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    Gas, il Cremlino: le forniture riprenderanno “solo con lo stop alle sanzioni” occidentali

    Bruxelles – L’Unione europea tira dritto sul tetto al prezzo del gas russo, mentre la Russia torna a incolpare Bruxelles e le sanzioni occidentali per l’interruzione dei flussi di gas dal Nord Stream e per aver innescato la peggiore crisi europea dell’approvvigionamento di gas. I problemi con le forniture di gas tramite il gasdotto che collega i giacimenti siberiani direttamente alla Germania “persisteranno fino alla revoca delle sanzioni”, perché impediscono la “manutenzione delle unità dei gasdotti”, ha dichiarato in serata il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, spiegando che il funzionamento del gasdotto “si basa su un’unità che necessita di una seria manutenzione” e le sanzioni ne impediscono la riuscita.
    Il gigante russo del gas Gazprom venerdì ha annunciato che il gasdotto Nord Stream 1, la principale rotta di approvvigionamento in Europa, rimarrà chiuso a data da destinarsi dopo aver riscontrato una perdita di olio in una turbina di una stazione di compressione, facendo salire alle stelle i prezzi del gas. Il messaggio del Cremlino è chiaro: finché ci saranno sanzioni, i flussi del gas non ripartiranno e i prezzi (presumibilmente) continueranno a salire. “Problemi con la fornitura di gas sono sorti a causa delle sanzioni imposte al nostro Paese dagli stati occidentali, tra cui Germania e Gran Bretagna”, ha riferito ai giornalisti Peskov, come riporta Reuters. “Vediamo tentativi incessanti di trasferire responsabilità e incolpare su di noi. Lo rifiutiamo categoricamente e insistiamo sul fatto che l’Occidente collettivo – in questo caso, l’UE, il Canada, il Regno Unito – è responsabile del fatto che la situazione è arrivata al punto in cui è adesso”, ovvero con i prezzi alle stelle e difficoltà con l’approvvigionamento. Alla domanda se il Nord Stream tornerà a pompare gas con un allentamento delle sanzioni, Peskov ha risposto in maniera affermativa.
    Questo significa che le sanzioni occidentali contro Mosca “funzionano”? Fatto è che il Cremlino strumentalizza le sanzioni per incolpare l’Occidente della crisi energetica in corso. Le dichiarazioni del Cremlino arrivano in una Italia in piena campagna elettorale in cui il dibattito politico si è concentrato nel fine settimana sul reale funzionamento delle sanzioni e soprattutto se sia necessario portarle avanti anche di fronte a evidenti ricadute sui consumatori europei e sulle loro bollette. La diatriba è tutta interna alla coalizione di centrodestra, con il leader della Lega Matteo Salvini che insiste sul fatto che le sanzioni avrebbero provocato più danni alle economie europee rispetto a quella russa, e per questo dovrebbero essere ripensate. La posizione di Fratelli d’Italia è più moderata e allineata a quella dei principali partner dell’Ue sull’importanza delle sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina.
    Gli effetti delle sanzioni occidentali sull’economia del Cremlino si vedranno sul lungo termine ed è proprio di oggi lo scoop di Bloomberg che ha preso visione di un rapporto interno preparato per il governo russo, secondo cui la Russia potrebbe andare incontro alla “recessione più lunga e più profonda man mano che l’impatto delle sanzioni statunitensi ed europee si diffonde”. Il documento, precisa Bloomberg, è frutto di mesi di lavoro da parte di funzionari ed esperti che cercano di valutare il vero impatto dell’isolamento economico della Russia dovuto all’invasione dell’Ucraina voluta da Putin.
    Poco prima delle dichiarazioni del Cremlino, la Commissione ha confermato che una proposta per porre un tetto sul gas russo ci sarà. “Putin usa l’energia come arma, tagliando le forniture e manipolando i nostri mercati energetici. Ma Fallirà e l’Europa prevarrà”, ha avvertito la presidente Ursula von der Leyen, assicurando che la Commissione europea sta preparando proposte per aiutare le famiglie e le imprese vulnerabili a far fronte ai prezzi elevati dell’energia”.

