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    La metà dei Paesi Ue spinge per adottare i quadri negoziali con Ucraina e Moldova entro giugno

    Bruxelles – Mentre partiti e politici europei sono assorbiti dalla campagna elettorale per le elezioni che si svolgeranno da domani a domenica (6-9 giugno), dietro le quinte a Bruxelles sono giorni caldissimi per il futuro dell’Unione. Perché il mese di giugno determinerà i tempi e le tappe per l’adesione Ue di due nuovi Paesi, che attualmente sono candidati e che hanno ricevuto l’endorsement del Consiglio Europeo per l’avvio dei negoziati. Ucraina e Moldova attendono l’esito del confronto tra gli ambasciatori dei Ventisette per sperare in un via libera il prossimo 25 giugno al Consiglio Affari Generali all’adozione dei rispettivi quadri negoziali. E se da una parte c’è un’Ungheria reticente (ma non inamovibile), dall’altra ci sono 12 governi che hanno deciso di appoggiare apertamente l’accelerazione dei negoziati con una lettera inviata alla presidenza di turno belga del Consiglio dell’Ue.La ministra degli Affari esteri del Belgio e presidente di turno del Consiglio dell’Ue, Hadja Lahbib“L’apertura dei negoziati di adesione darebbe ulteriore motivazione” sia a Kiev sia a Chișinău, si legge nel testo visionato da Eunews, che ricorda la situazione “disastrosa” in Ucraina e le “imminenti” elezioni presidenziali e il referendum sull’Ue in Moldova: “Ciò rafforzerebbe il morale e promuoverebbe il lavoro sulle riforme in questi Paesi”, sono convinti i ministri di Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Svezia. La richiesta alla ministra degli Affari esteri belga e presidente di turno del Consiglio, Hadja Lahbib – di cui è “molto apprezzato” il lavoro per far avanzare il processo di allargamento, sotto la sua guida dal primo gennaio –  è quella di adottare i quadri negoziali al Consiglio Affari Generali “al più tardi nel mese di giugno”, con l’obiettivo di convocare le prime conferenze intergovernative “entro la fine di giugno 2024”.La data segnata in calendario è quella del 25 giugno, quando si riuniranno i 27 ministri responsabili per la decisione (all’unanimità) sul via libera alle conferenze intergovernative con i candidati all’ingresso nell’Unione. “Alla luce dei risultati ottenuti e degli sforzi di riforma in corso” – si legge ancora nella lettera – “riteniamo che sia giunto il momento di andare avanti“, spingendo inoltre su una “integrazione graduale in singole politiche e programmi dell’Ue prima della piena adesione” all’Unione. La base di partenza sono le conclusioni del Consiglio Europeo di marzo, quando i capi di Stato e di governo hanno invitato i 27 ministri degli Affari europei ad “adottare rapidamente” i progetti di quadri di negoziazione e “a portare avanti i lavori senza indugio”. Lo stesso presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva confessato allora che la speranza era quella di “arrivare alla prima conferenza intergovernativa sotto presidenza belga“, prima del passaggio di consegne all’Ungheria per la guida semestrale dell’istituzione Ue (che definisce calendari e temi in agenda delle riunioni dei ministri nelle diverse composizioni del Consiglio).Da sinistra: il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, e il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán (7 febbraio 2023)È proprio questo il nodo dei 20 giorni che mancano all’appuntamento in Consiglio Affari Generali. Dopo la prima fumata nera al Comitato dei rappresentanti permanenti (Coreper) di mercoledì scorso (29 maggio) a causa delle obiezioni ungheresi sull’Ucraina, il tema tornerà sul tavolo degli ambasciatori dei Ventisette venerdì (7 giugno). “Se i quadri negoziali saranno concordati entro quella data, la presidenza ha intenzione di organizzare le conferenze intergovernative per l’Ucraina e la Moldova dopo il Consiglio Affari Generali”, confermano fonti Ue in occasione della riunione di oggi (5 giugno) in cui è stata definita l’agenda parziale della riunione dei ministri del 25 giugno. Al momento sono state sciolte le riserve di tutti i Paesi membri, fatta eccezione per quelle di Budapest su diritti delle minoranze in Ucraina, commercio, lotta alla corruzione, agricoltura, funzionamento del Mercato unico e relazioni di buon vicinato.La speranza è che il governo di Viktor Orbán sia interessato a chiudere la questione dei colloqui di adesione