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    La carta dei principi per pace e stabilità in Bosnia ed Erzegovina: i leader del Paese siglano l’accordo di Bruxelles

    Bruxelles – Non si ferma l’iniziativa dell’Unione Europea nei Balcani Occidentali, in particolare quella del presidente del Consiglio UE, Charles Michel. Dopo essere volato a Sarajevo, Tirana e Belgrado tre settimane fa per cercare di spingere la proposta di una comunità geopolitica europea e di una riforma del processo di adesione all’UE, il numero uno del Consiglio si è fatto artefice ieri (domenica 12 giugno) dell’accordo di Bruxelles tra i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina, per far uscire il Paese dalla crisi politico-istituzionale che rischia di avere ripercussioni in tutta la regione balcanica.
    L’incontro tra il presidente del Consiglio UE, Charles Michel, e l’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, con i leader dei partiti e delle istituzioni della Bosnia ed Erzegovina (12 giugno 2022)
    L’accordo politico patrocinato anche dall’alto rappresentante UE per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, è stato il frutto della riunione svoltasi nella sede del Consiglio con 11 leader della Bosnia ed Erzegovina, tra cui i membri della presidenza tripartita Željko Komšić (croato-bosniaco), Šefik Džaferović (bosniaco musulmano) e Milorad Dodik (servo-bosniaco). Proprio all’indirizzo di quest’ultimo sembra indirizzato il monito di “preservare e costruire uno Stato europeo funzionale pacifico, stabile, sovrano e indipendente“, che rispetti non solo gli Accordi di Dayton (siglati il 21 novembre del 1995 per mettere fine alla guerra in Bosnia e sancire la nascita di uno Stato composto dalle tre più consistenti componenti etniche del Paese), ma anche i principi fondanti dell’UE, come lo Stato di diritto, le elezioni libere e le istituzioni democratiche.
    In linea con le 14 priorità-chiave delineate dalla Commissione Europea per l’avvicinamento della Bosnia al conferimento dello status di Paese candidato all’adesione UE, l’accordo di Bruxelles ha definito 19 punti su cui è necessario un impegno da parte di tutti i leader partitici e politici in entrambe le entità territoriali (la Republika Srpska e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina), per “rafforzare la fiducia, il dialogo, la costruzione di compromessi”. In questo senso va letto lo sforzo per organizzare in modo “efficiente e ordinato” le elezioni generali previste per l’autunno di quest’anno – il che significa anche una campagna elettorale “priva di retorica divisiva e di odio” – e per la successiva “rapida formazione” delle nuove autorità legislative ed esecutive a tutti i livelli di governo. Subito dopo dovrà essere intrapreso il “costruttivo” percorso di riforme, che in sei mesi dovrà adottare “con urgenza” la legge sul Consiglio superiore della magistratura, della procura e dei tribunali, la legge sulla prevenzione del conflitto di interessi e sugli appalti pubblici, oltre alle riforme elettorali e costituzionali necessarie per garantire la piena conformità con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle misure necessarie perché Sarajevo possa beneficiare dei fondi UE nell’ambito dello Strumento di assistenza preadesione (IPA III).
    A proposito di riforme, i leader bosniaci dovranno garantire il pieno funzionamento delle istituzioni statali, a partire dai settori in cui le competenze sono condivise (e per cui proprio il secessionismo di Dodik sta minacciando la tenuta del tessuto sociale e istituzionale dall’autunno dello scorso anno). Per il rafforzamento dello Stato, è necessario un rafforzamento della prevenzione e della lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata – anche garantendo che le forze dell’ordine e la magistratura possano operare in modo indipendente – e un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Nell’accordo di Bruxelles compare anche il riferimento all’estensione del mandato esecutivo dell’EUFOR Althea “per mantenere un ambiente sicuro e protetto”, considerate soprattutto le minacce di destabilizzazione della Russia in Bosnia ed Erzegovina in particolare e nella penisola balcanica in generale. Un richiamo non solo interno al Paese, ma anche di allineamento alla politica estera e di sicurezza comune dell’UE, visto che la Bosnia ed Erzegovina è l’unico Paese balcanico, insieme alla Serbia, a non aver adottato le sanzioni internazionali contro Mosca dopo l’aggressione militare dell’Ucraina.