    The @EU_Commission proposal will aim to:
    • Reduce electricity demand (peaks)• Price cap on 🇷🇺 pipeline gas• Help vulnerable consumers & businesses with revenue from the energy sector• Enable support to electricity producers facing liquidity challenges linked to volatility
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) September 5, 2022

    La leader dell’esecutivo si spinge oltre e conferma che le proposte a cui sta lavorando Bruxelles mireranno “a ridurre la domanda di elettricità (picchi)” ma anche “a imporre un tetto al prezzo del gas russo importato da gasdotto, aiutare i consumatori e le imprese vulnerabili con le entrate del settore energetico e consentire il sostegno ai produttori di energia elettrica che devono affrontare problemi di liquidità legati alla volatilità” dei prezzi. Il price-cap sul gas importato dalla Russia e proveniente da gasdotto è una misura richiesta a livello europeo a più riprese dal governo di Mario Draghi, principalmente per ottenere un doppio effetto: affrontare il rincaro sulle bollette elettriche e far valere il potere dell’Unione Europea come principale acquirente dei combustibili fossili importati da Mosca; ma anche imporre una sorta di sanzione indiretta nei confronti della Russia, vista l’impossibilità di stabilire un embargo sul gas russo (che ormai non è neanche tra le ipotesi).
    Dopo mesi di cautela (e, a parere di molti, di ritardo) da parte dell’Esecutivo europeo, un’apertura in questo senso è arrivata alla fine della scorsa settimana dalla stessa von der Leyen, a margine di un evento in Germania. La Commissione europea sta finalizzando il lavoro su un cosiddetto ‘non paper’, un documento interno fatto circolare con le proposte mirate contro il caro-bollette e per una riforma del mercato energetico per presentarlo quanto prima ai governi. L’occasione sarà il Consiglio straordinario per l’energia convocato con urgenza dalla presidenza dell’Ue della Repubblica ceca il prossimo venerdì 9 settembre. Ma a detta del portavoce capo dell’esecutivo europeo, Eric Mamer, il documento sarà “nelle mani” delle Capitali prima di venerdì, in modo da dare un contributo concreto al dibattito in seno alla riunione dei ministri dell’energia.
    Mamer ha annunciato proprio oggi che la presidente von der Leyen parteciperà mercoledì alla riunione degli ambasciatori dell’Ue (nel Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue), è quindi probabile che le proposte verranno presentate in prima battuta in questa occasione. Nei giorni scorsi è circolata a Bruxelles una prima bozza di proposta che la Commissione avrebbe dovuto presentare, ma senza riferimenti al tetto al prezzo del gas russo. Bruxelles aveva pensato a un’altra misura, ovvero fissare un massimale sul prezzo dell’energia elettrica prodotta da fonti diverse dal gas (ad esempio le rinnovabili) per fornire ai governi risorse con cui ammortizzare i costi delle bollette. La scelta di spingersi oltre e aprire ufficialmente al tetto sul gas probabilmente è da ricondurre in parte all’ennesima dimostrazione di inaffidabilità del colosso russo Gazprom e della Russia come partner energetico per l’Ue, dopo l’annuncio che avrebbe tenuto il gasdotto Nord Stream chiuso “per manutenzione” ben oltre i tre giorni programmati la scorsa settimana (dal 31 agosto al 2 settembre). In parte, è da ricondurre anche alla pressione politica che le Capitali stanno esercitando sulla Commissione europea, accusata nuovamente di risposta lenta e inadeguata alla crisi dei prezzi dell’Energia. Von der Leyen sperava di poter fare gli annunci su come rivedere il mercato energetico dell’Ue al prossimo discorso sullo Stato dell’Unione, che la leader dell’Esecutivo comunitario pronuncerà il prossimo 14 settembre di fronte all’Aula del Parlamento di Strasburgo. Sarà probabilmente costretta ad anticipare i tempi.