dell’Ucraina prima di assumere la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue dal primo luglio, per evitare che il proprio semestre sia costellato da pressioni e polemiche a riguardo (e considerato il fatto che non si tratta dell’ultima occasione per l’Ungheria di utilizzare il potere di veto per bloccare l’adesione Ue di Kiev). Dopo la concessione dello status di Paese candidato nel giugno 2022 e nonostante i progressi costanti registrati dalla Commissione Europea nel corso del successivo anno e mezzo, il premier ungherese ha scelto la via dell’ostruzionismo per provare a impedire il via libera ai negoziati di adesione con Kiev. Solo attraverso una costante pressione delle istituzioni Ue – e lo sblocco da parte della Commissione di circa 10 miliardi di euro congelati a Budapest – Orbán ha compiuto un gesto abbastanza inconsueto ed eclatante al Consiglio Europeo del 14 dicembre 2023: ha lasciato la sala al momento del voto, così che gli altri 26 leader Ue potessero approvare la più attesa tra le conclusioni del vertice.Come funziona il processo di adesione UeIl processo di allargamento Ue inizia con la presentazione da parte di uno Stato extra-Ue della domanda formale di candidatura all’adesione, che deve essere presentata alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea. Per l’adesione all’Unione è necessario prima di tutto superare l’esame dei criteri di Copenaghen (stabiliti in occasione del Consiglio Europeo nella capitale danese nel 1993 e rafforzati con l’appuntamento dei leader Ue a Madrid due anni più tardi). Questi criteri si dividono in tre gruppi di richieste basilari che l’Unione rivolge al Paese che ha fatto richiesta di adesione: Stato di diritto e istituzioni democratiche (inclusi il rispetto dei diritti umani e la tutela delle minoranze), economia di mercato stabile (capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale) e rispetto degli obblighi che ne derivano (attuare efficacemente il corpo del diritto comunitario e soddisfare gli obiettivi dell’Unione politica, economica e monetaria).Ottenuto il parere positivo della Commissione, si arriva al conferimento dello status di Paese candidato con l’approvazione di tutti i membri dell’Unione. Segue la raccomandazione della Commissione al Consiglio Ue di avviare i negoziati che, anche in questo caso, richiede il via libera all’unanimità dei Paesi membri: si possono così aprire i capitoli di negoziazione (in numero variabile), il cui scopo è preparare il candidato in particolare sull’attuazione delle riforme giudiziarie, amministrative ed economiche necessarie. Quando i negoziati sono completati e l’allargamento Ue è possibile in termini di capacità di assorbimento, si arriva alla firma del Trattato di adesione (con termini e condizioni per l’adesione, comprese eventuali clausole di salvaguardia e disposizioni transitorie), che deve essere prima approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio all’unanimità.A che punto è l’allargamento UeLo stravolgimento nell’allargamento Ue è iniziato quattro giorni dopo l’aggressione armata russa quando, nel pieno della guerra, l’Ucraina ha fatto richiesta di adesione “immediata” all’Unione, con la domanda firmata il 28 febbraio 2022 dal presidente Zelensky. A dimostrare l’irreversibilità di un processo di avvicinamento a Bruxelles come netta reazione al rischio di vedere cancellata la propria indipendenza da Mosca, tre giorni dopo (3 marzo) anche Georgia e Moldova hanno deciso di intraprendere la stessa strada. Il Consiglio Europeo del 23 giugno 2022 ha approvato la linea tracciata dalla Commissione nella sua raccomandazione: Kiev e Chișinău sono diventati il sesto e settimo candidato all’adesione all’Unione, mentre a Tbilisi è stata riconosciuta la prospettiva europea nel processo di allargamento Ue. Nel Pacchetto Allargamento Ue 2023 la Commissione ha raccomandato al Consiglio di avviare i negoziati di adesione con Ucraina e Moldova e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato. Tutte le richieste sono state poi accolte dal vertice dei leader Ue di dicembre e ora si attende solo l’avvio formale dei negoziati e l’adozione dei quadri negoziali per le prime due.Sui sei Paesi dei Balcani Occidentali che hanno iniziato il lungo percorso per l’adesione Ue, quattro hanno già iniziato i negoziati di adesione – Albania, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia – uno ha ricevuto lo status di Paese candidato – la Bosnia ed Erzegovina – e l’ultimo ha presentato formalmente richiesta ed è in attesa del responso dei Ventisette – il Kosovo. Per Albania e Macedonia del Nord i negoziati sono iniziati nel luglio dello scorso anno, dopo un’attesa rispettivamente di otto e 17 anni, mentre Montenegro e Serbia si trovano a questo stadio rispettivamente da 12 e 10 anni. Dopo sei anni dalla domanda di adesione Ue, il 15 dicembre 2022 anche la Bosnia ed Erzegovina è diventato un candidato a fare ingresso nell’Unione e al Consiglio Europeo del 21 marzo ha ricevuto l’endorsement all’avvio formale dei negoziati di adesione. Il Kosovo è nella posizione più complicata, dopo la richiesta formale inviata a fine 2022: dalla dichiarazione unilaterale di indipendenza da Belgrado nel 2008 cinque Stati membri Ue – Cipro, Grecia, Romania, Spagna e Slovacchia – continuano a non riconoscerlo come Stato sovrano.I negoziati per l’adesione della Turchia all’Unione Europea sono stati invece avviati nel 2005, ma sono congelati ormai dal 2018 a causa dei dei passi indietro su democrazia, Stato di diritto, diritti fondamentali e indipendenza della magistratura. Nel capitolo sulla Turchia dell’ultimo Pacchetto annuale sull’allargamento presentato nell’ottobre 2022 è stato messo nero su bianco che “non inverte la rotta e continua ad allontanarsi dalle posizioni Ue sullo Stato di diritto, aumentando le tensioni sul rispetto dei confini nel Mediterraneo Orientale”. Al vertice Nato di Vilnius a fine giugno il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di forzare la mano, minacciando di voler vincolare l’adesione della Svezia all’Alleanza Atlantica solo quando Bruxelles aprirà di nuovo il percorso della Turchia nell’Unione Europea. Il ricatto non è andato a segno, ma il dossier su Ankara è stato affrontato in una relazione strategica apposita a Bruxelles.Trovi ulteriori approfondimenti sulla regione balcanica nella newsletter BarBalcani ospitata da Eunews

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    Il Belgio prova a convincere l’Ue a bandire il ‘made in Israel’ proveniente dai territori palestinesi occupati

    Bruxelles – Bandire i prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati. La presidenza belga del Consiglio dell’Ue prova a guidare quella che sarebbe una risposta senza precedenti al livello di Unione europea contro il partner della regione mediorientale. E’ il primo ministro del Belgio, Alexander De Croo, parlando ai media belgo-fiamminghi, a rivelare come si stia adoperando per convincere gli Stati membri dell’Ue a cancellare l’import ‘made in Israel’, con datteri, vino e olio d’oliva nel mirino.De Croo punta il dito contro la risposta dello Stato ebraico agli attacchi del 7 ottobre scorso. Dopo 35mila morti tra la popolazione palestinese e una violenza sta aumentando non solo nella Striscia di Gaza, ma anche in Cisgiordania, “è difficile per i paesi europei dire che continueremo ad agire come se nulla stesse accadendo“, sostiene il primo ministro belga. Il Belgio, che ha sostenuto il procedimento del Sudafrica contro Israele avviato alla Corte di giustizia internazionale dell’Aia con l’accusa di genocidio, vorrebbe una risposta ferma e decisa, sa che un’azione unilaterale avrebbe “effetto zero”, e quindi cerca di compattare il blocco dei Ventisette.Immaginarsi di avere un consenso unanime su una decisione di sanzioni contro Israele è arduo, e l’obiettivo della presidenza belga è quello di avere “almeno un grande gruppo di paesi che sono disposti a fare questo passo”. De Croo si mostra fiducioso. “Ci sono un certo numero di paesi che sono aperti al nostro ragionamento“, sostiene. Partendo da questo gruppi di Paesi, che non nomina, si cerca di spingersi oltre. “Stiamo cercando di andare oltre quel gruppo di Paesi che la pensano allo stesso modo, penso che sia logico cercare di convincere altri Paesi”.La presa di posizione di De Croo si spiega anche con ragioni di governo. All’interno della coalizione i partiti Ecolo, Groen (verdi francofoni e fiamminghi), Vooruit (socialisti fiamminghi) e Cd&V (cristiano-democratici fiamminghi) avevano già chiesto lo stop all’acquisto di prodotti israeliani provenienti dai territori palestinesi occupati, ma sono stati i liberali francofoni (Mr) a frenare su questa richiesta. Richiesta che non è caduta nel vuoto, e ora il premier belga ci prova.