    L’intesa politica in 19 punti voluta da Charles Michel e Josep Borrell impegna tutti i partiti nazionali a preservare uno Stato “pacifico, stabile, sovrano e indipendente”, in linea con le 14 priorità-chiave dell’Unione Europea su Stato di diritto, elezioni libere e istituzioni democratiche

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    Francia, testa a testa Macron-Mélenchon. A rischio la maggioranza assoluta dei liberali

    Bruxelles – La sinistra ecologista mette paura a Emmanuel Macron. Complice anche un astensionismo record (52,4 per cento), la coalizione NUPES (La France insoumise, Partito socialista, Verdi, Partito comunista) guidata dal leader del partito La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, tiene testa al partito del presidente francese al primo turno delle elezioni legislative. Ensemble! conquista il 25,7 per cento delle preferenze, avanti di 0,9 punti percentuali rispetto agli sfidanti della gauche che ora insidiano la leadership di Macron all’Assemblea nazionale, la camera bassa del Parlamento francese, e rischiano di riscrivere gli equilibri politico-istituzionali della Repubblica. Lo spoglio conferma il testa a testa, con gli sfidanti dati addirittura davanti per qualche istante, tanto da indurre Mélenchon a dichiarare che la sua coalizione è ora prima forza del Paese.
    Macron dispone della maggioranza assoluta del ramo parlamentare (346 seggi su 577), e i dati al momento non escludono che possa essere mantenuta. Ma tutto dipenderà dal secondo turno, in programma domenica prossima (19 giugno). A poco, fin qui, sembra essere servita una campagna elettorale all’insegna di slogan volti a sottrarre voti a destra come a sinistra. Il presidente ha chiamato a raccolta gli elettori invitando a votare in nome di «unità e coesione, indipendenza francese», nel chiaro intento di rosicchiare consensi a destra, al Rassemblement National di Marine Le Pen, così come l’invito a «fare della Francia una grande nazionale ecologica» intende confermare la corsa ‘green’ a scapito della sinistra-ecologista.

    Faisons le choix de l’unité et du rassemblement. Le choix du plein emploi, de l’indépendance française, du pouvoir d’achat. Ensemble, faisons de la France une grande Nation écologique, transformons notre école, changeons notre système de santé. pic.twitter.com/B4fFS9qZRI
    — Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) June 9, 2022

    Il voto del 19 giugno servirà a capire come continuerà la Francia. Il dato politico certo è che la maggioranza assoluta (289 seggi) per il partito del presidente è minacciata. Le prime proiezioni indicano che i seggi a disposizione di Macron potrebbero oscillare tra 255 e 295. Una forchetta che indica dunque tutte le insidie del caso. Dall’altra parte Mélenchon non sembra comunque disporre della forza necessaria per conquistare il governo e imporre al presidente una coabitazione che limiterebbe i poteri dell’inquilino dell’Eliseo. In Francia, repubblica semi-presidenziale, il presidente ha pieno poteri quando il governo è dello stesso colore politico del vincitore delle presidenziali, viceversa con espressioni diverse il presidente ha manovra più limitata. Questo, dati alla mano, non è ancora il caso per Macron. Ad ogni modo il modello Macron esce dalle urne con qualche certezza in meno. In attesa del secondo turno.

    Sinistra ecologista e Ensemble! al 25,7 per cento. Il primo turno delle legislative vede scricchiolare il partito del presidente. Si decide tutto al secondo turno, pesa l’astensionismo

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    Pechino contro la risoluzione dell’Eurocamera su Xinjiang: “Una brutta farsa diretta da forze anticinesi”

    Bruxelles – “Una brutta farsa diretta da forze anticinesi”, in altre parole “la balla del secolo”. La risposta di Pechino alla risoluzione di ieri sulle condizioni degli uiguri nella regione autonoma del Xinjiang, nel nord-est della Cina, non si è fatta attendere: l’ufficio della missione cinese nell’UE ha pubblicato una nota di condanna contro l’accusa di genocidio.
    “La causa dei diritti umani nel Xinjiang è in pieno sviluppo”, sostiene l’ufficio, sottolineando come le questioni legate alla regione riguardino “la lotta al terrorismo, all’estremismo e al separatismo, non i diritti umani o la religione”. Quando il Parlamento Europeo ha invece denunciato violazioni dei diritti umani, come la deportazione di massa, l’indottrinamento politico e la separazione delle famiglie uigure, oltre a limitazioni della libertà religiosa e a un ampio uso delle tecnologie di sorveglianza. Anche l’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, aveva detto di aver sollevato dubbi alle autorità cinesi sull’applicazione delle misure contro il terrorismo e la radicalizzazione visto il loro impatto sui diritti degli uiguri, in occasione della visita del mese scorso nel Paese.