    La Russia torna a incolpare l’Occidente per il malfunzionamento del gasdotto Nord Stream e avverte che non ripartiranno i flussi finché ci saranno le sanzioni (che iniziano a far male al Paese)

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    Ucraina, per il Papa la guerra “iniziata da Mosca” è “moralmente ingiusta, inaccettabile, barbara, insensata, ripugnante e sacrilega”

    Città del Vaticano – La guerra in Ucraina è stata “iniziata dalla Federazione Russa” e Papa Francesco la condanna come “moralmente ingiusta, inaccettabile, barbara, insensata, ripugnante e sacrilega”. La Santa Sede mette un punto alle continue interpretazioni delle parole del Pontefice e alle strumentalizzazioni che portano a gesti diplomatici plateali.
    Lo scorso mercoledì, al termine dell’udienza generale, Francesco ha lanciato un appello per scongiurare un disastro nucleare intorno alla centrale di Zaporizhzhia. In quell’occasione, ha parlato della morte di Darya Dugina, figlia del filosofo russo nazionalista Alexandr, definendola una delle “vittime innocenti” che hanno pagato le spese del conflitto. Dopo l’intervento, Kiev richiamato il nunzio apostolico in Ucraina, monsignor Visvaldas Kulbokas, giudicando “poco gradita” quella frase del Papa.
    “L’Ucraina è profondamente delusa dalle parole del Pontefice, che confrontano ingiustamente l’aggressore e la vittima”, aveva spiegato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, motivando la decisione. “La scelta di menzionare nel contesto della guerra la morte di un cittadino russo sul territorio della Russia, con la quale l’Ucraina non ha nulla a che fare, provoca incomprensioni”. Kuleba aveva poi lamentato che “dall’inizio dell’invasione, il pontefice non ha mai prestato particolare attenzione alle vittime specifiche della guerra, tra cui 376 bambini ucraini morti per mano degli occupanti russi”.
    “Le parole del Santo Padre su questa drammatica questione vanno lette come una voce alzata in difesa della vita umana e dei valori connessi ad essa, e non come prese di posizione politica”, scandisce oggi il Vaticano. E ricorda che sono numerosi gli interventi di Jorge Mario Bergoglio e dei suoi collaboratori, avanzati dallo scoppio della guerra: “Hanno come finalità per lo più quella di invitare i Pastori ed i fedeli alla preghiera, e tutte le persone di buona volontà alla solidarietà e agli sforzi per ricostruire la pace”, precisa. Non c’è quindi nessun “significato politico” da attribuire.

    Il Pontefice interviene dopo il richiamo del Nunzio in Ucraina da parte di Kiev, seguito al ricordo della morte di Darya Dugina al termine dell’udienza di mercoledì 24 agosto. “Le parole del Santo Padre su questa drammatica questione vanno lette come una voce alzata in difesa della vita umana e dei valori connessi ad essa, e non come prese di posizione politica”, scandisce il Vaticano

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    Ucraina, il Papa: Si scongiuri il disastro nucleare a Zaporizhzhia

