il Belgio fa resistenze anche alle sanzioni sui diamanti russi.  Ad oggi i non sono inseriti nell’elenco dei beni oggetto dei dieci pacchetti di sanzioni europee verso Mosca, soprattutto a causa delle resistenze belghe. Anversa, la capitale delle Fiandre, è il principale punto di arrivo dei diamanti in Europa, inclusi quelli dalla Russia, che nel 2021 ammontavano a circa un quarto del totale.

    Alcune dicono di volerlo fare ma di non esserci riuscite per motivi societari. Altre non hanno intenzione di lasciare il mercato. Anversa riesce a tenere fuori i diamanti anche dal decimo pacchetto di sanzioni contro Mosca

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    Dentro la risoluzione Onu per la pace giusta in Ucraina: chi sono i Paesi astenuti e i contrari

    Bruxelles – Le Nazioni Unite, dopo due giorni di bagarre, hanno approvato con una maggioranza schiacciante la risoluzione per una “pace giusta” in Ucraina. 141 i voti a favore, 7 i contrari, 32 gli astenuti: a un anno dall’inizio dell’invasione russa e dalla prima risoluzione Onu, lo scacchiere internazionale rimane pressoché invariato. Il 2 marzo 2022 infatti, in un clima sconvolto dalle immagini dei primi tank dell’esercito di Mosca che oltrepassavano il confine con l’Ucraina, 141 Paesi votarono in fretta e furia una risoluzione in cui si chiedeva il ritiro delle truppe russe. In quell’occasione, i contrari furono 5, gli astenuti 35.
    Nel club filorusso che un anno fa contava, oltre al Cremlino, Bielorussia, Corea del Nord, Siria e Eritrea, figurano ora anche Nicaragua e Mali, che nel 2022 si erano astenute in sede Onu. Entrambe d’altronde, nell’ultimo periodo hanno rinsaldato i legami con Mosca: nella repubblica centro-americana, il presidente Daniel Ortega ha autorizzato lo scorso luglio l’ingresso nel Paese a truppe, aerei e navi russe per scopi di addestramento e pubblica sicurezza, rafforzando così la storica vicinanza politica, che esiste dai tempi del supporto dell’Unione Sovietica alla rivoluzione sandinista del 1979. In Mali invece, per mantenere il potere la giunta militare di Assimi Goïta si appoggia al gruppo Wagner, la milizia di mercenari legata al Cremlino e al Ministero della Difesa russo.
    I partner dell’Ue che si sono astenuti all’Onu
    Tra i 32 astenuti, oltre a Cina e India, spiccano soprattutto alcuni Paesi partner dell’Unione europea: Algeria, Sud Africa, Etiopia, Kazakistan. L’Algeria, “partner chiave per l’Ue nell’ambito del vicinato meridionale”, con cui nel 2017 sono state adottate le priorità comuni del partenariato per un “impegno politico e cooperazione rafforzata”; il Sud Africa, dove l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue, Josep Borrell, si è recato solo un mese fa per la 15esima sessione del Dialogo politico ministeriale, e in cui proprio Borrell aveva sottolineato il contributo potenziale del governo di Pretoria per mettere fine all’aggressione della Russia contro l’Ucraina; il Kazakistan, che nel 2015 ha firmato con l’Ue l’Accordo di Partnership e Cooperazione rafforzata (Epca), entrato in vigore nel 2020. E l’Etiopia, che a novembre ha trovato l’accordo per il cessate il fuoco con il Fronte popolare del Tigray, e la cui popolazione è stata sostenuta da Bruxelles con aiuti allo sviluppo e aiuti umanitari prima e durante il conflitto. Due invece i Paesi che si erano astenuti un anno fa e che si sono convinti della necessità di fermare l’aggressione militare di Mosca: si tratta di Iraq e Madagascar.
    “Prenderemo nota dei Paesi che si sono astenuti“, ha commentato a proposito la portavoce della Commissione europea, Nabila Massrali, a cui ha fatto immediatamente eco il rappresentante capo dell’esecutivo comunitario, Eric Mamer, che ha promesso: “Continueremo i nostri sforzi pedagogici per spiegare la posizione dell’Ue, che è quella del rispetto del diritto internazionale, a tutti i nostri Partner nel mondo”. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, ha preferito rimarcare la “schiacciante maggioranza” che ha “affermato chiaramente che la Russia deve fermarsi”, e che deve farlo “ora”. Le zone d’ombra lasciate dalla risoluzione delle Nazioni Unite, definita dal vicepresidente del Consiglio italiano, Antonio Tajani, “un grande successo”, per il momento non preoccupano Bruxelles, decisa a continuare “a discutere con tutti i partner per far comprendere sempre di più le origini di questo conflitto e la necessità di porvi fine“.