    Our Spokesperson Speaks on a Question Concerning European Parliament’s Resolution on Xinjiang👉 https://t.co/Mgih7NHLIP pic.twitter.com/4hOPxvl3HO
    — Mission of China to the EU (@ChinaEUMission) June 9, 2022

    “La risoluzione sul Xinjiang si basa sulla bugia del secolo, prodotta in maniera deliberata da forze estremiste anticinesi”, ha dichiarato anche il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, nella conferenza stampa di oggi (10 giugno). Mentre You Wenzi, portavoce della commissione Affari esteri dell’Assemblea nazionale del Popolo, l’organo legislativo cinese, ha parlato invece di “manipolazione politica con il pretesto dei diritti umani” e di una “grave interferenza negli affari interni” del Paese. Nessun riferimento da parte dei rappresentanti ai ‘Xinjiang Police Files’, una corposa raccolta di fotografie e documenti che aggiungono nuovi dettagli sulla repressione uigura e attestano il ruolo avuto dalla leadership cinese.
    Di tutt’altro avviso è stato il World Uyghur Congress, l’organizzazione internazionale per i diritti della minoranza etnica, turcofona di religione islamica. “Invitando l’UE e i suoi Stati membri a ‘prendere tutte le misure necessarie, in conformità con la Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, per porre fine a queste atrocità’, la risoluzione approvata segna un appello storico ai meccanismi di responsabilità per rendere giustizia al popolo uiguro”, ha affermato l’organizzazione. Il presidente Dolkun Isa, a Strasburgo proprio in occasione della Plenaria, ha ringraziato il Parlamento Europeo subito dopo l’adozione della risoluzione: “Oggi è un giorno storico per gli uiguri, oggi non ci sentiamo soli”.

    Today is a historical day for Uyghurs and all those who work to achieve justice and accountability. We thank @rglucks1, @EnginEroglu_FW, @DavidLega, @bueti, @MiriamMLex, @AnnaFotyga_PE, @HeidiHautala and all MEPs who supported the resolution as well as the Uyghur Friendship Group pic.twitter.com/krJK4n1tmH
    — Dolkun Isa (@Dolkun_Isa) June 9, 2022

    Si tratterebbe di una “manipolazione politica con il pretesto dei diritti umani” e di una “grave interferenza negli affari interni del Paese”. Il World Uyghur Congress saluta invece il testo finale

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    Cina, Xinjiang a “rischio di genocidio” denunciano gli eurodeputati

    Bruxelles – L’operato cinese nella regione del Xinjiang, nel nord-ovest della Cina, rappresenta “un grave rischio di genocidio”. Il Parlamento Europeo ha rinnovato oggi (9 giugno) la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri – minoranza turcofona di religione islamica – dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’, una serie di documenti provenienti dai computer della polizia locale che aggiungono nuovi dettagli sul ruolo della leadership cinese nelle campagne di repressione.
    “Le prove credibili delle misure di prevenzione delle nascite e della separazione dei bambini uiguri dalle loro famiglie costituiscono crimini contro l’umanità e rappresentano un grave rischio di genocidio”, riporta la nuova risoluzione del Parlamento, a firma Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici, Renew Europe, Conservatori e Riformisti Europei, Verdi e Partito Popolare Europeo (PPE). “Il Parlamento Europeo riconosce per la prima volta che il regime cinese sta commettendo crimini contro l’umanità e un grave rischio di genocidio”, ha sottolineato David Lega (PPE), tra i principali autori della risoluzione: “Genocidio, atti deliberati commessi con l’intento di distruggere per intero o in parte un gruppo nazionale, etnico o religioso”. Proprio Lega aveva sottolineato qualche giorno fa come si stesse negoziando per inserire il termine nel testo finale.

    BREAKING❗️ The @EPPGroup is pushing for the recognition of the ongoing Uyghur Genocide in #Xinjiang.The #XinjiangPoliceFiles are another confirmation of the horrible atrocities made by the #CCP. I will negotiate the text for the urgency resolution tomorrow. Vote: Thursday.
    — David Lega (@DavidLega) June 6, 2022