    Roma – Intorno alla centrale di Zaporizhzha si continua a combattere. Lo spettro della catastrofe nucleare aleggia sull’Europa e scuote anche Papa Francesco: “Auspico che si intraprendano passi concreti per mettere fine alla guerra e scongiurare il rischio di un disastro”, è l’appello al termine dell’udienza generale. Il Pontefice ricorda i prigionieri, “soprattutto quelli che si trovano in condizioni fragili” e chiede alle autorità responsabili di “adoperarsi per la loro liberazione”.
    Cita l’attentato a Darya Dugina, morta nell’esplosione della propria auto il 20 agosto scorso mentre faceva ritorno a Mosca: “Penso alla povera ragazza volata in aria per una bomba sotto il sedile. Gli innocenti pagano la guerra, gli innocenti”. Riflette sulla “crudeltà”, sui civili che stanno pagando “la pazzia, la pazzia, la pazzia di tutte le parti”, ripete. “Perché la guerra è una pazzia e nessuno che è in guerra può dire ‘No, io non sono pazzo’”, avverte.
    In attesa di una ispezione dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (che sarà “imminente”, assicura il direttore generale Rafael Mariano Grossi), nel Consiglio di Sicurezza di ieri Mosca e Kiev si sono nuovamente accusate a vicenda di aver messo in pericolo la centrale. “Le forze armate ucraine continuano a bombardare il territorio quasi ogni giorno, creando un rischio reale di incidente radioattivo con conseguenze catastrofiche per l’intero continente europeo”, denuncia l’ambasciatore russo Vasily Nebenzia. E invita l’Occidente a “smettere di coprire il loro protetto ucraino”: “Abbiamo l’impressione che i nostri colleghi stiano vivendo in una realtà parallela in cui l’esercito russo sta bombardando il sito che sta proteggendo”, dichiara. “Nessuno può immaginare che l’Ucraina prenda di mira una centrale nucleare e crei un enorme rischio di disastro nucleare sul proprio territorio”, la risposta dell’ambasciatore ucraino Sergiy Kyslytsya, che bolla i comportamenti russi come “provocazioni e azioni terroristiche”.
    Dal palco del Meeting di Rimini, il presidente del Consiglio Mario Draghi cita Papa Francesco: “Non posso che associarmi alle parole del Santo Padre perché si eviti un disastro nucleare”. “Speravo fino a ieri che la decisione di permettere l’accesso della centrale nucleare di Zaporizhzhia a ispettori dell’Onu fosse un segno” di dialogo tra le parti, confessa. “Purtroppo stanotte missili russi hanno bombardato la zona intorno alla centrale. In ogni caso – assicura -, in questa ricerca della pace è essenziale che le promesse siano sincere, che siano seguite da azioni concrete e che, soprattutto, sia l’Ucraina a decidere quali termini di pace siano accettabili“.
    Nella ricorrenza della Festa Nazionale ucraina, Sergio Mattarella scrive a Volodomyr Zelensky per esprimere la sua solidarietà: “Desidero rinnovare, in quest’ora così drammatica, a lei e a tutti i suoi concittadini l’espressione più convinta di vicinanza e sostegno della Repubblica Italiana”, si legge nel messaggio. Il Capo dello Stato classifica l’aggressione russa come “brutale e ingiustificata”. “L’Italia sostiene fermamente l’integrità territoriale, la sovranità, l’indipendenza e la libertà del suo Paese – garantisce – e ribadisce il suo impegno ad assistere il popolo ucraino anche sotto il profilo umanitario e della ricostruzione”. Il cessate il fuoco è necessario e dev’essere immediato. Solo così, insiste Mattarella, si potrà avviare “un processo negoziale in vista di una soluzione pacifica, giusta, equa e sostenibile per l’Ucraina”.

    Continuano i bombardamenti intorno alla centrale. Alle parole del Pontefice si associa l’appello del premier italiano Mario Draghi. Mattarella scrive a Zelensky. Attesa la visita di ispezione dell’Aiea

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    Borrell contro il divieto di rilascio dei visti ai cittadini russi. Il tema arriva sul tavolo dei ministri degli esteri Ue

    Bruxelles – Vietare a tutti i russi di entrare in Europa in ogni circostanza con i visti non è una buona idea. “Ci sono tanti cittadini russi che vogliono fuggire dal regime di Putin e le nostre porte non possono essere chiuse a loro”. Se pur riconoscendo la necessità di avere una politica “più selettiva” nel contesto drammatico dell’invasione dell’Ucraina , il capo della diplomazia europea Josep Borrell sembra chiudere all’idea promossa da un gruppo di Paesi vicini geograficamente alla Russia – i baltici in primis (Estonia, Lettonia, Lituania), poi anche Polonia e Finlandia – di impedire con un approccio coordinato a livello europeo ai turisti russi di entrare nell’area di libera circolazione Schengen, per rafforzare l’effetto sanzionatorio contro Mosca.