    The United Nations General Assembly #UNGA has voted today.
    141 countries called for a just, lasting and comprehensive peace in #Ukraine.
    The overwhelming majority of the international community has spoken clearly: Russia must stop its aggression.
    It needs to stop now. pic.twitter.com/pL5ic7gUoe
    — Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 23, 2023

    Con 141 voti favorevoli, 7 contrari e 32 astenuti, le Nazioni Unite hanno ribadito la necessità che Mosca fermi la sua guerra di aggressione. Ma rispetto alla prima risoluzione del marzo del 2022, anche Nicaragua e Mali si sono schierate con il Cremlino. E tra gli astenuti figurano alcuni partner dell’Ue

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    L’Ue studia il documento della Cina sulla soluzione politica alla crisi ucraina: “Non è piano di pace, ma principi politici”

    Bruxelles – L’Unione Europea è pronta a supportare “qualsiasi sforzo di mediazione e piano di pace genuino e significativo” per mettere fine a all’invasione russa dell’Ucraina che proprio oggi (24 febbraio) arriva al primo anno dal suo inizio. Ma il documento in 12 punti che arriva da Pechino sulla Posizione della Cina sulla soluzione politica della crisi ucraina è considerato “selettivo e insufficiente” dalla Commissione Europea, soprattutto per il fatto che “non prende in considerazione chi è l’aggressore e chi è la vittima” nel contesto di guerra.
    La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen (24 febbraio 2023)
    A spiegare nel dettaglio la visione dell’esecutivo comunitario sul cosiddetto piano di pace della Cina – pubblicato questa mattina dal ministero degli Esteri cinese – è la portavoce responsabile per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Nabila Massrali, facendo riferimento alle parole della numero uno della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Il documento della Cina non è un piano di pace, ma sono principi politici, e bisogna considerarlo alla luce del contesto generale”, ha commentato con cautela la presidente in conferenza stampa a Tallinn (Estonia). “Non possiamo dimenticare che prima dell’invasione dell’Ucraina Pechino ha firmato un partenariato senza limiti con Mosca“, ha continuato von der Leyen, con riferimento all’intesa tra i due Paesi del 4 febbraio dello scorso anno: “Considereremo i principi presentati dalla Cina, ma nel quadro generale” dei rapporti internazionali.
    Parlando con la stampa europea, la portavoce dell’esecutivo Ue ha fornito ulteriori dettagli sulla posizione del Berlaymont. “Si tratta di una posizione politica che prende in considerazione solo alcuni aspetti della Carta delle Nazioni Unite” e che “si basa su un focus errato sui cosiddetti interessi legittimi di sicurezza e preoccupazioni delle parti coinvolte“, con implicazioni su una presunta “giustificazione” della guerra di aggressione. Secondo il copione dell’ultimo anno, Bruxelles continua a fare pressioni sulla Cina perché “si impegni a premere sulla Russia per mettere fine agli attacchi e rispettare i confini internazionalmente riconosciuti” dell’Ucraina, è quanto ribadito dalla portavoce Massrali, parlando di una “pace giusta basata interamente sulla Carta delle Nazioni Unite, compresa l’integrità territoriale e il diritto all’autodifesa” e biasimando Pechino per l’astensione sulla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di ieri (23 febbraio), che ha rinnovato il monito alla Russia di ritirare il suo esercito dal territorio ucraino.
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    Sempre a Tallinn anche il segretario generale dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (Nato), Jens Stoltenberg, si è esposto sul documento cinese, con più durezza rispetto alla presidente della Commissione Ue: “Pechino non ha molta credibilità perché non ha mai condannato l’invasione russa e prima della guerra ha firmato il partenariato senza limiti con Mosca”. Stoltenberg ha poi ribadito quanto già affermato martedì (21 febbraio) in risposta al discorso alla nazione di Vladimir Putin: “Quello che vediamo in Ucraina non è una preparazione alla pace, ma a una nuova offensiva russa” e anche se la prospettiva rimane quella di “finire prima o poi questa guerra ai tavoli dei negoziati”, questo dipende da “ciò che succederà sul campo di battaglia”.
    In altre parole, “l’unico modo per creare le condizioni perché Putin capisca che non può vincere sul campo di battaglia e si sieda al tavolo dei negoziati accettando l’Ucraina come nazione indipendente e sovrana” è un ulteriore “supporto militare a Kiev ora” da parte della comunità internazionale. Tornando alla Cina, il segretario generale della Nato ha precisato che “non vediamo nessun segno di invio di armamenti leggeri a Mosca, ma ci sono indicazioni che potrebbe considerarlo“. Di qui l’avvertimento a Pechino di “non farlo, perché significherebbe un supporto alla guerra di aggressione e una violazione della Carta delle Nazioni Unite”. In quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, “la Cina ha un compito speciale per proteggerla”, ha sottolineato con forza Stoltenberg.

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    Tra crisi energetica e rischio recessione, un anno di guerra in Ucraina

    Bruxelles – Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, rischio di una crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022–24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.
    Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automatica un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporaneamente: quando il prezzo della risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.
    E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.
    Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.
    La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.
    Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia, con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.
    In un anno che ha scompaginato agende e logiche, si è assistito anche all’accelerazione dei processi di allargamento, quello Ue da una parte e quello Nato dall’altro. Ucraina e Moldova hanno visto ricevere lo status di candidati all’adesione all’Unione europea, con le stesse prospettive concesse alla Georgia. Mentre Finlandia e Svezia hanno sfatato il tabù della neutralità per iniziare il percorso di adesione all’Alleanza atlantica.

    Messa al bando per carbone e petrolio, l’impegno per la ricostruzione, azzerato il sistema bancario. Dieci pacchetti di sanzioni e molto di più. Un anno di conflitto in pillole