    Oltre a chiedere la chiusura di tutti i campi e centri di detenzione, il Parlamento Europeo ha sollecitato ulteriori sanzioni europee nei confronti di alcuni funzionari cinesi, come l’ex segretario regionale e membro dell’Ufficio politico di partito, Chen Quanguo, l’attuale ministro della Pubblica sicurezza Zhao Kezhi e il precedente Guo Shengkun, e altri individui presenti negli archivi di polizia del Xinjiang. Nella risoluzione si invita inoltre la Commissione Europea a proporre un divieto di importazione “su tutti i prodotti realizzati mediante il lavoro forzato e sui prodotti fabbricati da tutte le società cinesi note per il suo impiego”, un tema oggetto di una seconda risoluzione anch’essa votata in giornata.
    Il Parlamento ha anche espresso la propria preoccupazione rispetto all’esito della visita dell’alta commissaria per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, in Cina il mese scorso. Bachelet “non ha usato la sua autorità per condannare ciò che ha visto o avrebbe dovuto vedere durante la sua visita”, ha scandito la vicepresidente del Parlamento Europeo, Heidi Hautala (Verdi), nel dibattito prima della votazione. L’alta commissaria dell’ONU aveva detto di “non essere stata in grado di valutare l’intera portata” dei campi di internamento e rieducazione degli uiguri, perché priva di un pieno accesso ai centri.
    “Alcuni di noi l’avevano avvertita di non diventare una vittima degli sforzi della propaganda cinese”, ha continuato Hautala, “è esattamente quello che è successo”. “Penso che l’UE dovrebbe essere molto cauta riguardo a un suo eventuale secondo mandato – ha proseguito – perché abbiamo visto che il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è diventato vulnerabile agli sforzi cinesi di minare l’ordine dei diritti umani stabilito nel dopoguerra”. Nella risoluzione, oltre a stabilire un “grave rischio di genocidio”, il Parlamento chiede anche la pubblicazione immediata del rapporto sulla situazione degli uiguri nel Paese, atteso da ben tre anni e posticipato in occasione della visita di Bachelet. Una richiesta che è stata fatta anche dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politiche di sicurezza Josep Borrell: “La visita e la pubblicazione dei Xinjiang Police Files invitano al rilascio, come questione di assoluta priorità, del rapporto di monitoraggio a distanza preparato dalle Nazioni Unite”.

    “Let me assure you that the EU will continue to speak out against human rights violations occurring across China.”
    Speech on human rights situation in China delivered by Executive VP @VDombrovskis on behalf of HR/VP @JosepBorrellF at @Europarl_EN debatehttps://t.co/Octfi1Z8jH
    — European External Action Service – EEAS 🇪🇺 (@eu_eeas) June 9, 2022

    “Le relazioni UE-Cina sono sempre più caratterizzate da concorrenza economica e rivalità sistemica”, calca il testo, riprendendo il lessico della relazione del 2019, ‘UE-Cina – Una prospettiva strategica’, che aveva definito l’approccio di Bruxelles nei confronti di Pechino. “A seconda dei settori, la Cina è un partner di cooperazione con obiettivi largamente allineati a quelli dell’UE – elenca la relazione – un partner di negoziato con cui l’UE deve trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico che ambisce alla leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”.
    Il documento di oggi conferma ciò quanto emerso nella recente risoluzione delle sfide per la sicurezza nell’Indo-Pacifico: la Cina è, secondo l’UE, “sempre più assertiva e aggressiva”. L’approccio europeo nei confronti della Cina deve essere quindi “unificato, pragmatico, sfaccettato e di principio”, pur mantenendo una certa cooperazione sulle questioni di interesse comune come la lotta al cambiamento climatico. Mentre Taiwan viene indicata, sempre nella risoluzione sull’Indo-Pacifico, come “partner fondamentale e alleato democratico nella regione”.

    Il Parlamento Europeo ha rinnovato con una nuova risoluzione la propria condanna nei confronti delle autorità di Pechino per violazioni dei diritti umani sugli uiguri, dopo la pubblicazione dei ‘Xinjiang Police Files’

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    L’Ucraina si unisce ai programmi Euratom e Horizon Europe. Dall’European Innovation Council 20 milioni per le start-up