    Banning all Russians from entering Europe in all circumstances is not a good idea.
    There are many Russians who want to flee from the Putin regime and our doors cannot be closed to them.
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) August 22, 2022

    Borrell chiude anche se non sarà così semplice scoraggiare l’idea. Di propria iniziativa la scorsa settimana l’Estonia ha chiuso il suo confine a oltre 500mila cittadini russi con visti già rilasciati dall’Ue e ha intenzione di trascinare il tema la prossima settimana nella riunione dei ministri degli esteri dell’UE, riuniti nell’informale formato Gymnich (il 31 agosto), come confermato oggi dalla portavoce dell’Esecutivo comunitario Dana Spinant nel corso del briefing quotidiano con la stampa.
    Al momento tutti i cittadini russi che non sono soggetti alle sanzioni internazionali possono attraversare la frontiera con in mano un visto (valido per 90 giorni) rilasciato da un qualsiasi Paese dell’area Schengen, che conta in tutto 26 Paesi: 22 dell’Unione europea (Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Paesi Bassi, Austria, Polonia, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Finlandia e Svezia) a cui si aggiungono quattro Paesi extra Ue, Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.
    Nel corso del briefing quotidiano con la stampa la portavoce per gli Affari interni Anitta Hipper ha ricordato che sono gli Stati a rilasciare i “propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”. Ad opporsi all’introduzione del divieto a livello europeo anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz affermando che i russi dovrebbero essere in grado di fuggire dal loro paese d’origine se non sono d’accordo con la politica del Cremlino.

    I Paesi Baltici, la Polonia e la Finlandia chiedono un approccio coordinato Ue per impedire l’ingresso per lavoro o turismo a tutti i cittadini russi, ma il capo della diplomazia europea frena. La questione sarà affrontata dai ministri degli esteri nella riunione informale di Gymnich che si terrà la prossima settimana

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    Bruxelles pensa a una missione di addestramento per l’esercito di Kiev

    Bruxelles – Non più solo materiale militare. A Bruxelles prende forma l’idea di fornire aiuto di tipo organizzativo e addestramento alle forze armate ucraine contro l’invasione della Russia. L’Unione europea vuole organizzare una vera missione di “addestramento e assistenza” all’esercito ucraino, ne discuteranno lunedì prossimo a Praga i ministri della difesa dei Paesi membri Ue riuniti in un Consiglio informale e “spero che la proposta venga approvata”. A riferirlo oggi (22 agosto) l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, parlando in una conferenza stampa a margine dell’annuale seminario ‘Quo Vadis Europa?’, che si tiene in questi giorni a Santander, in Spagna.

    📹 Follow LIVE the press conference of HR/VP @JosepBorrellF and @uimp rector @carlosandradas.
    🇪🇺🌐 They will introduce the course ‘#QuoVadisEuropa: the birth of geopolitical Europe’ that is taking place this week in #Santander.https://t.co/5dLy5CYJiC
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) August 22, 2022

    Quella avviata dalla Russia lo scorso 24 febbraio ai danni dell’Ucraina “non è una guerra piccola, già dieci milioni di ucraini sono stati costretti a lasciare la propria casa”, ha osservato Borrell, precisando che la missione – al netto di un via libera da parte dei ministri – non sarà organizzata in Ucraina, ma nei Paesi vicini. Il capo della diplomazia europea ha poi definito “ragionevole” l’idea di fornire sostegno all’addestramento militare di Kiev. “Gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa, con i suoi stati membri, stanno fornendo materiale militare all’Ucraina e il relativo addestramento necessario per usarlo”, ha detto Borrell. Ha ricordato che l’Unione Europea già organizza 17 missioni di addestramento militare sparse per il mondo. “Lo abbiamo fatto in Mali, in Niger, nel Ciad e stiamo iniziando ora in Mozambico. E’ ragionevole che una guerra che sta durando richieda non solo uno sforzo per la fornitura dei materiali (militari) ma anche per l’addestramento e l’aiuto all’organizzazione”, ha aggiunto.
    La questione sarà politicamente affrontata la prossima settimana all’informale di Praga, ma non si è fatta attendere molto la risposta del Cremlino alla proposta anticipata oggi dall’alto rappresentante Ue.”Bisogna dire le cose come stanno: l’Unione europea allestirà dei campi per addestrare terroristi e i militanti del regime di Kiev”, ha accusato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, come riferito dall’agenzia di stampa russa Tass. “Anche cento anni fa gli europei non capirono subito cosa fosse il fascismo. Poi hanno capito ma era troppo tardi”, ha aggiunto.