    Bruxelles – Il supporto e l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea passano anche dalla sfera tecnologica. A partire da oggi (giovedì 9 giugno) i programmi di ricerca e formazione Horizon Europe ed Euratom sono aperti anche all’Ucraina invasa dalla Russia, e a ricercatori, innovatori, università, imprese e PMI ucraine saranno garantite le stesse opportunità di collaborare con i colleghi dell’UE per lavorare su obiettivi comuni in ambito tecnologico e digitale. A questo si aggiunge uno sforzo ulteriore, ovvero un sostegno da 20 milioni di euro complessivi alle start-up ucraine fornito dall’European Innovation Council nell’ambito deep tech (innovazioni tecnologiche basate su sostanziali sfide scientifiche e ingegneristiche).
    La commissaria europea per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Olha Stefanishyna (9 giugno 2022)
    Lo hanno annunciato questa mattina in una conferenza stampa congiunta la commissaria europea per l’Innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Olha Stefanishyna. L’accordo sull’associazione dell’Ucraina ai programmi di ricerca Horizon Europe ed Euratom era stato firmato il 12 ottobre dello scorso anno, in occasione del vertice UE-Ucraina a Kiev. In otto mesi è successo l’impensabile, con il Paese che sta affrontando l’aggressione militare russa ininterrottamente dal 24 febbraio: ecco perché, “considerato il nostro impegno a offrire strumenti tangibili di sostegno alla comunità della ricerca e dell’innovazione, l’Ucraina parteciperà ai programmi di ricerca Horizon Europe ed Euratom senza dover contribuire finanziariamente per gli anni 2021 e 2022“, ha specificato la commissaria Gabriel.
    Per quanto riguarda il sostegno finanziario dall’European Innovation Council, i 20 milioni di euro complessivi saranno destinati ad almeno 200 start-up del settore deep tech (per un massimo di 60 mila euro ciascuna), oltre a servizi di consulenza aziendale per rafforzare la capacità delle imprenditrici e degli imprenditori ucraini di interagire con l’ecosistema europeo dell’innovazione e di entrare in nuovi mercati. L’invito a presentare le proposte sarà pubblicato il 23 giugno, con scadenza il 7 settembre. “Non siete soli, vogliamo mobilitare tutte le risorse disponibili anche per preservare la comunità dell’innovazione ucraina“, ha commentato la commissaria Gabriel, anticipando anche che “quando la situazione lo permetterà, aiuteremo gli innovatori che sono fuggiti dalla guerra a tornare nel proprio Paese”.
    Come ricordato dalla vicepremier Stefanishyna, “più del 70 per cento delle start-up è rimasta in Ucraina nonostante l’escalation della guerra, ecco perché siamo sicuri che in tempo di pace aumenterà lo sviluppo del nostro tessuto sociale”. Né il governo di Kiev né i Ventisette possono sapere “in che condizioni troveremo il Paese nel giorno della nostra vittoria, ma sarà comunque innovativo e pieno di persone con alte competenze, non possiamo lasciarle sole”. Mentre Kiev viene sempre più integrata da Bruxelles, la Russia da mesi è stata tagliata fuori da tutte le collaborazioni con l’UE, sia da Horizon Europe ed Euratom, sia dai programmi Erasmus+ e dalle borse di studio Marie Curie e del Consiglio Europeo della Ricerca.

    Lo hanno annunciato in una conferenza stampa congiunta la commissaria per l’innovazione e la ricerca, Mariya Gabriel, e la vicepremier ucraina, Olha Stefanishyna. Esonero per Kiev sul contributo finanziario 2021/2022, mentre si cerca di supportare il tessuto tecnologico nazionale

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    Von der Leyen vola in Egitto per la sicurezza alimentare della regione (e per quella energetica dell’UE)

    Bruxelles – Ursula von der Leyen volerà la prossima settimana in Egitto per discutere con il presidente Abdel Fattah al-Sisi di “come indirizzare al meglio il nostro sostegno alla regione” di fronte alla crisi di insicurezza alimentare globale trainata dalla guerra di Russia in Ucraina. La conferma è arrivata questa mattina (8 giugno) a Strasburgo dalla stessa presidente della Commissione Europea in un dibattito con il Parlamento europeo sull’ultimo Vertice Ue che si è tenuto il 30-31 maggio, affrontando le conseguenze della guerra di Mosca sulla sicurezza alimentare ed energetica globale.
    Tra le altre conseguenze della guerra in Ucraina, la presidente cita con apprensione l’aumento dei prezzi dell’energia che ha fatto aumentare i costi dei fertilizzanti o del trasporto delle esportazioni. Ma il tema è soprattutto le difficoltà che si stanno incontrando nell’esportare le materie prime agricole nel mondo. “Il cibo è ormai diventato parte dell’arsenale del terrore del Cremlino. E non possiamo tollerarlo”, accusa von der Leyen. “Penso che questo sia l’unico modo per descrivere il bombardamento da parte della Russia degli impianti di stoccaggio del grano, il blocco dei porti ucraini – anzi in alcuni casi anche il furto di grano dall’Ucraina. Quindi, al momento, ci sono circa 20 milioni di tonnellate di grano intrappolate in Ucraina”, ha ricordato.
    Kiev produce il 12 per cento del grano mondiale, il 15 per cento del suo mais e il 50 per cento del suo olio di girasole, ed è il principale esportatore di prodotti agricoli per i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, che iniziano a soffrire il rallentamento delle esportazioni. L’invasione della Russia, iniziata lo scorso 24 febbraio, fa temere per la sicurezza alimentare su scala globale. In circostanze normali, Bruxelles stima che il 75 per cento della produzione cerealicola ucraina venga esportata, e prima della guerra, i porti ucraini sul Mar Nero rappresentavano il 90 per cento delle esportazioni di cereali e semi oleosi. Circa un terzo delle esportazioni è destinato all’Europa, alla Cina e all’Africa.
    Dell’intenzione di viaggiare in Egitto, von der Leyen aveva fatto menzione già in conferenza stampa al termine del Vertice Europeo del 30-31 maggio con l’idea di affrontare “le questioni di sicurezza alimentare anche in senso regionale, non solo europeo o dell’Ucraina”. Discutere di sicurezza alimentare non è sicuramente l’unica ragione che spinge la leader dell’Esecutivo europeo a recarsi in Egitto. Nel piano ‘REPowerEu’ per svincolare l’UE dai combustibili fossili importati dalla Russia, la Commissione Europea ha fissato tra gli obiettivi per porre fine alla dipendenza dal gas russo una spinta sulle energie rinnovabili e fonti di energia a basse emissioni di carbonio, efficienza e risparmio. Ma è ben consapevole che il fabbisogno residuo di gas naturale dell’Europa andrà coperto dalla diversificazione dei fornitori. Nella comunicazione del piano presentato il 18 maggio scorso, Bruxelles stima che sarà necessario aumentare le sue importazioni di gas da fonti non russe: principalmente gas naturale liquefatto, Gnl (+50 miliardi di metri cubi), ma anche gas proveniente da gasdotto (+10 bcm) visti i limiti infrastrutturali di molti Paesi membri che non dispongono o dispongono di pochi rigassificatori sul proprio territorio.
    Dopo un accordo con gli Stati Uniti per la consegna di almeno 15 miliardi di metri cubi di Gnl nel 2022 e circa 50 miliardi di metri cubi all’anno almeno fino al 2030 e dopo che Giappone e Corea hanno già reindirizzato una serie di carichi verso l’Europa, la Commissione europea punta “entro quest’estate” – come si legge nella comunicazione – e dunque nelle prossime settimane a concludere un accordo trilaterale con Egitto e Israele per maggiori forniture di Gnl all’Europa. I contatti tra Unione e Israele sono già in corso, ufficialmente da inizio aprile ma si stanno accelerando. I due partner stanno negoziando per trasportare il gas attraverso l’Egitto, dopo che la ministra per l’Energia di Israele Karin Elharrar ha fatto capire che intende sfruttare appieno il “vuoto” e l’opportunità nel mercato energetico globale e soprattutto quello europeo lasciato dalla Russia, a causa delle sanzioni imposte dall’UE.
    A novembre, Egitto e Israele hanno firmato un accordo per facilitare il trasferimento del gas israeliano in Egitto e una volta iniziata la guerra di aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, a fine febbraio, hanno approfondito i colloqui con Bruxelles per sfruttare l’opportunità e trasferire il Gnl in Europa, dove poi sarà rigassificato. Prima dell’invasione dell’Ucraina, Mosca forniva all’Europa circa il 40% della sua domanda di gas all’anno. Israele, da solo, non può compensare tutta la domanda di gas coperta dalla Russia, ma Bruxelles stima che con una partnership rafforzata con i Paesi del Mediterraneo orientale si può arrivare a forniture per oltre 15 miliardi di metri cubi all’anno. Nel piano REPowerEu c’è un intero capitolo dedicato alla dimensione esterna di questo progetto per dire addio ai combustibili fossili russi, che vedrà Bruxelles impegnata sia con i principali paesi produttori (Stati Uniti, Australia, Qatar, Nigeria, Egitto, ecc.) sia con i paesi consumatori (Cina, Giappone, Corea) di gas.