    Da organizzare nei Paesi vicini all’Ucraina. Per l’alto rappresentante UE “è ragionevole” pensare di fornire sostegno sul piano organizzativo, non solo militare per una guerra che continua a protrarsi. Il tema sarà sul tavolo del Consiglio informale della difesa che si terrà a Praga la prossima settimana e la Commissione Ue spera nel via libera alla proposta

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    Estonia e Finlandia vogliono un coordinamento a livello Ue contro il rilascio di visti turistici ai cittadini russi

    Bruxelles – Una stretta su tutta la popolazione della Federazione Russa, non solo sugli oligarchi della cerchia di Putin. Estonia e Finlandia chiedono un ulteriore passo in avanti da parte dell’Unione Europea nel far pagare le conseguenze della guerra in Ucraina ai cittadini russi, tagliando anche il canale dei visti turistici rilasciati dai Paesi membri dell’area Schengen (con un allineamento anche di Bulgaria, Cipro, Croazia, Irlanda e Romania). La proposta è stata suggerita dalle prime ministre dei rispettivi Paesi, l’estone Kaja Kallas e la finlandese Sanna Marin, dopo alcuni episodi di propaganda del Cremlino attraverso cittadini russi in vacanza nell’Unione e l’attacco del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky: “I russi dovrebbero vivere nel loro mondo finché non cambiano filosofia”, ha dichiarato in un’intervista per il Washington Post.
    “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano“, è stato l’affondo della premier estone Kallas, spiegando le conseguenze dell’interruzione dei viaggi aerei dalla Russia: “Mentre i Paesi Schengen rilasciano visti, i vicini [Finlandia, Estonia, Lettonia, ndr] ne portano l’onere“. Di qui la necessità di “porre fine ora al turismo dalla Russia”. Un invito già arrivato lunedì (8 agosto) dall’omologa finlandese Marin, che in un’intervista per il programma televisivo Yle Uutiset ha definito “ingiusta” la possibilità per i cittadini russi di “vivere una vita normale, viaggiare in Europa, essere turisti” e ottenere visti dai Paesi membri dell’Ue, mentre Mosca “sta conducendo una guerra di aggressione aggressiva e brutale in Europa”.

    Stop issuing tourist visas to Russians. Visiting #Europe is a privilege, not a human right. Air travel from RU is shut down. It means while Schengen countries issue visas, neighbours to Russia carry the burden (FI, EE, LV – sole access points). Time to end tourism from Russia now
    — Kaja Kallas (@kajakallas) August 9, 2022

    Per i tre Paesi di confine la questione è vissuta in modo diretto, dal momento in cui ogni cittadino russo – non colpito dalle sanzioni internazionali – può attraversare la frontiera se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese dell’area Schengen. Il visto Schengen consente a un visitatore di soggiornare per un massimo di 90 giorni per turismo o affari, con la possibilità di viaggiare liberamente all’interno di una zona che comprende 22 Stati membri Ue, oltre a Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: è in questo modo che i cittadini russi, anche in assenza di collegamenti aerei diretti, possono ancora visitare per turismo la maggior parte dei Paesi dell’Ue. Estonia e Lettonia non rilasciano più visti Schengen a chi ne fa richiesta da Mosca e lo stesso ha deciso di fare la Bulgaria (con i propri visti nazionali) dopo il duro scontro diplomatico con la Russia a fine giugno.
    Ecco perché le due prime ministre stanno spingendo per portare a Bruxelles la questione dei visti turistici ai cittadini russi, alzando l’asticella ben oltre la raccomandazione della Commissione Ue di limitare i visti d’oro. Secondo quanto affermato dalla premier finlandese, il tema della libertà di movimento è già stato discusso in tutti i Consigli Ue dallo scoppio della guerra in Ucraina, ma è oggetto di non poche perplessità, in particolare per la discriminazione a priori di un’intera popolazione (che non necessariamente è allineata alle scelte del suo presidente) e per i rischi di chiudere le porte ai dissidenti ancora sul suolo russo e in cerca di una via d’uscita in futuro. “Ritengo che nelle future riunioni del Consiglio la questione si presenterà con ancora maggiore forza”, ha precisato Marin, anticipando una possibile discussione al Consiglio Affari Esteri informale di fine agosto.
    A Bruxelles intanto si temporeggia, con la Commissione Ue poco intenzionata a sbilanciarsi sul comunicare ulteriori sanzioni contro la Russia. “È importante sapere che i Paesi membri rilasciano i propri visti sulla base di norme nazionali e ci sono sempre casi in cui possono essere rilasciati, come a dissidenti politici, giornalisti e per questioni umanitarie”, ha spiegato la portavoce per gli Affari interni, Anitta Hipper, nel corso del punto quotidiano con la stampa europea, precisando che “è competenza degli Stati membri decidere cosa fare”. A questo proposito, Estonia e Finlandia stanno già studiando misure da poter attuare autonomamente: per esempio, inasprire le condizioni per l’ottenimento dei visti turistici, dando priorità a quelli lavorativi e per motivi familiari o di studio, e introdurre sanzioni nazionali ad hoc da affiancare a quelle già in vigore a livello Ue.

    Se in possesso di un visto da un qualsiasi Paese Schengen, per un cittadino russo è possibile attraversare la frontiera e viaggiare per 90 giorni nell’Unione. Le prime ministre Kallas e Marin vogliono portare la questione al Consiglio: “Visitare l’Europa è un privilegio, non un diritto umano”

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    La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio

    Bruxelles – La Russia lascia Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca senza petrolio. Transneft, la compagnia responsabile per il trasporto del greggio, ha chiuso i rubinetti per presunte conseguenze delle sanzioni dell’Unione europea. Non sarebbe stato possibile effettuare un pagamento, effettuato il 22 luglio ma rifiutato sei giorni più tardi. Dal 4 agosto dunque niente più trasporto via Ucraina, e Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca a secco. A non funzionare più è l’oleodotto UkrTransNafta, ramo della pipeline Druzhba che passa per l’Ucraina. Le consegne a Polonia e Germania, attraverso un altro ramo dell’oleodotto Druzhba che attraversa la Bielorussia, invece al momento “proseguono normalmente”, fa sapere Transneft.
    Il trasporto di petrolio attraverso l’oleodotto Druzhba è stato sospeso per diversi giorni, ma la raffineria Slovnaft di Bratislava continua a funzionare e a rifornire il mercato, ha dichiarato in un comunicato il portavoce della società slovacca Anton Molnar. “Secondo le nostre informazioni, ci sono stati problemi tecnici a livello bancario relativi al pagamento delle tasse di transito da parte russa”, ha aggiunto.
    C’è il timore che in realtà Mosca stia usando sempre di più l’energia per fare pressione sul blocco dei Ventisette, usando petrolio, gas e risorse come arma di ricatto. Prima dello stop del petrolio, per cui comunque è previsto l’embargo europeo, c’è stata la riduzione delle forniture di gas, se non addirittura lo stop completo. E’ stato il caso di Polonia e Bulgaria, Stati membri verso cui è stato impedito al gas di arrivare a destinazione. Lo stesso è capitato a Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia, sempre per questioni legate a pagamenti, non effettuati in rubli.

    Our emergency plan to reduce gas demand across the EU is now in force.
    Several Member States have already taken valuable, voluntary measures towards our target:
    Together, we aim to reduce gas usage by at least 15%.
    Saving energy is vital to Europe’s energy security.#REPowerEU pic.twitter.com/Iy6b0O0g3O
    — Ursula von der Leyen (@vonderleyen) August 9, 2022

    A Bruxelles si cerca di minimizzare. “Il nostro piano di emergenza per ridurre la domanda di Gas in tutta l’Ue è ora in vigore”, ha ricordato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Diversi Stati membri hanno già adottato misure preziose e volontarie per raggiungere il nostro obiettivo”, ovvero di “ridurre il consumo di Gas di almeno il 15 per cento”. La numero uno dell’esecutivo comunitario ribadisce che “il risparmio energetico è fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa” nel contesto della risposta alla guerra russa in Ucraina.