    La presidente della Commissione in Egitto la prossima settimana per discutere con il presidente Abdel Fattah al-Sisi di “come indirizzare al meglio il nostro sostegno alla regione” di fronte alla crisi di insicurezza alimentare globale trainata dalla guerra in Ucraina. Ma non solo. Bruxelles punta a concludere un accordo trilaterale con Israele e Egitto per forniture di gas all’Europa

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    Macron tenta il colpaccio in extremis. Proverà la mediazione Skopje-Sofia per l’adesione UE della Macedonia del Nord

    Bruxelles – Tre settimane per riuscire dove tre presidenze di turno del Consiglio dell’UE (tedesca, portoghese e slovena) hanno fallito prima di lui. Il presidente francese, Emmanuel Macron, vuole mettere la ciliegina sulla torta di un semestre in cui l’Eliseo ha dovuto affrontare – insieme a Consiglio, Commissione e Parlamento – prove inaspettate per l’Unione Europea, come la guerra in Ucraina e le conseguenze globali sul piano energetico, umanitario, alimentare e militare. Ma c’è un’altra sfida che si protrae ormai da decenni e che negli ultimi mesi sta dimostrando tutta la sua urgenza: il processo di adesione dei Paesi dei Balcani Occidentali all’UE e, in particolare, l’avvio dei negoziati con Macedonia del Nord e Albania.
    È per questo motivo che, a 23 giorni dalla fine della presidenza di turno francese del Consiglio dell’UE, l’inquilino dell’Eliseo vuole entrare nella storia dell’Unione anche per aver sbloccato lo stallo causato dal veto della Bulgaria all’accesso della Macedonia del Nord all’UE (che porta con sé anche quello dell’Albania, all’interno dello stesso pacchetto). Come si legge in una nota, Macron si è detto “pronto” ad accogliere a Parigi le autorità bulgare e macedoni “al momento opportuno” per concludere l’accordo bilaterale. L’annuncio è arrivato al termine dell’incontro di ieri sera (lunedì 6 giugno) con il presidente della Bulgaria, Rumen Radev, e il premier della Macedonia del Nord, Dimitar Kovačevski, nel contesto degli sforzi condotti nelle ultime settimane per trovare una soluzione alla controversia tra i due Paesi e “concretizzare la prospettiva europea” di Skopje. L’accordo “contribuirebbe alle relazioni di buon vicinato e al rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini che dichiarano di appartenere ad altre comunità o minoranze”, specifica l’Eliseo.
    Lo stop bulgaro all’avvio dei negoziati di adesione UE della Macedonia del Nord risale al dicembre del 2020, anche se negli ultimi mesi i due nuovi governi nazionali hanno mostrato un rinnovato impegno per il dialogo su temi comuni come la storia, la cultura, i diritti umani e l’integrazione europea, vale a dire su tutte le questioni alla base delle frizioni nazionalistiche tra i due Paesi. In realtà, già due anni prima il dossier macedone-albanese si era bloccato in Consiglio per l’opposizione proprio della Francia – oltre a Danimarca e Paesi Bassi – nei confronti dell’Albania, con la richiesta di un’implementazione delle riforme. Nel 2018 e nel 2020 c’era sempre Macron all’Eliseo, ma da presidente anche del Consiglio dell’UE oggi sta cercando di dare uno scossone a una politica di allargamento che, tra mille stenti, sta rischiando di creare disillusioni pericolose in una penisola delicata quale è quella balcanica. A maggior ragione se si considera l’opera di destabilizzazione della Russia e gli interessi economici della Cina nel ‘buco nero’ del continente europeo.
    Se il tempismo è tutto, l’ultimo annuncio di Macron arriva a due settimane da un Consiglio Europeo (l’ultimo sotto presidenza francese) che metterà al centro la questione dell’allargamento dell’UE e la dimensione geopolitica dell’Europa oltre l’Unione. Non solo a margine del Consiglio si terrà un nuovo vertice UE-Balcani Occidentali (dopo quello inconcludente dell’ottobre dello scorso anno), per un confronto diretto tra i Ventisette e tutti i leader della regione, ma i capi di Stato e di governo dell’Unione dovranno anche discutere della proposta del presidente Macron di una comunità geopolitica europea e del possibile processo “graduale e reversibile” per l’adesione all’UE avanzato dal numero uno del Consiglio, Charles Michel. Il tutto con le richieste di ingresso nell’Unione da parte di Ucraina, Georgia e Moldova sul tavolo, se la Commissione fornirà in tempo i pareri formali. Macron è pronto a mettere la ciliegina dell’intesa tra Bulgaria e Macedonia del Nord sul proprio semestre di presidenza, ma per l’Unione Europea sono ancora molti gli strati da completare prima di considerare la torta dell’allargamento UE pronta da servire.