    Transneft ha smesso di trasportare il greggio. Il motivo sono problemi nei pagamenti

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    L’ex-presidente dell’Ucraina Janukovyč è finito nella lista delle sanzioni Ue per aver aiutato i separatisti filo-russi

    Bruxelles – Dentro anche l’ex-presidente ucraino Viktor Janukovyč e il figlio Oleksandr nella lista di sanzioni dell’Ue. Il Consiglio dell’Unione Europea ha deciso di inserire tra i soggetti colpiti dalle misure restrittive il numero uno a Kiev dal 2010 al 2014, a causa delle sue operazioni “tese a destabilizzare il Paese e a tutelare i propri interessi economici” dopo il trasferimento in Russia e nel contesto dell’invasione dell’Ucraina voluta dal Cremlino. Al figlio del presidente ucraino sono anche imputate transazioni con i gruppi separatisti nella regione ucraina del Donbass.
    A sole due settimane dall’ultima tornata di sanzioni (il pacchetto maintenance and alignement, aggiornamento e allineamento), si allunga così a 1.214 individui e 108 entità la lista di chi in Russia è colpito delle misure restrittive dell’Ue, con l’ingresso di un pezzo da novanta come l’ex-presidente ucraino Janukovyč. Come viene sottolineato nella descrizione riportata nella Gazzetta Ufficiale dell’Ue, “durante il suo mandato Janukovyč ha perseguito una politica filorussa”, al punto che un tribunale ucraino lo ha riconosciuto “colpevole di tradimento per aver cercato di reprimere le manifestazioni filo-occidentali del 2014“, ovvero la sollevazione popolare di piazza Maidan che lo ha destituito nel febbraio di otto anni fa. Da allora Janukovyč “ha favorito l’ingerenza militare russa in Ucraina invitando” il presidente Putin “a inviare truppe russe” nel Paese nel marzo dello stesso anno e “ha sostenuto politici filorussi che ricoprivano cariche pubbliche nella Crimea occupata” dall’esercito di Mosca (dove la sua famiglia possiede una catena di negozi e proprietà immobiliari nel paese di Otradnoye).
    Per quanto riguarda il figlio Oleksandr Janukovyč, è noto il suo ruolo di uomo d’affari finanziatore della creazione delle Repubbliche popolari separatiste nel Donbass. “Grazie agli stretti legami con i separatisti filorussi, ha acquisito attività economiche essenziali” in questi territori – ricorda il testo delle sanzioni – in particolare nei settori dell’energia, del carbone e immobiliare: “I suoi progetti di sviluppo immobiliare nella cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk sono stati protetti dal battaglione separatista Oplot”, nell’elenco delle sanzioni Ue dal febbraio del 2015.
    Per tutte queste ragioni Janukovyč padre e figlio sono ritenuti “responsabili di aver attivamente sostenuto o attuato azioni e politiche che minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina“, traendo anche vantaggio dall’annessione russa della Crimea e della destabilizzazione delle regioni orientali che in queste settimane sotto il costante fuoco dell’esercito russo. Come per gli altri soggetti colpiti dalle sanzioni Ue, anche per l’ex-presidente ucraino è previsto il congelamento dei beni e il divieto di mettere fondi a sua disposizione da parte dei cittadini dell’Unione, oltre al divieto di viaggio che impedisce l’ingresso o il transito attraverso il territorio dei Paesi membri e dei partner allineati.

    Il Consiglio dell’Ue ha deciso di inserire Viktor e il figlio Oleksandr Janukovyč per il “ruolo svolto nel minare o minacciare l’integrità territoriale, sovranità e indipendenza” del Paese e per aver condotto “transazioni con i gruppi separatisti nella regione ucraina del Donbas”