    L’inquilino dell’Eliseo si è detto “pronto” a concludere l’accordo bilaterale tra Bulgaria e Macedonia del Nord, per sbloccare uno stallo sull’avvio dei negoziati (anche con l’Albania) che si protrae da un anno e mezzo. Data ultima: 30 giugno, fine della presidenza di turno francese del Consiglio

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    Slovacchia: “Sosterremo Taiwan contro i ‘poteri forti’ che minacciano la democrazia”

    Bruxelles – La Slovacchia sosterrà Taiwan nella sua resistenza ai ‘poteri forti’ che minacciano la democrazia. L’ha dichiarato oggi (7 giugno) a Taipei, il vicepresidente del parlamento slovacco Milan Laurenčík, a capo della delegazione in visita – dal 5 al 10 giugno – nell’ex isola di Formosa, secondo l’agenzia di stampa taiwanese CNA. Dallo scorso dicembre le relazioni tra Slovacchia e Taiwan sono sempre più strette e più vicine al caso lituano.
    Nella giornata di oggi, Laurenčík ha visto la presidente Tsai Ing-wen, insieme a Peter Osuský, presidente del gruppo parlamentare per le relazioni tra Slovacchia e Taiwan, a Juraj Droba, presidente della regione di Bratislava, e a una serie di deputati slovacchi. Durante l’incontro, al palazzo presidenziale di Taipei, Laurenčík ha sottolineato come l’isola e il Paese europeo, pur distanti geograficamente, siano accomunati da valori come la libertà e la democrazia, mentre Tsai ha auspicato una maggiore cooperazione “nel consolidare la difesa democratica”.
    “In questi ultimi anni, le relazioni bilaterali tra Taiwan e la Slovacchia sono sempre più strette”, ha affermato la presidente, ricordando la donazione di mascherine da parte di Taipei allo Stato dell’UE e, in risposta, l’invio di vaccini da Bratislava all’isola, “che hanno creato un ‘circolo virtuoso’ sul piano internazionale”. Anche i 16 protocolli d’intesa (MOU) siglati dai due Paesi che, per la presidente, apriranno la strada a una futura cooperazione nei settori di ricerca e sviluppo, tecnologia spaziale, commerciale e dei semiconduttori.
    Si tratta del quarto incontro tra delegazioni dei due Paesi in meno di un anno. A ottobre 2021 il ministro degli Esteri Joseph Wu era stato a Bratislava con una delegazione per gli investimenti di oltre 60 persone, guidata dal Consiglio nazionale per lo sviluppo, l’organismo responsabile per le politiche di sviluppo industriale di Taipei. Tra le altre tappe, c’erano state anche Repubblica Ceca e Polonia – che avevano inviato vaccini all’isola – e la Lituania, dove era in corso l’apertura di un ufficio di rappresentanza ‘taiwanese’. Due mesi dopo, il viceministro dell’Economia Karol Galek era andato sull’isola insieme alla delegazione slovacca più numerosa di sempre (43 persone), mentre l’ultima visita, questa volta di Taipei in Slovacchia, risale a marzo 2022.
    La Slovacchia non riconosce formalmente Taiwan e ospita un ‘ufficio di rappresentanza di Taipei’ – e non ‘taiwanese’ come nel caso lituano – dal 2003. Bratislava ha sempre mantenuto un rapporto più di basso profilo rispetto a Vilnius che, proprio per l’avvicinamento a Taipei, è stata colpita da una serie di restrizioni ai prodotti importati a partire dalla fine del 2021. Non è però detto che anche la Slovacchia non finisca nel mirino di Pechino: durante la visita, secondo Taiwan News, Laurenčík avrebbe detto che Taiwan sarebbe un partner economico ben più importante della Cina. Le autorità cinesi, già nel 2021, avevano intimato alla Slovacchia di interrompere qualunque forma di scambio formale con le autorità taiwanesi e di attenersi al principio ‘Una Cina sola’.

    I enjoyed a productive meeting with Deputy Speaker Laurenčík & his delegation. #Taiwan & #Slovakia will continue to strengthen our friendship & bilateral cooperation, as we work with other like-minded countries to bolster our democratic resilience. pic.twitter.com/Jxg3p19xwl
    — 蔡英文 Tsai Ing-wen (@iingwen) June 7, 2022

    Per quanto si fosse auspicato un ripensamento dei rapporti politici e commerciali con Taiwan, l’approccio europeo è tornato invece più pragmatico. Nell’ultimo dialogo annuale UE-Taiwan sul commercio e gli investimenti del 2 giugno – pur ‘modernizzato’ – si sono esclusi (a breve) sia un accordo bilaterale sugli investimenti sia il riconoscimento diplomatico dell’isola. 

    Bratislava prende posizione contro la Cina durante una visita sull’ex isola di Formosa, in un possibile nuovo caso Lituania